Novelle (Brevio)/Novella III
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NOVELLA III.
Alla illustrissima signora Beatrice Pia degli Obizzi.
Lorenzo de’ Medici, madonna Beatrice, il quale per la grandezza et infinite virtù sue meritò d’esser chiamato magnifico: titolo che a re, non ha guari di tempo, si soleva dare, come che oggidì, colpa del guasto mondo, infiniti et di quegli eziandio che di ben picciolo cominciamento sono, se ne siano fatti tiranni: pochi nondimeno essendo quegli, cui esso meritevolmente si convenga. Anzi tanto è ita l’ambizione de’mortali crescendo, che non pur questo, ma quello ancora del chiarissimo, dello illustre et illustrissimo, dello eccellente et eccellentissimo, et del reverendissimo altresì, non è chi si vergogni d’usurpare. Et hacci di quegli che per avventura alle lettere vostre non faranno risposta, perchè nella soprascritta non averete dato loro titolo di chiarissimo, di illustre, o simili cose; facendosi a credere d’esser tali, quali i titoli dagli ambiziosi et adulatori uomini loro dati li dimostrano. Ma riguardisi nelle loro opere, et apertamente vedrassi, come di gran lunga s’ingannino questi cotali. Ora per più lungamente non deviare dal proposito nostro, tornando la onde ci dipartimmo, dico che Lorenzo de’ Medici soleva talora per motteggio dire che gli uomini si devessero schiffare dalla parte d’iunanzi de’ buoi, da quella di dietro de’ muli, et dall’una et dall’altra de’ frati. Perciò che i primi colle corna ferivano; i secondi co’ calci percotevano: i frati veramente colla lingua trafiggevano, colle mani rubavano et con altro facevano onta et vergogna: quello che con la parte di dietro si facessero, m’è uscito di mente; ma egli diceva pur così. Come adunque un frate da alcuni mugnai per avergli sino al vivo trafitti, bene pagato ne fosse, in una picciola novella mi piace di raccontarvi: alla qual venendo, dico che egli fu, non è ancora lungo tempo passato, un frate de’ vostri Carpigiani dell’ordine dei Minori, giovane, et per avventura più ardito che scienziato, il quale di divenire un grande predicatore desiderando, prima per isgrossarsi una quaresima in una villa, un’altra in altra, come tutto dì veggiamo fare a’ frati, predicando n’andava. Ora avvenne che essendo egli ito a predicare una quaresima alla Guardacciuola, villa posta sopra Po, più da mugnai che d’altra generazione abitata, venuto il santissimo giorno della ressurrezione di Jesu Cristo, lume et salvezza de l’universo, essendosi più volte il parocchino, come quegli che la scellerata et disonesta vita de’ suoi popolani odiava, seco doluto, che egli de’ lor vizii, come si conveniva, loro sgridato non avesse, volendo il buon frate Niccolo, che così era detto il frate, soddisfare al Sere, acciocchè alla partita sua egli una buona pietanza gli desse, pensata una sua favola il dopo desinare, sendosi tutto il popolo nella chiesa raunato nel mezzo della predica quella rompendo, così loro a dire incominciò: divotissimi miei, perciocchè io vi veggio presso che tutti addormentati, o sia per lassezza d’animo per li digiuni et fatiche di questi giorni passati, o per la mutazion de’ cibi, o forse, il che è più agevole a credere, per avere di soverchio mangiato et beuto; io intendo con una piacevole novelletta ad un pari vostro già avvenuta, svegliarvi, et anche agli animi vostri qualche allegrezza recare, acciocchè, siccome venerdì passato per la passione et morte del figliuol di Dio v’affliggeste, così oggi per esser egli da morte a vita ressuscitato, vi consoliate. Dico adunque che egli fu, non ha gran tempo, in una villa simile a questa quasi tutta di mugnai, come voi siete piena, un buon uomo de’ più vecchi del luogo, et di quegli cui voi le bisogne vostre mettete tra le mani. Il quale un giorno di domenica, sendosi tutti gli uomini della villa, per far il loro consiglio, sotto una fronzuta quercia raunati, dopo spacciati loro affari, così loro disse: frategli miei, io ho più volte voluto dirvi che noi gran senno faremo, se d’avere un santo dell’arte nostra procacciaremo. Io ho udito piuvicare al prete nostro et comandarci che noi festeggiare dobbiamo la festa di Santo Alò, che ferrava i buoi, i cavagli, gli asini, et quegli medicava: quella di Santo Uomo Buono, che fue sarto et faceva i farsetti a San Quintino, ne’ quali egli diceva la messa; et altresì quella di Santo Cosimo et Damiano frategli, che erbolai furono. Ma che vo io raccontandogli minutamente? Recandogli tutti in uno sino agli avvocati che sono i maggior ladri del mondo, hanno Santo Ivone, il quale dicono che fue avvocato. Et de mugnai che tanti sono stati et oggi siamo, per la cui arte gli altri. uomini vivono non v’ha santo veruno. Noi abbiamo testè Berto mugnajo, il quale oltre che egli vecchio molto et cagionevole della persona, egli cadde a questi dì, come ognun di voi dee sapere, et ruppesi una coscia, onde per quello che m’ha dette il Pasino medico nostro, egli si morrà; perciò prima che egli si muoia, direi, che noi mandassimo supplicando al vescovo nostro, che egli fare ne lo voglia santo. Berto è stato un buon compagno et ha sempre vivuto bene alle spese degli amici suoi: oltre a ciò è stato de’ più onorevoli dell’arte nostra, destro et aitante della persona: et ricordami che egli portava due sacca di grano in collo; onde io non dubito che ’l vescovo non ci conceda questa grazia; et quando egli per amor di noi non lo voglia fare, si gli doneremo per comune un vitello, et farallo, come fece Biasio del Gallo, che gli donò un paio di capponi, et fue dispensato di potere ammogliarsi con la Rossa di Cecco dal Gallo sum cugina carnale; et detto sin qui, si tacque. Al popolo tutto piacque molto il parlar di Malgragno, che così aveva nome quel buon vecchio. Perchè accostatisi al consiglio di lui, di pari volere deliberarono di mandare al vescovo loro; et così fecero. Il vescovo, intesa la loro dimanda, fra sè medesimo si sentiva quasi che scoppiar delle risa: pure con viso un cotal poco rigidetto disse che vi penserebbe. I mugnai, indovinandosi ciò esser avvenuto perciò che colle mani a cintola n’erano iti, dissero che gli donerebbono un vitello, et che egli facesse loro la grazia. Il che udendo messer lo vescovo, rispose che pregassero Iddio, che Berto morisse, che egli santo bene et volentieri lo farebbe. Sì veramente che bisognava che dopo la morte di lui facessero fare un processo sopra la vita sua, et glielo portassero, et del rimanente lasciassero fare a lui. Tornati adunque gli ambasciadori et al loro comune raccontato ciò che dal vescovo avevano ottenuto, avvenne che non molto dopo, entrando lo spasimo nella coscia a Berto, egli si morì. Et bucinavasi che i mugnai l’avevano aiutato a morire, sperando che egli far lor dovesse delle grazie. Morto adunque Berto, et santo di brieve devendo esser fatto, tra li mugnai quistion cadde, dove l’avessero a seppellire; perciocchè il metterlo nel cimitero non pareva che si convenisse: et dall’altra parte sepoltura alcuna onorevole non avendo, oltre che v’aveva di quegli che una chiesa a nome di San Berto volevano che si facesse dubbiosi stavano di ciò, che del corpo di lui far dovessero. Et per avventura non si sarebbono ancora accordati, se il loro parrocchiano non vi si fosse interposto, il quale fattili venire nella chiesa, così lor disse: figliuoli miei, io mi ricordo aver letto nel libro del catalogo de’ Santi, come venendo a morte Santo Tiziano vescovo di Uderzo, i parenti suoi, udita la novella, quivi sconosciuti subitamente vennero: et imbolarono il corpo di San Tiziano, et a Città Nuova, già Eraclia detta loro patria, nel portavano: ma essendosene avveduti quelli che n’avevano la cura, armati uscirono loro addosso. Et mentre gli Eracliani per tema no ’l popolo tutto di Uderzo, il quale già quivi traeva a furore, li corressero, d’andarsene pensavano, apparve loro un vecchio in vista grave et venerabile molto. Il quale fatte riporre le armi, et paceficatili, volle che il corpo di San Tiziano fosse posto sopra d’un carro, et giuntivi due animali et quelli punti alla lor voglia, li lasciassero andare, et ove si fermassero, quivi al santo corpo la sepoltura fatta fosse. Et ciò volle Iddio che in questa maniera si facesse per più chiaramente manifestare de’ miracoli suoi, come che abbia di quegli che altramente questo miracolo raccontino. Giunti adunque ad un carro una vacca et un vitello figliuolo di quella, et sopra postovi il santo corpo, li lasciarono andare; i quali a Ceneta nel portarono, ove onorevolmente il corpo di San Tiziano fue seppellito, et allora il vescovato da Uderzo a Ceneta si trasmutò. Così adunque dico che far debbiate ancor voi, acciocchè dove a Dio parrà che il corpo di Berto meriti d’essere seppellito, ivi si seppellisca. Anzi direi che non sopra d’un carro, ma per più umiltà sopra l’asino suo, de’ fatti suoi consapevole, et col quale egli parte della vita sua ha trapassata, si mettesse là. Agli uomini tutti parve che questo buon consiglio fosse, perchè preso il corpo di Berto, et quello sopra l’asino suo ben legato, postogli sotto la coda un buon fascio di pruni, lo lasciarono andare, et essendo già buona pezza passata, parendo loro ché l’asino già fermato essersi devesse, a cercar di lui si misero: ordinato tra loro prima che il corpo di Berto tocco non fosse, se gli uomini della villa tutti non venissero a levarnelo. Nè guari stette che ragghiar l’asino udendo, tutti raunati insieme col Sere et con la croce quivi trassono et trovarono l’asino col corpo di Berto mugnaio sott’una bella et orrevole forca essersi fermato; et qui si tacque. I mugnai dalla Guardacciuola, i quali tutti mutoli con grandissima attenzione erano stati ad ascoltare la novella, già dentro a’ lor petti rallegrandosi d’avere un santo, vedendo che frate Niccolo più oltre non parlava, così addentro trafigger sentendosi, tutti ad un tratto della chiesa usciti, chi sassi, chi zolle prendendo, a frate Niccolo ruppero la testa in maniera, che egli come morto per mano et per piedi in casa del prete ne fue portato, et morir credendosi, a Santo Antonio di Padova votatosi, per miracolo del santo fue liberato: et di notte tempore dalla Guardacciuola fuggitosi, in Carpi si ricoverò. Ove indi a pochi dì essendogli le cappe fratesche a noia venute, fattosi dispensare et quelle stracciate, prete rimase, et credesi che egli divenisse un uom da bene.