Prediche volgari/Introduzione

Introduzione

../ ../Vita di San Bernardino IncludiIntestazione 4 luglio 2024 75% Da definire

Prediche volgari Vita di San Bernardino

[p. i modifica]

INTRODUZIONE.


Il 15 agosto 1427 una moltitudine di popolo frequentissima si riuniva nella Piazza del Campo di Siena rimpetto al palazzo pubblico. V’era gente d’ogn’ordine e d’ogni età, e il conversare animato e vivace, e il balestrar continuo degli occhi accusava in tutti un sentimento come d’impazienza. Allato a una delle porte centrali del palazzo erano venuti frattanto a prender posto su stalli distinti il Capitano di Popolo ed i magnifici Priori del Comune, rosso vestiti. Tace allora la campana della torre, che sonava a raccolta; ed al rumore cupo e confuso che usciva della folla ed echeggiava per la piazza, succede un silenzio profondo. Gli occhi di tutti si volgono verso una cattedra di legno addossata al palazzo, vicino ai Priori; sulla quale finalmente appare un povero fraticello francescano, uomo già presso ai cinquant’anni, smilzo della persona, con gli occhi infos[p. ii modifica]sati e ’l mento aguzzo e sporgente, proprio tutto ossa e pelle. Guarda intorno gli astanti, e gli saluta co’ dolci nomi di padri e fratelli e figliuoli suoi: quindi con voce sicura, con parole d’intenso affetto comincia a magnificare le virtù e la gloria della Vergine assunta in cielo. Da quell’istante pende ciascuno dal labbro di lui che parlando si infiamma; e quella sobria e naturale eloquenza pare che gli uditori sollevi di terra in cielo a contemplarvi Maria, irradiata da splendore divino. Stanco per lungo viaggio, affaticato dal molto predicare che avea fatto in altre città dell’Italia, non più che ’l giorno avanti era tornato a Siena;1 e se non fossero state le preghiere dei magnifici Priori, quel giorno non sarebbe salito sul pulpito.2Ma dovunque accadeva così: bastava ch’egli mettesse piede in un paese, perchè i popoli si mostrassero come assetati della parola di lui, ed egli bramosissimo di schiuder loro le fonti della sua carità e dottrina.

