XXII. E sa talvolta delle cose verificabili che soltanto un defunto può sapere

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XXII. E sa talvolta delle cose verificabili che soltanto un defunto può sapere
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Ora riprendiamo il filo del nostro ragionamento. Eravamo arrivati a questo punto: l’intelligenza occulta, interrogata, risponde di essere l’intelligenza di un defunto. Si tratta di verificarlo. Con un medio ordinario, sia tiptologico (cioè che fa muovere il tavolino col solo contatto), o scrivente (cioè che ci assicura di scrivere senza volerlo), il fenomeno fisico è troppo dubbio, monotono ed insignificante, perchè ci permetta di giudicare della natura dell’intelligenza occulta da quello che fa. Non c’è dunque che continuare ad interrogarla per giudicarne da quello che dice; ossia non si possono domandare che prove intellettuali.

Prima di esaminare queste prove intellettuali, devo premettere che, e per quanto so dalla testimonianza altrui, e per quello che ho potuto constatare colla mia poca esperienza, le prove soddisfacenti per chi, senza esser uno scettico, è però un critico, sono rare. Ma ce ne sono. [p. 181 modifica]

Prima di esaminarle, domandiamoci ancora qual criterio dobbiamo seguire nel giudicare se siano soddisfacenti o no. Noi non dobbiamo certo pretendere, come fa qualche sperimentatore novellino, che uno spirito, perchè non ha più corpo, debba saper tutto. Noi domanderemo anzi tutto che le risposte si possano attribuire al defunto, cioè che non siano in contraddizione con ciò che noi già sappiamo o possiamo verificare intorno a quel dato defunto. Poi domanderemo che non si possano attribuire al medio. Anzi, siccome abbiamo ammesso che l’ipotesi dell’incosciente del medio è più naturale che quella dell’intervento dei defunti, domanderemo che non si possano attribuire nemmeno all’incosciente del medio, e perciò che non siano creazioni originali dell’immaginazione, ma cognizioni di fatti, che il medio non possa aver saputi e poi dimenticati. Anzi, siccome l’Hartmann attribuisce all’incosciente del medio le cognizioni magiche dei sonnambuli, così domanderemo che nel contenuto o nella forma della comunicazione ci sia qualche caratteristica del defunto che sia ignota al medio e che il medio non possa nemmeno scoprire colla chiaroveggenza.

Ed ora cominciamo, in questo capitolo, a classificare le comunicazioni in ordine ascendente, secondo il valore dimostrativo del loro contenuto.

1° Cominciamo con quelle da scartarsi. Scarteremo prima le notizie sull’altro mondo che ci dà il supposto defunto, perchè non possiamo verificarle; può darsi che siano vere, ed anzi acquistano una certa probabilità quando [p. 182 modifica]concordano con quelle degli altri defunti (sopratutto se non pretendiamo che concordino più di quello che concordano le deposizioni dei viventi stessi davanti alla storia ed al tribunale); ma anche in questo caso possono esser false; possono esser sogni suggeriti al medio dalla cognizione della dottrina spiritica, dalla lettura di Swedenborg o Jackson Davis o Allan Kardec.

In secondo luogo scarteremo i consigli e le prediche del defunto, anche se dissentono dalle opinioni e intenzioni del medio, ed anche se danno segno di un’intelligenza superiore a quella del medio. Potrebbe darsi che esprimessero la voce del cuore, la coscienza morale, l’istinto, il genio, il tatto e l’intuito del medio, in contraddizione colle idee in cui fu educato; può essere l’eredità che parla contro l’educazione; così in un palinsesto ci può esser Cicerone sotto sant’Agostino.

Noi vogliamo che il defunto dia di sè dei connotati precisi, come quelli che uno di noi dovrebbe dare in un ufficio di polizia; per esempio che ci dica dove e quando è nato e morto. Se risponde con errori e bugie, è molto probabile che la risposta sia data dall’incosciente del medio. Ed anche se risponde evasivamente, o dice cose che non possiamo verificare, o cose che sappiamo vere, ma che il medio conosce, avremo il diritto e il dovere di dubitare.

2° La probabilità che sia un defunto comincia quando risponde cose vere, che il medio non sa. Ma questa probabilità è minima, se si tratta di cosa che il medio può [p. 183 modifica]aver saputa e dimenticata; perchè allora il contenuto della comunicazione può venire dalla memoria latente del medio. E questa probabilità è già difficile ad escludere, perchè si può non ricordarsi di aver saputo, ma è difficile ricordarsi di non aver mai saputo una data cosa. Un mio amico ha stampato, col mio nome, fortunatamente in un giornalucolo di provincia, una poesia che egli assicura composta da me quando eravamo insieme al liceo; e ne ha una copia scritta di mia mano; pure non mi ricordo affatto di averla composta; nella mia memoria non ne trovo alcuna traccia. Ma ciò non prova che queste traccie non vi siano; possono esserci senza che siano visibili si confronti infatti il caso mio con quello del Maury: egli scrisse una volta una prefazione per un libro che da più anni aveva rinunciato a scrivere; ecco che un giorno, rovistando nelle sue carte, ritrova una prefazione, che aveva già scritto anni prima, ed era tale e quale; sicchè egli aveva creduto di inventare ciò di cui si era ricordato. Così di un articolo, che ho scritto quando era ancora studente, non mi è stata lodata che una sola frase; e, ripensandoci con vanità, venni a scoprire per mia mortificazione che l’avevo rubata senza volerlo al Guerrazzi. Una notte sognai di una pianticella che si chiamava sarcostemma; pregai un mio amico, il quale è anche molto amico della botanica, di sapermi dire se una pianta di tal nome esistesse; egli si informò e mi disse che nell’ultimo e più completo dizionario di botanica si conosce una pianta di questo nome che cresce in Australia. [p. 184 modifica]

