Numismata Maximi Moduli
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APPUNTI
di
NUMISMATICA ROMANA
XXXIX.
NUMISMATA MAXIMI MODULI.
ricerche intorno alle officine che coniarono i medaglioni
e intorno all’uso originario di questi.
I.
L’argomento dei medaglioni, lasciato insoluto o male risolto dai vecchi numismatici, è tornato sul tappeto in questi ultimi anni. Se ne discusse ampiamente, e forse con maggior risultato di quanto avessero fatto i nostri antenati e si giunse ad una teoria, che, se non nella sua interezza, almeno con poche riserve, si può dire ormai da tutti accettata; che il medaglione cioè non fosse altro che un multiplo della moneta corrente.
Era naturale che, avendo durato per molto tempo la teoria opposta, la nuova trovasse molte difficoltà ad essere accettata, perchè nulla è più pregiudizievole a una questione che un primo errore, e molto più difficile riesce il mutare opinione che il formarsene una nuova. Il nome stesso di medaglione, così infelicemente applicato in origine e per contro così universalmente adottato, tanto che li chiamiamo ancora così noi pure che non li crediamo tali — nel senso della parola — fu certo un ostacolo fortissimo alla nuova teoria. Di questa nuova teoria, profondamente convinto, io l’ho sostenuta ogni volta che ebbi l’occasione di scrivere su tale argomento, e, se oggi vi ritorno, è per tentare di vincere qualche ultima ritrosia e di combattere qualche eccezione che alla stessa viene proposta.
In un recente articolo della Numismatic Chronicle di Londra1 Sir John Evans coglie l’occasione della descrizione di alcuni medaglioni inediti o rari per entrare nel merito della questione e mi fa l’onore di citare replicatamente il mio nome, discutendo alcuni degli apprezzamenti da me esposti nella Rivista Ital. di Num. e nel Manuale di Numismatica romana.
Ho letto e ponderato con molta attenzione l’articolo e alle sottili ed acute osservazioni ivi contenute, mi permetto contrapporre quelle che mi sono man mano venute alla mente, esponendole con tutto il rispetto dovuto a sì illustre contradditore. Saranno in parte idee che già ebbi occasione d’esporre qua e là, e che ora mi studierò di meglio chiarire e sviluppare, in parte saranno osservazioni nuove. E, se queste mie righe avranno per risultato di provocare una nuova replica, io me ne chiamerò fortunato, persuaso che alla ricerca della verità nulla è più favorevole della serena discussione.
II.
L’articolo della Numismatic Chronicle si può scindere in due parti. Si ammettono nell’una parecchi fra i portati degli ultimi studii, mentre nell’altra si propongono delle eccezioni alla regola generale.
Quale risultato dei recenti studii sul medaglione romano, fatti in primo luogo assai profondamente e diffusamente dal dott. Kenner e in seguito più semplicemente da me, il Presidente della Società Numismatica di Londra ammette come provati e definitivamente assodati i punti seguenti:
1.° Che la massima parte dei medaglioni relativi alla vita pubblica e ai riti religiosi degli imperatori e delle loro famiglie, furono coniati nella zecca imperiale.
2.° Che altri medaglioni, specialmente quelli esprimenti i voti del senato e del popolo romano verso gli imperatori, furono coniati nella zecca senatoria.
3.° Che la zecca imperiale non si restringeva alla coniazione dell’oro e dell’argento; ma coniò pure una certa quantità di bronzo, sia in monete comuni, sia in medaglioni.
4.° Che il peso di molti medaglioni coniati in ambe le zecche era tale da connettere questi pezzi pesanti colla coniazione ordinaria, in modo da permetter loro di entrare nella circolazione.
III.
Al primo e al terzo di questi punti sottoscrivo io pure volontieri; faccio invece le mie riserve agli altri due, ed è il secondo specialmente che mi riesce impossibile accettare. L’autore ammette che i medaglioni esprimenti voti od augurii del senato o del popolo romano all’imperatore fossero coniati dal senato, e a mo’ d’esempio cita i medaglioni d’Adriano e d’Antonino Pio con S P Q R AN F F OPTIMO PRINCIPI PIO e quello di Gallieno con GALLIENVM AVG P R OB CON8ERVATI0NEM SALVTIS.