Frate Bernardino (era questo il suo nome) aveva sortito i natali in Massa Marittima l’8 settembre 1380, l’anno stesso della morte di santa [p. iii modifica]Caterina da Siena.3 Suo padre, Tollo o Bertoldo Albizzeschi, era d’antica e nobilissima famiglia sanese; alla quale non cedeva per la chiarezza del sangue e per verun altro rispetto la famiglia massetana dei Todini, cui si vuole appartenesse donna Nuta, madre del Nostro. Il quale, rimasto orfano in tenerissima età, venne fanciullo presso alcuni suoi congiunti in Siena per attendere meglio alli studi. Applicò, dapprima, benchè contro voglia, al gius canonico; quindi con molta passione alla teologia insieme ed alle lettere, superando facilmente i condiscepoli per la felicità dell’ingegno e per la memoria, quanto veloce all’apprendere, altrettanto delle cose apprese tenace.4 Giovane di vent’anni, e già acceso da molto fervore religioso, sentì voglia di ritrarsi nella solitudine di un bosco, e là vivere nelle privazioni e nelle preghiere a mo’ d’eremita. E di fatti un bel giorno, provvedutosi di una bibbia per leggere, di una schiavina per vestire e di una pelle per ripararsi dalle pioggie, prese la via di Massa in traccia di un bosco o d’una selva che gli convevole [p. iv modifica] nisse. Fece assai cammino guardando per ogni lato e per ogni verso, ma finì col tornarsene a Siena. Gli venne allora in pensiero di cominciare a poco a poco la vita dell’anacoreta; una tal volta uscì fuori d’una porta della città, colse un’insalata di cicerbite e d’altre erbe, e senza verun condimento prese nel nome di Gesù a masticarla. E non essendo da tanto d’inghiottirla, benchè s’aiutasse con parecchi sorsi d’acqua, si persuase di non avere virtù sufficiente a menare quella vita; per la qual cosa diceva poi, che un boccon di cicerbita gli aveva levato di dosso quelr ardore.5 Ma non passarono forse due anni, e vestì l’abito dei frati minori francescani6, dei quali ricondusse l’Ordine a più stretta osservanza delle regole e discipline monastiche. Tuttavia, come la solitudine dell’anacoreta, così non gli andava a genio neppure la vita contemplativa del chiostro; e secondando il fondamento che gli aveva posto natura, si consacrò al fruttuoso ministero della predicazione, nel quale salì a gran nome per la molta dottrina e ’l pieno possesso de’ sacri libri, ed eziandio pel natural dono di una parola facile, briosa, efficace. Si può dire che, novello apostolo, [p. v modifica] corresse da un capo all’altro l’Italia, predicando sempre, più spesso che in chiesa, per le vie e per le piazze; e la sua eloquenza dovunque e presso tutti, dai magistrati supremi alla più umile femmina aveva prodotto effetti mirabili. Sebbene ecclesiastico e frate, meglio che al vivere ascetico o ad un assoluto dispregio del mondo, eccitava gli animi de’ suoi numerosi uditori alla riforma dei costumi che viziosissimi erano, alla moralità delle leggi, all’acquisto della virtù, acciocchè ne derivasse uno stabile e salutare miglioramento alla famiglia ed alla società. Era vissuto sempre fra gli uomini, non estraneo nemmeno alle loro passioni politiche; di guisa che conosceva a maraviglia i mali che affliggevano il mondo, le virtù e i vizi a cui s’informava l’indocile e fiera natura de’ suoi contemporanei. Perciò nelle sue prediche, ancorchè se pronunziate in chiesa, preferisce gli argomenti morali; e dove sa che più un vizio predomina, ed egli con più ardimento e vigore che mai lo svela e lo combatte. E senza dubbio il bene delle anime l’obietto suo costante e precipuo; ma vuole insieme che gli ordini dello Stato e la libertà cittadina non corran pericolo per effetto di leggi non buone; vuole che la concordia degli animi e delle volontà renda potente la patria; che usanze feroci, reliquie di tempi barbari, cedano il luogo a gentilezza di modi e di sentimenti; che certe enormi nefandezze che bruttavano quella società, si disperdano a così dire col [p. vi modifica] ferro e col fuoco. I mali guadagni l’offendono e la perfida usura e i contratti illeciti; aborre la. vanità del lusso muliebre; ha in odio l’ignoranza, che egli definisce, «quella cosa ch’è più contraria alla salute dell’anime, che tutte l’altre cose del mondo.»7 Quanti popoli italici l’udirono a predicare animoso contro ciò che di più reo e perverso davano i tempi, restaron presi all’ardore di quelle sue parole, al fuoco di quella sua carità, all’esempio di quella vita austera e senza macchia. Per effetto di quelle predicazioni riformarono molte città i loro Statuti; in più di un luogo si accatastarono nel mezzo alle piazze oggetti di vanità e lusso, e come roghi incendiaronsi alla vista di una moltitudine esaltata e commossa.8 Diede questo spettacolo anche la città di Roma, dove frate Bernardino era stato chiamato a difendere dall’accusa di poca ortodossia i suoi insegnamenti; ma il soggiorno nella città eterna, e il predicar continuo che vi fece, tanto gli crebbero nome di santità, che il papa lo promosse al vescovado di [p. vii modifica] Siena.9 Bensì egli rifiutò quella dignità, volendo perseverare nell’ufficio delle predicazioni, e parlar d’ogni cosa, com’egli stesso ci racconta, e arditamente, e non con metà della bocca serrata.10

