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Io dissi dove giacciono le maremme veneziane — quali i loro confini, e di qual natura il suolo — dei cinque porti per cui comunicano con l’Adriatico — come l’acqua dell’Adriatico entri per essi nella Laguna e si stenda nei diversi di lei bacini, e come al mare ritorni — cinque essendo i porti, esservi dunque nell’afflusso della marea e nell’interno della Laguna correnti diverse e contrarie — dove queste correnti contrarie si incontrano e si elidono, accadere la stanca, o ciò che gli uomini di mare chiamano partiacqua — di questi partiacqua essercene nella Laguna veneta quattro, perchè i porti sono cinque — il paludo di S. Secondo trovarsi proprio tra i due dei porti di S. Erasmo e di Malamocco, e per di più difeso contro ogni corrente diretta, proveniente dal porto del Lido, dalla città di Venezia — delle maree, delle loro altezze — a Venezia intendersi per comune la comune alta marea — della Laguna morta e della viva — dei paludi e dei canali di questa, delle barene e degli stagni di quella — dei principali canali della Laguna viva, e della loro mossa ed andamento — non sapersi, e non potersi sapere, quale sia il fondo occulto della Laguna — pure potersi sospettare che vi sia uno strato carantoso inclinato dal continente al mare se si guardino le barene e le paludi, se si studino le profondità naturali dei canali e gli escavi praticati in essi dall’arte.
116.° Il signor Meduna scrisse, al paragrafo 7 del di lui progetto (parla della linea che dal lato di S. Giobbe fosse diretta al sud del forte di Marghera): «L’altro vantaggio che si presenta, da tenersi in gran conto pei riguardi dovuti alla Laguna, è che andrebbesi a collocare il nuovo ponte in una linea intorno alla quale per l’influsso dei due grandi canali di S. Secondo e delle Tresse, derivando l’acqua salsa dall’uno e dall’altro di essi, ed ai medesimi rispettivamente dirigendosi nel flusso e riflusso si trova un partiacqua nel quale rimane eliso ogni moto».
(Paragrafo 19) «Prima di parlare dell’intima struttura del ponte soggiugnerò qualche cenno intorno alla natura del fondo su cui deve essere eretto. Nell’ampio bacino, che forma il nostro estuario, vi sono barene e paludi intersecate da varii canali con ramificazioni, come arterie e vene, delle quali è cuore il mare. Le barene non vengono coperte dalle acque salse che nelle straordinarie loro elevazioni: i paludi si scoprono soltanto nelle basse maree. Il primo strato delle une è un terreno nerastro prodotto in gran parte dalla decomposizione dei corpi organici, dei quali si manifestano degli avanzi: quello dei secondi è un terreno fangoso di molta cedevolezza che ripete la sua esistenza dalle torbide dei fiumi quando erano tributarii alla Laguna in epoca posteriore alla genesi delle prime. Vi succede l’argilla talora pura e talora mista alla sabbia: vien dietro il caranto; quindi la sabbia. Nella possanza e giacitura dei differenti strati si hanno delle anomalie, come ne sono nella loro posizione rispettiva. In questo suolo riposa Venezia non con altra sede che con un sistema di palafitti di quercia o di larice sopra dei quali è disteso un tavolato di legname della stessa specie.
(Paragrafo 20) «Gli escavi, che si praticano colla macchina a vite nei canali di grande navigazione verso i porti, fanno conoscere l’esistenza del caranto talvolta prima di giugnere alla profondità di metri sei, riferito al suindicato livello, nel qual caso è impedito il progresso del lavoro dalla molta resistenza di quel terreno. Sembra non infondato il credere che tale strato si debba assai più presto incontrare coll’avvicinarsi alla terraferma, giacché nella barena fra S. Giuliano e il forte di Marghera colle terrebrazioni lo trovai a soli metri 1.25».
117. E dunque evidente che l’ingegnere signor Meduna non ha parlato dei generali partiacqua della Laguna, di quelli che la dividono in grandi e diversi bacini secondo i