Per quanto possa sembrare giustificato che tali voti partissero dal senato, io non vedo in ciò un motivo sufficiente d’ammetterlo per una ragione pregiudiziale, perchè cioè i detti medaglioni sono privi delle lettere SC. È una regola così costante l’iscrizione di queste lettere in tutte le monete senatorie (comprese le poche coniate dal senato in oro e in argento) che davvero non vedo la ragione di fare una eccezione per questi soli casi; mentre nulla osta alla supposizione che tali medaglioni fossero coniati nella zecca imperiale, non fosse altro come omaggio degli zecchieri stessi all’imperatore. È per questo medesimo motivo che in uno studio precedente2 io ho considerato come imperatorii anche i bronzi portanti la corona civica e la leggenda S P Q R OPTIMO PRINCIPI oppure SPQR OB CIVES SERVATOS, o EX S C OB CIVES SERVATOS, (leggende che si trovano identiche anche su monete d’oro e d’argento) e quello pure con SPQR ADSERTORI LIBERTATIS PVBLICAE E la ragione è questa, che le formule superiormente notate si riferiscono, secondo il mio modo di vedere, non alla moneta stessa, sibbene alla rappresentazione che racchiude la leggenda, ossia alla corona civica offerta sia dal popolo e dal senato romano (SPQR), sia per senato consulto (EX SC) all’imperatore.
In altre parole, non è che la moneta rappresentasse essa stessa il voto o l’augurio per l’imperatore; la moneta, sempre commemorativa, come è nello spirito della monetazione romana, commemorava semplicemente il fatto della corona civica offerta all’imperatore (e in un caso anche a Giove, come nel sesterzio di Adriano, Coh. 572, ove la leggenda nella corona è IOVI OPTIMO MAXIMO S P Q R), oppure commemorava la statua innalzata a Igea per la ricuperata salute dell’Augusto, o quella della Libertà per una circostanza che ora ci riesce impossibile determinare e così via; ma tutte queste monete erano indubbiamente coniate nella zecca imperiale ogni volta, che, oltre alla leggenda accennata, non portavano la sigla del senato, le lettere S C.
A questa medesima conclusione arriviamo, partendo da tutt’altro punto di vista, ossia se noi consideriamo i detti medaglioni — e fermiamoci ai tre citati dall’Autore — sotto il rapporto dell’arte.
Nei primi tempi dell’impero riesce assai difficile distinguere a primo aspetto la monetazione di bronzo proveniente dall’officina imperatoria da quella proveniente dall’officina del senato, perchè l’arte dell’una e dell’altra troppo si rassomiglia e l’unica distinzione fra runa e l’altra è la presenza o l’assenza delle lettere S C; ma, incominciando dal regno d’Adriano, il bronzo prodotto nell’officina imperiale si presenta con un’impronta artistica così superiore, che essa sola basta a distinguerlo da quello comune del senato. Tale differenza si accentua poi sempre più col progresso del tempo, perchè, mentre il bronzo imperatorio si mantiene sempre a un livello elevato — compatibilmente colle epoche, — quello del senato invece segue una via continuamente discendente. E quando la decadenza dell’arte invade anche la monetazione dell’argento, non è che nei medaglioni, nei pochi bronzi senza S C e nell’oro che si conservano i resti delle buone tradizioni artistiche, cosicchè si può asserire che la coniazione del bronzo imperatorio venisse affidata agli artisti addetti a quella dell’oro.
Prendendo ora in esame i tre medaglioni dall’egregio collega citati, non ci sarà difficile determinare da quale officina siano usciti. Quello d’Adriano, quantunque appartenente all’epoca di transizione, accenna però già ad una superiorità sui bronzi comuni, se non nella finezza, del lavoro, nel maggiore rilievo.