Come mai potevo averla conosciuta io? ma ecco che, qualche tempo dopo, discorrendo sulla mitologia indiana, della quale mi ero occupato anni sono, venni naturalmente, per associazione d’idee, a discorrere del culto del soma, cioè del liquore sacro, estratto dall'asclepias acida, o dal sarcostemma viminalis, di cui si trovano i nomi nel dizionario sanscrito dell’Accademia di Pietroburgo. È un caso affatto simile a quello dell’ aspleniurn ruta muralis, sognata dal Delboeuf. Questi sono esempi di casi in cui si ritrovano le traccie senza riconoscerle. Ma il bello è che si può, per così dire, riconoscerle senza saperlo. Cito a memoria dal Maury un esempio di cui garantisco soltanto le circostanze essenziali: la notte prima di mettersi in viaggio per rivedere il suo paesello, che da una ventina d’anni non avea veduto, sognò di incontrare un tale che gli disse: «Buon giorno signor Maury!» Maury disse all’incirca: «Scusate, buon uomo, ma non ho il piacere di conoscervi». L’altro, maravigliato e quasi offeso, declinò il proprio nome e cognome, disse che era un amico di suo padre, gli volle rammentare circostanze della sua fanciullezza in cui erano stati assieme. Tutto fu inutile; Maury si svegliò, ridendo di quell’originale che pretendeva di riconoscerlo. Ma quando fu giunto al suo paese vide per uno dei primi colui che in sogno lo avea riconosciuto; ma più vecchio che nel sogno, perchè egli l’aveva sognato quale l’aveva lasciato molti anni prima. Dunque nello sdoppiamento del sogno il suo incosciente avea rammentato e riconosciuto ciò che il suo io cosciente non sapeva più. [p. 185 modifica]

3º La probabilità aumenta quando l’intelligenza occulta dice cosa che il medio non può aver saputo. Ma ciò non è ancora una prova; giacchè può saperla una persona presente all’interrogazione; ed allora la risposta può essere suggestione mentale involontaria da parte sua, ossia lettura del pensiero da parte del medio. Trascrivo letteralmente una pagina dell’Ochorowicz: «Un homme sérieux assistait, un jour, à une soirée des tables tournantes. Voyant l’affollement général et l’enthousiasme facile des personnes qui s’amusaient à pousser la table inconsciemment:

- Je croirai aux esprits, dit-il, s’ils me disent le nom de baptême de mon grand-père.

«Il était âgé lui même et convaincu que persone parmi les assistants ne connaissait le nom de son grand-père.

- Les esprits eux-mêmes peuvent ne pas le savoir - remarqua gravement un spirite qui dirigeait les expériences - mais si vous concentrez votre pensée sur le nom que vous êtes seul à connaître, ils pourront vous le dire.

«On récita l’alphabet, et les coups de la table frappés aux lettres correspondantes ont compose le prénom d’Adalbert. Cela se trouvait exact.

- C’est une diablerie, pensa l’homme sérieux, et il se donna la parole de ne plus assister aux exploits des spirites.

«Lorsqu’ il me raconta cette histoire, j’ai eu le droit [p. 186 modifica]de supposer une suggestion mentale. Ne croyant pas aux exprits, il fallait, à moins d’admettre un simple hasard, peu probable, se résigner à cette dernière hypothèse».

Notiamo però che l’Ochorowicz adotta quest’ipotesi ne croyant pas aux exprits. Qui si comincia già, per evitare l’esistenza dello spirito, a concedere al medio, la lettura del pensiero, che è una cognizione magica; si è costretti ad ammettere una facoltà anormale per non ammettere una cosa che sarebbe, se non soprannaturale, certo maravigliosa.

4° La probabilità poi aumenta quando il defunto dice di sè qualcosa di verificabile che nessuno dei presenti sa. Trascrivo l’esempio raccontato dal Wallace (379 dell’edizione francese dei Miracoli, ecc.): « Comme un cas personnel vaut mieux qu’un cas de seconde main, je vous en citerai un qui m’est arrivé à moi-meme, en Amérique, bien qu’il ne soit pas aussi merveilleux que les précédents. J’avais un frère, avec lequel je vécus sept ans dans ma jeunesse. Il mourut voilà plus de quarante ans. Ce frère, avant que je fusse avec lui, avait eu un ami à Londres dont le nom était William Martin; le nom de mon frère était William Wallace, et j’ignorais que le nom de son ami fùt William, puisqu’il me parlait toujours de lui en disant Martin. Je n’en savais pas davantage. Mon frère était mort depuis quarante ans, et je puis dire que probablement le nom de Martin ne s’est plus jamais présenté à mon [p. 187 modifica]esprit pendant ces vingt dernières années. L’autre jour, j’étais à Washington, assistant à des séances où les assistants recevaient des messages ècrits; je reçus, à mon grand étonnement, la communication suivante: «Je suis William Martin, jécris à la place de mon vieil ami William Wallace pour vous dire que dans une autre occasion, quand il le pourra, il se manifestera à vous».