L’ascetismo dunque di frate Bernardino unisce in soavissimo accordo il cielo con la terra, nè mai separa l’ossequio alla Fede e la venerazione alla Chiesa da un affetto vivo ed operoso per la patria terrena, dove con la concordia, con la virtù, con l’amore voleva instaurato il regno benefico della pace. Io non so se m’inganno, o se ad altrui parrà ardito il ravvicinamento; ma chi nello studio della storia cerca la verità, non l’apologia o la condanna di passioni e sentimenti dei propri tempi, credo che non durerà fatica a conoscere che uguali furono i concetti supremi, che al cadere di quel secolo nutrirono l’eloquenza, e maturarono i consigli e le opere di un altro celebre frate, ma domenicano. Quanto a me, nella vita e nelle azioni di quelle due anime grandi trovo armonia. L’uno intende con febbrile zelo a remuovere le cause di una incipiente decadenza, la quale accasciando i popoli nelle mollezze, gli rendeva proni all’ozio della servitù. L’altro oppone la [p. viii modifica] mente capace e il viril petto all’irrompere della corruzione che invade ogni stato sociale, e presentendo l’era di una civiltà nuova, coi consigli, con le minaccie, con l’opere richiama le menti ad avvalorarsi nella santità della fede e nel culto alla libertà. Ambedue incolpati d’eresia e sottoposti a processo, si mantennero sempre fedeli ai dommi della religione; e se l’uno trionfa su i perversi vivente, non meno sublime è il trionfo, che procaccia all’altro il patibolo. Somiglianti ancora negli entusiasmi della pietà, il Francescano sull’alto del palazzo pubblico di Siena colloca raggiante d’oro il nome di Cristo Gesù: in Firenze i discepoli del Domenicano pongono sovra la maggior porta del palagio dei Signori una lapide che dichiara Cristo Redentore re dei Fiorentini. La quale armonia nei concetti e nelle opere dell’ Albizzeschi e del Savonarola tanto più è da notare, quanto diversi furono, almeno all’apparenza, i tempi in cui vissero: diversità che stupendamente personificano i due papi che in quelli predominarono: papa Niccolò V che canonizzò il Nostro, corsi appena sei anni dalla sua morte11; papa Alessandro VI che lasciò il Domenicano fosse arso. Il primo un santo, un martire l’altro.

«Voi sapete ... come essendo io a Roma (sono parole di san Bernardino) mi disse il papa [p. ix modifica] che io venissi qua; et anco il vostro vescovo, che è ora cardinale, anco mel disse: che avendo essi sentito le divisioni vostre, mi dissero che a ogni modo volevano ch’io ci venisse. E sentendo la cagione, io dissi in me medesimo: per certo io vi voglio andare, che io mi penso che e’ vi sarà qualche bene... Io ci so’ venuto per loro detto, e socci venuto molto volontieri; pregandovi tutti, che voi voliate levare via tutte queste parti e queste divisioni, acciocchè sempre fra voi sia pace, concordia e unione.»12. Fu questa pertanto l’origine della terza predicazione di san Bernardino in Siena, cominciata, come dicemmo, il 15 agosto 142713. Obbediente alla volontà del pontefice, che era Martino V, sarebb’egli venuto ancor prima, se non fosse stata la paura d’essere allacciato da’ suoi concittadini, ostinatisi ad averlo per vescovo14. Da buon sanese venne per le feste dell’agosto, le principali della città e dello Stato; e cominciate senza indugio le prediche, le continuò fino a tutto il mese di settembre. L’argomento gli era dato precipuamente dal motivo che qua l’aveva condotto, il restituire cioè l’unio[p. x modifica]ne tra’ cittadini; ma come la città era infestata da vizi anche peggiori, e divenuti comuni a gran parte d’Italia, così non si astiene dal flagellare con parole severe e minacciose ogni altro mancamento de’ suoi concittadini. Benchè predichi con singolare naturalezza, e senza l’ombra mai di verun artificio, non sa tuttavia liberarsi dall’aridità delle forme scolastiche, nelle quali vien meno talvolta con la lucidezza del pensiero la spontanea festività dell’eloquio. Ma dove quelle tacciono, e ragiona l’affetto, la parola di lui diviene potente sull’animo degli uditori, e così paurosa ai perversi, quanto ai buoni diletta. Dai sacri Libri deriva quasi di continuo la sua eloquenza; ma nulla ricusa di ciò che gli s’offre improvviso alla mente, atto a chiarir meglio l’argomento che svolge. Per la qual cosa, ora giovandosi di proverbi popolari, ora contando apologhi e novellette, ora riferendo fatti de’ quali fu testimone o parte nel suo lungo peregrinare predicando in Italia, consegue l’utile insieme e il dilettevole; di maniera che queste sue Prediche tanto volentieri si leggono oggi, come volentieri le ascoltarono migliaia di cittadini, non tutti al Santo benevoli. Son passati meglio che quattro secoli e mezzo, e serbano esse tuttora il rigoglio e la freschezza della vita; imperciocchè le naturali bellezze non altera il corso degli anni, e la virtù non perde in verun tempo lo splendore suo nè l’incanto.

