Piceno Annonario, ossia Gallia Senonia illustrata/Capitolo XIV.

Capitolo XIV.

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Capitolo XIII. Capitolo XV.
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CAPITOLO XIV.


Si ragiona de' Siculi, che fondarono le descritte Città


Plinio ci fa sapere, che la Gallia Togata fu abitata prima da’ Siculi, e da’ Liburtini, poscia dagli Umbri, quindi da’ Pelasgi, di poi dagli Etrusci, e finalmente da’ Galli Senoni. Ognuno dunque di questi popoli avrà fondata qualche Città. Si debbono però escludere i Liburni, perchè a’ tempi di Plinio in tutta l’Italia rimaneva in piedi la sola Città Picena di Truento1, la quale riconosceva per suoi autori questi popoli, come egli narra. Si debbono escludere i Pelasgi, perchè Dionisio di Alicarnasso2 ci accerta, che tutti i luoghi fondati da essi perirono dopo la loro partenza, e che rimase in piedi semplicemente Crotone, che poscia fu chiamato Cortona. Si debbono escludere i Galli, perchè Polibio ci assicura, che abitarono vicatim, et sine muris. Esclusi questi, non altri popoli rimangono per crederli autori di tali Città, che i Siculi, gli Umbri, e gli Etrusci. Di questi tre popoli chi sarà stato quello, che edificò le Città del Piceno Annonario? Io penso, che ognuno di questi ne edificò qualcuna: ma credo, che Sentino, Alba, e tutte quelle, che portano il nome greco, furono edificate da’ Siculi. Imperocchè siccome Ancona, che porta il nome greco, fu edificata da’ Siculi, come ce ne assicura Plinio, così si può credere, che riconoscano per loro autori questi popoli quelle, che hanno il nome greco. Nella lapide di Suasa, che riportai, si legge Suasa graecorum nata laborum, e l’Olivieri opinò, che Pesaro fu edificato da’ Siculi, perchè il nome è greco.

Potrebbe qui uno cercare da me chi furono questi Siculi? Contro mia voglia parlai di essi nel Plinio illustrato nella descrizione del Piceno, perchè non [p. 162 modifica]ne potrei fare a meno, dopo essermi però protestato, che lavoravo sull’incertezza, e che appoggiavo tutto sulle congetture. Feci vedere, che i primi popoli, che vennero nelle nostre parti, e che furono i primi a popolarle, furono i Siculi, che questi dalla Grecia vennero nella Dalmazia, quindi nell’Italia, e che l’origine loro fu greco - fenicia. Imperocchè alcuni Cananei essendo fuggiti dalla Terra promessa per timore delle armi di Giosuè andarono nell’Africa, e la popolarono come racconta Procopio3 : in Africam concesserunt, quam totam usque ad columnas Herculeas obtinuerunt, multisque urbibus conditis frequentarunt, Phoenicum lingua etiam num utuntur incolae. Castellum quoque struxerunt in urbe Numidia, ubi est urbs jam dicta Tigisis. Ibi ad fontem uberrimum columnae e lapide candido, et verbis sententiam hanc servant: NOS II SVMVS, QVI FVGIMVS A FACIE JESV LATRONIS, FILII NAVE. Cartagine secondo Appiano, Giuseppe Ebreo 4, Servio5, Eusebio, S. Girolamo, e Stefano Bizantino non fu edificata da Didone, come narra Virgilio, ma da’ Fenicj dopo la morte di Giosuè. S. Agostino dice6: interrogati rustici nostri qui sint, punice respondentes, Chanani, corrupta scilicet voce, sicut in talibus solet, quid aliud respondent quam Chananei? La ragione poi ci detta, che molti altri Cananei si salvarono prendendo altre coste del Mediterraneo, e venendo verso la Siria, e la Grecia. Quivi giunti si unirono, come era costume de’ popoli antichi per quello, che ci testifica Dioniso di Alicarnasso7, con quella gente rozza, e quasi selvaggia, che vi trovarono, formarono tutto un popolo, e da questo popolo composto da’ Greci, e da’ cananei discendevano i Siculi. Questo mio sistema, che in tal libro può vedersi, fu creduto ingegnoso dal Sig. Canonico [p. 163 modifica]Peruzzi nelle Dissertazioni Anconitane8: ma non lo approvò: primo, perchè l’Europa fu occupata non da’ discendenti di Cam, ma di Iafet: secondo, perchè fo venire per terra, e non per mare questi Siculi: terzo, perchè ritardo di troppo la lor venuta in Italia. Quindi egli crede, che i Siculi fondatori di Ancona furono i popoli Italici primitivi anteriori ad ogni colonia de’ Greci, ed immediati ascendenti di Iafet9. Secondo lui questi Siculi cadono nella prima epoca dell’Italia10, che è composta da mille, e quattrocento anni dopo il Diluvio, e duecento e più anni prima della vocazione di Abramo, secondo il calcolo della Volgata11, e pensa, che il primo, che popolò l’Italia, fu uno de’ nipoti, o pronipoti12 di Gomer, il quale fu figliuolo di Iafet.

