Sotto la tenda/Azila e Alilasci

Azila e Alilasci

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Attravreso il Kloht Nei domini dell'Oceano

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AZILA ED AZILASCI.

Azila ha l’apparenza di un porto e d’una fortezza, ma da trecento anni non è più nè l’uno, nè l’altra. Le carovane non vi arrivano e le navi non vi si avvicinano; isolata dal mondo questa città dorme un lungo sonno come il castello della " Bella nel bosco „.

Essa si spinge nel mare quasi per isolarsi meglio, e battuta dai secoli e dalle tempeste si dissolve a poco a poco. Le torri ed i bastioni che la resero potente crollano. Dagli spalti diruti si affacciano ancora vecchie artiglierie rimaste al loro posto sugli affusti marciti, ma sopra queste antiche sentinelle di bronzo ormai cieche e mute si accumulano macerie.

Azila conserva le traccie d’un’origine europea. Le porte della fortezza, che sono le porte della città, e le finestre che ancora rimangono sulle mura diroccate del castello, hanno una sagoma nostrana d’una grazia quattrocentesca. Sopra una delle porte è incastrato uno stemma scolpito, dal quale il martello arabo non è riuscito a far sparire le armi di Braganza. Azila è stata infatti una piazza-forte portoghese. Ma [p. 45 modifica]di nascita è italiana; Azila era probabilmente una stazione sulla via di Volubilis, e si può riconoscere nel suo nome la Zilia dei romani. Essa fu un piede a terra d’invasioni, e visse di battaglie.

Quando gli stranieri l’abbandonarono non morì, perchè aveva delle mura: divenne un rifugio. Da allora cominciò il suo strano letargo.

Le sue sponde non hanno visto più eserciti e il suo mare non ha visto più flotte. Tanto che quando dodici anni or sono, alla morte di Mulei El-Hasan III — padre del presente Sultano — alcune Potenze europee mandarono delle squadre a " mostrar la bandiera „ lungo le coste marocchine, gli abitanti di Azila scapparono sulle colline alla vista inusitata di due navi che si appressavano alla loro città. La loro paura si cambiò in terrore quando le navi si velarono di fumo e si udirono echeggiare delle cannonate sul mare. Era un saluto al quale, naturalmente, nessuno rispose.

Se è vero, come dicono i marocchini, che il cannone è un essere che ha un’anima e un sentimento, quel giorno le vecchie artiglierie portoghesi di Azila debbono aver sofferto una grande umiliazione.

Da lontano Azila ha un aspetto ridente. Gli arabi hanno dato una mano di bianco a qualcuna delle sue torri cadenti, un piccolo minareto, anch’esso imbiancato, si affaccia dalle mura; e fra il folto degli aranceti e dei palmizi che circondano la città e l’azzurro del mare, tutto questo bianco ha una freschezza di gioventù, un’aria di prosperità che seducono. Gli arabi non riparano le loro rovine: le imbiancano. Hanno quell’orgogliosa devozione alle apparenze che è una caratteristica delle nobiltà decadute. Per loro sembrare vale essere. Mettono uno strato di colore su tutte le loro miserie, e si ammirano soddisfatti.

Al nostro appressarci alla città un gruppo di gente è uscita ad incontrarci. Eravamo attesi; la notizia del nostro arrivo ci aveva preceduti di alcune ore. Le notizie camminano al Marocco con una rapidità meravigliosa — tanto più meravigliosa in quanto che, in mancanza d’altri mezzi di locomozione, le notizie vanno.... a piedi. Esse sono portate dai [p. 46 modifica]messaggeri che fanno fra una città e l’altra un rudimentale servizio di posta. Questi uomini percorrono in tre giorni la distanza fra Tangeri e Fez, camminando novanta chilometri al giorno; e passando disseminano le chiacchiere delle città, informano le carovane sullo stato delle strade, prevengono i villaggi dell’arrivo di viaggiatori e di stranieri; sono insomma dei veri giornali parlanti. Qualche volta arriva loro la spiacevole sorpresa di essere svaligiati e bastonati: ciò rappresenta il sequestro, e non nuoce alla similitudine. Ma ritorniamo alla porta di Azila; dunque, dicevo, eravamo attesi.

