Sopra lo amore/V
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | IV | VI | ► |
ORAZIONE V
Capitolo I
Che lo amore è beatissimo, perchè egli è buono e bello.
Carlo Marsupini, degno allievo delle Muse, seguì dopo Cristofano Landini, così interpretando l’orazione di Agatone.
Il nostro Agatone stima lo Amore essere Dio beatissimo, perchè egli è bellissimo e ottimo. E computa quello che si richiede ad esser bellissimo, e quello che si richiede ad esser ottimo. Nella quale computazione, esso Amore dipinge; e poi che ha narrato qual sia lo Amore, annovera i benefizii da lui conceduti alla generazione umana. E questa è la somma della disputazione sua. A noi si appartiene ricercare in prima, per che cagione volendo mostrare lo amore esser beato, disse lui esser molto bello, e buono, e che differenzia tra la bontà e la bellezza sia. Platone nel Filebo dice, colui esser beato, a cui nulla manca: e questo esser quello, che è da ogni parte perfetto. Alcuna perfezione è interiore, alcuna esteriore. La interiore, chiamiamo Bontà: la esteriore Bellezza. E però quello che è in tutto buono e bello, chiamiamo beatissimo: come da ogni parte perfetto. E questa differenzia in tutte le cose veggiamo. Perchè come vogliono i fisici, nelle pietre preziose la Temperanza de’ quattro Elementi interiori, partorisce di fuori grato splendore. Ancora le erbe, e gli arbori per la interiore fecondità sono vestiti di fuori di gratissima varietà di fiori e di foglie. E nelli animali la salutifera complessione degli umori, crea gioconda apparenza di colori e linee: e la virtù dello animo mostra di fuori un certo ornamento nelle parole, ne’ gesti, e nelle opere onestissimo. Ancora i Cieli dalla sublime loro sustanza, di chiarissimo Lume sono vestiti. In tutte queste cose la perfezione di dentro produce la perfezione di fuori: e quella chiamiamo Bontà, questa Bellezza. Per la qual cosa vogliamo la Bellezza essere fiore di Bontà. E per gli allettamenti di questo fiore, quasi come per una certa esca, la Bontà ch’è dentro nascosa, alletta i circustanti. Ma perchè la cognizione della Mente nostra piglia origine da i sensi, non intenderemo nè appetiremo mai la bontà dentro a le cose nascosta, se non fussimo a quella condotti, per indizii della Bellezza esteriore: ed in questo apparisce mirabile utilità della Bellezza, e dello Amore, che è suo compagno.
Per le cose dette, stimo essere assai dichiarato, tanta differenza essere tra la Bontà e la Bellezza, quanta è tra il seme e li fiori. E come i fiori essendo nati de’ semi delli arbori producono ancora i semi, così la Bellezza che è fiore di Bontà, come nasce dal Bene, così riduce al Bene gli Amanti. La qual cosa trattò nel suo Sermone Giovanni nostro.
Capitolo II
Come Cupidine si dipigne: e per qua’ parti della anima si conosce la bellezza, e generasi l’amore.
Dopo questo, Agatone lungamente narra quali cose si richieggono alla bella apparenza del Dio Cupidine: e dice così. Cupidine è giovane, tenero, destro, concordante, e splendido. A noi s’appartiene dire quello che conferiscono queste parti alla Bellezza: e poi dichiarare in che modo allo Dio Cupidine s’appartenghino. Gli uomini hanno ragione e senso. La ragione per sè medesima comprende le ragioni incorporali di tutte le cose. Il senso per li cinque sentimenti del suo corpo sente le immagini e qualità de’ corpi, i colori per gli occhi, per gli orecchi le voci, gli odori per il naso, per la lingua i sapori, per i nervi le qualità semplici degli Elementi, come è caldo, freddo, e simili. Si che quanto appartiene al nostro proposito, sei potenzie della Anima alla cognizione s’attribuiscono: Ragione, Viso, Audito, Odorato, Gusto, e Tatto. La ragione si assomiglia a Dio, il Viso al fuoco, l’Udito all’aria, l’Odorato a’ vapori, il Gusto all’acqua, e il Tatto alla terra. Perchè la ragione va cercando cose celesti. E non ha propria sede in alcuno membro del corpo, sì come la Divinità non si rinchiude in alcuna parte del Mondo. E il Viso, cioè la Virtù del vedere, è collocato nella suprema parte del corpo: come il Fuoco nella suprema parte del Mondo. E per la natura sua piglia il lume, che è proprio del fuoco. Lo Audito non altrimenti seguita il Viso, che l’aria pura seguita il fuoco: ed attinge le voci che si generano nella aria rotta, e per il mezzo della aria entrano negli orecchi. L’Odorato è assegnato alla aria caliginosa, e alli vapori mescolati di aria e di acqua: perchè egli è posto tra gli orecchi e la lingua, come tra l’aria e l’acqua: e comprende facilmente e ama assai quelli vapori, che nascono per la mistione della Aria e della Acqua: quali sono gli odori delle erbe, fiori, e pomi suavissimi al naso. Chi dubiterà assomigliare il gusto alla acqua? il quale succede allo odorato, come a una aria grossa: e nuota sempre ne ’l liquore della sciliva, e dilettasi molto nel bere, e ne’ sapori umidi. Chi dubiterà ancora assegnare il tatto alla Terra? Conciosia che per tutte le parti del Corpo, che è terreno, sia il tatto: e ne i nervi, che sono molto terreni, s’adempia il toccare: e facilmente apprenda le cose, che hanno solidità e fondo che da la Terra procede. Di qui avviene che il Tatto, Gusto e Odorato, sentono solamente le cose che sono loro prossime: e sentendo molto patiscono: benchè l’odorato apprenda cose più remote, che il gusto e il tatto. Ma l’audito apprende ancora cose più remote e non è tanto offeso: il viso ancora più di lungi adopera: e fa in momento quello, che l’audito in tempo: perchè prima si vede il baleno, che si oda il tuono. La Ragione piglia le cose remotissime. Perchè non solamente le cose che sono nel mondo e presenti come il senso; ma eziandio quelle che sono sopra il Cielo, e quelle che sono state o saranno apprende. Per queste