Risposta dell'ingegner Giovanni Milani al dottore Carlo Cattaneo/Parte V

Parte V

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V.

Pag. 11. 12, 16, 33, 34, 35, 36, 37,65.

Il ponte di Venezia averlo io copiato netto da quello dell’ingegnere signor Meduna, e senza alcuna menzione di proprietà. Poche cose avervi aggiunto, e le aggiunte esser follie. Egli, egli il dottore Cattaneo, suggerire le vere aggiunte e mutazioni da farvi per migliorarlo.

In fine non esser io che l’ingegnere dei progetti di dettaglio, dirlo l’introduzione posta in fronte alla stampa degli atti officiali dell’adunanza degli azionisti del 21 agosto 1837. Temer io che si sorprenda, in caso di guerra, Venezia pel ponte della Laguna rettilineo, lungo due miglia, posto in mezzo di una fortezza, dietro il Forte di Marghera e le batterie di S. Giuliano, di S. Secondo, in vista di tutti i grandi canali, dei legni che li guardano, delle case di Venezia, dei campanili della città; e per più, credere che a questa sorpresa non possa fare scudo che quel giocattolo del ponte girevole.

82. La Francia studia da più anni una legge sulla proprietà letteraria. Gli uomini più distinti per mente, per istudio, per lunga esperienza, per ingegno vi presero parte. Mossero dalla equità naturale, dalle verità elementari, ma dopo molta fatica, smarriti tra le oscurità del passato e le incertezze del presente, non poterono ancora porsi d’accordo1 In Italia il dottore Carlo Cattaneo, senza andar tanto per le lunghe, ne ha improvvisata una da sè e a modo suo. È cosa nuova, è cosa propria tutto quello che un uomo prende dall’immenso viluppo del sapere umano, come lo chiama Mazzoldi, una delle viventi glorie d’Italia 2. [p. 22 modifica]83.° La legge del dottore Cattaneo è ad uso suo non solo, ma anche ad uso d’altri, ben intesi però che pegli altri la proprietà sia decretata da lui. Se quegli a cui egli ha decretata una proprietà letteraria trova ingiusto il decreto, tace, non l'accetta, non importa; egli vuole che sia di lui ad ogni costo, e scende in campo per sostenerlo, campione non richiesto e sdegnoso, purché questo gli offra pretesto di dar del plagiario a me.

84° L’ingegnere signor Tomaso Meduna ha fatto un progetto per un ponte attraverso alla Laguna veneta: uno ne ho fatto anch’io. Quello del signor Meduna porta la data del 10 settembre 1836) di questo ne parlò il dottore Cattaneo nell’anno 1836, nel secondo volume degli Annali di Statistica e ciò che avea detto negli Annali di Statistica lo ha poi ripetuto, verso la fine dell’anno 1837 nel Cosmorama Pittorico perchè il pubblico si risolvesse di leggerlo.

85.° Il mio progetto è compiuto fino dal luglio 1838. Fu presentato a Sua Maestà nel settembre; rimase più mesi nelle mani delle Commissioni veneta e lombarda; venne esaminato ed approvato dalla Commissione veneta, da tutti gli aulici dicasteri tecnici, civili e militari. Ora è depositato presso il regio Governo di Venezia: fu reso pubblico colle stampe fino dall’ottobre 1840, e l’ingegnere signor Meduna lo conosce perfettamente.

86.° Il signor ingegnere Meduna poteva dunque reclamare da sè la proprietà del progetto mio, se egli avesse ritrovato che il progetto mio fosse una copia del suo. Non lo ha fatto, e, per quanto risulta, non ha nemmeno incaricato il dottore Carlo Cattaneo di farlo per lui. Se questo fosse, il dottore Carlo Cattaneo non avrebbe sicuramente ommesso di dirlo, perchè sarebbe stato un bell’appoggio alle sue fandonie avere per sè il giudizio e la domanda dell’autore.

Ma, come dissi, purché si tratti di criticar me, purché si tratti di aver un pretesto mediante il quale poter dare del plagiario a me, il dottore Cattaneo loda tutti, dispensa generosamente proprietà a tutti, e si fa di tutti avvocato spontaneo: quindi grida e sostiene gratuitamente che il mio progetto del ponte di Venezia è una copia netta di quello dell’ingegnere signor Meduna.

87.° Prima di rispondergli giova conoscere perchè e come sia nato questo progetto dell’ingegnere signor Meduna, se sia stato approvato o no, cosa sia corso tra la Direzione, il dottore Cattaneo e me in proposito di esso, e di quella frase che il dottore Cattaneo si fa sollecito di ripetere alla pagina 16 del suo scritto, affidata la redazione del progetto di dettaglio è successiva direzione del lavoro all’ingegnere Milani, scritta nella prefazione del fascicolo stampato dalla sezione veneta sotto il titolo: Strada ferrata da Venezia a Milano.

88.° Come ormai si sa da tutti, il pensiero di costruire una strada a guide di ferro da Venezia a Milano sorse a Venezia. La Commissione fondatrice veneta invitò il commercio di Milano ad associarvisi fino dal 9. febbraio 1836. Milano esitò: il primo scritto di adesione è del 26 aprile 1836; il primo atto di adesione, il congresso di Verona del 26 maggio 1836.

89.° Intanto, il 29 aprile 1836, la Commissione fondatrice veneta si rivolse a Sua Maestà supplicando il privilegio per una strada a guide di ferro da Venezia a Milano. In quella supplica si parla della linea in genere, nè si fa alcun cenno esplicito del passaggio attraverso alla Laguna veneta.

[p. 23 modifica]90.° La Commissione fondatrice veneta, per molte buone ragioni, desiderava un ponte di struttura murale; nel congressso di Verona, del 26 maggio 1836, la Commissione fondatrice lombarda stentava ad aderirvi temendo la spesa. La prima proposta fu che si facesse, ma per due terzi del di lui importo a carico della città di Venezia, e per un terzo a carico della Società: la seconda, che si facesse pure a tutto carico della Società, semprechè il costo non fosse maggiore di quattro milioni di lire austriache.

91.° Allora la Commissione mista lombardo-veneta presentò, il 17 giugno 1836, una nuova supplica a S. E. il ministro dell’interno, così concludendo, circa al passaggio della Laguna:

«Quanto però al modo di comunicazione da Venezia alla terraferma, la Commissione mista lombardo-veneta si permetterebbe invocare dalla sovrana clemenza, che il privilegio fosse operativo, sia che vi si provveda colla costruzione di un ponte sulla laguna da s. Giuliano a Venezia, quanto con altri mezzi di trasporto sull’acqua allorché la società si trovasse forzata a preferirli, soltanto quando ulteriori ispezioni d’arte facessero presumere una spesa maggiore di quattro milioni, spesa che sbilancerebbe quel necessario equilibrio che debbe trovarsi fra il dispendio e l’utile dell’opera ravvisata nei complessivi di lei rapporti.3

92.° Importava dunque alla Commissione fondatrice veneta dimostrare che il ponte della Laguna, di struttura murale, non poteva costare di più di quattro milioni di lire austr.

Commise quindi all’ingegnere signor Tomaso Meduna di farne un progetto, ed egli lo fece, esponendo che il ponte intero ed una vasta ed elegante fabbrica costruita in mezzo di esso per dar ricovero, nel caso di repentine pioggie, alle macchine locomotive ed a tutto il traino, costerebbe anche meno di quattro milioni, costerebbe soltanto L. A. 3,604,900.56 cioè il ponte e la fabbrica di ricovero.... Lire 2,594,377.96

le guide di ferro» 75o,522.60

il ponte levatoio» 260,000.00

Lire 3,604,900.56

93.° La Commissione fondatrice veneta innalzò il progetto dell’ingegnere signor Meduna a Sua Maestà, e Sua Maestà lo rimise all’esame degli aulici dicasteri tecnici.

Il supremo Consiglio aulico di guerra lo disapprovò, disapprovò anzi in massima ogni ponte di struttura murale attraverso alla Laguna veneta; il che era ben d’attendersi, perchè la posizione del ponte non essendo determinata nel progetto Meduna, come vedremo in seguito, non si sapeva come il forte di Marghera e le batterie di s. Giuliano e di s. Secondo avrebbero potuto proteggerlo: concluse, che non si dovesse permettere che un ponte di legno senza selciatura, condotto attraverso il forte di Marghera e le opere di s. Secondo e di s. Giuliano, con ponti levatoj ad ogni suo incontro, con un luogo fortificato4. [p. 24 modifica]Questa aulica decisione, che è del 3 maggio 1837, venne comunicata alla Commissione fondatrice veneta, restituendole il progetto Meduna.

Ecco la storia del progetto Meduna e dell’esito che ottenne.

94.° Per la linea della strada di ferro da Venezia a Milano si erano già divulgati nel pubblico, dal gennaio 1836 al marzo 1837, quattro pensieri senza aver premesso alcuno studio statistico, senza aver fatto alcuno studio, alcun esame, alcun rilievo del terreno.

Si parlò prima (come dissi al paragrafo 36.°) di andar quasi dritti da Venezia a Milano per Cologna, Pozzolo e Leno, passando tra i colli Berici ed Euganei, ed annodando alla linea principale, con sette diramazioni, le sette città di Padova, Vicenza, Mantova, Verona, Brescia, Cremona, Bergamo.

Sorse poscia il miglior pensiero, quello di riunire direttamente le sei città principali, Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Brescia, Milano.

Indi l’altro di correre la zona bassa del regno per Monselice, Este, Legnago, Mantova, Piadena, Cremona, Lodi, Milano.

Finalmente il quarto, che partecipava del secondo e del terzo, cioè quello di giungere a Verona pel cammino di Padova e di Vicenza, scendere da Verona a Mantova, ed andar da Mantova a Milano per Cremona e Lodi.

95.° Così parlando intempestivamente di quello di cui si doveva parlare per ultimo, tutte le città del Regno lombardo-veneto da Venezia a Milano erano state condotte nella speranza, e quindi nel desiderio, di ritrovarsi sulla linea principale della strada di ferro, o di aver almeno una diramazione a sé; così si eccitarono le non mai spente emulazioni delle città italiane; cosi gli interessi particolari si collegarono per combattere anche contro l’interesse pubblico, se fosse per occorrere.

