Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/XI. - Origine del sistema planetario eliocentrico presso i Greci/VI. - Il sistema planetario eliocentrico considerato come ipotesi geometrica possibile
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VI. IL SISTEMA PLANETARIO ELIOCENTRICO CONSIDERATO COME IPOTESI GEOMETRICA POSSIBILE.
35. Credo che oramai nella mente di chi legge non sia rimasto più alcun dubbio, che veramente i Greci dalle idee di Eraclide Pontico circa il moto eliocentrico di Mercurio e di Venere siano stati condotti ad ammettere un simile moto eliocentrico anche per i pianeti superiori, arrivando così al sistema di Ticone. Una prova evidente ne abbiam trovato nella descrizione che Apollonio di Perga ci ha lasciata dell’ipotesi degli eccentri mobili, il cui centro si rivolge intorno alla Terra nel periodo di un anno, e perciò da lui stesso è indicata come applicabile soltanto ai tre pianeti superiori. Da qual altra fonte infatti, fuorchè dal concetto ticonico, poteva derivare l’idea abbastanza recondita dell’ipotesi suddetta1, obbligata qual’è a uno dei suoi periodi, limitata nel suo possibile uso, e per di più non molto opportuna (quantunque pienamente rigorosa) per dare con chiarezza intuitiva e capace di persuadere anche i non geometri, una spiegazione delle stazioni e delle retrogradazioni? Adunque il risultato qui sopra enunciato è frutto d’induzione sicura, sebbene le dirette testimonianze di esso si possono considerare come irrevocabilmente perdute per noi.
36. Ora dal sistema ticonico a quello di Copernico è noto esser brevissimo brevissimo il passo. La questione è ridotta a considerare il moto relativo del Sole e della Terra. Da una parte abbiamo la Terra con un satellite, la Luna; dall’altra il Sole, corteggiato da cinque satelliti, che sono i cinque pianeti minori, dei cui giri esso forma il centro. Se la Terra supponiamo fissa, ed il Sole facciam che giri intorno ad essa sempre restando dentro alla circolazione dei cinque pianeti, abbiamo il sistema di Ticone. Se invece poniamo fisso il Sole, e con esso il centro delle orbite dei cinque pianeti, e facciam pure muovere intorno ad esso la Terra colla Luna, abbiamo il sistema di Copernico. Quest’ultima ipotesi dovette senza dubbio parere molto ardita ai Greci di quel tempo, come quella che includeva la circolazione della Terra intorno al centro dell’universo; ma una tal circolazione non era idea interamente nuova, e qualche cosa di simile già era stato proposto da Filolao. Questo nuovo grado nella scala delle deduzioni non era dunque tanto difficile ad essere superato; e lo fu infatti ancora vivente Eraelide Politico. Egli stesso ce ne dà la notizia in un passo de’ suoi scritti, sventuratamente troppo breve, che per caso singolare ci è stato conservato, e che costituisce uno dei più importanti documenti nella storia dell’antica astronomia.
37. Il passo è riferito da Gemino nel medesimo estratto, che del suo commento alla Meteorologia di Posidonio ci è stato conservato da Alessandro Afrodisiense e da Simplicio; e che per intiero riportiamo nell’Appendice posta in fine della presente memoria. Già due volte ne abbiam fatto uso (§§ 10, 23); pure l’intima connessione che hanno tutte le idee esposte nel medesimo rende necessario di considerarlo ancora una volta nel suo complesso, al fine di poter penetrare esattamente nel senso della parte che concerne Eraclide Pontico. Il discorso di Gemino si aggira intorno al diverso ufficio, che le speculazioni fisiche da una parte, e le ricerche matematiche dall’altra, hanno nello studio della Natura. Secondo Gemino (il quale probabilmente qui rispecchia idee di Posidonio), «appartiene alla teoria fisica il ricercare l’essenza, la potenza, la qualità, la generazione e la corruttibilità del cielo e degli astri tutti. Invece l’astronomia non si occupa di queste cose, ma specialmente ricerca le figure, le grandezze e le distanze della Terra, della Luna, del Sole; le eclissi e le congiunzioni dei corpi celesti, le qualità e le quantità dei loro movimenti; per le quali investigazioni le occorre l’aiuto dell’aritmetica e della geometria. Ma sebbene il fisico e l’astronomo abbian comuni molti oggetti di ricerca (per esempio la grandezza del Sole e la sfericità della Terra), non seguono però la medesima via... Quello infatti dimostra principalmente le cause e le potenze efficienti; questo, incapace di sollevarsi alla contemplazione dell’essenza delle cose, si limita a dimostrarne le circostanze esteriori». — Gemino prende quindi l’esempio dell’anomalia nel moto del Sole, della Luna e dei pianeti; e dice: «che col rappresentarla per mezzo di eccentrici o di epicicli (che è il problema dell’astronomo) non è ancora fatto tutto; ma rimane il problema del fisico; di scegliere cioè, fra le ipotesi capaci di spiegare i movimenti, quella che si accorda colla dottrina fisica del mondo. Quindi, essere indifferente all’astronomo di sapere ciò che è fisso e ciò che si muove; esser per lui plausibile ogni ipotesi che rappresenti bene le apparenze, fosse anche quella indicata da Eraclide Pontico, secondo cui l’anomalia dei pianeti rispetto al Sole può essere spiegata col moto della Terra intorno al Sole supposto fisso. L’astronomo poi essere obbligato di ricorrere al fisico per i princípi delle sue ricerche; per sapere, ad esempio, che i movimenti degli astri sono semplici, regolarmente ordinati, e circolari; gli uni secondo paralleli all’equatore, gli altri secondo circoli obliqui rispetto a questo».