cose può essere manifesto, che di quelle sei forze della Anima, tre ne appartengono al Corpo e alla Materia: come è il Tatto, il Gusto, e l’Odorato. E tre s’appartengono a lo Spirito: e queste sono Ragione, Viso e Audito. E però quelle tre che declinano più a ’l Corpo, convengono più col Corpo che con l’Animo: e quelle cose che sono da loro comprese, conciosia che muovino il Corpo conveniente a loro, a mala pena pervengono infino a l’Anima: e si come poco simili a lei, poco le piacciono. Ma l’altre tre, che sono remotissime da la Materia, convengono molto più con l’Anima: e pigliano quelle cose, che poco muovono il Corpo, e l’animo muovono molto. Certamente gli Odori, Sapori, Caldo, e simili qualità fanno al Corpo giovamento, o noncumento grande. Ma alla ammirazione e giudizio dello animo poco fanno: e mezzanamente da quello sono desiderate. Ma la ragione della incorporale verità, Colori, Figure, Voci, muovono poco e appena il corpo; ma assottigliano l’animo a ricercarne, e il desiderio suo a sè rapiscono. Il cibo dello Animo è la verità: a trovar questa giovano gli occhi, e a lo implorarla gli orecchi: e però quelle cose che appartengono a la ragione, viso, e audito, lo animo desidera, a fine di se medesimo, come proprio nutrimento: e quelle cose che muovono gli altri tre sensi, sono più tosto necessarie a conforto e nutrizione e generazione del corpo. Adunque l’Animo cerca queste, non per cagione di sè, ma d’altri, cioè del corpo. E noi diciamo gli uomini amare quelle cose, le quali a fine di loro desiderano: quelle che per fine d’altri, non propriamente amare. Meritamente adunque vogliamo che lo Amore solamente a le scienze, figure, e voci si appartenga. E però quella grazia solamente che si truova in questi tre obbietti, cioè nella virtù dell’animo, figure, e voci, perchè molto provoca lo animo, si chiama calos cioè provocazione, da un verbo che dice caleo, che vuol dire provoco: e calos in greco, significa in latino Bellezza. Orato è a noi il vero e ottimo costume dell’Animo: grata è la speziosa figura del corpo: grata la consonanza delle voci, e perchè queste tre cose, l’animo come a lui accomodate e quasi incorporali, di più prezzo assai stima che l’altre tre: però è conveniente, che egli più avidamente queste ricerchi, con più ardore abbracci, con più veemenza si maravigli. E questa grazia di virtù, figura, o voce, che chiama lo animo a sè e rapisce per il mezzo della ragione, viso e audito, rettamente si chiama Bellezza. Queste sono quelle tre Grazie, de le quali così parlò Orfeo: Splendore, Viridità, e Letizia abbondante. Orfeo chiama splendore quella grazia e bellezza dell’animo, la quale nella chiarezza delle scienze e de’ costumi risplende; e chiama viridità cioè verdezza, la suavità della figura e del colore: perchè questa massime nella verde gioventù fiorisce: e chiama letizia, quel sincero, utile e continovo diletto, che ci porge la Musica.
Capitolo III
Che la bellezza è cosa spirituale
Essendo così, è necessario che la Bellezza sia una natura comune alla virtù, figure e voci. Perchè noi non chiameremmo qualunque di questi tre bello, se e’ non fosse in tutti tre comune diffinizione della Bellezza. E per questo si vede, che la natura della Bellezza non può essere corpo. Perchè se ella fusse corpo, non converrebbe alle virtù dell’animo, che sono incorporali. Ed è tanto di lungi da essere corpo, che non solamente quella, che è nella virtù dell’animo, ma eziandio quella che è ne’ corpi e nelle voci, non può essere corporea. Imperocchè benchè noi chiamiamo alcuni corpi belli, non sono però belli per la loro materia. Perchè un medesimo corpo di uomo oggi è bello, e domani per qualche caso è brutto, come se altro fosse lo essere corpo, e altro l’essere bello. E non sono ancora i corpi belli per la loro quantità: perchè alcuni corpi grandi e alcuni brevi appariscono formosi: e spesse volte, li grandi brutti e i piccoli formosi: e per il contrario, i piccoli brutti, e i grandi gratissimi. Ancora spesse volte avviene, che egli è simile bellezza in alcuni corpi grandi, e in alcuni piccoli. Se adunque stante spesso la quantità medesima, la Bellezza per alcun caso si muta, e mutata la quantità, alle volte sta la Bellezza, e simile grazia spesso è ne’ grandi e ne’ piccoli, certamente queste due cose, Bellezza e Quantità in tutto debbono essere diverse. Oltre a questo, se ancora la formosità di qualunque corpo, fusse nella grossezza del corpo quasi corporale, nientedimeno non piacerebbe a chi riguarda, in quanto ella fussi corporale: perchè all’Animo piace la spezie di alcuna persona, non in quanto ella giace nella esteriore Materia, ma in quanto la immagine di quella per il senso del vedere, dallo animo si piglia: e quella immagine, nel vedere e nello animo, non può essere corporale, non essendo questi corporei. In che modo la piccola pupilla dell’occhio, tanto spazio del cielo piglierebbe, se lo pigliasse in modo corporale? in nessuno. Ma lo spirito in un punto tutta l’amplitudine del corpo, in modo spirituale e immagine incorporale riceve. All’animo piace quella spezie sola, che da lui è presa. E questa benchè sia similitudine di un corpo estrinseco, niente di meno nello animo è incorporale. Adunque la spezie incorporale è quella che piace: e quello che piace, è grato: e quello che è grato, è bello. Di qui si conchiude, che lo amore a cosa incorporale si riferisce: e essa Bellezza è più tosto una certa spirituale similitudine della cosa, che spezie corporale. Sono alcuni, che hanno oppenione, la Pulcritudine essere una certa posizione di tutti i membri, o veramente commensurazione e proporzione, con qualche suavità di colori: l’oppenione de’ quali noi non ammettiamo. Imperocchè essendo questa disposizione delle