96.° In mezzo a questo si volle conoscere anche qualche cosa della spesa, ma in via d’avviso, senza esame del terreno, senza visita dei luoghi, senza spese in rilievi geodetici.

La Commissione fondatrice veneta ne richiese l’ingegnere signor Campilanzi, distinto amico mio. Egli, da uomo d’onore, dotto nell’arte sua come è, disse:

che quei quattro pensieri non erano che quattro ipotesi; strinse i suoi calcoli sulla linea retta colle diramazioni, e su quella che riuniva le sei città, ricordando che questa dovevasi preferire a quella, ma a patto di evitare i colli del lago, se non si voleva far danno all’impresa5; mostrò che per quei calcoli d’avviso

la strada breve colla diramazione costerebbe lire 59,905,000 (preventivo 31 marzo 1837), e quella delle sei città, lire 55,160,000, rammentando che avea fondato le sue induzioni sulla carta topografica generale del regno 6., che si trattava di stime di semplice avviso7, di uno studio preliminare di massima, di una traccia d’avviso8 [p. 25 modifica]97.° Più tardi, nel marzo 1837, la Commissione fondatrice lombarda chiese anch’essa, sopra la linea da seguirsi colla strada, il parere dell’ingegnere signor Francesco Brioschi.

Lo diede, inclinando per la quarta, per quella di Milano, Lodi, Cremona, Mantova, Verona, Vicenza, Padova, Mestre, Venezia; ma anch’egli dichiarando francamente che aveva limitato i suoi studi sulle mappe e profili di livellazione favoritigli dagli II. RR. Uffici, dall’Istituto Geografico e dalla Direzione generale delle pubbliche costruzioni9, e che quanto al terreno lo avea percorso soltanto durante il di lui viaggio per Venezia, come gli era stato ordinato10; concludendo che credeva di aver detto a sufficienza nell’argomento quando si volesse riflettere che non aveva avuto altra guida che la sola oculare ispezione11

E questo é tutto il lavoro eseguito per ordine della Commissione fondatrice circa alla linea della strada di ferro da Venezia a Milano: dei conti d’avviso sopra delle linee ipotetiche, senza alcuno studio statistico, senza alcun esame, e senza alcuno studio del terreno.

98.° Il 19 aprile 1836 mi era stato offerto di creare un progetto per una strada di ferro da Venezia a Milano, e di averne la suprema direzione; il 3 giugno accettai; il 16 marzo 1837 si voleva mutarmi il tutto nella parte, dar a me la parte da Venezia al Mincio, ad altri quella dal Mincio a Milano; il 26 marzo risposi del no, perchè la parola datami mi si mutava, perchè non credeva che le cose divise potessero andar a bene (paragrafo 8).

99.° Sui motivi del mio rifiuto per la parte, mi estesi di più coi miei due amici Paleocapa e Conati, dicendo loro:

Una strada di ferro tra Venezia e Milano non poter essere utile, a parer mio, che costruendola tutta da Venezia a Milano; stimar una parte poco utile al pubblico, rovinosa all’interesse degli azionisti;

Una strada di ferro esser più che altro una macchina: in essa, scelta della linea, modo di costruzione, motori con cui percorrerla, veicoli pei trasporti, servizio, amministrazione, essere cose collegate insieme, dipendenti tra loro, influenti le une sulle altre; questo essere evidente da sè, ma confermarlo anche tutto giorno l’esperienza;

Le incertezze e le discordie poter essere rovinose nella costruzione; fatali nel servizio del transito;

Le società anonime, e le Direzioni delle società anonime, esser di loro natura mutabili; quasi sempre sprovvedute delle cognizioni tecniche occorrenti alla buona esecuzione dell’opera: per di più soggette a mille influenze d’interessi e di passioni; [p. 26 modifica]In Italia le rivalità tra provincia e provincia, tra città e città essere antiche, continue, vivaci; quindi in Italia gli accordi tra provincie e città più che altrove difficili;

Occorrer quindi per tutto, ma in Italia più che altrove, che in una grande opera, e singolarmente in un’opera della natura ed importanza di quella di una strada a ruotaie di ferro da Venezia a Milano eseguita da una società d’azionisti, la parte tecnica almeno venga da una mente sola creata, esposta, diretta, per essere sicuri dell’esito, per garantirla dalle oscillazioni e dalle rovine che possono recarvi le passioni e gli interessi;

Non aver io alcuna smania di guadagno, non avere alcuna ambizione di comando, non voler nell’impresa, che fossi per assumere, che l’utile del pubblico, il vantaggio degli azionisti, l’onor mio;

A questi fini ed all’età mia, in cosa grave, difficile, faticosa, non doversi sacrificare il poco che rimane di vita e di forze, che ad uno scopo possibilmente certo, e non a vaghe lusinghe, ad infondate speranze;

Per tutto questo aver accettato l’offerta quando lofferta comprendeva tutta la strada; per tutto questo aver rifiutato la parte.

100.° La Commissione fondatrice veneta mi dichiarò, il 6 aprile 1837, mediante lettera diretta all’amico mio Conati (Allegato DD.), che essa aveva inteso ed intendeva di darmi,

la libera ed assoluta direzione e sopraintendenza da Venezia sino al Mincio, sia per la scelta della linea — che per quella dei subordinati — lavoro del progetto tecnico e pratico — non che dell’intiera costruzione della strada.

101.° L’8 maggio 1837 la Commissione fondatrice lombardo-veneta, riunitasi in Venezia, decise:

convenire all’interesse dell’impresa la scelta di un solo ingegnere in capo12.; ed il 10 maggio 1837 concluse nella seguente proposizione:

"Vi sarà un ingegnere in capo a cui verrà affidata esclusivamente la creazione della linea e del progetto della strada, e la esclusiva direzione della costruzione della medesima. Questo ingegnere in capo sarà nominato dalle due Commissioni nella persona del signor Milani.13

102.° In conseguenza di ciò l’intera Commissione fondatrice lombardo-veneta mi diresse, il 18 maggio 1837, a Berlino una nuova offerta,

l’offerta della creazione e redazione del progetto per la costruzione di una strada a ruotaie di ferro da Venezia a Milano, e della successiva direzione del lavoro (Allegato EE.), che io accettai col foglio 25 maggio 1837. (Allegato FF.)

103.° I preliminari del contratto i4 agosto 1837 (Allegato GG.), ed il contratto 18 gennaio 1838 (Allegato HH.), sottoscritto dalla Direzione, per le mene e per le insinuazioni del dottore Cattaneo, soltanto il 30 settembre 1838, cioè dopo che io aveva già compiuto l’intiero progetto, sono conformi a quelle offerte, e mi garantiscono la scelta della linea — la creazione di tutto il progetto — e la suprema direzione di tutta l’opera, tosto che il progetto avesse ottenuto la governativa approvazione. (Premesse del contratto, ed articoli 1.°, 4.°, 12.° del contratto.) [p. 27 modifica]

104.° Il 19 luglio 1837 la Commissione fondatrice veneta mi scrisse (Allegato II):

«La perizia d’avviso dell’ingegnere signor Campilanzi per la linea delle sei città, della somma di austriache lire 55,160,000, superare di molto i 50 milioni preventivati dalla Commissione fondatrice.

Credersi comunemente la stima troppo alta — Indagassi se si potesse farvi qualche ribasso, se ridurre si potesse a 53 milioni,

Ritenessi che ciò che mi si richiedeva non dovesse servire che per un semplice criterio, un semplice ragionamento per giustificare la preventivata spesa di 50 milioni, e che non si parlerebbe di me se così mi aggradisse.

105.° Mi posi all’opera, feci anch’io, come l’ingegnere signor Campilanzi, un conto ipotetico, ma ritrovai una somma più forte della sua, ritrovai lire 58,944?801.

Pure mandai il lavoro fatto alla Commissione fondatrice veneta col rapporto N. a del 5 agosto 1837 (Allegato LL.) cosi dicendo e concludendo:

Il solo preventivo dell’ingegnere Campilanzi da considerarsi è il terzo, quello dei 55 milioni.

Questa somma è di poco maggiore dei 53 milioni di cui fa cenno cotesta rispettabile Commissione nel foglio 256, 19 luglio.

Per ciò, e perchè mi pareva che non fosse possibile fare un ribasso al preventivo Campilanzi, pensai dapprima che non occorresse porvi mano, che un altro far non se ne dovesse: poi mi cambiai di parere, e mi vi sono risolto per obbedire all’ordine ricevuto, e per vedere un poco che mi riuscisse.

Ma fu come temeva, fu più che non preventivò l’ingegnere Campilanzi, e la somma uscitami sale a lire 58,944,801.

Ad ogni modo, ecco il lavoro per quell’uso qualunque che cotesta Commissione crederà di farne. Prego, come mi fu promesso, che non si spenda per esso il nome mio; sono cose che io faccio sempre a malincuore, non hanno fondamento, appoggiano sopra fatti troppo vaghi, e di rado si coglie nel vero. Abbiamo veduto sbagliare il vero, in essi, uomini tanto distinti, che bisogna concludere essere impossibile farli bene.

106.° Verso la metà dell’agosto 1837, il signor Giuseppe Reali, presidente della Commissione fondatrice veneta, mi presentò, in sua casa, un nuovo preventivo d’avviso per la linea delle sei città, della somma complessiva di lire 54,119,332, sottoscritto dall’ingegnere signor Campilanzi, pregandomi che vi apponessi un visto di approvazione.

Mi rifiutai, ripetendogli ciò che aveva detto alla Commissione fondatrice nel rapporto 5 agosto 1837, superiormente allegato, cioè:

che io non credeva che 54 milioni potessero bastare:

che non voleva spendere il nome mio per simili conti d’avviso; che non voleva spenderlo quando erano fatti da me, e che molto meno voleva spenderlo quando erano fatti da altri.

Insistè, dicendomi che non doveva servire che pel Congresso degli azionisti, e tacendomi assolutamente che fosse suo disegno di divulgarlo poscia colle stampe.

Mi lasciai svolgere, e lo sottoscrissi, dichiarando però di approvarlo, salvo le modificazioni che lo studio della linea fosse per suggerire.