«Je suis parfaitement certain qu’il n’y avait qu’une seule autre personne qui connût le nom de mon frère ou les relations entre mon frère et Martin, et cette personne c’était un autre frère, alors en Californie.

Je suis parfaitement certain que personne dans l’Est ne pouvait avoir connu ni l’un ni l’autre nom. Il me semble donc que c’est une très remarquable preuve d’identité». Questo caso dovrebbe essere convincente perchè Wallace era il solo che conoscesse il nome di suo fratello e di Martin, ma sopratutto perchè nessuno, neppur lui, sapeva il nome di battesimo di Martin. Ma il Kiesewetter, a p. 664 della sua Geschichte des neueren Occultismus, osserva che Wallace può averlo saputo e dimenticato, e quindi il medio sonnambulo chiaroveggente può averlo saputo da Wallace, il quale si trovava forse in sonnambulismo larvato. Insomma l’incosciente del medio può averlo saputo dall’incosciente di Wallace. Quest’ ipotesi non si può escludere come impossibile. Io mi sono perfino lasciato raccontare una volta la storia di un sonnambulo che avrebbe letto nella mente del suo magnetizzatore un sonetto di cui questi non poteva più [p. 188 modifica]ricordarsi. E convengo che questo rende molto difficili le prove intellettuali dell’identità del defunto. Tanto più diventano difficili se si considera che generalmente agli esperimenti spiritici non prendono parte due persone soltanto; se non posso far la lista delle cose che può o non può sapere il mio incosciente, tanto meno potrò farlo per l’incosciente degli altri, dei quali non posso mai sapere esattamente tutta la storia. Di qui la forza della teoria detta Mary Jane, o teoria dell'intelligenza collettiva. Ma, in primo luogo, se questa teoria non è facile a smentire, gli è solo perchè suppone che il medio e gli astanti non siano giudici competenti di ciò che sanno e di ciò che non sanno, di ciò che pensano e di ciò che non pensano; supposizione ardita e qui frise l’impertinence. E, in secondo luogo, l’ipotesi del pensiero riflesso, che fabbricano sull’altra ipotesi del pensiero incosciente, comincia ad essere un pò complicata. Vedemmo infatti che era già difficile spiegare come il braccio del medio sia mosso dal suo incosciente; ma qui si postula addirittura che sia mosso dal nostro. Anche ammesso l’incosciente, ci sarebbero due passi da fare: suggestione mentale del nostro su quello del medio, e impulso motore di quello del medio sul suo braccio.

5° Tuttavia, per eliminare quest’ipotesi, dobbiamo essere più severi, e domandar al defunto cose che non solo il medio, ma neppure gli astanti possano sapere. Pare che questa condizione ci sia, quando l’intelligenza occulta annuncia cose lontane o future. Così l’Alaux, nè suoi articoli [p. 189 modifica]dello scorso anno sulla Nouvelle Revue, dice aver verificato più volte che una comunicazione del medio annuncia l’arrivo di una persona che non si aspetta. Della predizione di visite ho udito raccontar qualche caso anch’io. L’Aksàkow cita casi ìn cui uno degli astanti fu avvertito medianicamente dell’improvvisa malattia o di altra disgrazia di un parente lontano; e qualcuno ne ho udito raccontar privatamente. L’Aksákow cita pure il caso di un medico chiamato medianicamente per un malore improvviso. Ascoltiamo un caso anche migliore dal Wallace (op. cit., p. 372): «Un de mes amis, éminent médecin et physiologiste anglais, acquit ce pouvoir particulier (de l’écriture automatique) et en fit une étude spéciale pendant plusieurs années; il commença cette étude comme curieuse et purement au point de vue physiologique; c’est devenu maintenant une habitude constante pur lui, et cela lui rend de grands services dans ses occupations, parce qu’il est souvent averti qu’il sera appelé auprès d’un certain malade, à un certain moment, ce qui est invariablement exact». Questo esempio sarebbe più convincente di quelli dell’Alaux e dell’Aksàkow, perchè il medico di cui parla Wallace, essendo medio egli stesso, si consulta da solo, e quindi non può attribuire la comunicazione a lettura del pensiero degli astanti.