parti solo nelle cose composte, nessune cose semplici speziose sarebbero. Ma noi veggiamo pure i puri colori, i lumi, una voce, un fulgore d’oro, il candore dello ariento, la Scienza, l’Anima, la Mente, e Dio, le quali cose sono semplici, esser belle: e queste cose ci dilettano molto, come cose molto speciose. Aggiugnesi che quella proporzione include tutti i membri del corpo composto insieme: in modo che ella non è in alcuno de’ membri di per sè, ma in tutti insieme. Adunque qualunque de’ membri in sè non sarà bello. Ma la proporzione di tutto il composto nasce pure dalle parti: onde ne risulta una absurdità, e questa è che le cose, che non sono per lor natura speziose, partorirebbero la Pulcritudine. Avviene eziandio spesse volte, che stando la medesima proporzione e misura de’ membri, il corpo non piace quanto prima. Certamente oggi nel corpo vostro è la figura medesima che l’anno passato, e non la medesima grazia. Nessuna più tardi invecchia che la figura: nessuna più tosto invecchia che la grazia. E per questo è manifesto non essere tutto uno figura e pulcritudine. Ed ancora spesso veggiamo essere in alcuno più retta disposizione delle parti e misura, che in un altro: l’altro nientedimeno non sappiamo perchè cagione si giudica più formoso, e più ardentemente si ama. E questo ci ammonisce, che dobbiamo stimare la formosità essere qualche altra cosa, oltre a la disposizione de’ membri. La medesima ragione ci ammaestra, che noi non suspettiamo la Pulcritudine essere suavità di colori: perchè spesse volte il colore in un vecchio è più chiaro: e in un giovane è maggior grazia. E nelli eguali di età alcuna volta accade che quello che supera l’altro di colore è superato dall’altro di grazia e di bellezza. Però non ardisca alcuno affermare la spezie essere una ammistione di figura e di colori: perchè così le scienze e le voci che mancano di colore e di figura, e ancora i colori e i lumi che non hanno determinata figura non sarebbono degni di Amore. Oltre a questo la cupidità di ciascheduno, da poi che quello che si voleva si possiede, senza dubbio si adempie: come la fame e la sete per cibo e poto si quietano. Ma lo Amore per nessun aspetto o tatto di corpo si sazia. Adunque e’ non cerca natura alcuna di corpo, e cerca pure la Bellezza. Onde e’ si conchiude che ella non può essere cosa corporale. Per tutte queste cose si vede, che quelli che accesi di Amore, hanno sete della Pulcritudine, se vogliono col beveraggio di questo liquore, spegnere l’ardentissima sete, bisogna che e’ cerchino il dolcissimo Umore della Bellezza, per ispegnere la sete loro atroce, ch’è nel fiume della materia e ne’ rivoli della quantità, figura e colori. O miseri Amanti, in che luogo vi volgerete voi? Chi fu quello che accese l’ardentissime fiamme, ne i vostri cuori? Chi spegnerà il grande incendio? Qui è la grande opera, e qui è la fatica. Io ve lo dirò: ma attendete.
Capitolo IV
Che la bellezza è lo splendore del volto di Dio
La Divina Potenzia supereminente, allo Universo, agli Angeli e agli animi da lei creati clementemente infonde, si come a’ suoi figliuoli, quel suo raggio: nel quale è virtù feconda a qualunque cosa creare. Questo raggio divino in questi, come più propinqui a Dio, dipinge lo ordine di tutto il Mondo, molto più espressamente che nella materia mondana: per la qual cosa questa pittura del Mondo, la quale noi veggiamo tutta, negli Angeli e negli Animi è più espressa che innanzi agli occhi. In quelli è la figura di qualunque spera, del Sole, Luna e Stelle, delli Elementi, pietre, arbori, e animali. Queste pitture si chiamano nelli Angeli, esemplari e idee: nelli animi ragioni e notizie: nella materia del Mondo, imagini e forme. Queste pitture son chiare nel Mondo: più chiare nell’Animo e chiarissime sono nell’Angelo. Adunque un medesimo volto di Dio riluce in tre specchi posti per ordine, nell’Angelo, nell’Animo, e nel corpo mondano: nel primo, come più propinquo, in modo chiarissimo: nel secondo come più remoto men chiaro: nel terzo come remotissimo, molto oscuro. Dipoi la Santa Mente dello Angelo, perchè non è da ministerio di corpo impedita, in se medesima si riflette: dove vede quel volto di Dio nel suo seno scolpito: e veggendolo si maraviglia: e maravigliandosi, con grande avidità a quello sempre si unisce. E noi chiamiamo Bellezza quella grazia del volto divino: e lo Amore chiamiamo la avidità dello Angelo per la quale si invischia in tutto al volto divino: Iddio volesse, amici miei, che questo ancora avvenisse a noi. Ma l’animo nostro creato con questa condizione, che si circunda da corpo terreno, al ministerio corporale declina: dalla quale inclinazione gravato, mette in oblio il tesoro, che nel suo petto è nascoso. Dipoi che nel corpo terreno è involto, lungo tempo all’uso del corpo serve, e a questa opera sempre accomoda il senso: e accomodavi ancora la ragione più spesso che e’ non debbe. Di qui avviene che l’animo non riguarda la Luce del volto divino che in lui sempre splende, prima che il corpo sia già adulto, e la ragione sia desta: con la quale consideri il volto di Dio che manifestamente agli occhi nella macchina del Mondo riluce. Per la quale considerazione si innalza a risguardare quel volto di Dio che dentro allo animo risplende. E perchè il volto del Padre a’ figliuoli è grato, è necessario che il volto del Padre Iddio alli animi sia gratissimo. Lo splendore e la grazia di questo volto, o nello Angelo o nello Animo, o nella materia mondana che si sia, si debbe chiamare universal Bellezza: e lo appetito che si volge inverso quella, è universal Amore. E noi non dubitiamo questa bellezza essere incorporale: perchè nello Angelo e nello Animo, questa non essere corpo è manifesto: e ne’ corpi ancora questa