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156 origine del sistema planetario eliocentrico

40. Veniamo adesso all’altra lezione, che sopra (§ 38) abbiam detto esser proposta per il nostro testo. Fin dal 1882 il ch. Diels, che recentemente di nuovo pubblicò il commento di Simplicio in Aristotelis Physicorum libros per incarico dell’Accademia Reale di Berlino1, e cortesemente volle prendere interesse a questi miei studi, mi avvertì per lettera, che nei migliori codici posti per base della nuova edizione manca la parola ἔλεγεν; leggendosi dunque soltanto Διὸ καὶ παρελθών τις φησὶν Ἡρακλείδης ὁ Ποντικὸς ὅτι καὶ κινουμένης τῆς γῆς κ.τ.λ. In questa nuova costruzione Eraclide Pontico sarebbe indicato direttamente come autore dell’ipotesi riferita nelle linee che vengon dopo, e cesserebbe su questo punto quel dubbio, che rimaneva adottando l’altra lezione. Ma le parole παρελθών τις diventano allora vieppiù enigmatiche. Il senso letterale, che così si ottiene... Perciò un tal Eraclide Pontico si fa innanzi a dire, che anche col far muovere la Terra, etc è addirittura assurdo. Come ammettere infatti, che uno storico delle scienze qual fu Gemino abbia potuto scrivere quel τις e dire un tale Eraclide Pontico di un filosofo celebre in tutta l’antichità, che Cicerone, contemporaneo di Gemino, stimava altamente e leggeva2, che da Plutarco era messo alla pari con Aristotele, Socrate, Pitagora, Protagora, Teofrasto ed Ipparco? Non potè certamente Gemino aver ignorato la fama del Pontico; se mai è vero, che gli abbia applicato il τις, ciò non ha potuto essere che in segno di profondo disprezzo. Io non so rassegnarmi ad affermare una simile conclusione. Qui

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    e si otterrebbe un’interessante spiegazione dei due passi di Plutarco (Numa, XI: Platon. Quaestioinunm VIII), dove si narra sull’autorità di Teofrasto (vedi sopra la nota 2 a p. 118), che Platone nei suoi ultimi anni opinasse, il luogo centrale dell’universo, come più distinto, dover essere occupato non dalla Terra, ma da qualche cosa più nobile, ἑτέρῳ τινὶ κρείττονι. La cosa più nobile sarebbe dunque, non il fuoco centrale, come parrebbe naturale di supporre, ma il Sole. Tale interpretazione si adduce qui come degna di ulteriore studio, non come base di deduzioni storiche, le quali sarebbero troppo importanti in questo caso, per affidarle a così piccolo e labile fondamento.

  1. Virum Doctum lo chiama Cicerone, De Divinatione, I, 23; Virium doctum in primis nelle Tusc. Disput. V, 3. Vedi altresì qui sopra la nota 5, a p. 154.
  2. Plutarchi, Non posse suaviter vivi secundum Epicurum, c. 2.
  3. Simplicii in Aristotelis Physicorum libros edidil Hermannus Diels, consilio et auctoritate Academiae literarum Regiae Borussicae. Berlino, 1882, p. 292.