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L’attacco poi del Paradidi neppur limitossi alla inserzione dell’articolo nel Contemporaneo, ma l’articolo stesso, stampato a parte, vendevasi per le pubbliche piazze e ne veniva annunziata per un baiocco la vendita dalle luride bocche della più dispregevol canaglia.

E così nella città santa, nella città propugnatrice delle sane dottrine e raccomandatrice di rispetto e di carità verso tutti, videsi gittato nel fango senza remora alcuna, senza riguardo di sorta, la fama e l’onore di una onesta famiglia, postergando i riguardi, la civiltà, e la convenienza ai brutali e selvaggi clamori del trivio e della taverna! E che mancava, dopo di ciò, se non che veder la plebe furente e sdegnata brandire le armi, e dato di piglio alle faci, incendiare nella insania feroce l’aureo palagio del principe romano, designato espilatore della fortuna pubblica?

E il Paradisi, che vedevasi onorato a tal segno, era quel desso che quindici mesi dopo, in benemerenza dell’onore conferitogli, e coerentemente alle proteste di attaccamento pel pontificio governo, il quale (secondo le sue stesse parole) era il più paterno perchè retto da Pio IX, miracolo della Provvidenza, mostrossi uno dei più caldi ed accaniti repubblicani.

Portò subito il principe offeso querela di calunnia e di diffamazione verso il Paradisi avanti il tribunal criminale, onde provasse la sua accusa: ciò che non potè fare per mancanza di prove, e così venne arrestato a forma di legge come autore del libello infamatorio.

Più tardi ottenne il Paradisi di potersi difendere a piede libero, ma gli avvenimenti sopravvenuti fecero sospendere il processo iniziato. Quindi, dopo restaurato il governo pontificio, ritrattò il Paradisi la sua accusa, nei pubblici giornali. Ma successivamente ritornato in Roma, e venuto in campo di nuovo colla sua petulanza e minaccie, offese talmente il principe anzidetto, che, fatto riassumere il processo e chiarito il Paradisi calunniator del Torlonia,