Pure questi e simili esempj non sono convincenti, perchè a spiegarli senza spiritismo basta supporre nell’incosciente del medio le cognizioni magiche dei sonnambuli, [p. 190 modifica]cioè la chiaroveggenza, il presentimento, la telepatia. È opinione comune che, quando si pensa ad una persona senza motivo, sta poco ad arrivare; quindi il personaggio sonnambolico di un medio può annunciare delle visite. Il dottor Azam racconta nella Revue philosophique di essere stato testimone di due casi di chiaroveggenza di una sonnambula, domestica di un dottore, il quale se ne serviva per informarsi da lontano delle condizioni dè suoi ammalati; dunque il medico, di cui parla Wallace, ne differiva solo in quanto consultava un sonnambulo che aveva in sè stesso. C’è persino un bel caso, di un medico chiamato per telepatia, senza bisogno dell’intervento di un defunto; è il caso 285 delle Hallucinations télépathiques. Il conte Gonemys era maggiore medico nella flotta greca. Per ordine del Ministero della guerra fu mandato al presidio di Zante. Era a due ore circa dalla riva dell’isola, quando udì una voce interna che gli diceva con insistenza in italiano:«Va a veder Volterra». La frase fu ripetuta tante volte, che egli ne fu stordito. Sebbene avesse allora una salute eccellente, ebbe paura di quella che gli pareva un’allucinazione uditiva. Nulla gli faceva pensare al nome di Volterra, che abitava a Zante, e che egli non conosceva neppure, sebbene lo avesse veduto una volta, dieci anni prima. Giunto in paese ed all’albergo, fu subito visitato dal signor Volterra, disperato per una grave malattia di suo figlio, che invocava l’opera del medico.

Quindi anche nei casi, in cui la comunicazione medianica [p. 191 modifica]avverte di cose che nessuno degli astanti può sapere perchè lontane o future, possiamo supporre che lo stesso incosciente del medio veda lontano. E si può perfino supporre che la mano del medio sia mossa dal pensiero di persone viventi lontano. E non solo si può supporre, ma l’Aksákow, sebbene sia uno degli apostoli dello spiritismo, cita casi di telepatia nei medii, e perfino casi nei quali la mano del medio sarebbe stata condotta dallo spirito di un dormente (pag. 579-594). Vi sono anche esempi di comunicazioni, mediante la scrittura automatica, di fatti saputi da persona lontana e che pure essa non sa di trasmettere, addotti dal Myers1. Dunque lo spirito di un defunto non è ancora necessario.

6° Ma passiamo ad un’altra specie di casi: alle partecipazioni di morte. Sembrano casi relativamente frequenti; ad ogni modo ne citerò uno dei più autentici: In Francia, una fanciulla, medio scrivente, una mattina si sentì ad un tratto trascinata a scrivere; e la comunicazione era firmata da una sua amica, Margherita, della quale non aveva notizia da parecchio tempo, che le dava notizia della sua morte. E Margherita era realmente morta quella mattina in Inghilterra. I particolari del fatto si possono leggere nel primo fascicolo degli Annales des sciences psychiques, giornale presentato al pubblico da una [p. 192 modifica]prefazione del Richet, professore di fisiologia all’Università di Parigi e autore di rinomate opere di psicologia; il fatto poi è garantito dal dott. Liébault, una celebrità per quelli che si occupano di ipnotismo, e che nel suo libro Le sommeil provaqué et les états analogues si era mostrato avversario dello spiritismo; a pag. 252 diceva precisamente che i medii sono sonnambuli. Ora è ben chiaro che in questo caso e nei casi analoghi vi è comunicazione di un fatto che non potevano sapere nè il medio nè gli astanti.

Ma lo sapeva una persona distante: Margherita. I morenti sono ancora vivi. Se un dormente può far scrivere un medio, potrà farlo anche un morente. Vuol dir solo che alle allucinazioni visive, uditive e tattili prodotte da morenti su persone lontane bisognerà aggiungere le allucinazioni muscolari. Insomma è un caso di telepatia.

7° Sta bene. Ma prendiamo un altro caso, nella collezione dell’Aksákow, p. 460. Il medio Mansfield dice ad uno degli astanti: «Wolfe, avete voi conosciuto in Colombia un uomo per nome Jacobs?» Wolfe risponde di sì, e il medio continua: «Egli è qui, e desidera di farvi sapere che si è separato questa mattina dal suo corpo». E la notizia si riscontrò vera. Qui si è annunziata una cosa che nessuno sapeva. E non par telepatia, perchè il medio non conosceva il morto.

Ma lo conosceva uno degli astanti. Può darsi che l’incosciente del medio Mansfield abbia letto nell’incosciente di Wolfe l’impressione telepatica del morente Jacobs. [p. 193 modifica]

Badiamo però che l’ipotesi continua a complicarsi; perchè bisogna ammettere: 1º l’azione di Jacobs sull’incosciente di Wolfe; 2° la suggestione mentale dell’incosciente di Wolfe su quello di Mansfield; 3° l’azione motrice dell’incosciente di Mansfield sulla sua bocca o sulla sua mano.