Come il mio sistema non piace a lui, così il suo non piace a me, e ne porto le ragioni. Sebbene alcuni dotti critici si sono adoprati per sostenere, che l’Italia fu popolata veramente da Iafet, e de’ suoi primi discendenti: tuttavia il Bardetti13, il Guarnacci, ed altri Scrittori combatterono ciò, ed in mezzo alle diverse opinioni de’ Critici, che tra loro discordano sulla vera intelligenza della parola Chetim, che s’incontra in Ezechiele14, e nel libro de’ Numeri15, non sappiamo a qual partito dobbiamo appigliarci. Sebbene credessi, che l’Italia fu occupata da’ discendenti di Iafet: tuttavia non poterono questi così presto popolarla, come pensa il Peruzzi. Il centro della dispersione delle genti fu la regione di Sennar. La ragione ci detta, che i popoli dispersi cominciarono prima ad abitar quelle terre, che erano più vicine a detta regione, e che dopo essersi ivi moltiplicati mandarono colonie a popolare [p. 164 modifica] quelle altre, che eran deserte, e più vicine a quelle, che avevano popolate. Si deve riflettere, che non vi erano strade, non ponti per passare i fiumi: che la terra era piena di macchie, di bronchi, e di fiere: che i posteri di Noè conducevano in loro compagnìa i figliuoli, le donne, e gli armenti, e perciò dovevan camminare lentamente, come fecero gli Ebrei, quando fuggirono dall'Egitto, e Giacobbe quando andò via da Labano: che nelle terre, in cui giungevano, non trovavano abitazioni, robe da mangiare, e necessarie alla vita: che eran costretti fermarsi per intieri mesi o per le nevi, o per le pioggie, o per gli ardori del Sole, o per la sterilità de' terreni, o per la mancanza delle acque, o per i monti alti, ed alpestri, o per la gonfiezza de' fiumi. Come dunque si può credere, che i figli di Iafet dentro lo spazio di cento cinquanta anni da Sennar vennero nell'Italia? E non era la terra tutta deserta? Possibile, che trovandone alcuna fertile, ed amena, in essa non si fermarono, ma direttamente si portarono nell'Italia, la quale non sapevano ove era situata, e qual cammino dovevan tenere per giungervi? Io non posso crederlo, e non mi persuaderò mai, che l'Italia molto lontano dal campo di Sennar fu popolata soli cento cinquanta anni dopo il Diluvio, perchè trovo contrario ciò alla ragione. Di fatti, che popolazione aveva la Cananitide non cento cinquanta, ma trecento anni dopo il diluvio, cioè ai tempi di Abramo? Non molta, perchè avendo egli raccolti 310 servi, sconfisse con essi in tempo di notte quattro Re vittoriosi, e tolse loro la preda che avevan fatta, a cui nel ritorno si fece incontro Melchisedecco persona Cananea, e Re di Salem Città de' Sichimiti, come lo dimostra S. Girolamo16. Chi fu il Padre de' Madianiti? Non fu Madian figlio di Abramo, e di Cetura? Chi fu l'autore degli Ismaeliti? Non fu Ismaele figlio di Abramo? Chi furono i genitori degli Ebrei, e degli Idumèi? Non furono Giacobbe, ed [p. 165 modifica]Esau nipoti di Abramo? Chi fu il padre de’ Moabiti, e degli Ammoniti? Non fu Lot nipote di Abramo? Possibile, che questi Siculi, che vennero nell’Italia, superino in antichità per tre, e cinque secoli tutti questi antichissimi popoli? Se i Madianiti, gl’Idumei, gli Ismaeliti, gli Ammoniti trovarono luoghi, ove fissarsi cinque secoli dopo il diluvio non lontanissimi al campo di Sennar, possibile, che non ve li trovarono i figli di Iafet dopo un secolo, e mezzo, ed ebbero bisogno di venir nell’Italia? Penso dunque con Giuseppe Ebreo17, che i nipoti, o pronipoti di Gomer non vennero nell’Italia, come crede il Sig. Peruzzi, ma che popolarono la Frigia, che è una parte dell’Asia minore, e che furono i padri de’ Gomeriti chiamati Galati da’ Greci. Penso con S. Girolamo18, che Magog secondo figlio di Iafet fu l’autore degli Sciti, e che Madai di lui fratello de’ Medi. Giudico, che i discendenti di Iuvan altro di lui figlio si fermarono nella Ionia, e perciò Omero chiama Ioanes tali popoli: che i quattro figli di Iuvan occuparono la Grecia, perchè il Re de’ Greci è chiamato Iovan da Daniele19. Quindi stimo, che le Isole chiamate Elisca d Ezecchiello, sotto qual nome viene la grecia, e che Elis, ed Hellas nel Peloponneso fu occupato da’ discendenti di Elisa figlio di Iuvan: che Tharsis secondo Eusebio fu il padre degl’Ispani: che Kittim, o Ketim altro di lui figlio fu il padre de’ Macedoni20: che i nipoti di Dodani altro di lui figlio popolarono l’Epiro, in cui rimanevano le celebri Quercie di Dodona.

Se ciò sussiste, non ripugna il mio sistema, come pensa il Peruzzi; alla costante opinione, che l’Europa fu occupata non da’ discendenti di Cam, ma da’ discendenti di Iafet. Imperocchè asserii, che alcuni Cananei essendo fuggiti dalla terra promessa per timore delle armi di Giosuè si portarono nella Grecia, la quale era abitata da gente selvaggia, o quasi selvaggia, che [p. 166 modifica]questi confondendosi insieme formarono un sol popolo, e da questo ebbero origine i Siculi, che vennero nell’Italia, e perciò questi non furono Fenicii, ma Greco - fenicii, perchè discendevano da Iafet, e da Cam. Di fatti è costante opinione, dirò io qui ad imitazione del Peruzzi, degli eruditi, e fra essi del Bochart21, del Petavio22, che la Grecia fu principalmente popolata da’ Cananei cacciati dagli Ebrei sotto la scorta di Giosuè, e che furon quelli, che portarono in grecia le arti, e le discipline. Gli annali greci ascendono semplicemente ad una tal epoca, e si osservano vestigii apertissimi de’ Fenicii negli antichi nomi de’ popoli greci, delle loro Città, e de’ loro Eroi, ed inoltre de’ principii della loro Religione, e delle loro scienze. Quindi tutti gli Autori vogliono, che Cadmo figliuolo di Agenore abbia portato per il primo dalla Fenicia le lettere nella grecia. Pliniodisse 23 utique in Graeciam intulisse e Phoenice Cadmum sexdecim numero. Quibus Trojano bello Palamedem adjecisse quator ... Totidem post eum Simonidem Melicum ... quorum ominium vis in nostris racognoscitur. Erodoto24, Filostrato25, Tacito26, e Plutarco27 riferiscono, che Cadmo meditando di edificare una Città nella Beozia, perchè gli si presentò per il primo un bue, perciò pose Alpha per prima lettera, mentre i Fenicii così chiamano il bue. L’alfabeto greco presente ritiene tuttavia i nomi delle lettere fenicie. Nè sono testimonj Alpha, Beta, Delta, Iota, Kappa, che evidentemente sono Aleph, Beth, Daleth, Iod, Caph. L’epoca di Cadmo, che fabricò Tebe, viene a cadere secondo tutti i critici ne’ tempi di Giosuè, e da questo tempo cominciano gli Dei, gli eroi, e le favole de’ greci.