Tale distacco dalla comune monetazione senatoria si accentua meglio in quello d’Antonino e, se passiamo a quello di Gallieno, l’arte e l’accuratezza del lavoro fanno tale contrasto colla rozzezza e l’irregolarità dei bronzi senatorii contemporanei, che un semplice confronto basta per dichiararlo senz’altro un prodotto della zecca imperiale.
Un’ultima e non vana considerazione relativamente al medaglione di Gallieno potrebbe esser questa che il citato medaglione non è di bronzo, bensì di basso argento come gli altri simili GALLI ENVM AVG SENATVS OB LIBERTATEM RECEPTAM, GALLIENVM AVG P R OB REDDIT LIBERI, il che aggiungerebbe ancora una grave difficoltà, oltre le accennate, all’ipotesi che esso fosse coniato dal senato.
Pare quindi di poter concludere senza esitazione che i tre medaglioni citati, come qualunque altro che sia privo delle lettere S C, furono tutti senza eccezione prodotti nella zecca imperiale.
IV.
Nel quarto punto, in cui l’autore ammette che mollt medaglioni furono coniati in peso tale da potersi connettere colla monetazione ordinaria, a quel molti io vorrei sostituire un tutti. Volendone accettare alcuni ed escludere altri, si entrerebbe in un pelago inestricabile di difficoltà, e nessuna regola fissa e certa ci condurrebbe ad una separazione netta e sicura.
Per riconoscere i multipli e il loro relativo valore colla moneta semplice, a noi non resta altro elemento che il peso. Ora i pesi delle monete antiche di bronzo non si possono e non si debbono certamente calcolare col rigore con cui si calcolano le monete moderne e una larga latitudine di tolleranza va sempre ammessa. Ho già osservato altrove come, secondo me, il Kenner fu troppo germanicamente esatto ne’ suoi calcoli e nelle sue valutazioni, quando ha creduto di dover determinare perfino i mezzi assi.
Io, come latino, sono assai più tollerante — altri forse dirà meno esatto; — ma mi pare che nelle induzioni che noi facciamo a tanta distanza di tempo, più che alla rigida esattezza del peso attuale, o se vogliamo, anche dell’antico, quando si tratti di pezzi ottimamente conservati, dobbiamo attenerci alla pratica possibilità, e trascurare di conseguenza le frazioni di asse, perchè non è ammissibile che anticamente se ne tenesse conto nella pratica.
Se dunque siamo disposti ad ammettere che una gran parte anzi la massima parte dei medaglioni è coniata in modo da costituire un multiplo della moneta, perchè ne vorremo escludere una parte? E quale parte escluderemo? Un grande squilibrio, una costante inesattezza di pesi la troviamo e forzatamente l’ammettiamo nelle monete; perchè non vorremo egualmente ammetterla nei multipli? Il vantaggio d’una norma generale e quindi assai più razionale mi pare che debba facilmente vincere questo piccolo scrupolo.
E qui è d’uopo aggiungere un’ultima osservazione, su di un punto di cui forse anche il Dottor Kenner nel suo profondo studio, non ha tenuto il debito conto, ossia la qualità del metallo. È noto come il metallo giallo od oricalco, avesse assai più valore del metallo rosso, o bronzo comune. Basandosi su questo principio, il Prof. Gabrici ci diede nel 18953 un eruditissimo studio sulla monetazione del bronzo nei primi anni dell’impero, con risultati nuovi e veramente convincenti.
Uno studio simile sui medaglioni darebbe elementi per un nuovo prospetto dei loro pesi, il quale assai probabilmente ci condurrebbe a nuove concordanze finora sfuggite all’esame dei numismatici, e fornirebbe probabilmente le prove dì ciò che noi non facciamo che intravvedere col raziocinio.
Quantunque ora il tempo mi manchi per un esame speciale ed accurato, mi parrebbe che logicamente i medaglioni coniati in metallo giallo dovrebbero essere multipli di sesterzii o di dupondii, mentre quelli coniati in metallo rosso dovrebbero essere multipli di assi.