8º E poi, prendiamo un altro caso, raccontato nel quarto fascicolo dei succitati Annales des sciences psychiques. Un tavolino, attorno a cui sedevano quattro o cinque persone, dà segno, movendosi, della presenza di uno spirito. Si domanda: Chi sei? - Il tavolino risponde coi picchi alfabetici: Ben Walker, - Uno degli astanti, non il medio, conosce questo nome, e domanda: Ben Walker di San Luigi? - Sì. - Non sapevo che foste morto. Quando siete morto? - Il tavolo picchia tre colpi. - Vuol dire che siete morto tre giorni sono? - Sì. - E l’interrogante verificò che Ben Walker era morto tre giorni prima nella città indicata. E un caso simile mi fu raccontato privatamente.

Ora, ammettiamo pure che le impressioni dei morenti sui lontani non siano spirituali, e perciò istantanee; ma centinaia di esempi mostrano che sono così rapide che bisogna dar loro almeno la velocità delle vibrazioni eteree, la velocità della luce. Qui invece l’avviso fu dato tre giorni dopo.

Ma si può supporre che si tratti di impressione telepatica, rimasta latente per tre giorni nell’incosciente dell’amico di Ben Walker, e scoperta poi dall’incosciente [p. 194 modifica]del medio. Nell’incosciente si conservano anche le traccie delle impressioni non sentite.

9º Ma prendiamo un altro caso. Il general Drayson fu avvisato in Inghilterra medianicamente che un suo amico era morto da poco tempo, nella China; e inoltre che era stato decapitato, che il capo era stato conservato e il resto del cadavere gettato in un canale; le circostanze del fatto, che si possono leggere nell’opera di Aksákow (p. 503, ss.), escludono assolutamente che vi fosse stata una comunicazione qualunque per le vie normali; eppure non sembra un caso di telepatia, perchè un morente non poteva dire cosa si era fatto del suo cadavere; un fatto posteriore alla sua morte non può raccontarlo che dopo morte.

Ma possono averlo raccontato i vivi. Può esser impressione telepatica prodotta sul general Drayson e indirettamente sul medio da qualche altro ufficiale inglese, militante nella China, amico di lui e del defunto.

10º Ci vorrebbe dunque l’esempio di un defunto il quale dicesse una cosa ignota a tutti. Tale mi pareva l’esempio di quel defunto che, parecchi mesi dopo la sua morte, avrebbe palesato medianicamente a suo padre di non esser morto di malattia, ma avvelenato (Aksákow, p. 505, ss.); esempio non isolato2. In tali casi il solo [p. 195 modifica]ben informato è l’assassino, il quale certamente non è interessato a rivelar nulla.

Ma il caso non è ancora dimostrativo, perchè potrebbe trattarsi di rivelazione telepatica involontaria prodotta precisamente dal rimorso del colpevole. Una tale ipotesi parrà strana; ma sarebbe sempre meno strana che la rivelazione di un defunto. E ci sarebbe poi, fra le storie di apparizioni di viventi, un esempio, che la Crowe (Nightside of Nature, p. 183, ss.) pone fra i più straordinari e insieme fra i più autentici, in cui l’apparizione non può esser prodotta che dal rimorso di un colpevole. Glasgow era una volta città molto più pia di adesso; tanto che appositi ispettori andavano attorno la mattina della domenica, per vedere se alcuno stava lontano dalla santa Messa. Una mattina trovarono un giovane sdraiato sull’erba; essi riconobbero in lui, di pieno giorno, un assistente chirurgo, che conoscevano benissimo; il giovane, invece di badare alle loro osservazioni disse: «Io sono un miserabile; guardate nell’acqua»; e s’allontanò. Essi trovarono nell’acqua il cadavere di una giovane donna, incinta, colla quale era noto che il giovane aveva avuto relazione intima; ed era stata evidentemente uccisa con uno strumento da chirurgo; e quel giovane era stato l’ultima persona che si fosse veduta colla vittima. Questo era certamente, come direbbe Molière, un cas pendable. Ma in tribunale mancò la prova più importante, cioè quella della confessione del colpevole; perchè egli provò un alibi indiscutibile; egli provò, dice la Crowe, in modo da escludere [p. 196 modifica]ogni dubbio, che egli era stato in chiesa dal principio del servizio divino fino alla fine.

Questa non potrebbe esser che telepatia prodotta dal rimorso. Dunque si potrebbe tentare di spiegar così anche i casi citati dall’Aksàkow, e quello stesso che ha dato origine allo spititismo odierno, cioè la rivelazione fatta in America alle signorine Fox, mediante colpi convenzionali nelle pareti, che cinque anni prima un uomo era stato assassinato in casa loro. Se il colpevole vive ancora, la rivelazione medianica della colpa si potrà attribuire al suo pensiero. Resterebbe solo a spiegare perchè la rivelazione medianica non sembri una confessione del colpevole, (come nel caso Crowe), ma un’accusa della vittima, come nella famosa storia dei due Arcadi, narrata da Cicerone.

In questa classe possiamo mettere pure il caso di quel defunto che dà medianicamente al fratello la lista dè suoi debiti e rettifica il conto dei creditori (in Aksákow). Esempio analogo a quello delle apparizioni spontanee di defunti che raccomandano di pagar i loro debiti o restituire il mal tolto da loro3. Potrebbe esser telepatia prodotta dai creditori.