Cadmo secondo Apollodoro28, e Diodoro Siculo29 fu figlio di Agenore Re de’ Fenicj, e fratello di [p. 167 modifica]Europa, che Giove rapì essendosi trasformato in toro, e che condusse nell’Isola di Creta, dalla quale nacquero Minos, RadamanteFonte/commento: Pagina:Piceno Annonario ossia Gallia Senonia illustrata Antonio Brandimarte 1825.djvu/219, e SarpedoneFonte/commento: Pagina:Piceno Annonario ossia Gallia Senonia illustrata Antonio Brandimarte 1825.djvu/219. Figlia di Cadmo fu Semele Madre di Bacco. Ma non voglio diffondermi, e dirò in breve che S. Agostino30, che ai tempi de’ Giudici degli Ebrei his temporibus fabulae fictae sunt. De Triprolemo, quod jubente Cerere, anguibus portatus alitibus, indigentibus terris frumenta volando contulerit: de Minotauro, quod bestia fuerit inclusa Labyrintho, quo cum intrassent homines, inextricabili errore, inde exire non poterant: de Centauris, quod equorum, hominumque fuerit natura conjuncta: de Cerbero, quod sit triceps inferorum canis: De Phrixo, et Helle ejus sorore, quod vecti ariete volaverint: de Gorgone, quod fuerit crinita serpentibus, et aspicientes convertebat in lapides: de Bellerophonte, quod equo pennis volante sit vectus, qui equus Pegasus dictus est .... His temporibus Latona peperit Appollinem, non illum, cujus oracula solere consuli loquebamur, sed illum, quem cum Hercule ferunt Admeti Regis armenta pavisse: qui tamen sic est Deus creditus, ut plurimi, ac pene omnes unum, eumdemque Apollinem fuisse opinentur. Tunc et Liber pater bellavit in India, qui multas habuit in exercitu faeminas, quae Bacchae appellatae sunt, non tam virtute nobiles, quam furore. Dalle quali cose convinto il Rollin non potè fare a meno di così dire31 "L’estrema incoltezza de’ primi Greci non parrebbe credibile, se si potessero lasciare da parte su questo punto i loro proprj Storici ... Chi crederebbe, che questo popolo, cui siam debitori di quanto abbiamo di letteratura, e di belle notizia discendesse da gente selvaggia, che altra legge non conosceva, salvo che la forza, che ignorava l’agricoltura, e si pasceva a guida di bestie? Eppure ce lo attestano gli onori divini, che eglino destinarono a [p. 168 modifica]quello, che insegnò loro a nodrirsi di ghiande, come di un cibo più sano, e più delicato delle erbe..... Ad ingentilire tal razza di gente n’ebbero l’onore l’Egitto, e la Fenicia.

È costante opinione degli eruditi, e fra essi del Mazzocchi32, del Federici33, di Antonio della Torre di Rezzonico 34, e di tanti altri, che i Cananei essendo venuti in Italia chiamarono le bocche del Po col nome di sette mari, che lasciarono il lor nome alle fosse Filistine nominate da Plinio: inde ostia plena carbonaria, ac fassiones Philistinae, quod alii Tartarum vocant. Presso a Colfiorito vi fu la Città di Plestia, ed il lago Plestino, e Balbo ad Interamna Picena dà il soprannome di Palestina. Dionisio di Alicarnasso ci avverte, che i Romani scrivevano da principio con quegli stessi caratteri, di cui si servirono i greci più antichi. Con essi fu scritta una Colonna di bronzo eretta da Servio Tullio, di cui il citato autore così parla: mansit eadem columna ad meam usque aetatem, litterarumque formas habuit, quibus olim Graecia usa est 35. Colla forma di queste antichissime lettere greche trovansi segnate le monete appartenenti a Siculi, ed agli antichi Itali secondo il Bianconi. I caratteri presenti latini altro non sono, che greci. Prisciano ci testifica, che le lettere antiche latine erano sedici di numero, come appunto eran sedici di numero quelle, che Cadmo dalla Fenicia portò nella grecìa. L’opinione universale delle persone colte della Sicilia è, che esse discendano dà Fenicii, come può osservarsi in Filippo Paruta sopra i Siculi, e Sicani, e nel Castelli principe di Torremozza sopra l’antichità delle Medaglie Siciliane Tavol. 96: e 100. Se dunque nel luogo, da cui vennero i Siculi, e dove dimorarono, si osservano vestigii apertissimi de’ Fenicii: se nella Dalmazia, nella Sicilia secondo lo Scotti, sono stati trovati molti cadaveri giganteschi: se [p. 169 modifica]questi in abbondanza si rinvennero in Suasa, ed in Ostra, e da essi prese motivo di credere il P. Cimarelli, che tali Città furono fabbricate da’ Giganti, e se ossa simili36 furono da lui vedute nella Sicilia nelle grotte di Leontino l’anno 1614, sopra le quali Tommaso Fazello nè formò un libro, dunque i Siculi eran Greco-fenicii, perchè gli esploratori degli Ebrei narrarono, che i Cananei erano di statura assai alta, come leggesi nel libro de’ Numeri37: populus, quem aspeximus, procerae staturae est. Ibi vidimus monstra quaedam filiorum Enac de genere giganteo: quibus comparati quasi locustae videbamur: dunque il mio sistema non ripugna alla costante opinione degli eruditi, come pensa il Peruzzi. Il suo poi ripugna alla ragione, perchè non si può credere, che i Siculi esistevano nell’Italia neppur due secoli dopo il diluvio. Di fatti il nome più antico, che abbia avuto l’Italia fu Saturnia38, e le feste Saturnali secondo Macrobio39 sono assai più antiche di Roma: Saturnalia praecedunt Romanae urbis aetatem. Se prima di esser detta Saturnia avesse altro nome l’Italia, noi l’ignoramo. Or questo Saturno secondo S. Agostino40 viene a cadere un secolo, e mezzo circa dopo Giosuè, e Pico di lui figlio visse ne’ tempi di Debbora: de hujus Pici patre Saturno, viderint quid sentiant talium Deorum cultores, qui negant hominem fuisse: de quo et alii scripserunt: quod ante Picum filium suum in Italia ipse regnaverit, et Virgilius notioribus litteris41 dicit