38. Il passo d’Eraclide, di cui il senso generale è stato indicato in caratteri italici, ha forma di citazione testuale, e secondo la diversità dei codici e delle edizioni presenta due lezioni diverse, fra le quali la scelta è assai difficile, e non senza qualche influenza sul significato storico che ne deriva. L’edizione aldina di Simplicio e la raccolta degli scoli aristotelici del Brandis2, con le quali si accordano anche alcuni codici, hanno la seguente lezione, che ha servito di base a tutte le discussioni sino ad oggi fatte sul presente argomento: Διὸ καὶ παρελθών τις φησὶν Ἡρακλείδης ὁ Ποντικὸς ἔλεγεν ὅτι καὶ κινουμένης πως τῆς γῆς, τοῦ δ´ ἡλίου μένοντός πως, δύναται ἡ περὶ τὸν ἥλιον φαινομένη ἀνωμαλία σώζεσθαι. Cioè letteralmente: E perciò si fece innanzi qualcuno, dice Eraclide Pontico, a mostrare: che anche facendo muovere la Terra in un certo modo e star fermo il Sole, è possibile spiegare l’anomalia che si manifesta relativamente al Sole. Lasciando per ora in aperto l’interpretazione delle parole attribuite ad Eraclide, dobbiamo dapprima considerare la frase introduttiva Διὸ καὶ παρελθών τις φησὶν Ἡρακλείδης ὁ Ποντικὸς ἔλεγεν ὅτι κ. τ. λ. Qui la prima difficoltà sta nell’espressione παρελθών τις, intorno alla quale molto si è disputato. Secondo il Wyttenbach3 essa includerebbe l’idea di tempo passato, ed indicherebbe quindi persona anteriore ai tempi di Eraclide, forse qualche Pitagorico. Deswert4 crede indicato lo stesso Ecfanto, il cui nome è associato con quello di Eraclide Pontico in ciò che riguarda la rotazione della Terra. Gruppe5 interpreta im Vorübergehen, in passando. Ma questo modo d’interpretazione e le conseguenze che il Gruppe ne deriva, sono state luminosamente confutate da Augusto Boeckh; il quale con una serie di luoghi paralleli6, tratti da Tucidide, da Senofonte e da Demostene, ha provato nel modo più convincente, che qui la frase παρελθών τις ἔλεγεν deve interpretarsi nel senso di qualcuno si fece avanti a dire (in una assemblea), ed è frequentemente usata per introdurre un oratore a fare il suo discorso. A questa dimostrazione Boeckh connette una sua molto ingegnosa e verisimile congettura. Eraclide, imitando Platone, usò spesso nelle sue opere la forma di dialogo, come quella che è la più propria per discutere punti controversi. Non è dunque improbabile, che discutendo in uno di tali dialoghi intorno alle ipotesi astronomiche, egli abbia introdotto a parlare un innominato nel modo che si è veduto7. Questo innominato crede il Boeckh che potesse essere destinato a rappresentare le opinioni di Eraclide medesimo. Cicerone, il quale aveva molto studiato gli scritti d’Eraclide, dà ad intendere in due luoghi delle sue lettere, che questi non usava nei dialoghi parlare in propria persona, ma preferiva far sostenere ad altri le proprie parti8. Adunque l’opinione riferita coll’ἐλεγεν non solo sarebbe citata da Eraclide, ma apparterrebbe ad Eraclide stesso.
Teodoro Bergk9 non ammette sul παρελθών l’opinione del Boeckh; egli suppone che il passo sia guasto, ed invece della comune lezione Διὸ καὶ παρελθών τις, φησὶν Ἡρακλείδης ὁ Ποντικὸς, ἔλεγεν... vorrebbe leggere Διὸ καὶ προελθών φησιν, 'Ηρακλείδης ὁ Ποντικὸς ἔλεγεν... dove il προελθών φησιν si riferirebbe all’autore scrivente, cioè a Gemino. Cosi s’interpreterebbe: Perciò continua Gemino: Eraclide Pontico disse... Anche questo modo d’interpretazione riferirebbe l’ἔλεγεν, non ad un innominato qualunque, ma ad Eraclide medesimo.
Questi diversi modi di considerare la cosa sono stati escogitati per dare una spiegazione plausibile della forma alquanto singolare, con cui le parole d’Eraclide vengono intercalate da Gemino nel suo discorso. Del resto, sia che si vogliano accettare lo congetture di Boeckh, sia che meglio ci arrida l’emendazione di Bergk, il risultato storico sarebbe il medesimo. Ad Eraclide Pontico si dovrebbe concedere l’onore di aver per primo concepito la possibilità, di spiegare certo fenomeno, facendo muovere la Terra e star fermo il Sole.
39. Non è tuttavia a dissimulare, che anche dopo questi tentativi di grandi eruditi resta sempre un certo grado di dubbio. Quello del Boeckh avrebbe il pregio di pigliare il testo quale lo danno una parte dei codici, e le vecchie edizioni; ma non toglie intieramente la singolarità del modo, con cui le parole di Eraclide vengono poste davanti al lettore. D’altra parte volendo supporre col Bergk che nel testo di Simplicio sia corso un errore, e che le parole παρελθών τις debbano in qualche modo essere emendate, diverse supposizioni diventano possibili, fra le quali è difficile far una scelta ben fondata. Perchè, invece di sopprimere il τις puramente e semplicemente, come fa il Bergk, sarebbe per esempio da considerare, se nel παρελθών non sia appunto nascosto il nome dell’autore dell’ipotesi riferita da Eraclide; autore, che per essere di oscura fama, Eraclide avrebbe designato col τις. O potrebbe anche il παρελθών indicare in forma corrotta una classe di persone, a cui il τις ignoto apparteneva; come accadrebbe, se Eraclide avesse scritto παρ´ἡμῖν τις, alcuno dei nostri: τῶν πυθαγορικῶν τις, alcuno dei Pitagorici ecc. In tutte le supposizioni di questa classe Eraclide sarebbe semplice relatore, non autore della teoria che sta esposta nelle parole a lui da Gemino attribuite10.
