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VI VIII
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VII.

Il ritorno presso la sua vecchia zia, nel quartierino sul bastione di Porta Romana, parve duro a Gilda, più ch’ella non avesse preveduto. Nel frattempo la sua cameretta, dalle tendine bianche, consolata dalla vista del viale ombroso e dal canto degli uccelletti, aveva accolto un altro ospite, poco gradito a zia Caterina, tanto poco gradito che, per la tranquillità della ragazza, ella non gliene aveva mai parlato nelle rarissime visite che le faceva in casa del banchiere Pianosi. Per lo stesso sentimento di riserva prudente, aveva taciuto a lui l’indirizzo di Gilda.

Quest’ospite era Pietro Mauri, fratello di lei, padre della ragazza.

Ritornava dall’America dove era andato in cerca di fortuna dopo la morte della moglie, e ritornava più povero di prima; non perchè gli fosse mancato il guadagno, ma perchè aveva speso troppo. Era un uomo intelligente ma turbolento, che aveva assaggiato diverse professioni senza [p. 97 modifica]abituarsi definitivamente a nessuna. Da giovane aveva fatto il tipografo, poi il litografo, poi il venditore di litografie. Di sera era corista. Alla lunga quest’ultima occupazione lo aveva distratto dalle altre. Dopo vedovo aveva fatto scrittura con un impresario disperato, che l’aveva condotto in America, e l’aveva piantato là, senza un soldo. In quell’estremo aveva ritrovato la sua energia e s era messo a lavorare. Per un poco la fortuna gli sorrise non come cantante, ma come venditore di bevande alcooliche.

Disgraziatamente egli amava troppo la sua merce, e quando era ubbriaco, il commercio andava come poteva, o meglio come voleva un suo compagno più furbo di lui. Tuttavia, siccome il mestiere era lucroso potè sostenersi per alcuni anni.

Quando fu ridotto al verde, si rammento la patria lontana, la sorella, la figliuola, e, imbarcatosi come facchino a bordo di un bastimento inglese tornò in Europa, e finalmente capitò a Milano.

In casa della sorella si dava delle arie da padrone, contro le quali la povera donna era senza difesa. Lavorava quando gli garbava; e quando aveva guadagnati un po’ di soldi, se li godeva: in casa ne dava, si o no, secondo gli faceva comodo.

La vecchia sopportava, borbottando un poco, con quella invincibile soggezione che le sorelle rimaste nubili e virtuose hanno sempre verso 1 fratelli scapestrati e prepotenti. Ma Gilda stava bene, si faceva onore, guadagnava denari che metteva alla cassa di risparmio; questo pensiero bastava a mantenerla di buon umore e finchè poteva tener [p. 98 modifica]lontano quel fastidio dalla ragazza, le pareva una fortuna.

Quando se la vide arrivare a casa tutto a un tratto, con le sue valigie; il viso pallido e pieno di tristezza; rimase muta per lo spavento, mentre le gambe le si piegavano e le pareva di cadere. Che cosa poteva mai avere fatto perchè la cacciassero così? Che cosa le era accaduto?

Questo pensava nel suo silenzio, vedendo l’aria stanca con cui la ragazza si abbandonò sulla prima sedia.

— Ti senti male? domandò finalmente.

Gilda accennò di no col capo.

Con uno sforzo sovrumano chiamò un sorriso sulle sue labbra contratte. Non era nulla; non credesse già che l’avessero cacciata!

Era venuta via lei di sua volontà, perchè le ragazze povere in casa dei signori ci stanno troppo male; del resto poteva mostrare una prova della verità: la signora le aveva rilasciato un attestato molto lusinghiero! E squadernò sotto gli occhiali della vecchia un largo foglio timbrato col timbro del Banchiere, che Edvige le aveva fatto portare in camera sua, mentre stava preparandosi alla partenza, insieme a un rotoletto di monete d’oro. Era in piena regola.

E sorrideva con quel suo sorriso forzato, e parlava con quella voce arida e rotta, che rivela Io sforzo e la sofferenza.

Caterina Mauri, che aveva vissuto la vita monotona e oscura delle operaje brutte, guardava con dolorosa meraviglia, la bella giovine signora, nella quale doveva riconoscere sua nipote, parlare con quel suo fare languido e stanco, mentre [p. 99 modifica]le metteva in mano tutto quel denaro, toccandolo appena con le cime delle sue dita finamente inguantate.