Is genus indocile, ac dispersum montibus altis
Composuit, legesque dedit, latiumque vocari
Maluit: his quoniam latuisset tutus in oris.
Aureaque, ut perhibent, illo sub rege fuere
Saecula. [p. 170 modifica]
Sed haec poetica opinentur esse figmenta, et Pici patrem Stercen potius fuisse asseverent, a quo peritissimo agricola inventum ferunt, ut fimo animalium agri foecundarentur, quod ab ejus nomine Stercus est dictum: hunc quidam Stercutium vocatum ferunt. Qualibet autem ex causa eum Saturnum appellare voluerint, certe tamen hunc Stercen, sive Stercutium merito agricolturae fecerunt Deum. Picum quoque similiter eius filium in talium Deorum numerum receperunt, quem praeclarum augurem, et belligeratorem fuisse asserunt. Picus Faunum genuit, Laurentum Regem secundum: etiam iste Deus illis vel est, vel fuit. Hos ante Trojanum bellum divinos honores mortuis hominibus detulerunt.

Se il mio sistema non piacque al sig. Canonico Peruzzi fu in parte adottato, ed in parte contraddetto dal Sig. Canonico Baluffi in quella Dissertazione intitolata dei Siculi, e della fondazione di Ancona. Mi rincresce dover replicare a questo dotto mio Amico, ma sono necessitato, perchè il difendersi è un dritto di natura. Negando egli, che i Siculi furono Greco-Fenicii sostiene, che furono Greco-Enotrii, ed afferma42, che il mio piano è un mistero archeologico assolutamente incognito a tutti i Classici. Se il mio piano è un mistero, perchè niuno de’ Classici considerò i Siculi per Greco-fenicii: ancora il suo è un mistero, perchè niuno de’ classici li considerò per Greco-enotrii. Se io merito perciò censura, egli la merita al par di me, perchè stabilì un sistema incognito, come feci io. Ma se egli inferisce il suo da un passo di Antioco di Senofane riportato da Dionisio, come si protesta43: io pure l’inferisco da’ più passi di autori classici, che riportai. Se i Siculi sono per lui Greco-enotrii, io gli soggiungo, che in tal caso sono gredo-fenicii, perchè alcuni Cananei fuggendo dalla terra promessa si portarono nella Grecia, si confusero cogli abitanti, e fecero tutto un [p. 171 modifica]popolo per le ragioni, che dissi. O non doveva egli dunque fare di origine greca i suoi Siculi, o se li faceva, doveva confutare quello, che asserii col Bochart col Petavio, e con altri scrittori, che dicono, che la grecia fu molto accresciuta di popolazione da’ Cananei, che fuggirono dalla Palestina spaventati dalle armi degli Ebrei, e che si confusero cogli antichi greci. Altrimenti sussistendo le mie ragioni tanto è dire, che i Siculi furono greco-enotrii, quanto greco-fenicii, perchè tanto i greco-enotrii, quanto i greco-fenicii traevano l’origne da’ discendenti di Iafet, e di Cam. Per questo riguardo dunque il mio piano non è un mistero archeologico incognito a tutti i Classici.

Se poi tale lo crede, perchè fo venire nel Piceno i Siculi per terra, e non per mare, allora non meritava esser così chiamato per un motivo così frivolo, tanto più, perchè egli crede essere assai facile 44, che qualche popolo sia penetrato dalle provincie Elleniche in Italia con questo, o con viaggio poco dissimile. Mi riprende, perchè fo venire i Siculi 45 dalle parti Venete, e dice "nè egli lo potrà crede a sè medesimo, solo, che rifletta all’autorità del suo Plinio da lui sì dottamente illustrato; che contro lui stabilisce i Siculi prima nel Piceno, e poi nell’Umbria, come altrove ho esposto". Io ritorco l’argomento, e così gli rispondo. Nè il Sig. Canonico potrà credere a sè medesimo, solo, che rifletta all’autorità di Plinio, contro del quale egli stabilisce, che46 i Siculi fondarono le prime colonie nella Puglia, e nelle provincie di Bari, e di Otranto, da cui viaggiando sempre sulla sponda sembra evidente, che siano venuti i nostri Siculi Enotrii distendendosi priemeramente nel Piceno, e quindi nell’Umbria. Se mi riprende dunque, perchè fo venire per terra dalle parti Venete i Siculi camminando per le rive del mare, allora e perchè egli li fa venire dalla Puglia? Se la parola in primis [p. 172 modifica]di Plinio è contraria a me, è contraria nel senso, in cui la prende, anche al suo sistema, e se Plinio nomina Numana prima di Ancona, non lo fa, perchè i Siculi vennero dalla Puglia, e la fondarono prima di Ancona, come egli pretende47: ma perchè avendo Plinio cominciato a descrivere l’Italia, dalle Calabrie, Numana gli si presentava prima di Ancona.