V.
Ma è tempo di venire alle eccezioni che l’illustre autore dell’articolo propone.
I medaglioni che, secondo il suo parere, non avrebbero mai avuto corso di moneta, sarebbero:
a) quelli ornati di un cerchio ornamentale.
b) quelli che presentano in due parti opposte dell’orlo due buchi in cui pare fossero fissati i perni di una cornice.
c) quelli che furono anticamente dorati.
d) quelli formati di due metalli.
Sono disposto ad accordare pei medaglioni ornati di cerchio decorativo la sola vera eccezione; ma conviene osservare due cose per determinare di qual natura questa eccezione sia.
In primo luogo tale fenomeno si incontra non solo nei medaglioni, ma anche in pezzi semplici, sesterzii, dupondii ed assi; in secondo luogo i medaglioni o le monete con cerchio ornamentale non offrono punto tipi speciali; bensì quei tipi che troviamo sempre o quasi sempre — e il non trovarli talvolta deve attribuirsi piuttosto a rarità e a mancanza di altri esemplari che non a vero esclusivismo — anche fra i medaglioni o fra le monete che non hanno l’ornamento del cerchio. Ciò porterebbe a concludere che alcuni esemplari di una data emissione fossero stati completati in tal modo appunto per farne una specie di medaglia commemorativa da offrire probabilmente in dono; che cioè fossero così coniati eccezionalmente, come nel medio-evo alcuni pezzi d’argento furono coniati eccezionalmente in oro; ma non che vi fosse una categoria speciale di medaglioni o di monete coniate espressamente fuori dalla legge ossia fuori dalla monetazione ordinaria; il che è molto differente.
Tale ragionamento vale meglio ancora pei medaglioni che troviamo bucati in due punti opposti dell’orlo per applicarvi una cornice o un sostegno qualunque, il che può e, direi anzi, deve esser stato fatto da mano privata per uno scopo che noi ignoriamo; e vale pure pei medaglioni che furono anticamente dorati. — Questa non è certo una specialità dei medaglioni; noi abbiamo moltissime monete, sesterzii, dupondii ed assi, che furono anticamente dorati e in proporzione credo anzi che tale fatto si verifichi più spesso nelle monete che nei medaglioni. Nella mia collezione non posseggo che due medaglioni dorati, mentre ho almeno una ventina di monete che subirono tale alterazione nell’antichità. Essa non può quindi ritenersi originaria e meno ancora le si può assegnare un’origine ufficiale; ma va semplicemente considerata come il prodotto di un capriccio privato che convertì quelle monete in oggetti di decorazione personale, come vediamo anche noi frequentissimamente ai giorni nostri.
Rimangono i medaglioni a due metalli, che l’Autore vorrebbe escludere a causa del costo di fabbricazione il quale, a suo giudizio, supererebbe il loro valore intrinseco.
Ma anche il disco a due metalli non è fenomeno esclusivo dei medaglioni, e lo si trova benché con minore frequenza anche in qualche sesterzio specialmente all’epoca da Commodo a Caracalla. Il che vuol dire che probabilmente la fabbricazione a due metalli non era costosa come oggi par lecito supporre. Noi non conosciamo che assai imperfettamente la tecnica del lavoro nella zecca romana e non sappiamo comprendere per esempio come si potessero fabbricare convenientemente i denari suberati, i quali pure, bisogna ammettere, che presentassero un gran vantaggio sulle monete d’argento, il tornaconto essendo l’unico movente della loro fabbricazione. E meno ancora ci riesce comprensibile come fosse conveniente il fabbricare monete di bronzo coll’anima di ferro. Ebbi in dono ultimamente dal Conte Miari di Venezia un sesterzio di Nerone foderato di ferro e così ben fatto in ogni sua parte che, se non ci fosse una rottura accidentale nell’orlo, nessuno si accorgerebbe della frode. Difatti il suo stato attuale di conservazione prova che fu in circolazione per molto tempo. Non occorre esser tecnico per dichiarare che una moneta così fatta costerebbe oggi assai di più che una completamente di bronzo. Il signor Mowat di Parigi mi informa che alcuni esemplari di assi di Tiberio coniati a Lione col rovescio dell’altare ROM ET AVG, pure coll’anima di ferro, vennero trovati pochi anni sono nel fiume Vilaine a Rennes. Sono pezzi rari; ma che pure nel loro esiguo numero provano una fabbricazione clandestina e certamente allora conveniente. Aggiungiamo ancora i denari suberati e dentellati, i quali ci sorprendono per la perfezione del lavoro, e che oggi non sapremmo assolutamente riprodurre. E dopo queste considerazioni mi pare dovrebbe cadere l’obbiezione dei pezzi a due metalli, fabbricazione che offre certo meno difficoltà di quelle accennate.