Fu già chi scrisse ottimamente, che questo [p. xi modifica] Prediche volgari debbono tornare accette non solo a coloro che le riguarderanno come documenti di morale cristiana e propri ad esercitare lo spirito, quanto a quelli che insieme colla storia de’ costumi e delle opinioni vi cercassero anche quella della lingua. Non dubito che a taluni parrà, doversi fare addebito al nostro fervido oratore di soverchia libertà di linguaggio, dimostrandosi egli poco riguardato in certe parole ed in certi ragionamenti. Lasciamo star le parole, alcune delle quali col volger de’ secoli restarono nel signiflcato alterate; ma non sia chi di siffatte licenze si offenda, se prima non si riconduca col pensiero all’età in che le Prediche furono dette, ed in mezzo a quegli uomini; i quali, non meno delle virtù, avendo grandi anche i vizi, questi non sapevano palliare, come tanto bene sa l’età nostra, col velo leggerissimo della ipocrisia. I rimproveri a mezza bocca, gli argomenti allusivi, le parole melate ripugnavano alla natura schietta e semplice dell’Albizzeschi; il quale dove pure non avesse aborrito dall’usare cotali espedienti, conosceva, che per tal modo non avrebbe raggiunto la mèta di tante sue veglie e fatiche. Poichè egli col predicare guerreggiava in Siena e per tutto una grossa guerra contro i principali nemici dell’uomo, che sono il vizio e l’ignoranza; e se l’austerità della vita gli era usbergo, la sciolta e libera parola gli teneva luogo d’arma tagliente per farsi [p. xii modifica] largo e trionfare nei campi incruenti ma gloriosi di quelle sante battaglie.

Come illustrazione di opinioni e costumanze, come specchio di un’età ch’era stata l’erede delle maggiori creazioni letterarie ed artistiche del nostro paese, poche scritture posson gareggiare con queste Prediche. Nelle quali poi chi ha serbato ancora ombra di gusto in mezzo al folleggiare odierno di strani cervelli, troverà, come dice l’Autore del Prologo, nuovo stile e regola, e grandissimi i pregi della lingua, che è pur quella aurea del trecento, non come negli scrittori si legge, ma come si continuava a parlare dal popol sanese. V’ha quindi una mirabile trasparenza di forma; una grazia, una serenità senza pari, e dovizia di parole e locuzioni eleganti ed efficacissime. Direi che vi si sentono le aure fresche e leggiere che spirano nelle prime ore del giorno al cadere della state; di quelle ore in cui le Prediche furon dette, acciocchè il traffico o la bottega non impedisse al mercatante o all’artefice d’ascoltarle, e alla buona massaia la famiglia15. È nella sostanza la lingua stessa delle Lettere della Benincasa; ma resa più varia, e nelle mo[p. xiii modifica]venze più agile e nel colorito più viva. Ben si può assomigliare a una sorgente d’acque purissime e cristalline, alla quale chi s’accosti per dissetarsi, immantinenti prova refrigerio al corpo e consolazione allo spirito.16