Aggiunge, che "non è argomento, che l’imbarazzi l’avere una schiera de’ Siculi abitato in Dalmazia, cosa incertissima... che quei Siculi dalmati eran greci secondo il Negro" Rispondo, non è cosa incertissima, s’egli crede a Plinio, che fra i popoli Dalmati annovera i Siculoti, e che secondo il detto, e non secondo il Negro esisterono nella Dalmazia molte Città greche: praeterea multorum graeciae oppidorum deficiens memoria, nec non et civitatum validarum48. Mi vuol far dire dunque ciò, che non dissi? Non ho bisogno di dimostrare colle autorità, che i Siculi dalla Dalmazia, ossìa dalla Liburnia co’ Liburni loro compagni vennero nell’Italia per terra, perchè lo provai colla ragione, ossìa col senso comune, e bramerei, che m’indicasse il luogo, ove Plinio ci assicura49, che giunsero per via di mare. Il sin quì detto basti per rispondere a quello, che direttamente scrisse contro di me. Passerò ora a dire poche cose in difesa del mio sistema, che indirettamente attacca.

Egli divide50 i Siculi in Teverini, ed in Piceni "perchè così vuole la critica, così ci dimostra chiaro Tucidide, e così si ravvisa, e si argomenta in altri Classici, e colui, che pensa diversamente non fa, che abbandonare la verità, e seguire un fantasma, ed una fallace immagine del vero" Rispondo, la critica, i Classici non vogliono, che così sian divisi i Siculi, ma che si creda, che i Siculi Piceni, e Tiberini furono gli stessi. Difatti Plinio ci assicura, che i Siculi, ed i Liburni furono cacciati dagli Umbri [p. 173 modifica]dal Piceno: Umbri illos expulere: Scilace ci accerta, che essi non poterono ritenere Ancona da essi fondata, e che questa passò in potere degli Umbri. Or mi dica il Sig. Canonico, ove questi andarono? Dicendo Dionisio, che questi abitarono nel Lazio, e lo stesso affermando Servio, soggiungo, che dal Piceno andarono nelle campagne Romane, perchè la logica mi avvisa, che quando uno è cacciato da un luogo, va in un’altro. I Pelasgi uniti agli Aborigeni fugarono i Siculi dal Lazio secondo l’Alicarnassense: ove questi andarono? Dicendomi il Sig. Canonico coll’autorità de’ Classici, che questi fissarono la lor sede nell’estremo tratto d’Italia, e che da esso cacciati andarono nella Trinacria, rispondo, che i Siculi andarono nelle Calabrie, e nella Sicilia, e così la regione, ed i Classici vogliono, che i Siculi Piceni, e Tiberini furono un sol popolo, e che essendo cacciati da un luogo andarono in un’altro. Ed ecco, che egli non produsse, come si gloria51, un nuovo sistema sulle cose dell’antica Italia, e non battè a dirla con Plinio un sentiero per altri non calcato: non trita auctoribus via.

Il bello poi è, che crede i suoi Siculi così moderni52, che fa campeggiare Italo loro Re nel Piceno circa un buon mezzo secolo avanti la desolazione Trojana, giacchè egli campeggiò nel Lazio dopo Evandro, e le sue legioni. Sebbene i Critici appoggiati a quello, che dissero Omero, Strabone53, Festo, ed altri autori pretendono esser più probabile, che Enea non fu mai nell’Italia: tuttavia voglio credere a Virgilio. Questi fa Evandro contemporaneo di Enea, ed in tal tempo la nostra penisola già si chiamava Italia, come in tanti luoghi lo dice, e come lo dimostra poche righe dopo il Sig. Canonico riportando i due seguenti di lui versi 54

Aenotrii coluere viri, nunc fama minores
Italiam dixisse ducis de nomine gentem.

[p. 174 modifica]Dunque Italo, che diè il nome all’Italia fu prima di Evandro. Inoltre come mai Evandro può esser vivuto prima d’Italo, quando Evandro chiama sè stesso Italiano? Difatti Virgilio dopo aver narrati i sacrificj, che Evandro fece ad Ercole nel monte Aventino pone nella di lui bocca la storia de’ luoghi, ove oggi torreggia Roma, e glie la fa raccontare ad Enea. I Fauni, e le Ninfe, dice, nate in questi luoghi occupavano queste selve, ed una razza di uomini nata da’ tronchi, e dalle dure quercie55, i quali non avevano costumanze, nè alcuna coltura: nè sapevano porre i tori sotto il giogo, o raccogliere le ricchezze, o parcamente servirsi delle robe acquistate; ma gli Alberi, e la caccia somministravano ad essi un duro vitto. Saturno per il primo venne dal celeste Olimpo fuggendo ler armi di Giove essendogli stato tolto il regno. Questi congregò la gente feroce, e sparsa per gli alti monti, diede ad essa le leggi, e volle, che la regione si chiamasse Lazio, perchè sicuro si occultò in essa. L’età dell’oro, di cui parlano, fu sotto quel Re, talmente egli conteneva i popoli in una pace tranquilla. Finchè insensibilmente ne venne un secolo peggiore, e di altro colore, ed il furor della guerra, e la cupidigia di possedere. Quindi vennero le schiere degli Ausonii, e le genti Sicule, e la regione, che chiamavasi Saturnia, mutò spesse volte nome. Quindi vennero i Re, ed il feroce Tevere per la grande sua corporatura, dal quale NOI ITALIANI chiamammo il fiume col nome di Tevere, e l’antico Albula perdè il proprio nome.


Hæc nemora indigenæ Fauni, Nymphæque tenebant,

Gensque virum truncis, et duro robore nata:
Queis neque mos, neque cultus erat: nec iungere tauros,
Aut componere opes norant, aut parcere parto:
Sed rami, atque asper victu venatus alebat. [p. 175 modifica]
Primus ab aethereo venit Saturnus Olympo,
Arma Iovis fugiens, et regnis exul ademptis.
Is genus indocile, ac dispersum montibus altis
Composuit, legesque dedit: Latiumque vocari
Maluit, his quoniam latuisset tutus in oris.
Aurea, quae perhibent, illo sub rege fuerunt
Saecula: sic placida populos in pace regebat.
Deterior donec paullatim ac decolor aetas,
Et belli rabies, ac amor successit habendi.
Tum manus Ausonia, et gentes venere Sicanae:
Saepius et nomen posuit Saturnia tellus.
Tum reges, asperque immani corpore Tybris,
A quo post ITALI fluvium cognomine Tybrim
DIXIMUS: amisit verum Albula nomen 56.