Delle quattro eccezioni non rimarrebbe dunque che la prima. Ma il medaglione cerchiato — come la moneta cerchiata — per le ragioni sopra esposte è a considerarsi come una eccezione individuale e non di specie e, come tale, non fa che confermare la regola generale.
VI.
Quale uno degli argomenti provanti la reale circolazione avuta dai medaglioni io adducevo come la loro media conservazione fosse suppergiù eguale a quella delle monete. Sir John Evans sembra annettere poca importanza a tale osservazione, asserendo invece che il semplice uso del portarli li avrebbe consunti, come vediamo consunte le medagliette dì S. Giorgio o le monete moderne portate quale ciondolo alla catena dell’orologio.
Ma, date le forme e le dimensioni dei medaglioni, mi pare assai difficile che fossero portati personalmente. Difatti non ne troviamo mai nessuno — parlo di quelli di bronzo — munito d’appiccagnolo e quelli coi buchi nell’orlo per appenderli sono così rari che io non ne ho mai visto alcuno e non ne conoscerei neppure l’esistenza senza l’affermazione di Sir John Evans. Del resto poi è assai difficile il determinare per quale scopo tali buchi fossero fatti, e, dato che fossero appesi, non è punto provato ed è anzi assai poco supponibile che fossero portati.
Lo stato ordinario di mediocre conservazione dei medaglioni mi pare dunque non si possa attribuire ad altro che alla vera circolazione, quali monete, perchè, se invece fossero stati conservati nelle famiglie come ricordi imperiali, a guisa delle nostre medaglie commemorative, ci sarebbero pervenuti in un grado di conservazione assai superiore a quello delle monete correnti, come appunto avviene delle medaglie.
VII.
L’Autore finalmente, per trovare uno scopo ai medaglioni, a quelli almeno che egli suppone non fossero destinati ad aver corso di moneta, suggerisce ripotesi che venissero apprestati nella zecca di Roma per mandare il ritratto dell’imperatore nelle diverse zecche dell’impero.
Sta il fatto che il medaglione di bronzo per l’ampiezza del campo, per l’alto rilievo e per l’arte più affinata è quello che meglio rende i particolari della fisonomia, e delle ornamentazioni della testa e del busto, e si sarebbe prestato meglio di qualunque altra moneta a trasmettere l’effigie imperiale; ma che questo fosse precisamente lo scopo dei medaglioni è tutt’altro affare. Data l’ipotesi, a che avrebbe servito il rovescio, tanto più se si considera che la massima parte dei rovesci proprii dei medaglioni non sono riprodotti sulle monete? Trattandosi soprattutto di far presto, si sarebbe mandato alle zecche di provincia il solo dritto, facendo quello che modernamente si chiama una placchetta.