«Volse Iddio che quasi oltra modo none usitato queste Prediche fussero ricolte e scritte ad amore ed accrescimento di devozione.» Al qual fine «ispirò uno che si chiamò Benedetto di maestro Bartolommeo cittadino di Siena, ed era cimatore di panni;» il quale «stando a la predica, scriveva in tavole di cera collo stile; e detta la predica, tornava a la sua buttiga e scriveva in foglio tutto quello che aveva scritto nelle predette tavole di cera.»17 E fu veramente ispirazione felice quella che ci ha procurato il tesoro di queste Prediche, le quali ci fan provare vivissimo il desiderio delle molte altre recitate dal Santo in Siena e altrove; tanto più felice, in quanto che il buon popolano con quel suo modo celere ed oramai fuor d’uso, potè mettere sulla carta le [p. xiv modifica] Prediche come uscite erano dalla bocca dell’Albizzeschi. Il quale non ignorando, come da due luoghi di quelle si apprende, che per effetto di pietà e zelo venivano esse premurosamente raccolte, avrà forse veduta e lodata l’industre e faticosa opera di maestro Benedetto. Che se il prezioso archetipo non ci è pervenuto, compensano il danno i Codici che ne possediamo. Io ne conosco quattro, tutti del secolo decimoquinto e, meno uno, posteriori di pochi anni alla morte del Santo. Ne appartengono tre alla Biblioteca Comunale di Siena; uno pregevolissimo a quella di Palermo. Dei Codici sanesi è più antico quello segnato U. I . 6, cartaceo e scritto a due colonne, di c. 301. Su la carta che serve di risguardo, è scritto così: Questo libro delle prediche del glorioso sancto Bernardino da Siena è di ser Antonio di Niccolò Campana. Nel margine inferiore della prima carta, il bibliotecario Luigi De Angelis lasciò scritta questa notizia: Questo libro fu comprato dalla Comunità Civica di Siena nella pubblica piazza, il dì 20 febbraio 1820. L’altro Codice è membranaceo, contrassegnato U. I . 4, di c. 293, per pochi fogli mutilo in fine. Questo pure è scritto a due colonne, di bella lettera minuta, e molto correttamente. Le c. 292 e 293 contengono alcune lezioni di santa Chiara: il Codice spettò al monastero della Certosa di Pontignano. L’ultimo dei Codici sanesi, cartaceo e scritto a intiera faccia, consta di c. 202, ed è segnato U. I . 5. Manca del prologo, e con[p. xv modifica]tiene le prime sole venticinque Prediche, essendo state scritte le rimanenti in un secondo libro, andato forse perduto. Ha in fine questi ricordi: Seghuita l’altre prediche nell’altro libro, e sono molto notabili. E appresso: Finito oggi questo dì xj di giennaio mcccclxiij, e scritto per me Lonardo di Paolo d’Utinello Chastelani, a onore di Dio e a gratia di santo Bernardino e a salute delle anime nostre. Appiè della prima c. è scritto: Di Bernardino di Lonardo Utinelli. Ma va innanzi a tutti per antichità il Codice palermitano, segnato 2Qq. C . 38, cartaceo, in folio, di bella lettera, che ha pure il vantaggio della data certa, posta in fine con questo ricordo: Ego Vescontes Bartholomei de Vescontibus de Volateris scripsi hunc Ubrum. Anno Dni. m . cccc. xliij, die v mensis augusti explevi. Scripsi enim predictum librum pro lacobo Baldi, lune cum Yldobrando morabam de Ceretanis de Senis. Nelle carte di guardia al Codice si riportarono sentenze di Santi Padri ed altre scritture latine o volgari, e tra queste una Laude della verginità, pubblicata dall’ab. Vincenzo Di Giovanni,18 che con gli studî filosofici e letterari grandemente onora quella cuna d’ingegni splendidi, ch’è la Sicilia sua patria. Il qual Codice palermitano, scritto, come vedemmo, l’anno prima che il Santo morisse, ignorasi in qual modo andasse in Sicilia; «se pur non l’avesse portato [p. xvi modifica] con sè quel frate Giuliano Falciglia di Salemi, il quale negli anni stessi che fra Bernardino predicava nella Piazza del Campo, egli il nostro siciliano insegnava metafìsica e teologia in quello! Studio sanese.»19