40. Veniamo adesso all’altra lezione, che sopra (§ 38) abbiam detto esser proposta per il nostro testo. Fin dal 1882 il ch. Diels, che recentemente di nuovo pubblicò il commento di Simplicio in Aristotelis Physicorum libros per incarico dell’Accademia Reale di Berlino11, e cortesemente volle prendere interesse a questi miei studi, mi avvertì per lettera, che nei migliori codici posti per base della nuova edizione manca la parola ἔλεγεν; leggendosi dunque soltanto Διὸ καὶ παρελθών τις φησὶν Ἡρακλείδης ὁ Ποντικὸς ὅτι καὶ κινουμένης τῆς γῆς κ. τ. λ. In questa nuova costruzione Eraclide Pontico sarebbe indicato direttamente come autore dell’ipotesi riferita nelle linee che vengon dopo, e cesserebbe su questo punto quel dubbio, che rimaneva adottando l’altra lezione. Ma le parole παρελθών τις diventano allora vieppiù enigmatiche. Il senso letterale, che così si ottiene... Perciò un tal Eraclide Pontico si fa innanzi a dire, che anche col far muovere la Terra, etc.... è addirittura assurdo. Come ammettere infatti, che uno storico delle scienze qual fu Gemino abbia potuto scrivere quel τις e dire un tale Eraclide Pontico di un filosofo celebre in tutta l’antichità, che Cicerone, contemporaneo di Gemino, stimava altamente e leggeva12, che da Plutarco era messo alla pari13 con Aristotele, Socrate, Pitagora, Protagora, Teofrasto ed Ipparco? Non potè certamente Gemino aver ignorato la fama del Pontico; se mai è vero, che gli abbia applicato il τις, ciò non ha potuto essere che in segno di profondo disprezzo. Io non so rassegnarmi ad affermare una simile conclusione. Qui più che mai si rende plausibile, anzi necessaria, l’ipotesi, che le parole παρελθών τις siano corrotte. La supposizione più naturale sarebbe, che in esse si nasconda il titolo dell’opera di Eraclide, da cui Gemino fece il suo estratto. Ma percorrendo l’Indice delle opere di Eraclide quale ci fu trasmesso da Diogene Laerzio nella sua biografia di questo filosofo, sembra difficile additare un titolo, che possa convenientemente surrogarsi in questo luogo, senza supporre troppo radicali cambiamenti. È vero però, che il catalogo di Diogene non è completo; ed possibile, che ad un’opera ivi non registrata appartenga appunto tutto quello che si sa dell’astronomia di Eraclide Pontico.
Inoltre potrebbe anche darsi, che invece del titolo dell’opera in quel luogo si contenesse qualche altra indicazione concernente il passo estratto, o diretta forse anche a determinarne meglio il senso. Tale sarebbe per esempio il caso, se invece di παρελθών τις, Gemino avesse scritto περὶ τούτων, riferendosi ai cinque pianeti nominati nella frase che immediatamente precede14; e dei quali esclusivamente si tratta nel passo di Eraclide, come più sotto si vedrà.
41. Qualunque sia la decisione alla quale vogliamo appigliarci riguardo a questa ed alle precedenti questioni, nulla si muterà al risultato essenziale della nostra ricerca; solo rimane il dubbio, se veramente ad Eraclide o ad un altro suo antenato o contemporaneo sia da attribuire l’onore di essere stato fra gli antichi il primo a concepire l’idea del movimento della Terra e della quiete del Sole. Ed in questo dubbio noi ci rassegneremo a rimanere per ora. Ma a controversie ben più gravi ha dato luogo l’interpretazione delle parole ἡ περὶ τὸν ἥλιον φαινομένη ἀνωμαλία, esprimenti la natura del fenomeno che si tratta di salvare, cioè di rappresentare, facendo muover la Terra in un certo modo, e star fermo il Sole. Il Wyttenbach15, e il Deswert16, seguiti poscia dal Gruppe17, nel moto qui accennato della Terra non vedono altro che la rotazione di essa, ammessa come cosa di fatto da Eraclide Pontico18. Se infatti a questa rotazione si congiunga la quiete del Sole, si avrà una spiegazione sufficiente (se non completa)19 del corso apparente diurno del Sole. Una simile interpretazione, singolare a dirsi, è pure stata accettata dal Boeckh20, il quale cerca di appoggiarla con certe sue sottili e dotte riflessioni. Ma nessun ragionamento potrà persuaderci, che Eraclide Pontico abbia designato il corso apparente diurno del Sole col nome di περὶ τὸν ἥλιον ἀνωμαλία. Allora, come adesso, anomalia nel senso astronomico significava ineguaglianza, difetto d’uniformità; invece il moto diurno del Sole era considerato come dì uniformità assoluta; e tale certamente supponeva Eraclide che fosso il molo rotatorio della Terra.