essere incorporale mostrammo disopra: e al presente di qui lo possiamo intendere, che lo occhio non vede altro, che lume di Sole: perchè le figure, e li colori de’ corpi, non si veggono mai, se non da lume illustrati: ed essi non vengono con la loro materia a lo occhio: e pur necessario pare, questi dovere essere negli occhi, acciò che dagli occhi sieno veduti. Uno adunque lume di sole, dipinto di colori e figure di tutti i corpi in che percuote, si rappresenta a gli occhi: li occhi per lo aiuto d’un lor certo raggio naturale pigliano il lume del Sole così dipinto: e poichè l’hanno preso, veggono esso lume, e tutte le dipinture che in esso sono. Il perchè tutto questo ordine del Mondo che si vede, si piglia dagli occhi: non in quel modo che egli è nella materia de’ corpi: ma in quel modo che egli è nella luce la quale è negli occhi infusa. E perchè egli è in quella luce, separato già da la materia, necessariamente è senza corpo. E questo di qui manifestamente si vede, perchè esso lume non può essere corpo: conciò sia che in un momento di Oriente in Occidente quasi tutto il Mondo riempie: e penetra da ogni parte il corpo della Aria e della Acqua, senza offensione alcuna. E spandendosi sopra cose putride, non si macchia. Queste condizioni alla natura del corpo non si convengono. Perchè il corpo non in momento, ma in tempo si muove: e un corpo non penetra lo altro senza dissipazione dell’uno, o dell’altro, o di amendue. E due corpi insieme misti, con iscambievole contagione si turbano. E questo veggiamo nella confusione della Acqua e del Vino, del Fuoco e della Terra. Conciosia adunque, che il lume del Sole sia incorporale, ciò ch’egli riceve, riceve secondo il modo suo. E però i colori, e le figure de’ corpi, in modo spirituale riceve. E nel modo medesimo lui ricevuto da gli occhi si vede. Onde nasce che tutto l’ornamento di questo Mondo, che è il terzo volto di Dio, per la Luce del Sole incorporale, offerisce sè incorporale agli occhi.
Capitolo V
Come nasce lo amore e l’odio: e che la bellezza è spirituale.
Di tutte queste cose seguita che ogni grazia del volto divino, che si chiama la universal pulcritudine, non solamente nello Angelo e nello animo sia incorporale: ma eziandio nello aspetto degli occhi. Non solamente questa faccia tutta insieme: ma eziandio le parti sue da ammirazione commossi amiamo. Dove nasce particulare Amore a particulare bellezza. Così ponghiamo affezione a qualche uomo, come membro dello ordine mondano: massime quando in quello la scintilla dell’ornamento divino, manifestamente risplende. Questa affezione da due cagioni depende: si perchè la immagine del volto paterno ci piace: si eziandio perchè la spezie e figura dell’uomo attamente composta, attissimamente si confà con quel sigillo o vero ragione della generazione umana: la quale l’Anima nostra prese da l’Autore del tutto, e in sè ritiene. Onde la immagine dell’uomo esteriore presa per i sensi, passando nello animo, s’ella discorda dalla figura dell’uomo, la quale lo animo da la sua origine possiede, subito dispiace: e come brutta, odio genera. Se ella si concorda, di fatto piace: e come bella s’ama. Per la qual cosa accadde, che alcuni scontrandosi in noi, subito ci piacciono o vero dispiacciono, benchè noi non sappiamo la cagione di tale effetto. Perchè l’animo impedito nel ministerio del corpo, non risguarda le forme che sono per natura dentro a lui: ma per la naturale e occulta disconvenienza o convenienza, seguita che la forma della cosa esteriore, con la immagine sua pulsando la forma della cosa medesima, che è dipinta nell’animo, dissuona o vero consuona, e da questa occulta offensione, o vero allettamento, lo animo commosso la detta cosa odia o ama. Quel raggio divino, di che sopra parlammo, infuse nell’Angelo e nell’Animo la vera figura dell’uomo che si debbe generare intera: ma la composizione dell’uomo nella materia del mondo, la quale è dal divino artefice remotissima, degenera da quella sua figura intera: nella Materia meglio disposta risulta più simile: nell’altra meno. Quella che resulta più simile, come ella si confà con la forza di Dio, e con la idea dello Angelo, così si confà ancora alla ragione e sigillo che è nello Animo. Lo Animo appruova questa convenienza del confarsi: e in questa convenienza consiste la Bellezza: e nella approvazione consiste lo affetto di Amore. E perchè la Idea e la ragione ovvero sigillo, sono alieni dalla materia del corpo, però la composizione dell’uomo si giudica simile a quelli: non per la materia e per la quantità, ma per qualche altra parte incorporale. E secondo che è simile, si conviene con quelli: e secondo che si conviene è bella. E però il corpo e la Bellezza sono diversi. Se alcuno dimanda in che modo la forma del corpo possa essere simile alla forma e ragione dell’Anima e dell’Angelo, prego quel tale, che consideri lo edifizio dello Architettore. Da principio lo Architettore, la ragione, e quasi Idea dello edifizio nello animo suo, concepe: di poi fabbrica la casa (secondo che e’ può) tale quale nel pensiero dispose. Chi negherà la casa essere corpo? E questa essere molto simile alla incorporale Idea dello artefice a la cui similitudine fu fatta? Certamente per un certo ordine incorporale più tosto, che per la materia, simile si debbe giudicare. Sforzati un poco a trarne la materia se tu puoi: tu la puoi trarre col pensiero. Orsù, trai a lo edifizio la materia, e lascia sospeso lo ordine: non ti resterà di corpo materiale cosa alcuna: anzi tutto uno sarà l’ordine che venne da lo artefice, e l’ordine che nello artefice rimase. Deh, fa questo medesimo nel corpo di qualunque uomo: e così troverai la forma di quello che si confà col suggello dell’animo, essere semplice e senza materia.