E a che avrebbe servito l’enorme varietà di conii che troviamo in certe epoche? Sarebbe bastato coniare una testa al principio dell’impero ed una ad ogni cambiamento di fisionomia, supponiamo una all’anno; ma l’abbondanza e la ricchezza di medaglioni del regno d’Antonino e di Commodo non avrebbe veramente una spiegazione, e non si spiegherebbero le molte teste eguali accoppiate a rovesci differenti, come non avrebbero spiegazione le ricche ornamentazioni dei medaglioni non riprodotte sulle monete. Se dunque può esser lecito supporre che talvolta, invece d’un aureo o d’un denaro, abbia potuto servire un medaglione a far conoscere un nuovo imperatore, l’ammettere questo come scopo dei medaglioni è certamente troppo ardito, e, diciamolo pure, non assegna a questi una causa sufficiente.
VIII.
Ritornando quindi al punto di partenza, per conto mio mi si presenta sempre più chiara ed evidente l’idea che i medaglioni, per quanto talvolta servissero ad uso di doni imperiali o del senato, per quanto alcuni, come talune monete, fossero eccezionalmente, per mezzo di un cerchio decorativo, ridotti a servire da medaglia, nella loro totalità non sono che multipli della moneta corrente ed ebbero effettivamente corso di moneta essi stessi.
L’illustre Presidente della Società Numismatica di Londra è proclive ad ammettere la teoria per un certo numero di medaglioni, anzi per la maggior parte, l’ammette senza restrizione per quelli senatorii di Trajano Dado, l’ammette pure per quelli del basso impero; il passo è breve ad ammetterla per tutti, e almeno avremo una regola generale certamente più consentanea al concetto che razionalmente pare dovesse guidare gli antichi romani nella loro monetazione.
- Milano, Giugno 1896.
Francesco Gnecchi.
Poscritto. — La memoria qui sopra era già composta, quando mi arrivò la Revue Numismatique di Parigi con quella di A. Blanchet: Essais monétaires romains, la quale, prendendo le mosse da un punto di partenza ben differente, arriva al medesimo argomento della destinazione originaria dei medaglioni.
Mi fa piacere che la questione abbia destato contemporaneamente l’interesse dei numismatici di diversi paesi, e ciò servirà a rendere più stretti i rapporti delle nostre Riviste accomunandone gli studi. Mi permetta dunque l’egregio amico e collega Blanchet di riassumere brevemente le sue idee, facendovi due righe di risposta.
Il chiaro numismatico parigino, non credendo che la nuova teoria sui medaglioni, per quanto seducente, possa essere ammessa come spiegazione generale, ne propone una nuova, almeno per un certo numero.
Dall’esistenza di alcune prove in piombo, in bronzo o in argento di monete o medaglioni in argento o in oro, vorrebbe dedurre che parecchi dei pezzi giudicati medaglioni, - e precisamente medaglioni senatorii — non fossero che prove di zecca. Io non voglio certo negare l’esistenza di antiche prove di zecca, ed anzi ne ho descritto una nel mio ultimo appunto (N. XXXVIII), un pezzo in argento di Salonino che indubbiamente è la prova di un aureo; ma non mi riesce facile il persuadermi come dall’ammettere tali prove, venga la conseguenza che l’autore vorrebbe dedurre. Il Sig. Blanchet scrive: " Je crois que les désignations empiriques de Cohen Petit médaillon ou moyen bronze; medaillon ou grand bronze; grand bronze frappé sur flan de médaillon, etc. récemment critiquées" — e io so bene chi le ha criticate — " sont en bien des cas plus près de la vérité que les théories savantes. Beaucoup de pièces appelées Médaillons sont certainement des essais de monnaies, car elles sont frappées avec des coins semblables, pour les types, à ceux qui ont servi pour les espèces courantes. Cela est en contradiction avec le caractère du mèdaillon qu’on a considèrè comme le plus constant, c’est à dire la supèrioritè du travail et du relief.»