42. Il Bergk21 non ha accettato questo modo di vedere, e con ragione. Per lui l’anomalia dì Eraclide appartiene al Sole, e deve riferirsi al moto di questo lungo l’eclittica; il quale si sa essere ora più ora meno veloce, ed è quello a cui si deve l’ineguale durata delle quattro stagioni, già scoperta cent’anni prima da Eutemone. Eudosso non l’avea voluta ammettere; ma Callippo, contemporaneo di Eraclide, la confermò con osservazioni molto più esatte di quelle di Eutemone, ed anche aggiunse due sfere alle sfere omocentriche solari di Eudosso, per renderne ragione22. Quest’idea, che già prima del Bergk aveva adottata H. Martin, seduce a primo aspetto, e la supposizione che si tratti di un’anomalia propria al corso del Sole, può sembrare a molti la più semplice e la più naturale. Nè dal punto di vista storico esiste alcun motivo di negare, che di tale anomalia qualche notizia potesse essere giunta anche ad Eraclide Pontico, sebbene in generale di simili minuzie si curassero più i matematici che i filosofi, e l’esempio di Eudosso potesse anche trattenere questi ultimi dall’approvare una tale novità. — Ciò che rende inaccettabile l’interpretazione è, che con essa dalle parole di Eraclide non si può ricavare senso plausibile alcuno, se dal puro significato grammaticale delle parole si voglia passare al fatto astronomico, che quelle parole sono destinate ad esprimere. Non occorre infatti grande discorso per far intendere, che il problema di spiegare l’anomalia del moto solare apparente offre appunto le stesse difficolta, anzi è proprio il medesimo, sia facendo girare il Sole intorno alla Terra, sia facendo girare la Terra intorno al Sole: il sostituire una considerazione all’altra non avanza la questione d’un punto, e non spiega nulla. Occorre assolutamente introdurre un’altra ipotesi.
43. Ciò ha bene veduto H. Martin; il quale nella sua imposizione del sistema di Eraclide Pontico23, dopo di aver adottato in massima sul παρελθών τις le congetture del Boeckh, interpreta le parole περὶ τὸν ἥλιον φαινομένη ἀνωμαλία nel senso adottato dal Bergk, cioè di anomalia del moto solare; ma sul modo con cui di una tale anomalia fosse possibile dare una spiegazione κινουμένης πως τῆς γῆς, τοῦ δ´ ἡλίου μένοντός πως, ha esposto una sua interpretazione, che mi sembra far violenza al senso più ovvio e più naturale di queste parole. Esse sono da lui così tradotte: la Terre se mouvant d’une certaine façon, et le Soleil étant en repos d’une certaine façon. Martin ferma specialmente la sua considerazione sulla frase le Soleil étant en repos d’une certaine façon; e ne conclude, non trattarsi qui di mettere il Sole in assoluta quiete, ma solo di togliergli alcuno dei suoi movimenti. — «que s’agit-il d’expliquer? Ce n’est pas la vitesse moyenne du mouvement annuel du soleil, mais c’est, comme Héraclide le dit, l’anomalie de ce mouvement. La vitesse moyenne est expliquée d’avance par la révolution annuelle, circulaire et uniforme, que Platon, Eudoxe, Callippe, Aristote et Héraclide lui même attribuaient au soleil, d’occident en orient. Quant à l’anomalie, nous aons vu que Callippe l’expliquait en donnant au soleil deux sphères motrices de plus que n’avait fait Eudoxe; mais l’anonyme, qu’Héraclide a sans doute pris pour son représentant daus ce dialogue24, dit qu’on peut aussi retirer au soleil ce petit mouvement seulement, comme l’expriment les mots μένοντός πως, et donner à la terre un petit mouvement annuel capable d’expliquer l’anomalie apparente du soleil. Évidemment une rotation de la terre ne pouvait pas rendre compte de ce phénomène solaire. Ainsi ce n’était pas d’une rotation qu’il s’agissait: il fallait que le mouvement attribué à la terre à cette intention fùt un mouvement de translation sur la circonférence d’un cercle, et que, pour les habitants de la terre, mise ainsi en mouvement, l’anomalie solaire apparente fùt l’effet d’une parallaxe, non pas diurne, mais annuelle, et dépendant du rayon d’une orbite qu’on supposait parcourue par la terre en un an. Cette hypothèse accessoire pouvait s’adapter, soit à l’hypothèse principale d’Héraclide, qui donnait à la Terre une rotation diurne, soit aux hypothèses qui, pour expliquer la succession des jours et des nuits, donnaient au ciel entier un mouvement diurne antour de la terre immobile. Avec ou sans rotation diurne, la terre pouvait être supposée accomplir, sur la circonférence d’une petite orbite tracée autour du centre du monde, une revolution annuelle, avec une vitesse uniforme d’orient en occident, tandis que le soleil accomplissait, d’occident en orient, sa révolution annuelle uniforme autour de ce mème centre dans une grande orbite enveloppant celle de la terre. Dans cette hypothèse, qui est la seule à la quelle puissent s’appliquer les expressions employées dans la phrase d’Héraclide, que devait-il arriver? Pendant que la revolution annuelle, circulaire et uniforme du soleil, d’occident en orient, produisait le phénomène du mouvement moyen de cet astre, la révolution annuelle, circulaire et uniforme de la terre autour de sa petite orbite, concentrique à celle du soleil, devait produire, pour les habitants de la terre, le phénomène de la variation de vitesse de ce mème astre; car, par un effet de parallaxe facile à concevoir, cette révolution de la terre devait produire, pour ses habitants, pendant une demi-révolution une accélération apparente du mouvement du soleil d’occident en orient, et pendant l’autre demi-révolution un ralentissement apparent de ce mème mouvement, supposé uniforme. Ainsi, pourvu que le rapport entre les rayons des orbites concentriques du soleil et de la terre fut convenableiment établi, et que les époques des passages de la terre au périhélie et à l’aphélie de sa petite orbite fussent placées aux saisons convenables, cette hypothèse pouvait fournir une représentation passable des phénomènes particuliers qu’elle était destinée à expliquer isolément; c’est-à-dire que, suivant l’expression d’Héraclide, l’anomalie du soleil était sauvée par ce petit mouvement de traslation donné à la terre, comme elle aurait pu être sauvée sans cela par un petit mouvement qu’ on aurait ajouté au mouvement principal du soleil».