Un simpatico vecchietto, corto e grasso, vestito di abiti europei di quel taglio rimasto ai vecchi ritratti in dagherrotipo, veniva avanti ansimando e sudando alla testa di sei o sette servi marocchini, e, giuntomi vicino, mi ha salutato in un antico spagnuolo fiorito, degno di Cervantes. Era l’agente consolare d’Italia, ma che dico, d’Europa. Egli rappresenta, oltre al nostro paese, la Spagna, il Portogallo, l’Inghilterra, la Germania.... Il tetto della sua casa è sormontato da sette od otto aste di bandiere, un bosco di bastoni perchè ogni nazione ha il privilegio di un’asta speciale, forse per non suscitare pericolose gelosie internazionali.

Il cortese agente consolare si chiama Isaac Benchetton, ed è, il nome lo dice, un israelita. Il nome però non dice che egli gode di una relativa ricchezza, e che è nativo e originario di Azila stessa. Un buon quarto della popolazione di questa città è composto di ebrei che parlano spagnuolo, e che si fabbricano delle casette all’europea, dipinte di azzurro e di rosa per distinguerle dalle arabe, e munite di persiane verdi. Questo gruppo di figli d’Israele ha un passato doloroso.

Essi discendono dagli ebrei scacciati dalla Spagna da Ferdinando ed Isabella, i terribili persecutori di tutti i miscredenti. Gl’infelici profughi, sbarcati ad Azila, dove furono condotti dalle flotte dei Re cattolici, tentarono di raggiungere i loro correligionari di Fez, ma furono assaliti dai Mori presso Alkazar, e i superstiti tornarono sotto le mura di Azila implorando rifugio. Ma facevano i conti senza il sacro fervore religioso dei portoghesi, i quali imposero l’abiura. [p. 47 modifica]Gli ebrei furono ammassati come un gregge avanti alla porta della città; dei frati in abito talare salirono fra i merli al di sopra della porta, e, muniti di buoni secchi d’acqua benedetta, fecero piovere un dirotto battesimo sui disgraziati a mano a mano che varcavano il ponte levatoio, fra le risate e gli urli e le ingiurie degli archibugieri e dei bombardieri fedelissimi, i quali dall’alto dei bastioni facevano per loro conto piovere sui neo-cristiani un battesimo di sassate. È inutile dire che, di tutti gl’israeliti, quelli di Azila, ad onta del doppio sacramento, sono rimasti fra i più attaccati al loro credo. E ne ho avuto subito una prova quando, avendo consegnato al buon Isaac una lettera di presentazione della Legazione italiana, egli ha distorto lo sguardo dalla sopraccarta e s’è messo in tasca la lettera chiusa dicendomi in tono desolato:

Dispense, Usted, però hoy no puedo leer nada! - Mi scusi, signore, ma oggi non posso legger nulla! Hoy es Sabado.

Era infatti il giorno che la legge mosaica destina al riposo.

Ma la legge gli ha permesso, per mia fortuna, di farmi gli onori di una ospitalità patriarcale. Abbiamo attraversato la porta sotto la cui volta sonnecchiavano i soldati di guardia, incappucciati nei gellaba e rannicchiati sulle stoie [p. 48 modifica]vicino alle loro pantofole e ai loro fucili e per viuzze anguste fiancheggiate da piccole case miserabili e bianche, guardati con curiosità poco benevola dagli arabi che al vederci si coprivano del cappuccio in segno di disprezzo (tenere il cappuccio rovesciato è un atto di deferenza e di rispetto), e seguiti durante tutto il nostro tragitto da una chiassosa coorte di monelli seminudi, i quali ci gridavano in cantilena: “che Allah ti danni!” oppure: “che Allah bruci te, tuo padre, tua madre, e tutti i tuoi antenati infedeli!” o “mentitore figlio di mentitori sii divorato da Satana!” ed altre simili cortesie all’indirizzo mio e del mio albero genealogico, siamo giunti alla casa Benchetton.