107.° Mi fu dunque offerta e garantita la creazione di una strada di ferro da Venezia a Milano, cioè la scelta della zona e della linea — la creazione e compilazione del progetto — la suprema direzione dell’opera.

Non solo io pregai la Commissione fondatrice veneta che nessun conto d’avviso si [p. 28 modifica] rendesse pubblico colle stampe, spendendo il nome mio, parlando di me; ma questo mi fu spontaneamente promesso dalla Commissione fondatrice veneta per indurmi ad occuparmi dei conti d’avviso dell’ingegnere signor Campilanzi.

108.° Quando io accettai, quando giunsi in Italia, il 18 giugno 1837, quando assunsi la direzione dell’impresa nella parte tecnica, ho ritrovato:

alcune non nuove, ma buone idee sulla zona da percorrersi colla strada, sparse dal dottore Cattaneo, ma con tale mistura di acerbi frizzi da renderle a molti disgustose;

la pubblica opinione smarrita in un labirinto di direzioni diverse;

dei conti d’avviso sul valore dell’opera, fondati sopra linee puramente ipotetiche;

per Venezia il progetto di un ponte sopra una linea non definita, disapprovato dall’aulico Consiglio di guerra, e per cui la Commissione fondatrice erasi tirata addosso l’esclusione in massima di ogni ponte di struttura murale attraverso alla Laguna veneta.

109.° Mentre io studiava la posizione del ponte di Venezia ed il terreno e la linea della strada da Marghera a Milano, la nuova Direzione della Società, senza darmene alcun avviso, senza avermene fatto il più piccolo cenno, stampava, il primo settembre 1837, divulgandolo in italiano ed in tedesco, un opuscolo sotto il titolo di Strada ferrata da Venezia a Milano, nel quale veniva dicendo al pubblico:

Aver ottenuto la permissione di costruire il ponte della Laguna; ma tacendo che la permissione ottenuta era una permissione di massima, e soltanto per un ponte di legno condotto attraverso alle fortificazioni di Marghera, S. Giuliano, S. Secondo, faceva credere che il permesso ottenuto fosse per un ponte di struttura murale, aiutando la reticenza collo stampare, alla fine dell’opuscolo, un prospetto del ponte dell’ingegnere signor Meduna, di quello che era stato dall’aulico Consiglio di guerra disapprovato (pagina 18 dell’opuscolo);

Essersi studiate le località, essersi studiata la linea, e molti lavori d’arte essersi fatti utilizzando il tempo di aspettativa del privilegio (introduzione dell’opuscolo, e pag. 16);

A me aver affidato la redazione del progetto di dettaglio e la successiva direzione del lavoro (introduzione e pagina 15).

Intanto il dottore Cattaneo aiutava la cosa ristampando nel Cosmorama pittorico quanto aveva scritto nel secondo semestre 1836 degli Annali Universali di Statistica sul progetto Meduna, tacendo anch’egli che quel progetto era stato disapprovato, e concludendo invece «che quelle erano le viste fondamentali su cui il lodato ingegnere stava meditando sul regolare di lui progetto di costruzione».

110.° Io, che era occupato nella riconoscenza del terreno e nelle operazioni geodetiche perla scelta della linea, non seppi tutto questo che il 19 novembre 1837, a Goito, mentre era diretto verso Milano. Giunto a Milano, chiesi subito una conferenza colla sezione lombarda della Direzione, e l’ottenni la sera del 24 novembre: presente il segretario, il dottore Carlo Cattaneo, vi esposi:

Mentire l’opuscolo stampato dalla Direzione, e far torto a me: dimostrarlo le offerte fattemi, la mia accettazione, i preliminari del mio contratto, i fatti;

A me essersi affidata l’intiera creazione dell’opera, e non la redazione del progetto di dettaglio;

Non essersi studiata la linea della strada — non aversi per la strada che dei conti d’avviso sopra linee ipotetiche — il progetto del signor Meduna, stampato alla fine dell’ opuscolo, non potersi dire il progetto del ponte di Venezia, ma un’ipotesi; tuttavia quella stampa potermi far grave danno, perchè il mio avrebbe dovuto esservi simile, e quindi poter essere forse creduto eguale, perchè tutti i ponti si assomigliano, e perchè la massa degli uomini non giudica che dalle apparenze; [p. 29 modifica]Chiedere alla giustizia della Direzione volesse:

dir il vero sull’incarico offertomi, e da me accettato,

sui lavori eseguiti;

smentir l’opinione che si andava disseminando pegli scritti suddetti, che in fine io non fossi che il materiale esecutore dei pensieri altrui;

impedire in seguito, per quanto fosse in Lei, tuttociò che condur potesse l’opinione pubblica in simile errore.

Non chiedere che il vero ed il giusto, e quindi nutrire speranza che nessuno sarebbe per negarmelo.

Mi rispose:

Non aver avuto parte nella stampa dell’opuscolo fatta soltanto dalla sola sezione veneta — trovar giuste le mie domande — s’accorderebbe con essa per esaudirle.

Passo più di un mese senza che di questo alcun mi parlasse.

111.° Mi risolsi dunque di scriverne direttamente e diffusamente al signor Reali, presidente della Direzione della sezione veneta. (Allegato MM.)

Allora mi si fecero mille scuse, mi si disse che l’affare del ponte era una svista; che quello dell’ingegnere del progetto di dettaglio era un errore del segretario signor Breganze, che aveva adoperato quella frase proprio senza sapere cosa valesse, il che mi venne da lui stesso spontaneamente confermato; che vi si rimedierebbe intanto come si potesse, in seguito meglio; che in fine si direbbero le cose chiare all’occasione della stampa del mio progetto.

Di tutto questo credetti quello che si poteva credere.

Ma per non turbare l’impresa, per non abbandonarla per un fatto puramente mio, fui pago che intanto si smentisse quell’opuscolo, dichiarando al pubblico che mi si era affidato, non il progetto di dettaglio, ma la creazione del progetto, tanto della strada che del ponte della Laguna, il che si fece col seguente articolo stampato nei giornali di Venezia e di Milano negli ultimi giorni di gennaio dell’anno 1838.

«Le operazioni geodetiche per compiere il progetto della strada ferrata da Venezia a Milano, intraprese col cadere del passato agosto, vennero innoltrate con vigore, e volgono ornai prosperamente al loro termine. l’ingegnere in capo signor Giovanni Milani, a cui si confidò intieramente la redazione del progetto sì della linea maestra che delle sue diramazioni e del ponte sulla Laguna, si è adoperato con una singolare attività, e venne lodevolmente secondato da un numeroso corpo di valenti ingegneri. La Direzione crede rendergli un atto di giustizia e un attestato di considerazione ben dovuta esponendo colle stesse di lui parole quanto venne da lui compiuto fino allo spirare dello scorso anno. Ha quindi adottato il pensiero di pubblicare il suo primo rapporto tecnico annuale, ossia il riassunto dei varii rapporti mensili, dal quale ognuno potrà raccogliere che i progressi dell’opera sono tanto rapidi quanto la grandezza della distanza e la complicazione delle cose lo concede. Valga ciò ad accrescere quella fiducia con cui il pubblico favorisce l’ impresa ».

Tutte queste cose sono note al dottore Cattaneo, e fu anzi egli che scrisse l’articolo suddetto; sicché tutti potranno fare stima da sè, qual lealtà vi sia nell’abuso che egli fa e nella Rivista di varii scritti ed in qualche altro articolo del Politecnico di quella frase — "affidata la redazione del progetto di dettaglio e successiva direzione del lavoro".

112.° Ritorniamo al ponte di Venezia. Nella loro specie tutti i ponti sono simili: tutti i ponti di struttura murale hanno pile, archi e piazzette intermedie agli archi se i ponti [p. 30 modifica] sono assai lunghi, appunto per togliere loro l’apparenza di esilità, non potendosi accrescere le loro altezze e larghezze in ragione delle lunghezze.

Ma per esser simili non sono per questo eguali, ed anzi, anche malgrado la loro apparenza di somiglianza, molti hanno alcune parti affatto distinte, affatto diverse.

Questo si sa da tutti, deve sapersi anche dal dottore Cattaneo, almeno perchè io l’ho detto e scritto alla Direzione della strada di ferro, di cui egli era uno dei due segretarii.

Dopo di aver egli regalato spontaneamente il mio progetto del ponte di Venezia all’ingegnere signor Meduna, volle anche provarsi di dimostrare che quel progetto mio era una copia netta di quello dell’ingegnere signor Meduna.

La cosa era difficile, perchè il fatto non era vero; ma il dottore Cattaneo non è uomo da smarrirsi tra simili difficoltà, e sa, quando mancano ai di lui assunti la chiarezza delle dimostrazioni e la verità dei fatti, ricorrere a dirittura alle menzogne ed agli inviluppi.

Prese quel mio povero ponte, e lo fece in brani; pose da un lato le cose che erano simili a quelle del ponte dell’ingegnere signor Meduna, da un altro quelle che erano affatto differenti; sulle prime fece un discorso oscuro, intricato; chiamò le seconde follie: sicché, annientate, a suo credere, queste, e su quelle imbrogliata la mente del lettore, gli parve che l’identità de’ due progetti gli sarebbe facilmente creduta.

Questo è l’innocente artificio oratorio della di lui dimostrazione.

Strigando e chiarendo le cose ch’egli ha ad arte intricate ed oscurate, noi dimostreremo a tutti che il dottore Cattaneo mente anche in proposito del ponte di Venezia.

113.° Il dottore Cattaneo pretende che io abbia copiato dal progetto dell’ingegnere signor Meduna

tutte le considerazioni sulle attuali condizioni geologiche, topografiche, idrauliche della Laguna veneta;

la parte della Laguna da attraversarsi col ponte; la linea da seguirsi col ponte;

l’altezza del ponte; la di lui suddivisione in sei tratte mediante cinque piazzette, le forme e le dimensioni delle pile e degli archi.

114.° Nel mio progetto, già reso pubblico colle stampe, e nei capi VI e VII, cioè nei due primi che trattano del ponte di Venezia, mi propongo

di esporre alcune notizie generali, geografiche, fisiche e geologiche sopra la Laguna veneta — di dimostrare quali siano i suoi canali principali interni e vicini — come l’acqua che entra pei porti si diffonda nella Laguna — dove incontri quella dei porti vicini — e come il paludo di S. Secondo sia libero da ogni corrente.

