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messaggeri che fanno fra una città e l’altra un rudimentale servizio di posta. Questi uomini percorrono in tre giorni la distanza fra Tangeri e Fez, camminando novanta chilometri al giorno; e passando disseminano le chiacchiere delle città, informano le carovane sullo stato delle strade, prevengono i villaggi dell’arrivo di viaggiatori e di stranieri; sono insomma dei veri giornali parlanti. Qualche volta arriva loro la spiacevole sorpresa di essere svaligiati e bastonati: ciò rappresenta il sequestro, e non nuoce alla similitudine. Ma ritorniamo alla porta di Azila; dunque, dicevo, eravamo attesi.

Un simpatico vecchietto, corto e grasso, vestito di abiti europei di quel taglio rimasto ai vecchi ritratti in dagherrotipo, veniva avanti ansimando e sudando alla testa di sei o sette servi marocchini, e, giuntomi vicino, mi ha salutato in un antico spagnuolo fiorito, degno di Cervantes. Era l’agente consolare d’Italia, ma che dico, d’Europa. Egli rappresenta, oltre al nostro paese, la Spagna, il Portogallo, l’Inghilterra, la Germania.... Il tetto della sua casa è sormontato da sette od otto aste di bandiere, un bosco di bastoni perchè ogni nazione ha il privilegio di un’asta speciale, forse per non suscitare pericolose gelosie internazionali.

Il cortese agente consolare si chiama Isaac Benchetton, ed è, il nome lo dice, un israelita. Il nome però non dice che egli gode di una relativa ricchezza, e che è nativo e originario di Azila stessa. Un buon quarto della popolazione di questa città è composto di ebrei che parlano spagnuolo, e che si fabbricano delle casette all’europea, dipinte di azzurro e di rosa per distinguerle dalle arabe, e munite di persiane verdi. Questo gruppo di figli d’Israele ha un passato doloroso.

Essi discendono dagli ebrei scacciati dalla Spagna da Ferdinando ed Isabella, i terribili persecutori di tutti i miscredenti. Gl’infelici profughi, sbarcati ad Azila, dove furono condotti dalle flotte dei Re cattolici, tentarono di raggiungere i loro correligionari di Fez, ma furono assaliti dai Mori presso Alkazar, e i superstiti tornarono sotto le mura di Azila implorando rifugio. Ma facevano i conti senza il sacro fervore religioso dei portoghesi, i quali imposero l’abiura.