11° Bisogna dunque trovar esempi di defunti, i quali abbiano rivelato cose che nessun vivente sapesse più. Tali sono i casi in cui hanno rivelato dove si trovassero cose [p. 197 modifica]riposte o nascoste da loro. Lasciamo stare le indicazioni di tesori nascosti, così frequenti nella tradizione, appunto perchè care alla cupidigia. Ma io ho incontrato nelle mie poche letture per lo meno tre casi, nei quali sarebbe stato rivelato in sogno dove si trovasse una ricevuta ansiosamente cercata. Uno è raccontato da Sant’ Agostino (De cura pro mortuis gerenda, c. 11); un altro dal dottor Kerner (Blätter aus Prevorst, V. 7 5).

Il più curioso è quello raccontato dal Macnish nella sua Philosophy of sleep, p. 81: il signor R., di Bowland, era chiamato in tribunale per pagar una somma considerevole, che suo padre avea già pagata, e che gli si ridomandava. Cercò la ricevuta nelle carte della successione, ma inutilmente. Venuta la vigilia del termine fissato al pagamento, si decise a pagare all’indomani. Ma alla sera, appena fu addormentato, gli apparve suo padre e gli disse: «Le carte relative a questo affare sono in mano di M., procuratore, che ora si è ritirato dagli affari, e abita a Suveresk, presso Edimburgo. Ho ricorso a lui in questa circostanza, sebbene non sia mai stato incaricato dè miei affari. Se non se ne ricordasse, rammentagli che ci fu tra noi una piccola discussione per il cambio di una moneta portoghese, e che convenimmo di bere la differenza alla taverna». Il signor R. passò dunque da Suveresk prima di andare ad Edimburgo; vi trovò il procuratore molto invecchiato che avea dimenticato tutto; ma la storiella della moneta d’oro gli rammentò tutto; trovò le carte e fu vinto il processo. Ma il signor R, si diede allora a studiar i sogni e diventò matto. [p. 198 modifica]

Se venaimo poi alle comunicazioni medianiche, si sa che Swedenborg seppe dire alla signora di Marteville dove suo marito avesse riposto la ricevuta di una somma, che un argentiere voleva far ripagare alla vedova. Si sa che la regina Luisa Ulrica, sorella di Federico il grande, pregò Swedenborg di domandare al di lei fratello Augusto Guglielmo, morto da qualche tempo, perchè non le avesse scritto, come avea promesso l’ultima volta che si erano veduti. Otto giorni dopo Swedenborg tornò a corte, disse nell’orecchio alla regina qualche cosa che la fece impallidire, poi aggiunse:«Quanto alla lettera che suo fratello avea promesso di scrivere, l’aveva cominciata infatti, e sta nella sua scrivania, ma la malattia e poi la morte gli impedirono di terminarla». Il fatto sembra ammesso da contemporanei come Schlegel e Kant. E venendo a più recenti, l’Aksákow (p. 687, ss.) cita sopratutto l’esempio del testamento del barone von Korf, ritrovato medianicamente. Di un testamento e di una fede di battesimo ritrovati nello stesso modo si parla nelle deposizioni che Varley, lord Lindsay ed altri hanno fatto davanti alla Società dialettica di Londra.

Io sono informato privatamente della storia di una defunta, la quale, per mezzo di un medio a trasfigurazione, sarebbe apparsa inaspettata a una persona, indicandole in qual luogo avea nascosto, parecchi anni addietro, le sue lettere e il suo ritratto. Mi duole che non mi sia lecito nè far nomi, nè scendere a particolari.

Ma pare che tutto questo non provi nulla. Già, che [p. 199 modifica]si sian trovati dei tesori è molto dubbio. Le scoperte dei nascondigli delle ricevute e dei testamenti sono già stati spiegati come casi di memoria latente; il signore di cui parla il Macnish, aveva probabilmente udita da suo padre la storia della moneta portoghese; tanto più, dice il Tissiè, che una moneta portoghese non doveva esser frequente in Inghilterra, Quanto a Swedenborg, aveva la chiaroveggenza dei sonnambuli; si sa che ha visto l’incendio di Stoccolma da Gothenburg, cioè a 50 miglia di distanza; e così sono sonnambuli gli altri medii. Ora si sa che i sonnambuli trovano gli oggetti perduti, solo che diate loro il modo di mettersi in qualche rapporto con questi oggetti; e l’interrogante può bastare a metterli in questo rapporto, perchè egli stesso ha certamente qualche rapporto colle cose che cerca; altrimenti non le cercherebbe. Perciò nello Sphinx il dottor Hübbe Schleiden pone per criterio della comunicazione di un defunto, che nessuno dei presenti abbia alcun interesse diretto od indiretto ad aver quella comunicazione, altrimenti il medio o veggente può trarla appunto dalla memoria latente dell’interessato.