Accingendomi alla stampa di queste Prediche che sono in numero di quarantacinque, io mi proposi ad esempio il saggio bellissimo che fino dal 1853 ne diede il mio esimio concittadino e amico cavalier Gaetano Milanesi. È noto ai cultori dei buoni studi com’egli ne pubblicasse dieci, scelte tra le migliori, seguendo per la lezione il Codice sanese U. 1. 4, non senza però conferirlo con gli altri. Elessi ancor io quel Codice come testo; e lo raffrontai non solo con gli altri Codici sanesi, ma altresì con quello palermitano, comodità che al Milanesi mancò. E sebbene grandissima sia la rassomiglianza di tutti questi Codici, pure giudicai non inutile l’addurre in nota le principali varianti avvertite col faticoso ed assiduo confronto dei Codici; di modo che questa nostra stampa offre ai lettori la lezione di tutti e quattro i Codici, fatta grazia a lievissime e insignificanti diversità. Alla [p. xvii modifica] qual diligenza volli aggiunta l’altra di conferire con la Vulgata i moltissimi luoghi biblici ricordati dal Santo (le cui citazioni, per colpa forse dei menanti, trovai quasi tutte errate) correggendoli, dove ne fosse il caso, o riportando in nota la lezione genuina. Premisi alle Prediche, benchè pubblicato più volte, il breve comentario alla vita di san Bernardino, scritto da Vespasiano libraio fiorentino, contemporaneo ed amico suo; ma fui parco nelle annotazioni filologiche, e più ancora nelle storiche, e ciò per proposito20. Imperocchè, quanto alle prime, stimai di rendere miglior servigio agli studiosi ed insieme far cosa meno imperfetta, ponendo in fine una Tavola di vocaboli e modi di dire, o propri del dialetto sanese o comecchessia notabili, che occorrono in queste Prediche.21 Le annotazioni storiche poi troveranno sede più acconcia in un libro che medito di mandar fuora come complemento alle Prediche stesse; nel quale darò opera a raccogliere ogni sorta di notizie e [p. xviii modifica] documenti che illustrino la vita, le opere e i tempi dell’Albizzeschi, e rendano testimonianza nuova di onore alle virtù che lo fecero ammirabile sulla terra, e santo in cielo.


Siena, 22 giugno 1880.


Luciano Banchi.