Da trecentosedici anni, cioè da quando Filippo II re di Spagna e Portogallo ritirò la sua guarnigione, Azila non ha più avuto residenti europei. E città chiusa. Ciò spiega il singolare saluto che ricevevo da quella buona popolazione, la cui ostilità però è fortuna per semplicemente platonica. Alcuni europei da Tangeri vanno talvolta ad Azila per cacciare il cinghiale che abbonda nelle vicinanze, ma le battute non sono così frequenti da abituare gli abitanti alla vista dei Nazareni. Non c’è che il nostro agente consolare che registri e ricordi queste caccie, poichè nella sua qualità di rappresentante diplomatico universale egli si trova ad essere il protettore universale di tutti i cacciatori.

Egli si è affrettato infatti a parlarmi di battute rimaste celebri negli annali della sua memoria, battute che hanno condotto nella sua casa illustri viaggiatori, e ha voluto mostrarmi un letto nel quale ha dormito per una notte il Duca di York, ora Principe di Galles.

Ma da vari anni mi ha detto sospirando viene più nessuno!

La conversazione s’è incamminata così sopra avvenimenti che negli ultimi tempi hanno isolato anche più questa città già sperduta e dimenticata.

Quando furono note le sconfitte subite tre anni or sono dalle truppe imperiali sulla via di Taza nella loro lotta contro il pretendente, vi fu un vasto movimento di sollevazione fra le popolazioni campagnole di Khlot. [p. 49 modifica]-47Intendiamoci, esse non si sollevarono contro il Sultano, nè contro il pretendente. L’idea d’una rivoluzione non può essere divisa dall’idea d’un governo, e per queste tribù nomadi e selvagge, il governo è una potenza invisibile e indefinibile come una divinità. Ne hanno una paura religiosa e

ne subiscono l’influenza. Ma quando questa potenza è battuta in guerra, il suo prestigio sfascia, la paura si dissipa e l’influenza sparisce. Il Gebala non comprende che una cosa, e cioè che è libero di fare quel che gli pare. La sua logica è semplice se il Maghzen è sconfitto, vuol dire che Allah non protegge più il Maghzen, e vuol dire che non c’è più una milizia da temere. I più forti ne profittano per gettarsi sui deboli e derubarli; derubati si uniscono fra loro e rovesciano le sorti; sorgono arditi capi che organizzano lotte e rapine; i campi sono abbandonati, gli armenti razziati, la gente pacifica fugge; sulle rovine dell’agricoltura e della pastorizia s’insedia il brigantaggio; il paese non produce più nulla, il fuoco e il ferro portano la desolazione ovunque, tutte le energie si logorano in un perpetuo tradimento, il popolo divora se stesso; la miseria e la fame sopravvengono atroci e accendono nuove vampate di sanguinose cupidigie. [p. 50 modifica]48 Ecco in poche parole cosa era questa sollevazione dei campagnoli del Khlot.

Su quasi tutto il Marocco è passata una simile bufera, che da lontano sembrava all’Europa una rivoluzione. Tali moti, rapidi, terribili, disordinati, nascono e muoiono senza rivelare una maggiore intelligenza direttiva di quella che rivelino le fiamme d’un incendio. Si spengono per mancanza di combustibile. Succede alla fine un disperato accasciamento, sul quale il condottiero più abile trionfa facilmente e afferma il suo dominio. Ed ecco a poco a poco rinascere intorno a lui, per generazione spontanea, un governo; egli è padrone, comanda ed è ubbidito, organizza la sua autorità, dispone della sua forza in modo da mantenere il suo potere e in fondo ciò equivale a mantenere l’ordine - condanna e punisce chi turba l’esercizio di questa podestà e ciò significa stabilire una legge e amministrare una giustizia. Il suo potere acquista tutto il prestigio d’una legalità.

