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presso i greci 153

dice: «che col rappresentarla per mezzo di eccentrici o di epicicli (che è il problema dell’astronomo) non è ancora fatto tutto; ma rimane il problema del fisico; di scegliere cioè, fra le ipotesi capaci di spiegare i movimenti, quella che si accorda colla dottrina fisica del mondo. Quindi, essere indifferente all’astronomo di sapere ciò che è fisso e ciò che si muove; esser per lui plausibile ogni ipotesi che rappresenti bene le apparenze, fosse anche quella indicata da Eraclide di Pontico, secondo cui l’anomalia dei pianeti rispetto al Sole può essere spiegata col moto della Terra intorno al Sole supposto fisso. L’astronomo poi essere obbligato di ricorrere al fisico per i principi delle sue ricerche; per sapere, ad esempio, che i movimenti degli astri sono semplici, regolarmente ordinati, e circolari; gli uni secondo paralleli all’equatore, gli altri secondo circoli obliqui rispetto a questo».

38. Il passo d’Eraclide, di cui il senso generale è stato indicato in caratteri italici, ha forma di citazione testuale, e secondo la diversità dei codici e delle edizioni presenta due lezioni diverse, fra le quali la scelta è assai difficile, e non senza qualche influenza sul significato storico che ne deriva. L’edizione aldina di Simplicio e la raccolta degli scoli aristotelici del Brandisnota, con le quali si accordano anche alcuni codici, hanno la seguente lezione, che ha servito di base a tutte le discussioni sino ad oggi fatte sul presente argomento: Διὸ καὶ παρελθών τις φησὶν Ἡρακλείδης ὁ Ποντικὸς ἔλεγεν ὅτι καὶ κινουμένης πως τῆς γῆς, τοῦ δ´ ἡλίου μένοντός πως, δύναται ἡ περὶ τὸν ἥλιον φαινομένη ἀνωμαλία σώζεσθαι . Cioè letteralmente: E perciò si fece innanzi qualcuno, dice Eraclide Pontico, a mostrare: che anche facendo muovere la Terra in un certo modo e star fermo il Sole, è possibile spiegare l’anomalia che si manifesta relativamente al Sole. Lasciando per ora in aperto l’interpretazione delle parole attribuite ad Eraclide, dobbiamo dapprima considerare la frase introduttiva Διὸ καὶ παρελθών τις φησὶν Ἡρακλείδης ὁ Ποντικὸς ἔλεγεν ὅτι κ. τ. λ.. Qui la prima difficoltà sta nell’espressione παρελθών τις, intorno alla quale molto si è disputato. Secondo il Wyttenbachnota essa 1 2

  1. Simplicii, Commentaria in Aristotelis libros physicae auscultatione Venetiis, in aedibus aldi. 1526, p. 65. — Brandis, Scholia in Aristotem. ed. Regia Academia Borussica, p. 348.
  2. Danielis Wyttenbachh Adnotatio ad Bakii librumde Posidonio, presso Bake, Posidonii Rhodii Reliquiae, Lugd. Batav. 1810, p. 272.