Capitolo VI
Quante parti si richieggono a fare la cosa bella: e che la bellezza è dono spirituale.
Finalmente che cosa è la Bellezza del corpo? Certamente è un certo atto, vivacità, e grazia, che risplende nel corpo per lo influsso della sua Idea. Questo splendore non descende nella materia, s’ella non è prima attissimamente preparata. E la preparazione del corpo vivente in tre cose s’adempie, ordine, modo e spezie: l’ordine significa le distanze delle parti: il modo significa la quantità: la spezie significa lineamenti e colori: perchè imprima bisogna che ciascuni membri del corpo abbino il sito naturale, e questo è che gli orecchi, li occhi, e il naso, e gli altri membri sieno ne’ luoghi loro: e che gli occhi amendui egualmente sieno propinqui al naso: e che gli orecchi amendui egualmente siano discosto dagli occhi. E questa parità di distanze che s’appartiene all’ordine, ancora non basta, se non vi si aggiugne il modo delle parti: il quale attribuisca a qualunque membro la grandezza debita, attendendo a la proporzione di tutto il corpo. E questo è che tre nasi posti per lungo adempino la lunghezza d’un volto: e ancora li duoi mezzi cerchi degli orecchi insieme congiunti, faccino il cerchio della bocca aperta: e questo medesimo faccino le ciglia, se insieme si congiungono. La lunghezza del naso ragguagli la lunghezza del labbro, e similmente dello orecchio: e i duoi tondi degli occhi, ragguaglino la apertura della bocca; otto capi faccino la lunghezza di tutto il corpo: e similmente le braccia distese per lato, e le gambe distese faccino l’altezza del corpo. Oltre a questo stimiamo essere necessaria la spezie: acciocchè li artificiosi tratti delle linee, e le crespe, e lo splendore degli occhi adornino l’ordine, e il modo delle parti. Queste tre cose benchè nella materia siano, nientedimeno parte alcuna del corpo essere non possono. L’ordine de’ membri, non è membro alcuno: perchè lo ordine è in tutti i membri, e nessuno membro in tutti i membri si ritruova. Aggiugnesi che lo ordine non è altro che conveniente distanzia delle parti: e la distanzia è o nulla, o vacuo, o un tratto di linee. Ma chi dirà le linee essere corpo? Conciosia che manchino di latitudine e di profondità, che sono necessarie al corpo. Oltra questo il modo non è quantità: ma è termine di quantità. I termini sono superficie, linee, e punti: le quali cose non avendo profondità, non si debbono corpi chiamare. Collochiamo ancora la spezie non nella materia ma nella gioconda concordia di lumi, ombre, e linee. Per questa ragione si mostra la Bellezza essere da la materia corporale tanto discosto, che non si comunica a essa materia, se non è disposta con quelle tre preparazioni incorporali, le quali abbiamo narrate. Il fondamento di queste tre preparazioni è la temperata complessione de’ quattro Elementi: in modo che il corpo nostro sia molto simile al Cielo, la sustanzia del quale è temperata; e non si rebelli da la formazione della Anima per la esorbitanza di alcuno umore1. Così il celeste splendore facilmente apparirà nel corpo, simile al cielo. E quella perfetta forma dell’uomo, la quale possiede l’Animo, nella materia pacifica e obbediente resulterà più propria. Quasi in simil modo si dispongono le voci a ricevere la Bellezza loro. L’ordine loro è il salire da la voce grave a la ottava: e lo scendere da la ottava a la grave: il modo è il discorrere debitamente per le terze, quarte, quinte e seste voci, e tuoni e semituoni: la spezie è la risuonanza della chiara voce. Per queste tre cose, come per tre elementi i corpi di molti membri composti, come sono arbori, e animali, e ancora la congregazione di molte voci, a ricevere la Bellezza si dispongono: e i corpi più semplici, come sono i quattro Elementi, e pietre e metalli e le semplici voci, si preparano a essa Bellezza suffizientemente, per una certa temperata fecondità e chiarità di loro natura. Ma l’animo è di sua natura a essa accomodato: massimamente per questo che egli è spirito, e quasi specchio a Dio prossimo. Nel quale come di sopra dicemmo luce la Immagine del volto divino.
Adunque come all’oro niente bisogna aggiungnere, a fare che paia bello: ma basta separarne le parti della Terra, se da esse è offuscato: così lo animo non ha bisogno che se gli aggiunga cosa alcuna, a fare che egli apparisca bello: ma bisogna por giù la cura e sollecitudine del corpo tanto ansia: e la perturbazione della cupidità e del timore: e subito la naturale pulcritudine dello animo si mostrerà. Ma acciò clie il nostro sermone non trapassi molto il proposito suo, conchiudiamo brevemente per le sopra dette cose la Bellezza essere una certa grazia, vivace e spirituale. La quale per il raggio divino prima si infonde negli Angeli, poi nelle Anime degli uomini, dopo questi nelle figure, e voci corporali, e questa grazia per mezzo della ragione e del vedere e dello udire muove e diletta lo animo nostro: e nel dilettare rapisce: e nel rapire d’ardente amore infiamma.