44. Fin qui H. Matin. Ma contro questa elaborata spiegazione si elevano insuperabili difficoltà. In primo luogo chi potrà ammettere, che l’operazione del togliere al Sole la suapiccola anomalia di periodo annuale, si possa esprimere dicendo che il Sole è messo en repos d’une certaine facǫn? Del moversi infiniti sono i modi: un solo è il modo di riposare e di essere immobile. Quando Eraclide dice di supporre fermo il Sole, bisogna credere lo supponga fermo in modo tale, da non lasciarlo muovere nè in questo, nè in quel modo. La ripetizione della particella πως dopo il μένοντος è un pleonasmo aggiunto per arrotondare la frase, e darle maggior efficacia; così l’hanno intesa il Wyttenbach, il Boeckh ed il Bergk, i quali si son contentati di fermare il Sole assolutamente e semplicemente, e così dobbiamo fare anche noi.
In secondo luogo pare una singolar contraddizione, che del Sole, il quale percorre un vasto circolo nell’ipotesi del Martin, si dica che sta in riposo, mentre della Terra, che ne percorre uno tanto più piccolo (24 volte più piccolo calcolando su i dati d’Ipparco), si dice che si muove.
Una terza difficoltà sta in questo, che secondo la detta ipotesi non solamente il Sole, ma anche la Terra circola intorno al centro dell’universo, dove nulla esiste. Nulla al centro dell’universo! Era la più grande assurdità che in quel tempo potesse concepirsi dalla mente di un fisico; nè, per quanto mi e noto, alcuno mai la propose dei filosofi e cosmologi antichi, ne prima di Eraclide, nè poi. V’ha di più: all’epoca d’Eraclide nessuno era giunto al concetto di far girare un astro qualunque (e la Terra meno ancora) intorno ad un punto geometrico privo di naturale contrassegno; tale concetto doveva da un fisico esser riputato impossibile, e non se ne trova infatti nè allora, nè prima alcun vestigio, per quanto mi è noto. Come già si ebbe occasione di accennare, il moto negli eccentri e negli epicicli considerati come pura forma astratta d’ipotesi geometrica non fu inventato che più tardi, e non se ne ha menzione prima di Apollonio.
Da ultimo si permetta ad un matematico di osservare, che l’ipotesi attribuita dal Martin ad Eraclide, come capace di salvare l’anomalia periodica annuale del Sole, non può raggiungere questo effetto in alcun modo. Infatti è agevole persuadersi, che in tale ipotesi il periodo della restituzione d’anomalia, invece che d’un anno, è di soli sei mesi; che le stagioni non saranno già tutte disuguali fra loro, quali le avevano osservate Eutemone e Callippo25; ma che l’estate sarà sempre eguale in durata all’inverno, e l’autunno alla primavera.
45. Per queste ragioni essendo impossibile accogliere tutte le idee proposte dal Martin, vediamo almeno se si possa salvare, la parte accettabile delle medesime; vediamo cioè se, ravvisando sempre nella περὶ τὸν ἥλιον ἀνωμαλία l’irregolarità del corso solare scoperta da Eutemone, sia possibile conservare alle parole di Eraclide Pontico un senso ragionevole. Abbiamo mostrato che colle parole τοῦ ἡλίου μένοντος Eraclide non ha potuto intendere altro che la quiete assoluta del Sole, escludendo qualsiasi specie di moto. Posta questa base inconcussa e supposto che nella Terra si debba ammettere, come è detto chiaramente, un qualche moto; questo dovrà soddisfare alle condizioni universalmente ammesse in tutte le ipotesi astronomiche dell’antichità fino a Tolomeo; cioè non potrà essere altro che un moto circolare uniforme, od un composto di moti circolari uniformi. Con un moto circolare uniforme si spiegherebbe il corso uniforme annuo del Sole lungo lo Zodiaco quale lo ammetteva ancora Eudosso, e molto probabilmente anche Platone; ma nulla si spiegherebbe dell’anomalia. Dunque o siamo costretti a supporre che il moto della Terra si faccia uniformemente sopra un circolo eccentrico rispetto al Sole, o dobbiamo ricorrere ad un epiciclo, adottando così una delle due ipotesi studiate da Ipparco; colla differenza però, che nel caso presente le parti sono rovesciate, il Sole essendo supposto fisso, e la Terra girante intorno ad esso nell’eccentro o nell’epiciclo. Ora questa che cos’altro sarebbe se non la base fondamentale dell’ipotesi copernicana? La quale dunque anche in questo modo dovremmo trovare nelle parole di Eraclide. Non è tuttavia a dissimulare, che contro l’ipotesi così ottenuta, sorge la consueta difficoltà di attribuire ad Eraclide il concetto della circolazione degli astri intorno a punti ideali: difficoltà che a me pare gravissima (§§ 3, 10). Che se ad alcuno tale difficoltà non sembrasse insuperabile, per lui la conclusione ultima finirebbe coll’essere la medesima, a cui si arriva nella presente memoria per via molto diversa.