L’ingegnere signor Meduna dichiara (pagina 19 del di lui progetto) 14.

di soggiungere soltanto gualche cenno intorno alla natura del fondo su cui deve essere eretto il ponte.

Il mio campo dunque è molto più vasto di quello dell’ingegnere signor Meduna, ed anzi quello del signor Meduna non è che poca parte del mio.

115.° Di ciò che io dissi farò un cenno soltanto, perchè il mio progetto è reso pubblico colle stampe: ma trascriverò invece per disteso quanto ha detto su questo proposito l’ingegnere signor Meduna, onde possa ciascuno giudicare da sè della sincerità del dottore Cattaneo. [p. 31 modifica]Io dissi dove giacciono le maremme veneziane — quali i loro confini, e di qual natura il suolo — dei cinque porti per cui comunicano con l’Adriatico — come l’acqua dell’Adriatico entri per essi nella Laguna e si stenda nei diversi di lei bacini, e come al mare ritorni — cinque essendo i porti, esservi dunque nell’afflusso della marea e nell’interno della Laguna correnti diverse e contrarie — dove queste correnti contrarie si incontrano e si elidono, accadere la stanca, o ciò che gli uomini di mare chiamano partiacqua — di questi partiacqua essercene nella Laguna veneta quattro, perchè i porti sono cinque — il paludo di S. Secondo trovarsi proprio tra i due dei porti di S. Erasmo e di Malamocco, e per di più difeso contro ogni corrente diretta, proveniente dal porto del Lido, dalla città di Venezia — delle maree, delle loro altezze — a Venezia intendersi per comune la comune alta marea — della Laguna morta e della viva — dei paludi e dei canali di questa, delle barene e degli stagni di quella — dei principali canali della Laguna viva, e della loro mossa ed andamento — non sapersi, e non potersi sapere, quale sia il fondo occulto della Laguna — pure potersi sospettare che vi sia uno strato carantoso inclinato dal continente al mare se si guardino le barene e le paludi, se si studino le profondità naturali dei canali e gli escavi praticati in essi dall’arte.

116.° Il signor Meduna scrisse, al paragrafo 7 del di lui progetto (parla della linea che dal lato di S. Giobbe fosse diretta al sud del forte di Marghera): «L’altro vantaggio che si presenta, da tenersi in gran conto pei riguardi dovuti alla Laguna, è che andrebbesi a collocare il nuovo ponte in una linea intorno alla quale per l’influsso dei due grandi canali di S. Secondo e delle Tresse, derivando l’acqua salsa dall’uno e dall’altro di essi, ed ai medesimi rispettivamente dirigendosi nel flusso e riflusso si trova un partiacqua nel quale rimane eliso ogni moto».

(Paragrafo 19) «Prima di parlare dell’intima struttura del ponte soggiugnerò qualche cenno intorno alla natura del fondo su cui deve essere eretto. Nell’ampio bacino, che forma il nostro estuario, vi sono barene e paludi intersecate da varii canali con ramificazioni, come arterie e vene, delle quali è cuore il mare. Le barene non vengono coperte dalle acque salse che nelle straordinarie loro elevazioni: i paludi si scoprono soltanto nelle basse maree. Il primo strato delle une è un terreno nerastro prodotto in gran parte dalla decomposizione dei corpi organici, dei quali si manifestano degli avanzi: quello dei secondi è un terreno fangoso di molta cedevolezza che ripete la sua esistenza dalle torbide dei fiumi quando erano tributarii alla Laguna in epoca posteriore alla genesi delle prime. Vi succede l’argilla talora pura e talora mista alla sabbia: vien dietro il caranto; quindi la sabbia. Nella possanza e giacitura dei differenti strati si hanno delle anomalie, come ne sono nella loro posizione rispettiva. In questo suolo riposa Venezia non con altra sede che con un sistema di palafitti di quercia o di larice sopra dei quali è disteso un tavolato di legname della stessa specie.

(Paragrafo 20) «Gli escavi, che si praticano colla macchina a vite nei canali di grande navigazione verso i porti, fanno conoscere l’esistenza del caranto talvolta prima di giugnere alla profondità di metri sei, riferito al suindicato livello, nel qual caso è impedito il progresso del lavoro dalla molta resistenza di quel terreno. Sembra non infondato il credere che tale strato si debba assai più presto incontrare coll’avvicinarsi alla terraferma, giacché nella barena fra S. Giuliano e il forte di Marghera colle terrebrazioni lo trovai a soli metri 1.25».

117. E dunque evidente che l’ingegnere signor Meduna non ha parlato dei generali partiacqua della Laguna, di quelli che la dividono in grandi e diversi bacini secondo i [p. 32 modifica] porti diversi da cui questi bacini vengono innaffiati; ma che parlò soltanto di uno dei partiacqua secondarii della Laguna, e proprio di quello dipendente dal flusso e riflusso della marea, dei due canali di S. Secondo e delle Tresse, che serrano ad est e ad ovest il paludo di S. Secondo;

che ha detto di avere scandagliato il fondo occulto della Laguna soltanto da S. Giùliano al forte di Marghera;

e che nel resto non fece parola che delle barene e dei paludi.

È dunque evidentemente falso ciò che scrive il dottore Cattaneo (pagina 11) «che l’ingegnere signor Meduna, nel di lui progetto, vi svolgeva tutta la conformazione della Laguna — i canali e ghebbi che ne solcano il fondo — la diramazione della marea — i partiacqua che ne dividono i grandi bacini — il caranto, il quale forma quasi continuo sostegno, e le varie profondità alle quali egli lo aveva esplorato colle trivellazioni».

Quest’ultimo vanto di avere esplorato colle trivellazioni tutta la Laguna veneta, una superficie di 172 miglia quadrate, è talmente sperticato, e quindi tanto dell’ordine di quelli di cui suolsi far bello il dottore Cattaneo, che basterebbe da solo per dimostrare che tutto quel lungo discorso è un’invenzione del dottore Cattaneo, e non un dettato dell’ingegnere signor Meduna.

118. ° Ciò che io ho detto sulla Laguna, relativamente alle sue attuali condizioni geologiche, topografiche, idrauliche, l’ho studiato da me nella Laguna l’ho studiato sulla magnifica carta della Laguna veneta, rilevata dall’I. R. Istituto geografico militare; l’ho imparato dai libri che trattano della Laguna.

Come dissi, il signor Meduna non parlò che di un partiacqua secondario, dei paludi c delle barene. Se anche io parlai delle barene e dei paludi dopo di lui, ciò doveva essere, perchè io doveva parlare della parte se mi era proposto di parlare del tutto; e se ne ho parlato prossimamente come egli ne parlò, ciò era poi assolutamente indispensabile, perchè non si trattava di una scoperta, non si trattava di divulgare un’idea nuova, ma semplicemente di copiare tutti e due, sul luogo identico, l’identico fatto topografico della Laguna noto a tutti, cioè la forma delle barene e dei paludi, gli stagni delle prime ed i canali delle seconde, e le altezze delle maree che superano il piano di questi e di quelle.

119.° Diciamo ora della parte di Laguna da attraversarsi col ponte.

Quanto si è detto, quanto si è scritto sul confronto delle diverse parti della Laguna che si potrebbero attraversare per riunire Venezia al continente con un ponte non fa che un inutile lusso di confronti, di poesia, di eloquenza.

Venezia è un’isola in mezzo ad una vasta maremma solcata da canali, inaffiati periodicamente da cinque porti; Venezia è un porto militare e commerciale: Venezia è una piazza forte per natura e per arte.

Per riunirla al continente conveniva dunque scegliere quella parte di Laguna ove il cammino fosse più breve per economia nella spesa — ove nulla, pochissimo, si turbassero le attuali condizioni idrauliche della Laguna per la conservazione del porto e dei suoi canali — ove il ponte trovasse al suo ricapito sul continente un luogo fortificato, che ne difendesse l’accesso, perchè potesse essere permesso dalla difesa dello Stato, perchè fosse sicuro in caso di guerra.

Queste sono tre condizioni evidenti, e non occorre essere nè soldato nè idraulico per intenderle, per conoscerne l’importanza.

Ora basta spiegare sotto gli occhi la carta topografica della Laguna veneta, perchè tutti a colpo d’occhio concludano, che la parte di Laguna che soddisfa a queste tre [p. 33 modifica] condizioni di brevità di cammino, di opportunità di difesa, di conservazione dei canali e del porto, è quella sola che si stende tra il canale Colombola ed il forte di Marghera. Il voler fare confronti, fare scialacquo di poesia e di eloquenza per venire ad una simile conclusione, se può giovare a chi scrive nei giornali, pagato un tanto al foglio, confonde l’opinione pubblica, e fa perdere il tempo a chi legge per istruirsi.

120:° E tanto è vero che quella parte di Laguna è a tutti additata dalla natura dei luoghi per congiugnere Venezia al continente, mediante la costruzione di un ponte, che fino dall’anno 1830, senza tanti confronti, senza tanta eloquenza, si parlò di costruire, attraverso di essa, un ponte con pile di pietra ed arconi di legno, del quale io ho veduto un modello presso il di lui autore, l’ingegnere signor Pietro Baccanello di Venezia, che ebbe la bontà di mostrarmel; e del qual ponte parla anche il signor cavaliere Pietro Paleocapa, I. R. direttore delle pubbliche costruzioni in Venezia, nel di lui rapporto fatto sopra il progetto mio, il 4 maggio, come membro della Commissione veneta civile e militare incaricata di esaminarlo.