Stando questa narrazione di Virgilio riassuma pure il Sig. Baluffi l’argomento, e dica57 "Ecco la vera epoca, in cui l’Italia assunse un tal nome: ogni altra opinione è un’eccesso urtante, e capriccioso. I siculi poi rimasero in quella provincia sotto il regno de’ successori d’Italo, come si è detto, fino a che non ne furono discacciati circa un buon secolo dopo l’eccidio trojano." Non posso credere, che la terra Saturnia fosse così chiamata sino ad Italo, da cui prese il nome d’Italia, perchè Evandro, che secondo il Baluffi fu prima d’Italo, dice, che la terra Saturnia aveva cangiato più volte nome Saepius et nomen posuit Saturnia tellus. non posso crederlo, perchè come avverte il Micali58, tra le antiche rivoluzioni Italiche manifestateci dagli Storici59 non trovasi più alto principio di quelle de’ Siculi, e le guerre, che questi sostennero cogli Umbri, furono secondo Dionisio le maggiori, e le più ostinate, che si fossero insino allora vedute. Gli Aborigeni, ed i Pelasgi si collegarono insieme per cacciarli dal Lazio. Da queste guerre presi [p. 176 modifica]motivo di credere60, che i Siculi sono anteriori agli Umbri, agli Aborigeni, ed ai Pelasgi, ed a qualunque altro popolo, perchè furono cacciati per avere il dominio di quelle terre, che pacificamente occupavano. Se uno fuga me dal luogo, ove presentemente scrivo, necessariamente io l’occupai prima di lui. Al contrario poi in niun’altro autore si legge, che i Siculi cacciarono gli altri popoli per essere possessori del Piceno, del Lazio, e di altre parti d’Italia. Anzi leggiamo, che gli altri popoli sempre cacciarono i Siculi, che li restrinsero negli ultimi confini dell’Italia, e che da questa anche cacciati andarono ad occupar la Sicania, a cui diedero il nome di Sicilia. Ciò ci dicono non uno, ma molti autori Classici, ed antichi.

Creda pure il Sig. Baluffi61, che ottenne primieramente il nome di Sicilia quel piccolo, ed estremo tratto tra il golfo di Squillace, ed il golfo di S. Eufemia, perchè io mi unisco al Bardetti, il quale asserì appoggiato a quanto disse Servio62, che ebbe tal nome il Piceno: Italus Rex Siculorum profectus e Sicilia venit ad ea loca, quase sunt juxta Tyberim:63 Italus Rex Siciliae ad eam partem venit, in qua regnavit Turnus. Dica egli pure64, che il Piceno non ebbe mai questo nome di Sicilia, che che altri immaginarono al contrario, la cui strana opinione fu una congettura, o per meglio dire una favola Bardettiana, e che un saggio archeologo65 si guardi ora di proferire si fatte filologiche eresìe. Io fui uno di quelli, che le proferii66, e presentemente voglio ancora seguire a dirle guidato dal senso comune, che fa autorità maggiore di tutti i Classici. Di fatti porzione della nostra penisola fu detta Umbria, altra Etruria, altra Liguria, altra Gallia, altra Sabine etc. E perchè così fu detta? Perchè fu occupata dagli Umbri, [p. 177 modifica] dagli Etrushi, da’ Liguri, da’ Galli, da’ Sabini. Quando dunque la Marca Anconitana, come dissi nel Capitolo I., fu occupata da’ Siculi, il senso comune mi dice, che fu chiamata Sicilia; quando fu occupata dagli Umbri, Umbria, e Scilace così la chiama; quando fu posseduta dagli Etrusci, Etruria; quando da’ Galli, Gallia togata secondo Plinio; e finalmente quando fu occupata da’ Piceni, di manierachè può dirsi di essa con Virgilio non saepe, ma

Saepius et nome posuit Saturnia tellus.

E può dirsi di essa quello, che Plinio asserì dell’Etruria67: Etruria est ab amne Macra, et ipsa mutatis saepe nominibus. Conchiuderò quanto dissi. Il sistema del Peruzzi non regge, ed è contrario al verisimile, perchè fa troppo antichi i Siculi, e li crede possessori del Piceno due secoli, e più prima della vocazione di Abramo. Quello del Baluffi è contrario a ciò, che raccontano i Classici, ed almeno per due Secoli ribassa il tempo, in cui i Siculi furono nell’Italia. Tenendo il mio sistema la via di mezzo, e costituendo i Siculi nè molto antichi, nè molto moderni sembra, che debba preferirsi al loro, e l’imparziale Lettore deve giudicarlo. Col dir ciò non intendo eclissare quello, che dottamente scrissero questi due miei valenti Provinciali, ma intendo sostenere quello, che dissi, e che da essi fu impugnato.

Avendo osservato, che le Città, che descrissi, furono edificate da’ Siculi, che questi furono Greco-fenicii, e non furono tanto antichi, come pretende il Peruzzi, nè tanto moderni come li crede il Baluffi, passerò ora a dire poche cose sopra a ciò, che scrisse contro il mio Plinio illustrato il Sig. Marchese Antaldo Antaldi di Pesaro. Sebbene io abbia risposto al detto con due lettere, una stampata in Roma 1824. diretta al Ch. Sig. Ab. Francesco Cancellieri, e l’altra stampata in Fermo, e diretta al Sig. Canonico D. Giovanni de’ Conti Sabbioni Bibliotecario della Libraria [p. 178 modifica] pubblica di detta Città, tuttavìa è bene inserire quì la sostanza di esse. Questo Signore intitola frammento di una lettera di buone feste diretta al Conte Giovanni Fiorenzi di Osimo un libretto composto da ventitre pagine. Il suo dire in apparenza è urbano, e modesto, ma in sostanza non è così. Approva le correzioni, che feci al testo di Plinio, e ne riprova due semplicemente: l’aver io cioè sostituito Palmensium a Picentium, e l’aver tolto Asculum dal seguente passo: Castellum Firmanorum, et super id colonia Asculum Piceni nobilissima intus. Non porta alcuna ragione, e mentre crede intendere Plinio colla grammatica si contraddice enormemente, e cade n quelle stesse contraddizioni, in cui sarebbe caduto Plinio, se avesse scritto come ora si legge nelle edizioni fatte. Imperocchè68 dice, che dove cominciava il territorio di Castel nuovo, questi due Territorii cioè il Pretuziano, e Palmense terminavano... che il confine degli Agri fu l’Elvino, e che quivi cominciava il Piceno. Se il confine degli Agri fu Castel nuovo, non potè essere l’Elvino: se fu l’Elvino, allora non potò esser Castel nuovo, e la prima Città de’ Piceni non potè esser Castel nuovo, ma Cupra secondo il testo corrotto di Plinio, che egli vuol ritenere, e spiegare grammaticalmente69. Due contraddizioni dunque si trovano in poche parole.