Capitolo VII
De la dipintura d’amore
Dipoi Agatone Poeta, secondo l’uso degli Antichi Poeti, veste questo Dio Amore di umana immagine: dipingete a similitudine di un uomo formoso: e dice lo Amore essere, giovane, tenero, flessibile ovvero agile, attamente composto, e nitido. Queste parti qui narrate sono più tosto preparazioni alla Bellezza, che essa Bellezza, imperocchè di queste cinque parti, le prime tre significano la complessione temperata, la quale è il primo fondamento: l’altre due disegnano il modo e la spezie. I Fisici hanno dimostro lo indizio della temperata complessione essere la delicata e ferma equalità della tenera carne: perchè ove il caldo sopravanza molto, il corpo è arido e piloso: ove abbonda il freddo, è duro: ove la siccità, è aspro: ove la umidità, è labile, ineguale e torto. Adunque la eguale e ferma tenerezza del corpo dimostra la disposizione di quello ne’ quattro umori essere temperata: per questa cagione Agatone chiamò lo Amore molle, delicato e tenero. Ma perchè lo chiamò egli giovane? perchè non solamente per benifizio della natura, ma eziandio della età la detta Temperanzia si possiede. Imperocchè per la lunghezza del tempo si dissolvono le parti sottili del corpo: onde restano le parti più grosse: perchè esalando il Fuoco e l’Aria, rimane la soprabbondanza dell’Acqua, e della Terra. E perchè lo chiamò egli agile, e flessibile? acciocchè tu intenda essere lui atto a tutti i movimenti, e pronto, e non pensi quando egli lo chiama molle, voglia per questo intendere la mollizzie femminile inetta e pigra: che quella è diversa da la complessione temperata. Dopo questo aggiunse attamente composto, cioè di ordine e di modo di parti onestissimamente figurato. Aggiunse e nitido, cioè di suave spezie di colori rilucenti. Proposte queste preparazioni, Agatone non aprì quello che di qui seguiva: ma a noi appartiene intendere, che dopo queste preparazioni, viene quella grazia che è Bellezza. E queste cinque parti s’espongono nella figura dell’uomo, in quel modo che abbiamo narrato. Ma nella potenzia dello Amore, si debbono altrimenti intendere: perchè la sua forza e qualità dimostrano. Dipignesi lo Amore giovane: perchè comunemente i giovani s’innamorano: e gli innamorati appetiscono l’età giovenile. Molle perchè gli ingegni mansueti, sono più facilmente presi dallo Amore: e quelli che sono presi benchè innanzi fossero feroci, divengono mansueti. Agile e flessibile: perchè di nascoso viene, e di nascoso si parte. Atto e composto, perchè desidera cose formosie e ordinate, e fugge le contrarie. Nitido cioè splendido, perchè nella florida e splendida età inspira lo Animo dell’uomo: e desidera cose fiorite. E perchè Agatone queste cose nel testo copiosamente tratta basti a noi averle brevemente tocche.
Capitolo VIII
De le virtù d’ amore
E quelle cose che Agatone tratta de le quattro virtù, sono poste per significare la bontà dello Amore: e prima lo chiama giusto: perchè ove è intero e vero Amore, ivi è scambievole benivolenzia: la quale non patisce che si faccia ingiuria di fatti o villania di parole.
Egli è tanta la forza di questa Carità, che ella sola può conservare la generazione umana in tranquilla pace. E questo non può fare Prudenza, Fortezza, Forza di armi, o di leggi, o di eloquenzia: se già la Benevolenza non l’aiuta. Chiamalo dipoi Temperato, perchè egli doma le cupidità disoneste. E questo è che cercando lo Amore essa Bellezza, la quale consiste in un certo ordine e temperanza, egli ha in odio le vili e immoderate concupiscenzie: e fugge sempre i gesti che non sono onesti. Il che da principio trattò Giovanni assai. Ancora dove regna lo Amore, tutte le altre cupidità si sprezzano. Aggiunse fortissimo, imperocchè nessuna cosa è più forte che l’audacia: e nessuno con più audacia combatte che lo Amante per lo amato. A gli altri Dii: cioè agli altri Pianeti. Marte è superiore di fortezza, perchè egli fa gli uomini più forti. Conciosia che quando Marte posto nelli angoli2 o nella seconda, o vero nella ottava casa delle geniture, minaccia i nati di casi infelici. Venere spesse volte venendogli congiunta od opposta, o ricevendolo o guardandolo di aspetto sestile, o trino, ammorza (per dir or così) la malignità di quello. Marte nella natività dell’uomo signoreggia, dona magnanimità e iracundia: e se Venere prossimamente vi si aggiunge, benchè ella non impedisca la magnanimità da Marte concessa, nientedimeno raffrena il vizio della iracundia: dove pare che facendo Marte più clemente, lo domi: ma Marte non doma mai Venere: perchè se Venere tiene la signoria della natività dell’uomo, concede affetto di Amore: e se Marte prossimamente vi si aggiugne, fa con la caldezza sua lo impeto di Venere più ardente. In modo che se nascendo uno, Marte si truova nella casa di Venere, come è Libra, e Tauro, colui che nasce, per la presenza di Marte sarà sottoposto molto a le fiamme di Amore. Marte ancora seguita Venere: Venere non seguita Marte. Imperocchè la audacia seguita lo Amore, e lo Amore non seguita la audacia. Perchè gli uomini non si innamorano proprio per essere audaci: ma spesse volte, per essere feriti d’Amore, diventano audacissimi a qualunque pericolo per la cosa amata. Finalmente il segno manifestissimo della singular fortezza d’amore è questo: che tutte le cose obbediscono a lui: e egli a nessuna obbedisce. Imperocchè gli abitatori del Cielo amano: e amano gli animali, e amano tutti i corpi: gli uomini ricchi e re potenti sottomettono il collo allo imperio di Amore: ma lo Amore a nessuno di costoro si sottomette. Perchè li doni de’ ricchi non comperano lo Amore: le minaccie e le violenzie de’ potenti, non ci possono costringere ad amare, o fare che da Amore ci dipartiamo. Amore è libero e spontaneamente nasce ne la libera volontà: la quale ancora Dio non costrignerà: perchè da principio ordinò la volontà dovere essere libera. Si che Amore fa forza ad ognuno: e non riceve da alcuno violenzia. E tanto è la sua libertà, che l’altre affezioni, arti e operazioni dell’animo, desiderano il più delle volte premio diverso da loro: ma lo Amore di se medesimo è contento, come se egli solo fosse il suo premio. Quasi non sia altro premio oltre a l’Amore, che dello Amore sia degno premio. Imperocchè chi ama, spezialmente ama lo Amore: perchè sopra tutto ricerca che lo amato ami lui. E ancora sapientissimo: per che ragione Amore sia creatore e conservatore del tutto, e maestro e signore di tutte le arti, assai nella orazione di Erissimaco si disse: per il che in queste cose la sapienza di Amore si dimostra. Per la disputazione superiore si conchiude lo Amore per questo essere beatissimo, perchè è bellissimo e ottimo: e che e’ sia bellissimo apparisce, perchè si diletta di cose belle, come a sè simili: e che e’ sia ottimo si vede in questo, che egli fa gli amanti ottimi: e è necessario, che colui sia ottimo, il quale fa ottimo altrui.