Ecco le di lui parole:

«Ora, prendendo ad esame le condizioni cardinali di questo manufatto (il ponte di Ven nezia), osserverò in primo luogo, che quanto alla linea essa non potrebbe essere più opportuna per renderlo innocuo ai riguardi della Laguna. Su questo argomento io non potrei che ripetere quanto ebbi già l’onore di esporre, essendo ingegnere in capo della provincia di Venezia nell’anno 1830 quando una Società di negozianti domandò il permesso di istituire un ponte presso a poco condotto sulla medesima linea. Io feci vedere allora che quand’anche l’ostruzione recata al varco di Laguna colle pile del ponte avesse dovuto essere di gran lunga maggiore di quello che era in fatto, nessun impedimento sensibile veniva arrecato al libero corso della marea. Perchè lungo la linea scelta si stabilisce un partiacqua, non già di quelli che separano i varii bacini della Laguna corrispondenti a diversi porti, ma uno di quei partiacqua subalterni che si determinano nello stesso bacino, dietro ad un’isola, che costringe la corrente così del flusso, che monta, come del riflusso, a dividersi in due. E qui avviene appunto che la marea, che entra pel porto del lido, incontrando prima l’isola di S. Elena, poi la punta orientale di Venezia, si partisce in due rami, uno che viene pel canale di S. Marco, poi per quello della Giudecca, ad invadere la Laguna occidentale di Venezia, volgendosi dal sud verso il nord; l’altro, che, girando per intorno all’arsenale, poi pel canale delle Fondamenta nuove, e pel Tortolo, invade la stessa Laguna dal sud al nord, onde le acque scontrandosi per due opposte direzioni perdono ogni moto. La contraria vicenda avviene a marea discendente, per cui sulla linea del ponte non vi è corrente efficace che lo attraversa. Onde è appunto che non vi siano nemmeno canali, se si eccettui il Colombola suddetto che mantiensi artificialmente a buona profondità per comodo della navigazione».

121.° Qui dunque non vi è inventore di sorta; l’inventore è l’indispensabilità delle tre condizioni, e la chiarezza del fatto e del luogo che vi soddisfa. In tutta la Laguna, tra Venezia e il continente, non vi è un paludo più netto da canali che quello di S. Secondo.

In tutto il lembo del continente, al nord di Venezia, non vi è che il forte di Marghera.

Per quanto io so, il primo che parlò di quella parte di Laguna, per la costruzione di un ponte, fu l’ingegnere Baccanello, poi il cavaliere Paleocapa come ingegnere in capo della provincia veneta, il terzo fu l’ingegnere signor Meduna, il quarto son io; ma non per far torto al sapere dei tre primi, che io assai rispetto, ma non per far pompa di [p. 34 modifica]

un’ipocrita modestia, dichiaro che io sarei andato col ponte mio da Venezia al forte di Marghera pel paludo di S. Secondo, anche ignorando ciò che essi avevano detto prima su questo proposito, perchè non vi è scampo, non vi è altro varco da potersi nemmeno confrontare con esso.

122.° La linea del ponte mio è così determinata in posizione alla pagina 34 del progetto a stampa:

«Muove dall’orto Petich, che le due sole case dei numeri civici 99-100 separano dalle fondamenta degli Scalzi, dalla vista di S. Simon piccolo, dalle rive del Canal Grande — e corre in linea retta al forte di Marghera, radendo lo spalto delle di lui opere principali, e della mezza-luna a sud».

Qui dunque non vi può essere né confusione, nè dubbio. Per di più, i punti della mossa nell’orto Petich e quello del ricapito nella barena furono stabiliti con due grandi antenne.

123.° Di questa mia linea il dottore Cattaneo non fa parola, ma tuttavia sostiene che anche la linea del ponte l’ho rubata all’ingegnere signor Meduna.

Per concludere così bisognava dimostrare due cose: che l’ingegnere signor Meduna aveva scelto definitivamente una linea, — che quella che egli aveva scelta era identica alla mia. Vediamo cosa egli abbia fatto e scritto invece.

Scrive alla pagina 11 della sua Rivista, parlando sempre dell’ingegnere signor Meduna e del di lui progetto:

«Paragonava cinque linee di ponte, che potevano tracciarsi verso varie parti di Venezia, sia partendo da Mestre, sia da Fusina; e dimostrava che la più grandiosa era bensì quella da Fusina a S. Giorgio Maggiore)

ma la più breve, facile e opportuna era quella che da Mestre, radendo il forte di Marghera, e scorrendo a mezzodì di S. Giuliano e S. Secondo, varcava la Laguna, attraversando il solo canale Colombola, e del resto scorrendo sempre in un paludo, dove tanto nel flusso quanto nel riflusso il moto delle acque rimane eliso».

Tutte le persone colte sanno come si determini in posizione una linea tutti sanno che il ponte di Venezia deve ristrignersi alla sola parte del bacino occupato dalla Laguna viva, e che deve quindi incominciare alla barena e terminare a Venezia; sicché tutti maravigleranno sicuramente del grosso fascio, dei grossi spropositi che s’incontrano nelle poche righe del dottore Cattaneo -che ho superiormente trascritte.

Stando alle di lui parole, gli estremi della linea scelta dall’ingegnere signor Meduna per costruirvi sopra il di lui ponte, sarebbero questi!

Mestre: che da Mestre, ec.)

Ed un punto qualunque del canale Colombola: attraversando il canal Colombola.

Il canale Colombola è il canale che scorre a settentrione della città di Venezia dal canale dei Marani a quello della Giudecca, niente meno che dalla punta di Santa Marta a quella di S. Giobbe, la maggior larghezza di Venezia da est ad ovest; sicché, secondo queste nuove teorie del dottore Cattaneo, una linea sarebbe determinata in posizione anche quando ruotando con uno de’ suoi estremi intorno ad un centro, a Mestre (e chi sa poi in qual punto di Mestre!), la si fa scorrere coll’altro estremo lungo una linea, lungo il canale Colombola da S. Giobbe a Santa Marta. *

124.° Questo é il primo; andiamo innanzi. Rammentiamoci le parole del dottore Cattaneo: L’ingegnere Meduna paragonava cinque linee di ponte, ma dimostrava che la breve era quella che da Mestre, ec.

La bella brevità ! [p. 35 modifica]Dunque il ponte Meduna incomincerebbe a Mestre e terminerebbe a Venezia al canale Colombola?

Dunque il ponte Meduna sarebbe lungo 8336 metri, dei quali 2955 costruiti sopra il continente sodo, attraverso alle campagne di Mestre, 2096 sopra la barena, e soltanto 3285 sopra la laguna viva?

Ma non più di questi sviamenti o miserie della mente umana, e affrettiamoci di dire, perchè lo esige giustizia, che questi non sono spropositi dell’ingegnere Meduna; sono spropositi del dottore Cattaneo che, come ho detto altrove, purché scriva molto e critichi tutto e tutti, parla spessissimo di quel che non sa sono spropositi che il dottore Cattaneo ha regalato all’ingegnere Meduna, forse per compensarsi del dono spontaneo che gli fece del progetto mio.

125.° Il signor ingegnere Meduna è tanto lontano dall’averne dette di queste, e tanto lontano dall’aver preteso e voler pretendere che la linea del mio ponte sia la linea sua, che egli ha dichiarato nel di lui scritto, nel di lui progetto, in quello che il dottore Cattaneo dice di possedere, che non ha scelto definitivamente alcuna linea; e che i suoi calcoli si fondavano su di una linea ipotetica posta tra larghi limiti, e per di più tra limiti diversi dai limiti della mia. Vediamolo.

(Paragrafo 13 del progetto Meduna). «Con questi principii mi diedi allo studio del progetto. Per esibire un’idea dell’insieme dell’opera, nella tavola I ne ho delineato la metà dalla parte della terraferma, giacché da quella della città vi avrebbe voluto l’immagine del ponte levatoio, che si riserva allorché senza eccezione su definita la linea sulla quale dovrà in fatto aver luogo la costruzione».

Dunque non vi era linea definita.

(Paragrafo 9.) «E siccome il progetto di esso (parla del ponte) può compilarsi indipendentemente dal progetto generale, così, per procedere allo sviluppo e concretare le idee, importando di scegliere una delle migliori linee prese in esame, fu data la preferenza alla quarta, cioè a quella che dal lato di S. Giobbe si dirige al forte di Marghera».

Dunque, quantunque non avesse definito la linea, per trovar qualche fondamento al di lui progetto e ai di lui calcoli, li fondò per ipotesi sulla linea da S. Giobbe al forte di Marghera, e quindi anche questa pura ipotesi è lontana dalla linea mia, perchè io non muovo dalla punta di S. Giobbe, che è la punta più orientale di Venezia, ma dall’orto Petich, che è vicino alla punta di Santa Chiara ed al Canal Grande.

Dimostrato che l’ingegnere signor Meduna non ha, per di lui confessione, fondato il suo progetto sopra alcuna linea stabile e definita, ma soltanto sopra una linea ipotetica, e questa anche diversa dalla mia, sarebbe ornai soverchio spendere altre parole per concludere anche qui che il dottore Cattaneo mente, e sa di mentire, asserendo che la linea del ponte mio è identica alla linea del ponte dell’ingegnere signor Meduna.

126.° Il ponte mio ha il piano del carreggiabile alto tre metri e cinque centimetri sopra la comune alta marea (pagina 34) — quello dell’ingegnere signor Meduna due metri e cinquanta centimetri (paragrafo 10). La mossa de’ miei archi è venti centimetri sopra la comune — quella degli archi Meduna, a livello della comune.

La freccia degli archi miei è di un metro e settanta centimetri (pagina 39) — quella degli archi dell’ingegnere signor Meduna, di un metro e novanta centimetri (paragrafo 16).

Le faccie esterne delle mie pile sono verticali — quelle delle pile del signor Meduna inclinate in ragione di uno a dieci. [p. 36 modifica]Discendere a questi confronti è proprio una puerilità, ma spero che ogni discreto lettore sarà convinto che io vi vengo tirato a forza dalla petulanza del dottore Cattaneo.

Il mio ponte è lungo 3547 metri — quello dell’ingegnere signor Meduna 3285 metri.

Il mio sorge sopra una linea definita e tracciata — quello del signor Meduna sopra una linea astratta, ipotetica.

Il ponte Meduna ha una grande fabbrica nel mezzo — il mio non ha nulla.

Quello costa, compreso la fabbrica ed il ponte levatoio,.... lire 3,604,900

Il mio, senza l’acquidotto, quasi due milioni di più, cioè...» 5,245,361 e con l’acquidotto» 5,801,522

Il mio fu approvato da tutti gli aulici dicasteri civili e militari, e da Sua Maestà, quantunque di struttura murale — quello dell’ingegnere signor Meduna fu disapprovato dal Consiglio aulico di guerra.

Finalmente il mio è appaltato a prezzo assoluto, senza l’acquidotto, per lire 4.499.740 e con l’acquidotto per .... 4.830,00015.