Mentre spiega tenuere di Plinio per possederono, non considera che i Piceni eran sudditi de’ Romani, e non possedevano più la lor provincia, e vorrebber, che si ponesse mente e a tenuere, et Picentium incipit. Dice, che Plinio colla parola tenuere volle significare quello, che essi prima possedettero, come se i Piceni avessero riacquistata la libertà, e non fossero più sudditi de’ Romani. Non riflette, che dopo l'incipit si deve sottintendere di nuovo tenuere ubi nunc est, altrimenti manca il verbo, che regge i nominativi, che vengono [p. 179 modifica]in appresso, che sono Cupra oppidum etc. Mentre egli vuol sottintendere il solo tenuere70, non considera, che questo verbo vuole l’accusativo, e così fa dire mille spropositi di grammatica a Plinio. Vuol, che si prenda nel senso il più stretto71 le parole Ager, e contado, e vale a dire, che significhino il solo territorio di quel determinato paese: v: g: non vuole, se uno nomina il Contado Fermano, che s’intenda Fermo con i quarantotto Castelli, se nomina l’agro Spolrtino, lon le Città e i Castelli posti intorno a Spoleto, se la Campagna di Roma, non la provincia di Campagna, ma il solo territorio, che rimane intorno a tali Città, e mi riprende, perchè seguii l’errore di coloro, che non capirono questa verità, che egli dice. Pretende72, che io gli dica, perchè Plinio aggiunge tanti luoghi, e fiumi da Castel nuovo sino all’Esio, qualora tutto questo tratto fosse stato occupato da due soli territorii il Pretuziano, ed il Palmense? Si lagna, che in tutto il mio libro non trova risposta a questa domanda, e sopra disse, che73 fu stampato otto anni sono. Doveva dunque domandarmelo otto anni prima, ed allora avrebbe trovata la risposta nel mio libro, la quale per compiacerlo gli darò presentemente.

Aggiunge Plinio tanti luoghi, e fiumi da Castel nuovo sino all’Esio, perchè questi vi erano. Se non vi fossero stati non li avrebbe nominati. Perchè uno, se ora delinea le provincie, pone tanti luoghi da Ancona a Pesaro, e non li pone da Fabriano a Fuligno? Perchè nel primo luogo vi sono, nel secondo nò, e questa difficoltà sa sciogliere anche un ragazzo. Perchè tante case sono nel territorio Pesarese, e non in quello di Nocera? Perchè in uno vi furono fabbricate, in un’altro nò. Se poi egli prende la voce agro in un senso più largo, come l’intende Plinio, se prende la voce territorio, contado nel senso, in cui il l’intesi cogli altri geografi, allora rispondo, che Plinio annovera tanti luoghi in tale spazio di terreno, perchè gli Agri Pretuziano, [p. 180 modifica] e Palmense erano più vasti dell’Agro Adriano. Mi dica egli, perchè presentemente una provincia è più vasta dell’altra: perchè una Delegazione contiene più Città, e paesi dell’altra? Perchè così fu stabilito, mi dirà. Così gli risponderò ora io, e se non gli appaga questa risposta, che imparai a darla sin da ragazzo, mi faccia il piacere a suggerirmene un’altra.

Dopo essersi in tante maniere contraddetto asserisce, che era stato in procinto di lasciarsi sedurre74 da alcuna delle mie ragioni per togliere Asculum dal seguente passo, come feci io, Castellum Firmanorum, et super id colonia Asculum Piceni nobilissima. Ma per non commettere questa viltà interpolò egli Plinio, lo fece comparire per un’autore il più goffo, lo spiegò col forse, e potrebbe essere, e pose Fermo nel littorale. Di fatti colloca un punto, ove Plinio non lo vergò, e dicendo una falsità, che tal punto fu suggerito da me75, sottintese urbs, o civitas alla parola nobilissima, e così lesse: Firmanorum Castellum, et super id Colonia. Asculum Piceni nobilissima intus. Ma perchè si deve porre un punto ove niuno mai lo mise, e sottindendere urbs alla parola nobilissima, quando Plinio la unì con colonia? Non è questo veramente un’interpolarlo, come egli declama contro di me76? Se intus si unisce ad Ascoli, allora la colonia Fermana non rimane nel littorale, ove non mai fu? Si può credere, che il Principe de’ Latini Geografi rammentandosi, come egli dice77, di aver ommesso Ascoli, lo ponesse in un sito, ove non era, senza ammonire il lettore, che egli così oprava, perchè si dimenticò di porlo prima? I nostri Villani se nel mezzo del discorso, si fermano, e per non recare confusione a chi li ode, lo avvertano col dire bisogna, che faccia un passo indietro, eppoi proseguono il racconto. Si può credere, che Plinio fu meno valente di essi? Se nell’Elvino finiva la regione Pretuziana, allora [p. 181 modifica] non forse, come egli dice78, ma certamente Ascoli era in essa, e sicuramente non rimaneva nel Piceno. Non poteva essere79, che verso il mare fosse Regione Pretuziana, e verso gli Appennini fosse Piceno, perchè Plinio pone per termine di queste due regioni il fiume Elvino, che da’ monti corre nel mare. Si può credere, che la regione Pretuziana non giungesse a diciotto miglia dentro terra, e non comprendesse Ascoli, e che l’Elvino verso il mare fu de’ Pretuziani, e verso il monte de’ Piceni? Finisce il suo frammento coll’ingannare per la seconda volta i lettori, facendo ad essi credere, che dopo aver io interpolato Plinio, citai per autorità Pliniana80 la mia interpolazione facendola servire di prova, che Torre di Palma è l’antica Palma. Vorrei però, che mi dicesse ove la citai, e che riportasse le mie parole? Conchiuderò col ripetere nuovamente, che siccome gli uomini più valenti della mia, e delle altre Provincie non seppero sino ad ora spiegare la corografia Pliniana del Piceno, e la lasciarono imperfetta, dopo essersi contraddetti: così sono sicuro, che in avvenire ciò succederà a tutti, se non si appiglieranno alla emenda, che feci, e cadranno in tutte quelle bassezze, ed errori, in cui caddero il Sig. Antaldi, che credeva di vincermi, e l’Av. Simonetti che lo difese, dà quali sino ad ora indarno ho attesa la risposta.