Capitolo IX
De’ doni di amore
Quello che sia Amore si dichiarò nel nostro discorso: e quale sia apparì di sopra, per le parole di Agatone: e che doni conceda a gli Uomini, facilmente per le cose predette si dichiara. Alcuno Amore è semplice, alcuno è scambievole. Il semplice, qualunque uomo piglia, fa prudente ad antivedere, in disputare acuto, nel ragionare abbondante, magnanimo nelle cose da fare, faceto nelle cose giocose, pronto ne’ giuochi: e nelle cose gravi fortissimo: lo Amore scambievole levando i pericoli, reca sicurtà: levando la dissensione, genera concordia: e schifando la miseria, induce la felicità.
Ove è reciproca carità non vi sono insidie, nè tradimenti: ma sonvi le cose comuni: e sono sbandite le liti, i furti, li omicidii e le guerre. Tale tranquillità nascere dallo Amore scambievole non solo negli animali, ma eziandio ne’ Cieli, e nelli Elementi, Agatone in questa Orazione dichiara: e nella Orazione disopra di Erissimaco è largamente dimostro. Nel fine della presente Orazione si dice, che Amore col caldo suo addolcisce le Menti delli Dii e delli uomini. E questo intenderà qualunque si ricorderà, esser di sopra dimostro, lo Amore essere in tutte le cose: e a tutte distendersi.
Capitolo X
Che amore è più antico e più giovane che gli altri Iddii.
Ma innanzi ch’io faccia fine, virtuosissimi amici, solverò tre questioni, che nascono nella disputa d’Agatone. Prima si dimanda per che cagione Fedro disse Amore più antico che Saturno e Giove: e Agatone disse più giovane. Secondariamente, quello che appresso Platone significa il regno della Necessità, e lo Imperio dello Amore. Terzo, quali Iddii, quali Arti, regnante lo Amore hanno trovate. Il padre del tutto Iddio, per Amore di propagare il seme suo, e per benignità di provvedere, à generato le Menti, sue ministre: le quali muovono i Pianeti di Saturno, di Giove, e degli altri: queste menti subito che da Dio son nate, riconoscendo il Padre loro, lo amano. Quello Amore, da che sono le Menti generate, diciamo essere più antico di loro: e quello amore, col quale le Menti create amano il lor Creatore, diciamo essere più giovane che le Menti. Oltre a questo la Mente angelica non riceve dal Padre le Idee del Pianeta di Saturno e degli altri, se prima non si rivolta inverso la faccia di Dio, per naturale Amore. Di poi la medesima Mente avendo ricevute le Idee, con più ardore ama il dono di Dio. Così adunque la dilettazione dello Angelo inverso Dio, in un modo è più antica, che le Idee, che si chiamano Iddii: e in un altro modo è più giovane. Si che lo Amore è principio e fine: ed è il primo degli Iddii, e l’ultimo.