Al Sultano non rimangono che due vie per ripristinare la sua autorità sui territori così governati: o debellare il nuovo capo, se ne ha la forza, e trattarlo da ribelle esponendo la sua testa (quando è reperibile), fra i merli della Bab elMahruk (la Porta del Bruciato) di Fez consacrata a quest’uso, oppure ringraziarlo dell’ordine ristabilito per suo merito, e riconoscere la sua potenza facendolo governatore. È così che il Raissuli è arrivato ad essere rappresentante della podestà sceriffiana nella provincia di Tangeri. Egli è stato il grande sollevatore e il dominatore dei moti del Khlot. E fu da Azila che prese lo slancio verso le alte vette del comando. Il Raissuli era in Azila uno di quei tranquilli borghesi marocchini che passano il loro tempo a conversare sul daIvanzale delle botteghe, che vestono un selham e un ksa di bianchezza immacolata, che calzano babbucce nuove, che camminano con gravità e sfilano perennemente fra le dita i grani d’un rosario d’ambra ripetendo a fior di labbra: Astaghfir Allah, Astaghfir Allah, Astaghfir Allah-" chiedo perdono a Dio, chiedo perdono a Dio... Era amico di tutti, e portava "° Digitized by Google [p. 51 modifica]sotto al braccio un piccolo tappeto rosso per sedersi a tutte le soglie. Possedeva un orto vicino alla città, e sua moglie era di Azila due ottime circostanze per essere considerato un buon cittadino. Si vociferava d’un suo passato avventuroso, di una lunga prigionia subita da lui a Mogador, ma in questo paese si va in prigione anche per niente, e parecchi anni di carcere non macchiano la reputazione d’un uomo.

Una volta una nave inglese andò a picco proprio di fronte al suo possedimento, e i naufraghi si ricoverarono nella sua terra. Il nostro agente consolare, che l’avvenimento faceva essere per quel giorno agente consolare inglese, ebbe da lui ogni aiuto per soccorrere gl’infelici. Da allora il Raissuli godè anche l’amicizia della diplomazia europea, concentrata nel buon Isaac.

Ma ai primi segni della rivolta del pretendente, Raissuli cominciò ad allontanarsi per lunghi periodi da Azila, a frequentare i duar, a girare per la campagna. Si mostrava silenzioso, amava la solitudine. All’annuncio delle sconfitte del Makhzen egli sparì. Riapparve poco dopo alla testa di un piccolo esercito di Gebala, e il suo primo pensiero fu una visita alla buona città di Azila.

L. Barzini. Sotto la Tenda. 4
[p. 52 modifica]50Mise il campo fuori delle mura, e mandò un messaggio. Il messaggio, diretto al governatore, dopo le consuete lodi ad Allah e le rituali constatazioni della grandezza divina, chiedeva semplicemente cinquecento scudi. La modestia della domanda non fu giustamente apprezzata, ei cinquecento scudi vennero rifiutati. Raissuli ordinò l’attacco promettendo alle sue genti il saccheggio.

Azila pareva ritornata ai bei tempi dei portoghesi. Batterono i tamburi, squillarono le trombe, suonarono i pifferi, gemerono le cornamuse, le donne piansero, i bambini gridarono, gli uomini presero le armi, la diplomazia europea issò tutte le bandiere di casa su tutte le aste disponibili, le porte della città furono chiuse e barricate, i bastioni si coronarono di combattenti, e incominciò una terribile fucileria. Alla fine del primo giorno v’erano già due feriti sulle mura e tre morti nel campo avversario. Alla fine del secondo giorno i morti del Raissuli erano sette. Egli capì che i suoi berberi non avrebbero mai avuto ragione della vecchia fortezza. E poi, quando i combattenti si battono per rubare hanno il buon senso di comprendere che se muoiono mancano assolutamente al loro scopo. L’esercito assediante si mostrò stanco di ricevere troppo piombo e niente argento. Il Raissuli trovò prudente di ritirarsi per gettare i suoi assalti altrove, e levò il campo.

Ma il seme della rivolta era entrato in città. S’inneggiò alla vittoria, ma una vittoria senza bottino è un misero trionfo al Marocco. I difensori cercarono allora qualche soddisfazione d’un genere più sostanziale. Chi aveva un nemico lo ammazzò. Chi non ne aveva si figurò di averne. L’assassinio diventò una occupazione comunissima. I ricchi assoldarono dei difensori, le case si asserragliarono, alla notte delle sentinelle vigilavano ad ogni terrazza. Il nostro agente consolare aveva dodici uomini come guardia del corpo. Ma tutto questo non bastò, cominciarono le fughe. Anche la famiglia Benchetton abbandonò la città rifugiandosi a Tangeri per circa un anno. ― Ed ora - ho chiesto al mio ospite che m’informava ora, come è la situazione? di tutti questi avvenimenti ― Oh, ora molto migliore mi ha risposto con aria [p. 53 modifica]rassicurante -; in questi ultimi quattro mesi non abbiamo avuto che tredici assassinati in città.