E fa seguire queste osservazioni da una serie di pezzi, buona parte dei quali io avevo collocati fra i medaglioni senatorii e gli altri avrei pure collocati nella medesima serie, se fossero stati a mia conoscenza, quando scrissi la memoria sul medaglione senatorio. Il Sig. Blanchet, mi pare non abbia tenuto conto della differenza che corre fra il medaglione imperatorio e il senatorio. Sta bene applicare al primo le osservazioni da lui messe innanzi, circa il lavoro e il rilievo; questa è una delle principali caratteristiche del medaglione imperatorio; ma per contro la caratteristica del medaglione senatorio è quella di non offrire altra differenza colla moneta semplice che il maggiore spessore.
Meno pochissime eccezioni, di cui tenni nota nella memoria sopra citata, i multipli senatorii, siano questi sesterzi, dupondi, assi o anche frazioni dell’asse — perchè abbiamo anche dei semis e dei quadranti battuti su disco di peso multiplo, come parecchi ne cita il Sig. Blanchet nella sua lista — sono sempre battuti coi medesimi conii della moneta comune, precisamente come i pezzi forti (pieforts) medioevali sono prodotti coi conii dei testoni, dei ducati o d’altre monete semplici e la maggiore grossezza del tondino e del peso conseguente ne costituisce la sola differenza.
Volendo quindi togliere dalla serie dei medaglioni senatorii quelli che sono battuti coi conii della moneta comune, per formare una serie di prove di zecca, bisognerebbe toglierli tutti addirittura, meno le pochissime ecce;Ìoni accennate, e allora meglio vale generalizzare la questione e porla in questi termini: I pezzi senatorii di peso multiplo sono veri multipli di moneta ossia medaglioni, oppure sono prove di zecca? Ciascuno dei due supposti può certamente avere dei sostenitori; quanto a me però mi fermo volentieri al primo, a favore del quale vedo due ragioni che mi sembrano forti. In primo luogo, se si capisce e si spiega la prova di zecca fatta in metallo diverso e di minor valore, in bronzo o in piombo per monete d* oro e d’argento, in argento per monete d’oro, non mi saprei spiegare queste prove in bronzo per monete di bronzo e meno ancora vedrei la ragione perchè queste prove dovessero avere un peso assai più forte di quello delle vere monete. E in secondo luogo r argomento della conservazione può essere qui nuovamente invocato. La media conservazione di quelli che io chiamo medaglioni o multipli e che il sig. Blanchet vorrebbe prove di zecca, non è punto superiore a quella delle monete correnti. Io non conosco un solo di tali pezzi che non dimostri d’essere stato più o meno lungamente in circolazione. Se fossero prove di zecca, dovrebbero presentarsi, come le medaglie, ben altrimenti.... a meno che questi pezzi siano poi caduti abusivamente nella circolazione, ciò che potrebbe anche essere ammissibile.
Il Sig. Blanchet si appoggia assai, pel sostegno della sua teoria, al doppio dupondio di Nerone dal rovescio SECVRITAS, il quale, essendo battuto col conio del dupondio portante la sigla II, sembra una flagrante contraddizione, e conclude che per un multiplo sarebbe stato più naturale prendere il sesterzio.
Il fatto è certamente curioso, e una spiegazione rigorosa ne sarebbe difficile; ma esempì di pezzi multipli fatti coi coni di monete divisionarie ne abbiamo parecchi anche nel medio-evo, e basterà citare il doppio mezzo scudo di Filippo II per Milano e l’altro di Parma col rovescio delle tre Grazie. Invece di fare un doppio mezzo scudo, non sarebbe stato più semplice e più naturale coniare uno scudo?
Riassumendo dunque, ammessa pure senza difficoltà l’esistenza di antiche prove di zecca, non mi so veramente per ora indurre a considerare come tali quei pezzi che più giustamente mi sembrano classificati per medaglioni o multipli senatori.
- Santa Caterina, 20 Luglio 1896.
F. G.
Note
- ↑ 1896. Parte I. On some rare or unpublished roman medallions.
- ↑ Appunti di N. R., n. XXVI (Riv. It. di Num., 1892)
- ↑ Contributo alla Storia della Moneta Romana da Augusto a Domiziano. (Riv. Ital. di Num. Fasc. III, 1895).