46. Considerando infatti, essere incertissimo che Eraclide Pontico conoscesse ed approvasse la piccola anomalia del corso solare, eviteremo tutte le precedenti difficoltà e contraddizioni notando che il discorso immediatamente precedente di Gemino versa sui pianeti, e forse ancora un’allusione ai medesimi è contenuta nell’enigmatico παρελθών τις26; onde risulta naturale che ai pianeti pure debba riferirsi l’estratto, che subito vien dopo, di Eraclide Pontico. Per noi dunque l’anomalia relativa al Sole, περὶ τὸν ἥλιον ἀνωμαλία, a cui qui si accenna, è quella che Tolomeo ed Ipparco nell’Almagesto sogliono denominare talvolta ἡ πρὸς τὸν ἥλιον ἀνωμαλία, tal’altra ἡ παρὰ τὸν ἥλιον ἀνωμαλία27; cioè quella grande ineguaglianza dei moti planetari apparenti, che sola era conosciuta ai tempi di Eraclide Pontico, e che si manifesta principalmente colle stazioni e colle retrogradazioni. Questa anomalia si produce simmetricamente nelle identiche distanze apparenti od elongazioni di un pianeta dal Sole, a destra e a sinistra di esso; onde l’espressione περὶ τὸν ἥλιον si trova perfettamente giustificata, mentre Ipparco e Tolomeo, considerando la relazione di essa col Sole in modo più generale, preferirono di dire παρὰ τὸν ἥλιον o πρὸς τὸν ἥλιον. — Ne concludiamo, che ai tempi di Alessandro Macedone, se non forse qualche anno prima, la possibilità di spiegare le ambagi dei movimenti planetari per mezzo del moto della Terra intorno al Sole supposto fisso era già conosciuta da quel medesimo Eraclide Pontico, che ammetteva la rotazione diurna della Terra, ed il moto eliocentrico di Mercurio e di Venere; e forse fu da lui non solo conosciuta, ma anche da lui stesso scoperta. In tal modo le tre opinioni a lui attribuite, della rotazione della Terra, del moto di Mercurio e di Venere intorno al Sole, e della possibilità di spiegare le anomalie planetarie col moto eliocentrico della Terra, non apparirebbero più come isolate, ma si presenterebbero come parti integranti ed armoniche di un medesimo sistema; la cui invenzione basterebbe a classificare Eraclide Pontico fra i più grandi e più conseguenti pensatori di tutti i tempi e di tutti i paesi.
47. L’unica difficoltà che qui alcuno potrebbe opporre consiste in questo: che i pianeti non sono nominati esplicitamente nelle parole attribuite ad Eraclide. Su tale riguardo bisogna osservare il modo speciale con cui egli introduce in scena il moto della Terra, e la quiete del Sole. Egli dice ὅτι καὶ κινουμένης πως τῆς γῆς, τοῦ δ´ἡλίου μένοντός πως κ. τ. λ. ... che anche facendo muovere la Terra in un certo modo... Dove per spiegare l’addizione della parola anche bisogna supporre, che nel discorso antecedente Eraclide avesse già parlato di un altro modo di spiegare il medesimo fenomeno (probabilmente del modo di Eudosso od anche del sistema detto oggi di Ticone). La natura di questo fenomeno doveva quindi già chiaramente risultare dal discorso anteriore; e non era necessario ad Eraclide dirne più di quanto ha detto. La nostra disgrazia è, che Gemino sia stato così parco nella sua citazione, e non ci abbia posto innanzi tanta parte del discorso di Eraclide, quanta occorreva al nostro bisogno. Ma certamente egli credette aver provveduto abbastanza alla chiarezza del discorso col nominare i pianeti nella linea che immediatamente precede la citazione da lui fatta d’Eraclide Pontico; mentre tre altre linee più sopra accenna per conto proprio all’anomalia loro, indicando che se ne può render ragione cogli eccentri e cogli epicicli, ed aggiunge, che di tutte le ipotesi capaci di spiegarla bisogna tener conto, anche di quella riferita da Eraclide. Veggasi tutto il discorso nel suo complesso, quale testualmente è riferito nella appendice al fine di questa memoria. — Del resto è palese, che l’obbiezione indicata non avrebbe più ragione di essere, quando realmente nella frase enigmatica παρελθών τις si contenesse un’allusione ai pianeti, e si avesse a leggere invece περὶ τούτων o alcunchè di simile, siccome è stato indicato nel § 40.
48. Dopo tutta questa discussione non mi sembra più possibile dubitare, che nelle parole di Eraclide sia contenuta l’idea fondamentale di Copernico, e questa non solo, ma anche la ragione per cui essa potè presentarsi come plausibile a quegli antichi pensatori; la facilità cioè con cui essa dà conto della principale anomalia dei movimenti planetari. Perchè poi Eraclide l’abbia considerata soltanto come plausibile e non abbia voluto adottarla definitivamente, a noi non è più possibile di sapere, in tanta povertà di notizie su tutto quello che lo riguarda. Una questione tuttavia non sarà inutile esaminare alla luce delle nuove nozioni acquistate. Eraclide poneva il Sole nel centro dei movimenti di Mercurio e di Venere: aveva egli esteso o no tale teoria ai pianeti superiori?
