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braria pubblica di detta Città, tuttavìa è bene inserire quì la sostanza di esse. Questo Signore intitola frammento di una lettera di buone feste diretta al Conte Giovanni Fiorenzi di Osimo un libretto composto da ventitre pagine. Il suo dire in apparenza è urbano, e modesto, ma in sostanza non è così. Approva le correzioni, che feci al testo di Plinio, e ne riprova due semplicemente: l’aver io cioè sostituito Palmensium a Picentium, e l’aver tolto Asculum dal seguente passo: Castellum Firmanorum, et super id colonia Asculum Piceni nobilissima intus. Non porta alcuna ragione, e mentre crede intendere Plinio colla grammatica si contraddice enormemente, e cade n quelle stesse contraddizioni, in cui sarebbe caduto Plinio, se avesse scritto come ora si legge nelle edizioni fatte. Imperocchè1 dice, che dove cominciava il territorio di Castel nuovo, questi due Territorii cioè il Pretuziano, e Palmense terminavano... che il confine degli Agri fu l’Elvino, e che quivi cominciava il Piceno. Se il confine degli Agri fu Castel nuovo, non potè essere l’Elvino: se fu l’Elvino, allora non potò esser Castel nuovo, e la prima Città de’ Piceni non potè esser Castel nuovo, ma Cupra secondo il testo corrotto di Plinio, che egli vuol ritenere, e spiegare grammaticalmente2. Due contraddizioni dunque si trovano in poche parole.
Mentre spiega tenuere di Plinio per possederono, non considera che i Piceni eran sudditi de’ Romani, e non possedevano più la lor provincia, e vorrebber, che si ponesse mente e a tenuere, et Picentium incipit. Dice, che Plinio colla parola tenuere volle significare quello, che essi prima possedettero, come se i Piceni avessero riacquistata la libertà, e non fossero più sudditi de’ Romani. Non riflette, che dopo l'incipit si deve sottintendere di nuovo tenuere ubi nunc est, altrimenti manca il verbo, che regge i nominativi, che vengono