— Mi pare abbastanza! — Non v’è paragone con quello che avveniva prima. Tutti i giorni v’era qualche morto, nessuno lavorava più e si chiudeva in casa, non più affari, non più guadagni, nessuno pagava i suoi debiti. Ma da quando hanno ammazzato il governatore, sei mesi or sono....

— Come! hanno ammazzato anche il governatore?

— Sicuro, il governatore El-Harhali. Era governatore di Alkazar, e fu mandato per alcuni giorni ad Azila a reggere la città dopo la morte del precedente governatore.

— Morte naturale, speriamo!

— Si. El-Harhali era un uomo energico, coraggioso, autoritario, grosso e forte come un toro, aveva una cinquantina d’anni. Ma era poco prudente; Azila in quel momento non poteva essere governata come gli altri paesi del Marocco. Gli arabi sopportano tutto, ma guai quando per un momento hanno preso le armi. Allora si fanno giustizia per il passato, per il presente e per il futuro. [p. 54 modifica]― E che faceva El-Harhali?

― Quello che fanno tutti i governatori. Prendeva i denari a chi aveva l’imprudenza di non nasconderli bene. Una volta, quando era ad Alkazar, una povera contadina lavorando il campo rinvenne una giarra piena di oro - niente di straordinario perchè qui tutti seppelliscono i loro tesori e le guerre fanno spesso sparire il proprietario lasciando il tesoro sotterrato e ignorato. C’è più oro al Marocco sottoterra che sopra. Dunque una contadina rinvenne dell’oro. Il suo segreto trapelò, e giunse all’orecchio del governatore che, subito, fece arrestare il marito della donna e lo fece mettere ai ferri.

" Il povero uomo negò la storia del tesoro. Fu lasciato senza cibo, ma continuò a negare. Alla fine fu bastonato. Allora disse: Io non so niente, forse la cosa è nota a mia moglie! E la donna fu arrestata. Negò, e fu bastonata sulla schiena nuda. Negò ancora, e il governatore ordinò di bastonarla sul petto. Sotto questo tormento finì per confessare, e la giarra piena d’oro passò nelle casse di El-Harhali. Se non facessero così come potrebbero i governatori rimborsarsi delle enormi somme che costa loro la compera della carica? Un buon posto di governatore si paga fino a mezzo milione di pesetas hassani! Ma tali sistemi non erano buoni per gli azilasci (così si chiamano gli abitanti di Azila).

In un pomeriggio d’agosto io ero in casa del governatore e parlavo con lui di affari. Prendevamo il the - eravamo in ottimi rapporti. Ad un tratto si ode un gridare confuso, un tumulto di gente che si avvicina; poco dopo la porta della camera s’apre di schianto e nel vano si abbassano cinque o sei canne di fucile. Dietro ad esse intravvedo volti feroci, e sulla calca urlante che gremiva l’anticamera si agitavano altre canne di fucili, bastoni, zeruatah, una selva di armi. Il governatore era di fronte alla porta, al posto d’onore, io ero da un lato. Ci eravamo levati in piedi atterriti. Egli ha compreso di che si trattava, e mi ha detto supplicando: ― Anafarek! Anafarek!― "Io mi rifugio in te!,― Gli ho risposto: ― Come posso proteggerti senza essere ucciso anch'io? ― Egli si slanciò verso un’altra porta, che comuanicava con il suo appartamento, gridandomi:― Proteggi la [p. 55 modifica]mia famiglia! — Non aveva finito queste parole che una scarica lo abbatteva sul tappeto. Per alcuni secondi hanno risuonato le fucilate, e nella camera piena di fumo le palle facevano cadere pezzi di calcinaccio dalle pareti....