12º Bisogna dunque cercar una comunicazione di cui nessuno dei presenti sappia nulla, e a nessuno dei presenti importi nulla. Questi casi devono esser pochi, sia in un’ipotesi che nell’altra; nell’ipotesi spiritica, perchè è naturale che quelle poche volte che i defunti possono comunicare coi vivi, cerchino piuttosto i vivi di loro conoscenza; e nell’ipotesi dell’incosciente sonnambolico del [p. 200 modifica]medio, perchè è naturale che il medio sogni delle sue conoscenze, piuttosto che di estranei e di indifferenti. Pure le comunicazioni veridiche di defunti ignoti al medio ed a tutti gli astanti non mancano; parecchie ne ha raccolte l’Aksàkow (p. 527.534, cfr. P. 512), per esempio quella di Abraham Florentine, che nell’agosto 1874 si manifesta, per mezzo del tavolino, nell’isola di Wight, dove nessuno lo conosce, e dice di esser morto a Brooklyn il 5 dello stesso mese, in età di 83 anni, e di aver preso parte alla guerra del 1812; e i connotati si confermano, prima per mezzo del Comando generale di NewYork, e poi rintracciando la vedova.

Ora qui non ci sarebbe rapporto. Il medio non aveva nessun interesse a leggere, dall’Inghilterra fino in America, nella mente della vedova di Abraham Florentine. Sarebbe una telepatia accidentale. Ma non per questo sarebbe impossibile; una combinazione è possibile in tutto, anche in questi fatti. Anche lo spirito di Abraham Florentine non si sarebbe trovato in quel circolo che di passaggio, per combinazione.

13° Per escludere anche queste possibilità, ci vorrebbero comunicazioni di notizie verificabili intorno a persona defunta da secoli, le quali per la loro poco importanza non potessero esser state conservate dalla storia nè dalla tradizione. Un esempio di questo genere lo trovo nella comunicazione fatta a un discendente di Sebastiano Bach da un musicista italiano, Baldassarini, che viveva alla Corte di Enrico III di Francia; comunicazione che [p. 201 modifica]sarebbe lunga a raccontare, ma che il lettore può leggere nel libro del Delanne, Le Spiritisme devant la Science (p. 399, ss.); qui basti raccontare che i particolari di questa comunicazione, alla quale il Bach non aveva alcun interesse, si riscontrarono veri solo per mezzo di un foglietto, che si trovò nell’interno di una spinetta del 1664, sul quale erano quattro versi di mano di Enrico III; e l’autenticità della scrittura di Enrico III si sarebbe scoperta confrontando quei foglietti coi manoscritti di Enrico III esistenti nella biblioteca imperiale.

Qui non ci può esser telepatia nemmeno accidentale, e non ci può esser chiaroveggenza nemmeno guidata da un interesse incosciente, nemmeno dalla curiosità, perchè non si tratta di esperimento medianico, ma di comunicazione spontanea. Si potrebbe però obbiettare che c’era un documento, e che quindi non era impossibile che qualcuno lo conoscesse senza saperlo, o che il Bach lo scoprisse e interpretasse con una chiaroveggenza accidentale.

Allora non saprei più cosa rispondere; la prova diventa impossibile, perchè, se ci sono traccie materiali o mentali del fatto raccontato, si potrà sempre dire che il medio le ha rintracciate negli scrigni, nei registri, negli archivj o nella memoria dei viventi; se non ce ne sono, il racconto non si potrà verificare; quindi la comunicazione si potrà sempre attribuire alla chiaroveggenza od all’immaginazione dell’incosciente del medio.

Del resto sarebbe inutile citare nuovi esempj, perché troverebbero sempre qualche ipotesi con cui spiegarli, [p. 202 modifica]senza ricorrere alla spiritica. Infatti pretendono non solo che il nostro incosciente sa cose che noi non sappiamo, e può leggere a distanza in tutti gli incoscienti che vivono attualmente, ma ancora che gli incoscienti che vivono ora possono sapere, per eredità fisiologica, tutto ciò che hanno pensato e detto e fatto a loro tempo i defunti (cfr. Walter Lenf, nei Proceedings, ecc., VI, 565). Ma ciò che nessun uomo ha mai saputo? ebbene, questo l’incosciente lo può sapere con quella chiaroveggenza colla quale i sonnambuli possono informarsi minutamente di una cosa, solo che abbiano qualche oggetto che abbia avuto qualche rapporto con quella cosa; cioè colla psicometria scoperta dal Buchanan nel 1849 e sviluppata dal Denton (The Soul of Things, già alla 7ª edizione).

Quest’ultimo dice espressamente: «Con un frammento dell’Egitto, non più grosso di un pisello, noi possiamo conoscere i tempi dei Faraoni meglio che se possedessimo tutti quanti i geroglifici che furono scritti e possedessimo tutta la scienza di Champollion e di Lepsius».

Ma come si spiega poi questa chiaroveggenza universale? Si spiega con altre ipotesi fisiche e metafisiche; (i due regni sono difficili a separare, perchè colla fisica dell’invisibile comincia la metafisica). Io ne conosco almeno quattro.

Il Denton dice (7ª edizione, III, 347): «Sembra dunque che, oltre al mondo materiale, esista un mondo spirituale, cioè un mondo che contiene, non solo tutto ciò che è, ma anche tutto ciò che è stato. In quel mondo [p. 203 modifica]sono ancora quei monti che sono sprofondati prima che sorgessero dal fondo del mare le Alpi e le Ande, ecc.»