Capitolo XI
Che lo amore regna innanzi a la necessità
Ma acciocchè, solviamo la seconda questione, e’ si dice che lo Amore regna innanzi a la necessità: perchè lo Amore divino a tutte le cose nate di lui, ha dato origine. Nel quale nessuna violenzia di necessità si pone: perchè non avendo sopra sè cosa alcuna, egli adopera qualunque cosa, non costretto, ma per libera volontà. La Mente Angelica che seguita lui, per la semenza di Dio necessariamente germina. E così colui per Amore produce: costei per necessità procede. Quivi comincia il dominio dello Amore: e qui il dominio della necessità. Questa Mente benchè nascendo da la somma Bontà di Dio sia buona, nientedimeno perchè procede fuor di Dio, necessariamente degenera de la infinita perfezione del Padre: perchè lo effetto non riceve mai tutta la bontà della sua causa. In questa necessaria processione, e degenerazione dello effetto, consiste lo imperio della Necessità. Ma la Mente, subito che è nata, (come dicemmo) ama il suo autore e in questo atto resurge il regno di Amore. Perchè questa inverso di Dio per Amore si leva: e Dio quella inverso lui rivolta per amore illumina. Ancora di nuovo qui sottentra la potenzia della necessità: conciosia che quel lume che da Dio descende, non si riceva dalla Mente in tanta chiarezza, con quanta da Dio è dato. Perchè la Mente per sua Natura è quasi tenebrosa: e non riceve, se non secondo la sua capacità naturale. E però per violenzia della natura ricevente, quel lume più oscuro diventa. A questa necessità succede di nuovo il principato dello Amore. Perchè quella Mente accesa per questo primo splendore di Dio, ardentemente in lui si volta: e invitata da questa scintilla di lume, desidera tutta la possessione di esso lume. Di qui Dio per la sua benignità, e providenza, oltre a quel primo lume Naturale, dona ancora il lume divino. E così le potenzie dello Amore e della Necessità succedono scambievolmente l’una all’altra. La quale successione nelle cose divine s’intende secondo l’ordine di natura: nelle cose naturali secondo intervallo di tempo. In modo che lo Amore sia il primo di tutti e l’ultimo. E come abbiamo detto de lo Angelo così dobbiamo intendere de lo Animo e de le altre opere di Dio, quanto a questi due Imperii. Per la qual cosa se noi parliamo assolutamente, egli è più antico lo imperio di Amore che della Necessità: perchè quello comincia in Dio: e questo nelle cose create. Ma se noi parliamo de le cose create, la potenzia de la necessità è prima che il regno di Amore. Conciosia che le cose prima per necessità procedono, e procedendo degenerano, che elle si rivoltino con Amore inverso Dio. Orfeo cantò questi due imperii, in due Inni: lo Imperio della Necessità nell’Inno della Notte, dicendo, la forte necessità a tutte le cose signoreggia. Il Regno di Amore cantò così nell’Inno di Venere: tu comandi a’ tre fati e tutte le cose generi. Divinamente Orfeo pose due Regni: e fece comparazione fra loro: e alla necessità antepose lo Amore, quando disse questo comandare alli tre Fati: ne’ quali la necessità consiste.
Capitolo XII
In che modo nel regno della necessità, Saturno castrò Cielo: e Giove legò Saturno.
Ma in che modo mentre che signoreggia la Necessità, i seguenti Dii sieno detti da Agatone castrare e legare i loro Padri, facilmente per le cose sopradette intenderemo. Non è da stimare che la Mente dello Angelo divida in sè medesima esso Dio: ma lei si divide il dono, che le è dato da Dio. Poco innanzi mostrammo a sufficienza i doni di Dio per necessità mancare da la loro somma perfezione, nello spirito che gli riceve. Onde nasce, che quella fecondità di natura che è in Dio intera, ma nello Angelo è diminuita, meritamente si dice essere castrata. E questo si dice avvenire mentre che regna la necessità. Perchè non avviene per volontà di chi dà o di chi riceve: ma per quella necessità, per la quale lo effetto non si può alla sua cagione agguagliare. E così Saturno, cioè l’Angelo, pare che castri Cielo, cioè il sommo Dio: ed ancora Giove, cioè l’Anima del Mondo, pare che leghi Saturno: cioè la potenzia dallo Angelo ricevuta restringe in sè per difetto di sua natura: e riducela a più stretti confini, imperocchè più ampia è la potenzia di Saturno, che di Giove. Si che la potenzia che in Saturno si stima per la amplitudine libera e sciolta, in Giove per la strettezza di natura, già si dice essere legata. E di questo infino a qui basti avere detto. Vegnamo a la terza questione.
Capitolo XIII
Quali Dii quali arti danno agli uomini
Stima Agatone che dalli Dii, per Amore siano date le arti alla generazione umana. Il regno da Giove: l’arte del saettare, indovinare, e medicare da Apolline: la fabbrica de’ metalli, da Vulcano: la industria del tessere, da Minerva: la musica da le Muse. Dodici Deità sono sopra i dodici segni del zodiaco, Pallade sopra lo Ariete: Venere al Tauro: Apollo a Gemini: Mercurio al Cancro: Giove al Leone: Cerere alla Vergine: Vulcano alla Libra: Marte a lo Scorpione: Diana al Sagittario: Vesta al Capricorno: Iunone a lo Acquario: Nettuno a’ Pesci. Da costoro alla Generazione nostra son tutte le Arti concesse: perchè quelli segni mettono le forze sue di ciascuna arte ne’ corpi nostri e quelle Deità le mettono nell’Animo. Così Giove per il mezzo del Lione fa l’uomo attissimo al governo divino, e umano: cioè al dispensare degnamente le cose spirituali e temporali. Apollo per i Gemini ci dà la industria del medicare e saettare. Pallade per lo Ariete, l’arte del tessere. Vulcano per la Libra, la fabbrica de’ metalli: e così gli altri le altre arti. E perchè essi ci danno i loro doni per benignità di loro providenzia, si dice che eglino fanno questo mossi da Amore. Oltre di questo per quella velocissima e ordinatissima conversione de’ Cieli, stimiamo nascere consonanza musicale: e per otto moti delli otto Cieli otto tuoni: e da tutti insieme uno concetto producersi. Adunque i nove suoni de’ Cieli chiamiamo le nove Muse per cagione della musicale concordia. L’Animo nostro da principio fu dotato de la ragione di questa musica: e meritamente essendo l’origine sua dal Cielo. Dentro a lui è nata la celeste armonia: la quale poi imita e mette in opera con varii canti e istrumenti. E questo dono come gli altri ci fu concesso per Amore dalla provvidenza divina. Adunque, amici nobilissimi, questo Dio Amore perchè egli è bellissimo, amiamo: perchè egli è ottimo, seguitiamo: perchè egli è beatissimo, veneriamo: acciò che per sua elemenzia e largità ci conceda possessione della sua Bellezza, Bontà e Beatitudine.
Note
- ↑ Neque aliquo humorum excessu ab animi formatione disciscat.
- ↑ Quando enim Mars in angulis coeli, vel secunda nativitatis domo, vel octava constitutus nascenti mala poriendil, Venus saepe coniuctione sua vel oppositione, vel receptione, aut aspectu sextili aut trino, Martis ut ita dicamus, compescit malignitatem.