— E voi? ho chiesto con interesse. — Nonsono stato toccato. Mi hanno lasciato uscire. Erano tutti intenti a trascinare via il cadavere. Lo hanno portato sulla via, lo hanno squarciato, e sono andati a disperderne i pezzi sanguinolenti sulla spiaggia, fuori delle mura. Intanto sono corso a casa e ho mandato i miei uomini a prendere e scortare la vedova di El-Harhali. L’ho ricevuta qui, insieme a tre sue schiave negre, e nel cuore della notte l’ho fatta fuggire dalla città.

Ero sotto la impressione di questo racconto, quando mi è giunta la visita del nuovo governatore di Azila, Sid Ben Abd el-Halak. Ho guardato con una certa pietà questo successore ad una eredità così pericolosa. Ma Sid Ben Abd elHalak non ha affatto l’aria d’un uomo sul punto d’essere squarciato. Ha un fare tranquillo, soddisfatto, non privo di quella placida solennità che è propria della gente sicura di sè e della sua forza, specialmente quando questa gente porta un bel turbante e veste un manto. File:Luigi Barzini. Sotto la tenda (page 55 crop 2).jpg [p. 56 modifica]Allisciandosi la sua gran barba nera, il governatore mi ha assicurato che il paese era in pace. Tuttavia non poteva permettermi di attendarmi fuori delle mura, e mi concedeva un posto negli edifici governatoriali. Per di più mi forniva una scorta di suoi soldati per continuare il viaggio fino a Laraishe.

Mi ha detto poi di essere stato a Roma con un’ambasciata al Papa, e di ricordarsene con molta soddisfazione.

― Che cosa ti è piaciuto di più a Roma? chiesto. Egli non ha esitato a rispondermi gravemente: ― Le fontane!

Incoraggiato da questo sfogo confidenziale, ho ardito di domandargli che cosa pensasse della Conferenza d’Algesiras. Questa volta ha meditato prima di rispondere. Ha aggrottato le ciglia pensosamente, si è guardato la punta d’un piede, poi la punta dell’altro piede, ha annusato una presa di tabacco, e alla fine mi ha fissato risolutamente e mi ha detto:

― Niente!

La sua, del resto, è un’opinione molto diffusa, e perciò rispettabile.

Per paura di altre interrogazioni compromettenti, Sid Abd el-Halak si è affrettato ad augurarmi una lunga vita illuminata da tutte le benedizioni, e s’è congedato. Egli era accompagnato da scriba, da servi e da soldati, ed ho udito tutta questa gente allontanarsi in massa con un gran rumore di ciabatte sull’acciottolato della strada.

S’era fatto tardi. I muezzin avevano già annunziata la preghiera del Mogrib (la quale si recita " quando la luce del giorno morente non basta più a far scorgere un capello tenuto fra due dita „). Si avvicinava per me l’ora del riposo, e l’ospitale agente consolare non voleva lasciarmi uscire dalla sua casa. Mi tentava, offrendomi di farmi dormire nel Jetto del Duca di York, ora Principe di Galles. Come fosse possibile dormire nel letto dei grandi! Ho rifiutato, e sono andato ad occupare l’angolo destinatomi dal governatore nel Dar el-Makhzen — nella Casa del Governo.

Era una notte incantevole. Le viuzze deserte risuonavano [p. 57 modifica]—55— dei passi miei e dei miei uomini; due di questi mi precede vano con le lanterne, e illuminavano ogni angolo, scrutavano il buio degli angiporti, quasi temessero un agguato fra quelle vecchie muraglie che hanno avuto il piede bagnato da tanto sangue. Ma Azila dormiva tranquillamente come una città per bene, e il rumore cupo e regolare del mare poteva prendersi benissimo per il russare di quel profondo ed onesto sonno. Io ho passato la notte accampato in un cortiletto mo resco dove filtrava la luna per archi a ferro di cavallo. E v'era tanta quiete che anche i soldati messi in sentinella alla porta dormivano sonoramente. Non erano trascorsi sette mesi da questa visita ad Azila, che la vecchia città subiva un nuovo assalto da parte delle popolazioni berbere del Khlot, un assalto più fortunato di quello condotto dal Raissuli poiché la città veniva presa, saccheggiata e bruciata in parte. Il governatore riusciva a fuggire e a raggiungere solo e seminudo Tangeri, [ma parte della guarnigione era massacrata; molti abitanti erano uccisi; molte donne rapite. Presso Azila.