Le Capitali del Piceno suburbicario furono tre, cioè Adria, che sotto il nome di Atri esiste anche a’ giorni nostri, Palma, che esisteva presso il Castello di Torre di Palma della Marca Fermana, e Pretuzia, di cui non seppi precisare il sito ove fu. Lo dirò ora. In una valle vicina al Fiume Tordino chiamato Herninum dalla Tavola Peutingeriana, e precisamente nella contrada chiamata Propezzano, in cui rimane una Chiesa sotto il titolo di S. Maria di Propezzano, posseduta anticamente da’ Monaci, e poscia da’ Padri Minori Osservanti di S. Francesco, esisteva tale Città. [p. 182 modifica]Ciò ci dicono i ruderi, che vi si osservano, le anticaglie, che vi si trovano, e la tradizione. Gli abitanti di tale contrada, e quelli de’ paesi circonvicini asseriscono, che ivi fu la Città Pretuzia capitale una volta dell’Agro Pretuziano, il quale, come provai nel mio Plinio illustrato, cominciava dal fiume Uomano, e terminava nell’Elvino, ossia nella Manocchia, e racchiudeva le Città d’Interamnia oggi Teramo, di Beregra, di Castro nuovo, di Ascoli, e di Truento con le terre, e e castelli annessi a tali Città. Se questi miei detti non piaceranno al Sig. Antaldi, che vuole, che i termini Agro, e di Contado non si prendano per una vasità di territorio, che comprende Città, e Castelli, piacciono a me, che mi fo guidare dal costume di tutti i popoli, che nelle Provincie stabilirono i capi luoghi, come fece Alarico in Suasa, che la creò matrem toto adjacentium oppidorum, e che mi fo guidare dal senso comune. Passerò ora ad indagare come perirono tali Città, e se ebbero la cattedra Vescovile.

Note

  1. Lib. 3. c. 13.
  2. Lib. 2.
  3. De bello Vandalico c. 10.
  4. Lib. 1: contra apionem.
  5. In Aeneid. lib. 1. c. 4.
  6. In exposit. inchoal. Epist. ad. Rom.
  7. Lib. 1. c. 6.
  8. p. 19.
  9. Pag. 28.
  10. P. 52: 74.
  11. Natal. Alex. T. 1. art. 1.
  12. p. 19.
  13. De primi Abitat. d’Ital. p. 89.
  14. Cap. 17. v. 6.
  15. Cap. 24.
  16. Ep. 126 ad Evag.
  17. Antiq. Iud. lib. 1. c. 7.
  18. In Ezech. c. 38.
  19. Cap. 8. 28.
  20. Mach. c. 1. v. 1.
  21. Cum. de Phoenic. Colon. Lib. 1. et 2.
  22. Ratio Tem. p. 1. Lib. 1. c. 7.
  23. Lib. 7. c. 56.
  24. L. 5. c. 58.
  25. Lib. 2.
  26. Lib. 1. An. c. 2.
  27. In Symposiacis. L. 9. q. 3.
  28. Lib. 2.
  29. Lib. 4.
  30. De Civit. Dei L. 18. c. 13.
  31. Tom. 2. p. 467.
  32. Antiq. Haeb. part. 2. p. 354.
  33. Hystor. Pomposae p. 23.
  34. Tom. 2. p. 47.
  35. Lib. 4.
  36. P. 153.
  37. C. 13. v. 33.
  38. Ennii frag. p. 30. Varr. lib. IV. Macrob. l. c.
  39. Loc. cit.
  40. De Civit. Dei cap. 15.
  41. Aeneid. 8.
  42. Pag. 36.
  43. Pag. 60.
  44. Pag. 36.
  45. Loc. cit.
  46. P. 37. e 69.
  47. P. 170.
  48. Lib. 7. c. 22.
  49. P. 115.
  50. P. 136.
  51. P. 137.
  52. Pag. 160.
  53. Lib. 13.
  54. Aeneid. 1.
  55. Per ripararsi questi dalle piogge, e dall’intemperie si saranno ricoverati principalmente nella notte entro i tronchi vuoti delle quercie, e degli alberi. La favola subito disse, che eran figli delle Quercie.
  56. Aeneid. lib. 8 v. 314.
  57. P. 160.
  58. Tom. 1. p. 54.
  59. Plin. lib. 3. c.14.Dionis.lib.1. c.16.
  60. Plin. illustr. p. 172.
  61. P. 62.
  62. In Aeneid. lib. I. v. 6.
  63. Loc, cit. v. 537.
  64. P. 67.
  65. Pag. 6.
  66. Plin. illustr. p. 8.
  67. Lib. 3. c. 5.
  68. Pag. 13. c. 20.
  69. Pag. 6. e 21.
  70. Pag. 10.
  71. P. 11.
  72. P. 10. 12*
  73. P. 5.
  74. Pag. 15.
  75. Pag. 16.
  76. P. 22.
  77. P. 26.
  78. Pag. 16.
  79. P. 16.
  80. P. 22.