Di tal questione si è occupato F. Hultsch in una sua recente memoria sulle idee astronomiche di Eraclide Pontico28, e l’ha risoluta negativamente, esprimendo l’opinione che per Eraclide centro del moto dei pianeti superiori fosso ancora, come per Platone, la Terra. Egli appoggia tale opinione dicendo, che in quel tempo già per Marte (a non parlare di Giove e di Saturno) dovea esser molto difficile agli astronomi greci l’avvedersi che la sua circolazione si fa, non intorno alla Terra, ma intorno al Sole. Ma su questo punto abbiamo la positiva attestazione di Eudemo, trasmessaci da Simplicio29, da cui appare, che appunto le grandi variazioni della distanza di Marte dalla Terra, dedotte dalle variazioni del suo splendore apparente, costituivano già in quel tempo un argomento riputato invincibile contro il sistema delle sfere omocentriche.
49. Del resto, non solamente le variazioni delle distanze dei pianeti si trattava di spiegare: c’era anche l’anomalia principale, ἡ περὶ τὸν ἥλιον ἀνωμαλία, di cui Eraclide Pontico ben conosceva l’esistenza e sapeva potersi render conto colla costruzione che oggi si chiama sistema di Copernico. Ora a questa cognizione non si potè arrivare in quel tempo se non passando per l’altra costruzione, che oggi chiamiamo sistema di Ticone; dove il Sole, pur aggirandosi intorno alla Terra, è tuttavia centro di tutte e cinque le orbite dei minori pianeti. Eraclide pertanto non poteva ignorare che anche quest’altra costruzione bastava a spiegare la περὶ τὸν ἥλιον ἀνωμαλία. Non pare credibile, che essendo in possesso di questa nozione, ne respingesse volontariamente l’applicazione ai pianeti superiori, limitandosi a riconoscerla per i due inferiori; e si contentasse, per i superiori, dello schema informe di Platone. Io credo anzi probabile che il sistema di Eraclide Pontico fosse semplicemente quello di Ticone; anzi più perfetto che quello di Ticone in ciò, che Eraclide ammetteva la rotazione della Terra, mentre Ticone la respingeva.
50. La sola obbiezione che si possa fare a tal modo di vedere è, che degli scrittori, i quali ci hanno trasmesso qualche cenno del sistema di Eraclide30 nessuno fa parola della applicazione del moto eliocentrico ai pianeti superiori; anzi Calcidio parla soltanto di Venere, e tace di Mercurio. Io farò osservare che nel sistema ticonico le orbite dei pianeti superiori avviluppano la Terra come in qualsiasi altro sistema geocentrico. Che poi i circoli da loro descritti fossero eccentrici, era una nozione già troppo speciale perchè scrittori di quel genere avessero a farsene carico. Il solo Adrasto avrebbe potuto trovar opportuno di esporre le cose con qualche precisione. Ed infatti egli non tace dell’ipotesi degli eccentri mobili, che i pianeti superiori descrivono nel sistema ticonico; soltanto lo fa in modo confuso e disordinato, e sembra che egli stesso non ne avesse notizia precisa e completa. Inoltre il suo compendio di astronomia non ci pervenne intiero, ma in molti luoghi mutilato da Teone Smirneo. Ambidue poi, Adrasto e Teone, potevano avere le loro buone ragioni per non far conto alcuno delle ipotesi eraclidee circa i pianeti superiori. L’uno e l’altro erano fautori dell’ipotesi delle sfere cave concentriche all’universo, portanti nella loro grossezza una sferetta solida destinata a funzionare come epiciclo. Ora se per i due pianeti inferiori il sistema ticonico può adattarsi benissimo all’ipotesi suddetta, come Teone dimostra sulla falsariga di Adrasto31; lo stesso non si può dire dei tre superiori, per i quali tale adattamento è impossibile. Infatti nel sistema ticonico possono due pianeti diversi arrivare alla medesima distanza dalla Terra; e questo può avvenire per Marte e per Venere, per Marte e per Mercurio, per Marte e pel Sole. Da ciò segue, che la sfera cava, in cui secondo Teone ed Adrasto son contenuti i globi (ed epicicli) del Sole, di Mercurio e di Venere, parzialmente viene a compenetrarsi con la sfera cava di Marte. Tale impossibilità di adattare l’ipotesi di Eraclide Pontico alla teoria delle sfere solide fu probabilmente uno degli ostacoli, che già di buon’ora soffocarono l’idea di desumere dagli eccentri mobili centrati sul Sole la spiegazione delle anomalie per i pianeti superiori.
Note
- ↑ Tanto recondita, che fino agli ultimi tempi è passata inavvertita o non bene intesa anche dai più acuti indagatori di questa parte della storia scientifica. Veggansi a tale proposito le significanti osservazioni di H. Martin sugli eccentri di Adrasto nelle note alla sua edizione di Teone Smirneo, pp. 111, 114, 119, 125, e principalmente p. 379, dove Adrasto è accusato d’essere, ma a torto. Gli effetti da lui descritti sarebbero falsi, se si trattasse di eccentri fissi; ma Adrasto parla di eccentri mobili; e per questi sono verissime le sue affermazioni.
- ↑ Simplicii, Commentaria in Aristotelis libros physicae auscultationis. Venetiis, in aedibus aldi. 1526, p. 65. — Brandis, Scholia in Aristotem. ed. Regia Academia Borussica, p. 348.
- ↑ Danielis Wyttenbachh, Adnotatio ad Bakii librum de Posidonio, presso Bake, Posidonii Rhodii reliquiae, Lugd. Batav. 1810, p. 272.