127. Il mio ponte adunque, anche in quelle parti in cui il dottore Cattaneo tentò di sorprendere il lettore, confusamente concludendo dalla simiglianza all’identità, non è eguale al ponte dell’ingegnere signor Meduna che in quello in cui non può essergli disuguale, cioè nella forma delle piazzette che si costruiscono in tutti i lunghi ponti, e nella forma delle pile e degli archi identica in tutti i ponti del mondo, di struttura murale, dal ponte Molle di Roma sino ai giorni nostri.

Così il dottore Cattaneo, seguendo il di lui istinto e la sua misura, potrà dar del piagiario a tutti gli architetti del mondo che costruirono ponti di struttura murale, dall’epoca di Silla sino ai nostri dì; diecinove secoli ai suoi comandi16.

128.° Siamo a quelle parti del ponte mio, le quali non avendo la più piccola simiglianza con altre del ponte del signor Meduna, e quindi disperando il dottore Cattaneo di poter imbrogliare, anche sopra di queste, le cose per modo da dar loro almeno l’apparenza di copie del ponte Meduna, si risolve ad accordarmene la proprietà, sbarazzandosene però subito dopo col chiamarle follie.

129.° In mezzo del ponte, ed in un cavo apposito, coperto e murato, vi è un tubo di ghisa. Ha il doppio ufficio di tradur, lungo il ponte, il gas idrogeno carbonato per illuminarlo nella notte, derivandolo da un gazometro costruito ad uno de’ suoi estremi; e di dispensarlo poi a diversi becchi o fiammelle collocate ad opportune distanze lungo i parapetti del ponte, perchè la teoria e l’esperienza si accordano per dimostrare che l’illuminazione a gas riesce meglio quando è divisa in molte fiammelle, che quando è [p. 37 modifica] concentrata in grandi masse. La luce si diffonde in ragione inversa dei quadrati delle distanze; colla luce riunita in masse, anziché divisa in fiammelle, si corre quindi tra questi due scogli: o di abbagliare i vicini se la massa è grande; o di lasciare all’oscuro i lontani se la massa è piccola.

130. ° Questo modo d’ illuminare il ponte è la prima delle mie follie: ecco in proposito le parole del dottore Cattaneo (pagina 36):

"Quanto al gas, non vale la fatica di pensarvi; la strada ferrata o non si percorrerà di notte, o se si dovesse illuminare in tutta la sua lunghezza lo stesso mezzo servirebbe anche al ponte.

"Ad illuminare un rettilineo scoperto meglio varrebbe, e meno costerebbe, un solo faro a gas, giovevole anche alle barche sui vicini canali".

La strada si potrà percorrere benissimo di notte, perchè se ne percorrono tante altre, e in Italia si potrà percorrerla di notte con più opportunità, con più facilità e con più comodo che altrove.

Poi confonde, a dirittura, il ponte della Laguna con tutta la strada: la strada che non può essere percorsa da pedoni nè di giorno, né di notte, che non ha bisogno di essere sorvegliata dalla Finanza, col ponte di Venezia dove vi sono macchine locomotive e pedoni, pedoni di notte e di giorno, sorveglianza indispensabile della Finanza pel porto franco; e con questo bel confronto, con questa bella parità di circostanze vorrebbe far dipendere l’illuminazione del ponte della Laguna dalla illuminazione a gas di tutta la strada da Venezia a Milano.

Infine, col suo faro a gas, vorrebbe abbacinare i vicini, e lasciar nelle tenebre i lontani.

131.° Vien dopo l’acquidotto: sotto i due camminapiedi, e tra la fabbrica del ponte, sono collocati due acquidotti di pietra viva, larghi un metro, profondi cinquantatrè centimetri; proprio come è fatto in tutti gli acquidotti romani, e in tutti gli acquidotti che furono costruiti dai Romani in poi.

Nel luogo del ponte girevole, l’acqua continua il suo cammino verso Venezia per tubi di ferro collocati in una botte, o tunnel, proposto sotto il fondo della Laguna.

Qui il dottore Cattaneo incomincia col dire "che ho combinato col ponte l’antico progetto di un acquidotto" (pagina 33), per dar ad intendere che esistesse un progetto esecutivo per l’acquidotto, del quale io mi sia poi servito, combinandolo col ponte. Anche questo non è vero: per l’acquidotto non esisteva alcun progetto nè antico, nè moderno. Non esisteva che un desiderio manifestatomi nel 1837 dal signor podestà di Venezia conte Boldù, d’onorata memoria.

E in fine conclude che l’accozzamento delle due imprese (intende l’acquidotto e la strada di ferro sul ponte) richiederebbe una così esuberante solidità che forse sarebbe men diffìcile il fare due separate operazioni;

cioè costruire due ponti attraverso alla Laguna, uno per la strada e l’altro per l’acquidotto, e spendere due volte parecchi milioni.

Chi esitasse a crederla, sentendola così smisurata, abbia la bontà di leggerla alla pagina 34 della Rivista.

Il dottore Cattaneo, purché si faccia il contrario di quello che io ho detto, purché si dica che quello che ho proposto va male, proporrebbe non due, ma quattro ponti sulla Laguna, e troverebbe utile che si spendessero non dieci, ma anche venti milioni.

E poi ci vuol far credere che tutto quello che si è detto e fatto di buono per la strada di ferro da Venezia a Milano, è fatto ed è detto da lui!! [p. 38 modifica]132.° La terza ed ultima è il ponte girevole: su questo si sbriga in una parola; lo chiama un giocattolo.

Fa veramente compassione a vedere quest’uomo che dell’arte e della scienza dell’ingegnere altro non sa che qualche parola, che egli usa anche spesso a sproposito17, imperturbabile nella di lui vanità, senza curarsi di dimostrazioni e di prove, sentenziar come oracolo sulle opere degli ingegneri, e chiamar giocattolo il progetto di un ponte, che non intese, che non saprebbe nè disegnare, nè costruire, che fu esaminato ed approvato da tanti uomini distinti nell’arte, dalla Commissione veneta, e da tutti gli aulici dicasteri tecnici, civili e militari.

133.° In luogo di quel giocattolo, propone sopra la Laguna all’estremo del ponte verso Venezia, ma divisa da Venezia, un’ultima piazza più ampia di tutte, su cui vorrebbe che fosse costruita niente meno che la stazione della strada di ferro (pagina 35); cioè una piazza della superficie di circa settanta mila metri quadrati, uno spazio eguale a quasi tre quinti del Lazzaretto di porta Orientale; costruita con riempimento artificiale; sostenuta tutta all’intorno con muri alti sette metri e grossi in proporzione dell’altezza, eretti sopra palafitti e zatteroni; e tutta questa immensa e rovinosa spesa per aver poi bisogno di uno sciame di barche grandi e piccole, e quindi di una nuova spesa continua per tradurre i viaggiatori dalla stazione in isola a Venezia.

134.° Insomma le mie follie sono:

Il modo d’illuminar il ponte con fiammelle sparse;

L’acquedotto sotto i camminapiedi;

Il ponte girevole.

Le sapienti di lui proposte di miglioramenti sono:

La costruzione di un ponte apposito, attraverso alla Laguna veneta, per l’acquidotto, oltre quello della strada di ferro;

Il famoso faro a gas per abbacinare i vicini, e lasciar all’oscuro i lontani;

E la stazione in isola (pagina 35). «Isola per isola, tanto vai questa come la vostra;» vi troverete in faccia al Canal Grande, al Canal Regio, al Canal dei Marani, a quelli che vengono da Mestre e da Fusina e dalla Giudecca, e da tutte le parti insomma, in luogo assai più comodo e libero che non le vicinanze di S. Simeone Piccolo. E Venezia rimarrà ancora nel verginale isolamento in cui nacque; e il ponte, che rispettoso si arresta al margine della sua circonvallazione, non introdurrà in riva al Canal Grande i [p. 39 modifica] "carri e le carrozze, che di passo in passo inoltrandosi, imporrebbero ben tosto di spianare le curve de' suoi ponti; e sotterrare le sue vie d’acqua!!!"

Così siamo fatti noi nomini!

Così corrono mattamente le immaginazioni nostre quando un cieco amor proprio le sprona, quando la rabbia delle passioni le sfrena!

135.° Quando il dottore Cattaneo non sa punto di quello di cui scrive; quando non intende quello che vuol criticare, ma che pur vuol criticare ad ogni costo, inventa fatti da sè, straccia lo scritto che ha per le mani, e lo aggiusta poscia a suo modo; vi ommette e v’introduce quanto gli occorre, e dopo vi scrive sopra un periodo tanto vuoto d’idee, tanto pieno di parole, tanto rimescolato e confuso da assordare il più diligente lettore.

Così si crede sicuro contro ad ogni modo di risposta, dicendosi: intenda chi può, se io stesso me stesso non intendo.

Di questa sua pratica ne avemmo, tra gli altri, un bel saggio in quel suo paragrafo sulle macchine locomotive a vapore, che si legge alla pagina 28 della Rivista, e che io ho trascritto per disteso al paragrafo 43; ed ora ne abbiamo un altro anche migliore in proposito di quella parte del progetto mio, che tratta della sicurezza di Venezia contro ogni modo di conquista (capo VIII e seguenti).

136.° È smanioso di appormi il ridicolo di aver affidato la difesa di Venezia al ponte girevole, proprio come se si dicesse, che la sicurezza di Mantova dipende unicamente dalla sorveglianza e dalla difesa dei due ponti levatoi agli estremi del ponte di S. Giorgio, e dall’argine di porta Mulino. Gli pare che sarebbe un bel fatto se gli potesse venir creduto, che una simile sciocchezza fu detta da uno degli allievi della scuola militare di Modena, da un officiale del Genio militare dell’antica armata del fu regno d’Italia.