Note

  1. «A’ 14 d’agosto tornò san Bernardino in Siena, e predicò a piè ’l palazzo ec.» (Cronaca senese, detta del Bisdomini, in Arch. di Stato in Siena, pag. 273).
  2. Vedasi nella Predica prima, a pag. 23. Del rimanente, tutte le altre particolarità di questo racconto son derivate da vari luoghi delle stesse Prediche, come il lettore diligente avvertirà. Sono anche da vedere tre tavole del secolo XV, che rappresentano il Santo sulla Piazza del Campo o su quella di san Francesco, in atto di benedire il popolo genuflesso, compiuta la predica, con la cifra rappresentante il nome di Gesù. Due di queste tavole sono appese nel vestibolo dell’aula capitolare nel Duomo di Siena: l’altra in una sala del palazzo comunale.
  3. Nella predica dell’8 di settembre, che è la vigesimaquarta, così dice: Voglio che voi sappiate ch’io nacqui in tal di qual è oggi ec.
  4. Scrive il p. Amadio Luzi nella vita del Santo, ch’egli ebbe in Siena a maestro di grammatica un tal Onofrio, e di umanità e rettorica Giovanni da Spoleto. Questi è quel Giovanni di Buccio che nello Studio sanese leggeva con gran plauso Já Divina Commedia, alla quale sono accenni non infrequenti nelle Prediche. Un’intera terzina, per esempio, n’è riportata nella Predica vigesimaterza.
  5. Il racconto di quest’episodio della giovinezza del Santo è piacevolissimo a leggere nella predica vigesimasettima.
  6. Nella citata predica dell’8 settembre si esprime così: «E anco in tal dì qual è oggi io rinacqui, chè oggi fa xxv anni che io mi vestii frate; et oggi fa xxiiij anni ch’io promissi povertà, castità et obedienza.» Sappiamo infatti ch’egli fu accolto nel detto Ordine con deliberazione capitolare de’ 5 settembre 1402.
  7. Pronuiiziò queste parole al principio del Quaresimale fatto in S. Croce di Firenze l’anno 1425 ( Ms. nella Biblioteca dell’Archivio di Stato in Siena).
  8. In Perugia si conservano ancora gli «Statuta S. Bernardini» del 4 novembre 1425 (V. in questo a pag. 350, nota 1). Anche nell’Archivio senese rimangono riformagioni o leggi suggerite o dettate dal Santo. Il cronista sopra ricordato, dove dice che san Bernardino tornò in Siena il 14 d’agosto, soggiunge: «e s’ordinarono e’ bossoli per opera sua;» i bossoli, onde s’estraevano i nomi dogli Officiali del Comune. Potrebbe dirsi lo stesso per altri paesi; ma questa materia sarà dichiarata meglio e di proposito in altro libro.
  9. «O, elli è stato dette cose della dotrina ch’io v’ho insegnata e amaestratovi in predicazioni!.... cose m’è state aposte, che sallo Iddio mai non le dissi.» (Predica settima, pag. 188). E quanto al soggiorno in Roma vedi alla predica quarta, pag. 98; e per la rinunzia del Vescovado di Siena vedasi la predica quinta a pag. 121, e più ancora la predica diciottesima.
  10. «Se io ci fussi venuto come voi volevate ch’io ci venisse, cioè per vostro vescovo, elli mi sarebbe serrata la metà della boca ec.» (Predica diciottesima).
  11. San Bernardino morì ai 20 maggio 1444, e fu canonizzato con bolla del 1° giugno 1450.
  12. Predica vigesimaterza.
  13. Alle due precedenti predicazioni allude il Santo nella predica decimaquarta, pag. 360 . È noto poi che soggiornando in Siena faceva al popolo frequentemente dei sermoni, a seconda delle opportunità che gli si presentavano. Dice scherzando nella Predica vigesimasettima, che predicando ingrassava, e che dopo la predica pesava una libbra più che prima.
  14. «E se non fusse il fatto del vescovato, io ci sare’ stato subito fatta che fu la Pasqua; ma io volsi prima mirare a me ec.» (Predica decimaottava).
  15. «O donne, che vi pare di questo tempo da predicare? Quanto ch’è da me, io dico che me ne pare molto bene, che elli è uno boccone ghiotto furato al diavolo: elli non piove; elli non è freddo; elli non è caldo, non vento. Elli è uno diletto in barba al diavolo.» (Predica vigesimasettima). Si raccoglie da più luoghi delle Prediche ch’egli diceva messa e predicava ogni mattina all’alba. E racconta che essendo a Crema in tempo di vendemmia, predicava di notte; «e tanto di notte, che io avevo predicato all’aurora quattro ore» (Predica decimaseconda, pag. 285).
  16. Niccolò Tommaseo nell’Avvertimento che premise all’edizion fìorentina delle Lettere della Benincasa, chiama san Bernardino «onore di Siena e d’Italia, frate cittadino, che non degnò essere prelato; ... il quale nascendo nell’anno che Caterina moriva, parve redarne lo spirito, a consolare di nobili esempi la patria, e la posterità di quelle memorie che sono speranza» (Pag. 14). Eppure un recente autore di così detti Ragionamenti sopra la storia della letteratura italiana non s’è ritenuto dallo scrivere che san Bernardino da Siena e l’arcivescovo Antonino ed altri oratori sacri del quattrocento furon tutti «spacciatori di grossolane sciocchezze» (Pag. 83).
  17. Prologo alle Prediche, pag. 4.
  18. V. al Voi. I, pag. 281 dell’opera dello stesso, intitolata Filologia e Letteratura Siciliana.
  19. Di Giovanni, loc. cit., pag. 281. Di questo Codice palermitano la R. Commissione dei Testi di Lingua, che alacremente opera sotto la presidenza dell’illustre comm. F. Zambrini, fece fare una diligente trascrizione da servire alla stampa di queste Prediche, affidata alla dottrina ed alle cure dell’ab. prof. Di Giovanni. Ma questi come seppe dell’intenzione mia di attendere a tal lavoro, mi cedette la copia del Cod., annuente il Zambrini, così rinunciando a ogni idea di pubblicarlo; e tutto ciò con una cortesia e liberalità che può immaginare soltanto chi abbia visitato quell’ìsola maravigliosa, e conosciutone da vicino gli uomini più onorandi.
  20. Additando mano a mano le Prediche che il Milanesi diè in luce, ne riferii le annotazioni, poche, ma come sempre eccellenti, e le contraddistinsi con la lettera iniziale (M). E del pari, avendo il comm. Zambrini pubblicato fin dal 1868 nella Scelta delle Curiosità letterarie un prezioso volumetto di Novellette Esempi morali e Apologhi di san Bernardino da Siena, tratti appunto da queste Prediche, mi piacque d’indicare ogni volta le pagg. rispondenti alla stampa dello Zambrini, del quale accolsi pure le note, segnandole con la lettera iniziale (Z).
  21. Per agevolare ai lettori, massime non toscani, la retta pronunzia di alcune parole, ho fatto frequente uso degli accenti acuto e grave; questo su le vocali che si debbono proferire aperte; l’altro su quelle che sono di stretta pronunzia.