- ↑ Dissertatio de Heraclide Pontico, p. 176. Lovanii, 1830.
- ↑ Die kosmische Systeme der Griechen, p. 134. Berlin, 1851.
- ↑ Untersuchungen ueber das kosmische System des Platon. Berlin, 1852, pp. 137 e seguenti.
- ↑ Osserva del resto il Boeckh che il nome poteva benissimo esser stato dato da Eraclide, e soppresso da Gemino come poco rilevante allo scopo della citazione. Kosm. System des Platon, p. 140.
- ↑ Cicero, ad Atticum, XIII, 19; ad Quintum fratrem, III, 5.
- ↑ Bergk, Fünf Abhandlungen zur Geschichte der Griechischen Philosophie und Astronomie. Leipzig, 1883, p. 149.
- ↑ Fra tutte queste emendazioni più o meno plausibili ve n’è una, che si presenta come abbastanza naturale, e merita una certa attenzione. Consisterebbe nel surrogare alle parole παρελθών τις queste altre: Πλάτων, ὡς: in modo da far dire Gemino... Διὸ καὶ Πλάτων, ὡς φησὶν Ἡρακλείδης ὁ Ποντικὸς, ἔλεγεν ὅτι... In questo modo si potrebbe dunque far risalire a Platone l’idea di mettere il Sole immobile al centro dell’orbita terrestre; e si otterrebbe un’interessante spiegazione dei due passi di Plutarco (Numa, XI: Platon. Quaestionum, VIII), dove si narra sull’autorità di Teofrasto (vedi sopra la nota 2 a p. 118), che Platone nei suoi ultimi anni opinasse, il luogo centrale dell’universo, come più distinto, dover essere occupato non dalla Terra, ma da qualche cosa più nobile, ἑτέρῳ τινὶ κρείττονι. La cosa più nobile sarebbe dunque, non il fuoco centrale, come parrebbe naturale di supporre, ma il Sole. Tale interpretazione si adduce qui come degna di ulteriore studio, non come base di deduzioni storiche, le quali sarebbero troppo importanti in questo caso, per affidarle a così piccolo e labile fondamento.
- ↑ Simplicii in Aristotelis Physicorum libros edidit Hermannus Diels, consilio et auctoritate Academiae literarum Regiae Borussicae. Berlino, 1882, p. 292.
- ↑ Virum Doctum lo chiama Cicerone, De Divinatione, I, 23; Virium doctum in primis nelle Tusc. Disput. V, 3. Vedi altresì qui sopra la nota 5, a p. 154.
- ↑ Plutarchi, Non posse suaviter vivi secundum Epicurum, c. 2.
- ↑ Vedi l’Appendice, dove si può studiare la connessione di questo difficile passo con quello che precede e con quello che segue.
- ↑ Posidonii Rhodi, Reliquiae; ed. Janus Bake, p. 272.
- ↑ Dissertatio de Heraclide Pontico, p. 176.
- ↑ Die kosmische Systeme der Griechen, p. 134.
- ↑ Vedi in principio l’esposizione del sistema di Eraclide.
- ↑ Non completa, perchè la rotazione diurna apparente del Sole non segue sempre un parallelo celeste, a causa del moto in declinazione.
- ↑ Leber das kosmische System des Platon, pp. 135-140.
- ↑ Fünf Abhandlungen, etc., p. 151.
- ↑ Vedi per questo le mie Sfere omocentriche d’Eudosso, ecc., pp. 82-84 del presente tomo.
- ↑ Mémoires de l’Academie des inscriptions et belles-lettres, tome XXX, 2e partie.
- ↑ Vedi su ciò la testimonianza di Cicerone nella nota 5, a p. 154.
- ↑ I particolari concernenti le durate delle stagioni secondo Eutemone e Callippo possono vedersi nelle mie Sfere omocentriche d’Eudosso, ecc., p. 83 del presente tomo.
- ↑ Vedi l’ultima variante nel § 40.
- ↑ Pel primo modo di designazione (πρὸς τὸν ἥλιον) vedi Almag. IX, 2 e X, 6. (Halma, vol. II, pp. 117, 118, 211). Pel secondo modo (παρὰ τὸν ἥλιον) vedi Almag. XII, 1. (Halma. II, pp. 312 e 313). In un altro luogo si ha invece l’uno e l’altro modo combinati insieme: παρὰ τοὺς πρὸς τὸν ἥλιον σχηματισμοὺς: Almag. IV, 5. (Halma, II, p. 156).
- ↑ F. Hultsch, Das astronomische System des Herakleides von Pontos, Neue Jahrhücher für Philologie, etc., 1896, Parte I, p. 306.
- ↑ Vedi Sfere omocentriche d’Eudosso, Appendice II, § 14.
- ↑ Questi scrittori sono: Vitruvio, De Architectura, IX, 4; Teone Smirneo, De Astronomia, ed. Martin, pp. 296 e 297; Macrobio, Comm. in Somn. Scip. I, 19; Marziano Capella, De nuptiis Philol. et Mercurii, lib. VIII; Calcidio, Comm. in Timaeum Platonis, c. 109. Inoltre in un passo di Plutarco, De animae procreatione in Timaeo, c. 32, si mettono il Sole, Mercurio e Venere alla medesima distanza dalla Terra; nel che potrebbesi forse scorgere un’allusione al sistema d’Eraclide Pontico. Una più tardiva allusione si trova presso Beda, Elem. Philos. nelle opere di questo scrittore stampate a Colonia, 1612, vol. II, p. 216.
- ↑ Astronomia, ed. Martin, pp. 296-299.