137.° Non è a dire come si contorca, come la studi, come la imbrogli per riuscirvi: confonde la notte col giorno — il timore della sorpresa colle cautele disciplinari pel cambiamento delle sentinelle notturne nelle opere esterne — confonde Venezia, che è in mezzo all’estuario, in mezzo a una maremma, ma senza muri all’intorno, con una piazza forte qualunque cinta di mura e di bastioni — la conquista dell’estuario solcato da canali, rotto da paludi, coll’assalto di una breccia di pochi metri di larghezza; — ed ove io scrivo: "bisogna prima sorprendere l’estuario, una superficie di 172 miglia quadrate" (paragrafo 121 pagina 31), egli mi fa scrivere non sorprendere, ma occupare una superficie di 172 miglia quadrate, come se in fatto di attacco sorprendere ed occupare fosse la stessa cosa.

E dopo di avere in tal modo ingannalo e smarrito il lettore, conclude (pagina 36):

"Ma se... il signor Milani suppone ancora che una sorpresa militare sopravenga non vista da un capo all’altro di un ponte rettilineo,... allora sarà meglio avere un largo canale senza ponte, che un ponte girevole, il quale in caso di sorpresa si coglierebbe aperto".

138.° Ma l’intiero paragrafo è troppo bello perchè io non voglia addossarmi il rimorso di averlo guasto, recandone soltanto un frammento: ed anzi, prima di trascriverlo per disteso, dirò qualche cosa di quello che io ho veramente detto circa alla sicurezza di Venezia, affinchè la di lui chiarezza e sincerità meglio rifulgano.

Ho detto nel progetto al capo VII: (paragrafo 119) "Venezia non fu mai conquistata e non lo sarà. La natura l’ha tanto favorita dal lato della difesa, che ne fame, nè sorpresa, nè forza possono insignorirsene per poco che l’uomo vi operi e vi vegli".

(Paragrafo 120) "Chiunque ha veduto l’estuario, o soltanto ne conosce la di lui [p. 40 modifica] rappresentazione topografica, sarà convinto che è impossibile sorvegliare, e sempre, tutti quei varchi, anche se il blocco fosse generale, per terra e per mare, contemporaneo".

(Paragrafo 121) "Per sorprendere Venezia bisogna prima sorprendere l’estuario, una superficie di 172 miglia quadrate, attraversarlo su barche per canali appositi, ed attraversarlo non visti".

(Paragrafo 122) "Venezia é in mezzo alla Laguna viva tra paludi e canali. Ha all’intorno, ora, nel flusso un mare continuo, ma così poco profondo, che nel più di esso non vi si può navigare in alcun modo, ed ora, nel riflusso, un suolo lutoso e canali stretti. Per mare bisogna entrare intanto dai porti, difficili e pericolosi come tutti sanno, anche entrandovi senza contrasto; poi stabilirsi nell’estuario, e nei canali dell’estuario, cosa più difficile ancora. Per terra bisogna gettarsi nella Laguna sopra piccole barche, e correre date vie.

"I porti sono difesi: luoghi appositi ed armati spiano tutti i canali dell’estuario - le isole, che la circondano, le fan quasi scudo; dove sono rare, sorgono in mezzo al paludo delle batterie isolate: ed in caso di guerra, molte barche armate guardano i porti i canali, le spiagge. Muovervi contro per oppugnarla, così sull’acqua, sul paludo, tra tante offese stabili e mobili, sarebbe follia, il riuscirvi impossibile, e ne sia comprova che a’ giorni nostri, nè l’ardire più smisurato del mondo, nè la costanza d’ogni prova più forte lo tentarono".

Ho dunque detto che Venezia non si può conquistare, che Venezia non si può sorprendere, e l’ho anche dimostrato.

139.° Dopo questo, ho proposto nel progetto mio un ponte di struttura murale attraverso alla Laguna veneta, dal forte di Marghera all’orto Petich, dimostrando che, per la di lui posizione, forma e facilità di sorvegliarlo e difenderlo, sarebbe non solo innocuo alla difesa del forte di Marghera ed alla sicurezza di Venezia, ma utile a questa ed a quella.

Perciò quel ponte di struttura murale fu approvato da quello stesso Consiglio aulico di guerra che aveva prima disapprovato il ponte dell’ingegnere signor Meduna, eretto sopra una linea ipotetica, e che aveva prima, per quel progetto Meduna, vietato nella Laguna ogni ponte di struttura murale (paragrafo 93).

Questo è ben altro che aver destato ed espresso il timore che il ponte potesse servire ad una sorpresa militare a danno di Venezia: questo è ben altro che aver detto, che contro questa sorpresa non vi possa essere altro scudo che il ponte girevole!

140.° Nei casi di guerra, per regolamenti militari precisi ed inviolabili, tutti i ponti levatoi, che mettono dal corpo della piazza alle opere esterne, e dalle opere esterne alla campagna, debbono essere, durante la notte, sospesi, o, come si suol dire comunemente, aperti. Le sentinelle delle opere esterne sono fornite di picchetti appositi stabiliti in esse, se non si può comunicarvi con gallerie sotterranee.

In nessun caso poi, durante la notte, si va in un’opera esterna senza aver prima chiuso dietro di sè ogni comunicazione coll’opera esterna antecedente, o col corpo di piazza.

Tutti sanno di queste cose, perchè la nostra generazione le ha apprese per pratica in venti anni di guerra.

141.° In caso di guerra adunque il ponte girevole del gran ponte di Venezia, che in fine non è che un ponte levatoio, dovrebbe essere, durante la notte, sempre aperto, perchè la prescrizione è positiva, nè si può attenervisi o no, a seconda che il pericolo sia vicino o rimoto.

Per questo ho detto che in caso di guerra, e durante la notte, il Tunnel potrebbe essere [p. 41 modifica] anche utile per comunicare, occorrendo, colla guardia del ponte (paragrafo 191 del progetto).

"Anche il Tunnel, per cui passa l’acqua ed il vapore, può, in caso di guerra, esser utile a qualche cosa, perchè si potrà nella notte tener aperto il ponte girevole, e mantenere, mediante il Tunnel, la Comunicazione colle guardie del ponte ».

Vediamo ora, dopo tutto questo, cosa mi appone vergognosamente il dottore Cattaneo, e cosa mi vorrebbe far dire se gli riuscisse di trovar qualcheduno che glielo credesse.

(Pagina 36 della Rivista). "Ma se nell’interno di una fortezza, e dietro il forte di Marghera e le batterie di S. Secondo e S. Giuliano, e in vista a tutti i grandi canali e ai legni che li guardano, il signor Milani suppone ancora che una sorpresa militare soppravvenga non vista da un capo all’altro di un ponte rettilineo, scoperto, lungo due miglia, veduto da tutti i campanili e dalle case di Venezia, dominato da più forti, interrotto da cinque batterie sporgenti, che lo infilano e lo incrociano, s’egli crede possibili tutte queste cose, allora sarà meglio aver un largo canale senza ponte, che un ponte girevole, il quale in caso di sorpresa si coglierebbe aperto.

"Del resto queste sono tutte inezie; perchè quando un assalitore fosse padrone di tutto il ponte e delle sue batterie e dei forti circostanti, senza i quali egli vi verrebbe distrutto insieme al suo ponte in un momento, e si trovasse fino sul labbro del ponte girevole, a un tiro di sasso dall’abitato, sarebbe un nemico poco risoluto se non voltasse i tetti della città in capo a chi avesse la temerità di compromettere, contro tutti gli usi di guerra, e tutte le leggi dell’umanità, un ammasso di case scoperte. E in tal caso, non farebbe più bisogno che si divagasse — a occupare una superficie di 172 miglia quadre — come il signor Milani ci narra essere necessario per penetrare in Venezia (paragrafo 121, pagina 31 ), poiché a buon conto le gazzette dicono, che, per entrare in qualunque fortezza, basta far una breccia di pochi metri, e non prendere le centinaia di miglia".

Noi siamo ben lungi dal voler offuscare con qualche comento questo splendido testimonio della eloquenza e della lealtà del dottore Cattaneo; solo gli chiediamo il permesso di avvertirlo che se egli (pagina 35), studioso delle arti della pace e dell’economia, non dà al pubblico miglior pegno del poco che ci assicura di avere appreso nell’arte della guerra dalle gazzette e dai libri di questo secolo che va matto a parlare di queste cose, il pubblico potrà credere che egli vi abbia imparato non poco, ma nulla.

142.° Ma vediamo in somma quanto fu in questo numero dimostrato!

Mi fu offerta e garantita la creazione di tutta la strada di ferro da Venezia a Milano, cioè:

la scelta di tutta la zona e di tutta la linea;

la creazione e la compilazione di tutto il progetto;

la suprema direzione di tutta l’opera tosto che il progetto avesse ottenuto la governativa approvazione.

E ciò che mi fu offerto e garantito io ho accettato.

Quando accettai, quando giunsi in Italia, quando assunsi la direzione dell’impresa, nella parte tecnica ho ritrovato

alcune vecchie, ma buone idee, sulla zona da percorrersi, sparse dal dottore Cattaneo — la pubblica opinione smarrita in un labirinto di linee — dei conti d’avviso sul valore dell’opera, fondati soltanto sopra linee ipotetiche — un progetto astratto pel ponte di Venezia disapprovato dall’aulico Consiglio di guerra, e per esso vietato anche ogni ponte di struttura murale attraverso alla Laguna veneta. [p. 42 modifica]

Mi fu promesso cbe nessun conto d’avviso si divulgherebbe spendendo il nome mio; e la promessa fattami non mi si tenne.

E questa è la bella maturità a cui erano portate le cose alla fine dell’anno 1836, di cui parla il dottore Cattaneo alla pagina 13 della sua Rivista.

Essere sconveniente, non vera, non giusta la stampa 1.° settembre 1837 della sezione veneta della Direzione in ciò cbe si riferisce allo studio della linea e delle località — al ponte di Venezia — ai lavori d’arte fino allora fatti — all’incarico a me affidato.

La pubblicazione del progetto del signor Meduna essere, a detta della sezione veneta, una svista; l’appellativo d’ingegnere dei progetti di dettaglio una conseguenza dello scrivere del signor segretario Breganze, senza curarsi di ben conoscere prima il valore delle parole.

Quella pubblicazione del progetto Meduna, e quell’appellativo d’ingegnere dei progetti di dettaglio essere stati pubblicamente smentiti con le stampe per ordine della Direzione, e per la penna dello stesso dottore Cattaneo.

Quanto ha detto il dottore Cattaneo per concludere che il mio ponte di Venezia è una copia del progetto Meduna, essere un vergognoso tessuto di spropositi e di bugie.