Non si scosta di molto dal precedente il celebre fisico Oliver Lodge, allorchè dice (Proceedings S. P. R., VI, 464), che si può evitare l’ipotesi dello spiritismo, se si ammette una quarta dimensione dello spazio o l’onnipresenza del tempo. Come i paesi che noi vediamo viaggiando in ferrovia esistevano già prima ed esisteranno anche dopo, così gli avvenimenti; il passato ed il futuro sono ancora e già presenti. (Ricorda l’antico Parmenide: οὔ ποτʹ ἔηδʹν οὐἵ ἔσται, ἐπεὶ νῦν ἔστιν ὁμοῦ πᾶν, ἕν συνεχές).

Poi c’è l’ipotesi dell’Hartmann (Spiritismus, p. 78-79): tutte le anime individuali hanno la loro radice comune nella natura, cioè nell’incosciente assoluto, e quindi possono, se un forte interesse le spinge, mettersi in rapporto fra loro, e, in certa guisa, telefonare; sicchè quello che l’una sa, tutte possono sapere. Anzi, più direttamente, siccome l’anima individuale ha le sue radici nell’incosciente assoluto, che sa tutto, così l’incosciente del medio può saper tutto; ergo, qualunque cosa verificabile e ignota a tutti possa dire o scrivere il supposto defunto, questa cosa si potrà sempre attribuire all’incosciente del medio. L’ipotesi dell’Hartmann è semplicissima; o almeno per trovarla tale basta capire: 1° che la sola filosofia vera è il monismo, ossia la dottrina che il mondo è tutto composto d’una sola sostanza; 2° che il solo monismo vero è il panteismo, ossia che la sostanza di tutte le cose è un’intelligenza; 3° che fra i vari panteismi il solo vero è quello [p. 204 modifica]di Hartmann, ossia che questa intelligenza è incosciente. Allora si capisce che l’incosciente individuale del medio possa saper tutto dall’incosciente universale.

E poi: si sa bene che per stabilire una comunicazione telegrafica fra due stazioni ci vogliono due reofori, due fili, come ognuno può vedere in casa sua nei campanelli elettrici. Eppure dall’Europa all’America basta un filo solo. Se domandate ad un professore di fisica dove sia l’altro filo, vi risponderà: «i suoi due capi si mettono in comunicazione col suolo; quindi l’altro filo è la terra». Ora, se la terra può far da filo telegrafico, perchè la natura incosciente non potrà far da telefono?

E in altri termini fa un’ipotesi consimile il Myers (Proceedings, VI, 337): «c’è un modo di spiegare quasi ogni comunicazione senza postulare la continuazione della vita personale dopo la morte del corpo, Si può concepire che la trasmissione del pensiero e la chiaroveggenza siano spinti e tirati fino ad una specie di onniscienza terrena; sicchè all’incosciente di un uomo sarebbe aperta una pittura fantastica di tutto ciò che gli uomini stanno facendo od hanno fatto, - le cose buone e le cattive restando in modo imperituro fotografate in qualche inesorabile impronta del passato. - In tal caso l’apparente personalità di un defunto potrebbe non esser che una specie di sintesi persistente delle impressioni psichiche lasciate dalla sua esistenza transitoria sulla somma delle cose».

E poi, senza essere fisici, si può leggere e capire l'Uranie di Flammarion. Se un uomo posto su una stella a mille [p. 205 modifica]anni di luce avesse un cannocchiale abbastanza buono per vedere in terra, vedrebbe ciò che succedeva sulla terra mille anni fa, perchè al suo cannocchiale giungerebbero oggi i raggi che da mille anni sono partiti. E i raggi sono vibrazioni dall’etere. Dunque tutta la storia del passato sta viaggiando nell’etere; e per vederla basta avere un cannocchiale adatto (come il cervello di un sonnambulo), e mettersi nella direzione giusta (come fa il sonnambulo, se ha un oggetto per orientarsi).

Tuttavia mi pare che queste spiegazioni dei fenomeni medianici comincino ad essere un pò tirate pei capelli, much-strained, far-fetched, überkünstlich. Abbiamo cominciato questo capitolo colla congettura che faceva l’Ochorowicz, ne croyant pas aux esprits; ma abbiamo dovuto arrivare fino a quella dell’Hartmann la quale mi par fatta ne voulant absolument pas croire aux esprits. Ma non affrettiamoci a concludere; torniamo ad esaminare le comunicazioni dei pretesi defunti.


Note

  1. Nei Proceedings, VI, 335-336. Cfr. un caso curioso di questo genere alla p.23 della conferenza del Gabrielli, Ipnotismo e Spiritismo, Bari, 1872.
  2. Cfr. infatti ibid. p. 505, ss.; — e un altro caso nello Sphinx del Luglio 87, p. 39; — e sei rivelazioni di assassinj nella collezione inglese di apparizioni autentiche di defunti, secondo il Podmore, nei Proceedings S. P. R. VI, 234.
  3. Nello Sphinx di Luglio, 87, PP. 37-40. - E gli esempi dati dal Myers, nei Proceedings, v. VI, p.33, 234.