Il mio ponte non aver di eguale al ponte Meduna che quello che hanno di eguale tra loro tutti i ponti del mondo di struttura murale — la forma delle piazzette, delle pile e degli archi.

La condotta del gas, l’acquidotto sotto i camminapiedi, ed il ponte girevole essere cose buone, approvate dagli uomini dell’arte, eseguibili da chiunque conosca bene il mestier suo.

Il suo ponte apposito per l’acquidotto, il faro a gas, e la stazione in un’isola di settanta mila metri quadrati da crearsi appositamente, perchè Venezia rimanga nel verginale isolamento in cui nacque esser cose belle da dirsi in ottava rima, ma non in prosa, e da non farsi poi mai.

Non temere io alcuna sorpresa per Venezia, nè ora, nè dopo la costruzione del ponte, ed averlo anche dimostrato: e quanto poi alla gloria da Orazio Coclite di difender Venezia al ponte girevole, che vorrebbe attribuirmi il dottore Cattaneo, restituirgliela intiera intiera, perchè io non vi ho mai aspirato, e non vi aspiro.

  1. Journal des Dèbats, 16 mars 1840. — Journal des Dèbats, 3 avril 1840.
  2. Se io volessi prevalermi di questa legge del dottore Cattaneo sulla proprietà letteraria, potrei dire e dimostrare, che quanto egli ha scritto negli Annali di Statistica del secondo semestre 1837, dai sarcasmi in fuori, e quanto ha stampato ora nella Rivista circa alla deviazione per Bergamo, lo ha copiato da me, perché la maggior parte delle cose contenute in que’ due scritti, circa alla deviazione per Bergamo, io le ho dette prima di lui, quanto alle Osservazioni, a Milano, in presenza del dottore Cattaneo, ed in presenza dell’intiera Sezione lombarda e della Commissione dei signori Bergamaschi, nella Conferenza della sera del 28 Novembre 1837, come tutti quelli che furono presentì potranno affermare; e quanto alla Rivista, nella mia Memoria stampata sotto il titolo Qual Linea seguir debba da Brescia a Milano l’I. R. Privilegiata strada di ferro Ferdinandea Lombardo-Veneta, come tutti potranno riscontrare volendo. Ma non mi sogno nemmeno di dirlo, perchè quelle cose che ho dette, e che ho stampate, non le ho inventate, le ho studiate ed imparate nei libri e colla esperienza, e quindi molti altri possono averle studiate ed imparate come ho fatto io.
  3. Fascicolo a stampa intitolato Strada ferrata da Venezia a Milano, Suppliche per la concessione del privilegio.
  4. Decisione del Consiglio aulico di guerra, 3 maggio 1837, N.° 680. Omissis. «Allo scopo perciò della formazione di una strada ferrata da Venezia a Mestre attraverso la Laguna può esser concessa soltanto la costruzione di un ponte di legno senza selciatura attraversante il forte di Marghera, il quale presso le due opere di s. Secondo e di s. Giuliano, parimenti da passarsi, dovrebbe esser munito di ponti levatoj, onde, in caso di bisogno, poterlo incendiare e distruggere sino allo specchio dell’acqua della bassa marea». Omissis. Segnato Hobbenlohe m. p. F. M.
  5. Rapporto dell’ingegnere Campilanzi N.° 5 diretto alla Commissione fondatrice veneta: «Linee che soddisfino all’occhio se ne possono tracciar sulla carta quante si vogliono, ma si scosteranno tutte dal vero scopo se nel loro andamento non seguiteranno la pianura. Egli è duopo persuadersi, quantunque sembri un paradosso, che nel caso nostro la linea più breve è la più lunga, perchè questa potrà esser percorsa in minor tempo, e portare minor dispendio»
  6. Rapporto dell’ingegnere signor Campilanzi, 31 marzo 1837. — Omissis «Vidi però che trattandosi di un grandioso progetto, come quello di cui trattasi, avrebbesi potuto, anche prima d’incontrare, sull’incertezza, la vistosa spesa dei rilievi e dei progetti, calcolare con sufficiente approssimazione questo dispendio, servendosi intanto di una carta generale del Regno a sufficienza esatta e di dettaglio"
  7. Rapporto suddetto. — Omissis. «Che comunque si tratti di stime di semplice avviso, si cercò non di meno di redigerle con quella esattezza che può ripromettersi dalla loro indole».
  8. Rapporto dell’ingegnere signor Campilanzi N.° 5 diretto alla Commissione fondatrice veneta. — Omissis. «Ben inteso che non trattasi qui che di uno studio preliminare di massima e di traccia di semplice avviso».
  9. Rapporto 22 marzo 1837 dell’ingegnere sig. Francesco Brioschi diretto alla Commissione fondatrice lombarda. — Omissis «Compiacenti verso di me e di questa rispettabile Commissione, l’I. R. Istituto Geografico e la Direzione generale delle pubbliche costruzioni, e quanti altri interpellati nell’argomento, fornirono al referente le mappe e i profili di livellazione relativi alle città ed ai fiumi tutti compresi nel suddetto territorio, il che contribuì nella brevità del tempo per ottenere una generale abbastanza esatta cognizione sulle circostanze planimetriche ed idrografiche di quello stesso spazio, a cui coordinare il seguente indizio».
  10. Rapporto 29 maggio 1837 dell’ingegnere sig. Brioschi diretto alla Commissione fondatrice lombarda. — Omissis. «La Commissione m’incaricò di occuparmi lungo il viaggio per Venezia dell’esame delle circostanze territoriali ed idrografiche che s’incontrano lungo la detta linea per conoscere se in via tecnica era pure adottabile quel cammino che dalle circostanze statistiche sembrava consigliato. »Dalle osservazioni fatte nel detto viaggio al punto dell’incontro dei fiumi, riconobbi che la linea proposta, ec, ec ».
  11. Rapporto 29 maggio 1837 dell’ingegnere suddetto diretto alla Commissione fondatrice lombarda. — Omissis. «Crederei aver esternato a sufficienza in questo argomento quando riflettasi che la sola oculare ispezione mi fu guida in questo lavoro. »Per discendere a maggiori dettagli, come per dichiarare in via positiva ed assoluta, sulle circostanze di una linea anziché di un’altra, egli è d’uopo premettere degli studii pratici e discendere in campo cogli strumenti alla mano, esperimentando un partito piuttosto che l’altro, ciò che dovrà farsi, ec, ec.».
  12. Verbale 8 maggio 1837 della conferenza tenutasi in Venezia dalla Commissione fondatrice lombardoveneta per la costruzione di una strada di ferro da Venezia a Milano. Conclusero "convenire all’interesse dell’intrapresa la scelta di un solo ingegnere centrale, e che il sig. Milani, siccome fornito dei necessarii requisiti, sarebbe da incaricarsi della redazione del progetto, e successiva direzione del lavoro»
  13. Verbale 10 maggio 1837 del congresso tenuto in Venezia dalla Commissione fondatrice lombardo-veneta.
  14. Del progetto dell’ingegnere signor Meduna esistono due originali: ne conservo uno nel mio archivio a disposizione di chiunque volesse esaminarlo, l’altro esiste presso la sezione veneta della Direzione, ivi trasportatovi dall’ufficio tecnico all’atto della sua distruzione
  15. Vedi Gazzetta di Venezia, 12 aprile 1841.
  16. Nella pubblicazione del mio Progetto, al paragrafo 161, è corso un errore. Lo noto qui per risparmiare al dottore Cattaneo il disturbo di scrivere una nuova Memoria nel Politecnico per propalarlo. In quel paragrafo si parla delle diverse parti in cui è suddivisa la larghezza totale del ponte di otto metri. Vi è detto: «Dalle morse all’origine delle due barricate di legno che separano il carreggiabile dai camminapiedi vi è la larghezza di un metro e 65 centimetri». Quel «65 centimetri» vi è di più, e dirò anche come quell’errore è accaduto. Ho detto ai paragrafi 50 e 51 perchè avessi dapprima stabilito la larghezza della ruotaia a due metri e perchè l’avessi in seguito ridotta ad un metro e 5o centimetri. Per questo la suddivisione della larghezza del ponte sofferse un cambiamento. Quando la larghezza della ruotaia era di due metri, la distanza dalle morse all’origine delle barricate era di 75 centimetri; e quando la larghezza della ruotaia fu ridotta ad un metro e mezzo, la distanza dalle morse all’origine della barricata divenne di un metro. Ho dunque nella minuta scritto un metro, dimenticando di cancellare il settantacinque, e per di più lo scrittore, e lo stampatore per conseguenza, lessero e quindi copiarono e stamparono sessantacinque in luogo di settantacinque.
  17. Il dottore Cattaneo, nelle di lui Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia, da lui stesso tanto vantate, confonde, senza accorgersene, la pendenza generale di una strada colle pendenze parziali di ciascun tronco di essa. Dopo di aver confrontato la pendenza generale della strada di ferro da Milano a Venezia colle pendenze particolari di alcuni tronchi delle strade di S. Germano, di Birmingham, di Manchester, trovandosi, alla fine di questo bel confronto, ridotto alla impossibilità di concludere qualche cosa, come doveva essere, conclude nulla, fa conto di non averlo fatto, e tira innanzi. Si dirà forse: tanto peggio per lui: queste cose fan sorridere gli uomini dell’arte e nulla più; ma io dico che vi è di più: confondono l’opinione pubblica, che l’onesta stampa deve illuminare e dirigere. Ecco le parole del dottore Cattaneo (pagina 4 delle Ricerche): "Da Milano a Venezia il declivio generale è di poco più di un mezzo metro, o vogliam dire di un braccio per miglio; e da Verona a Venezia è circa il doppio. "Egli é adunque tra 1/3000 e 1/1500 (tra 0,33 e 0,66 per mille) all’incirca; mentre la strada ferrata da Parigi a S. Germano è inclinata da 1/1000 a 1/333 (dall’uno per mille al tre); quella di Londra a Birmingham ha salite che misurano 1/330 (3,33 ), e in quella da Manchester a Liverpool il pendio generale è di 1/88 (1,13), ma vi si trova qualche tratto che discende sino ad 1/96 (10,41) e non di meno non si potè conseguire senza grandissimo movimento di terra".