Sentiva bene che qualche grave dolore la tormentava quella bella orgogliosa, e avrebbe voluto prendersela sulle ginocchia, stringersela al cuore e piangere con lei, come quando sua madre era morta e suo padre l’aveva confidata alle sue cure; ma non osava; si sentiva inferiore e aveva troppa paura di essere respinta o accolta freddamente.

Gilda forse intuì il sentimento della sua parente, forse provò lei stessa una commozione troppo viva da poterla comprimere. Lievemente attiro a s a vecchietta e le buttò le braccia al collo. Le loro lagrime si confusero.

Improvvisamente Gilda si sciolse da quell’abbraccio. Aveva sentito un rumore nella sua camera.

— Chi è là? domandò balzando in piedi e ricomponendosi rapidamente, già irritata dal pensiero che un occhio estraneo avesse potuto sorprenderla in un momento di debolezza.

Zia Caterina si battè la fronte.

— Ah! come mai avevo potuto dimenticare!

Cominciò un racconto contuso.

Ma Pietro che da un pezzo ascoltava e guardava per il buco della serratura, apri l’uscio adagino e si presentò da sè a Gilda, facendo un bell’inchino da palcoscenico.

La ragazza lo guardò con sorpresa mista inquietudine. Chi poteva essere? e che faceva nella sua camera?

I suoi occhi lo dicevano chiaramente, ella non era punto lusingata da questa sorpresa; e Pietro Mauri, che aveva preparato una scena di tenerezza e di effetto, rimase senza parole. [p. 100 modifica]

— Chi è il signore? domandò la fanciulla rivolgendosi alla sua zia.

— Mio fratello... balbettò Caterina.

— Tuo fratello?... dunque mio padre? esclamò Gilda scattando.

Nel suo cuore sentì come uno slancio di affetto che la spingeva verso di lui, e nel medesimo tempo una sorda ripugnanza.

Avrebbe voluto abbracciarlo, abbandonarsi a quell’affetto così nuovo e così dolce: ma si sentiva ferita in tutta l’anima dalla esteriorità di quell’uomo, che era il padre suo.

— Siete molto cambiato!— disse dopo un momento di silenzio: — non potevo riconoscervi.

C’era tanta tristezza in queste parole che zia Caterina si voltò da una parte per nascondere le lagrime.

— Avevo dieci anni, — continuò Gilda, — quando la mamma è morta: e ricordo tutto.... anche la partenza del babbo...

S’interruppe temendo di pronunciare qualche parola amara: l’immagine del babbo che portava nella memoria, era tanto diversa da quella che ora le tornava davanti!

— Ho sofferto molto, — credè opportuno di dire Pietro, con la sua voce rauca, — e le sofferenze mi hanno invecchiato. Ma sono sempre tuo padre. E sono anche il capo della famiglia: la mia signora sorella ha avuto perciò torto marcio di non prevenirti al mio arrivo, come pure di non dirmi dove tu eri. O di che temeva? Sarei andato a trovarti: ebbene! Una figliuola bene educata non può aver vergogna del suo genitore per il solo fatto che è malvestito. Datemi dei danari e mi vestirò bene [p. 101 modifica]anch’io, dacchè ho una figliuola che fa la signora!

Gilda ebbe un impeto di collera, ma si frenò.

— T’inganni, — disse con la massima freddezza: — io non faccio la signora, lavoro. Esco da una casa onorata dove ero istitutrice di una bambina, e mi cercherò subito un’altra occupazione. Capisci, babbo? Ti prego di tenerlo a mente.

— Va bene, va bene, — borbottò Pietro: — sei una brava ragazza; ma di queste cose avremo tempo a discorrere. Ora vieni qua, abbraccia tuo padre.

Gilda abbracciò l’ex corista con molta flemma. L’affetto figliale ch’ella aveva sentito rinascere nel suo cuore era già soffocato.

Lasciò Pietro alle sue divagazioni e cominciò a mettere in ordine la sua roba, nella camera della zia, dove oramai le toccava rifugiarsi, dacchè tutto l’appartamento si componeva di una cucina che era la stanza di entratura, e di due sole camere.

La notizia del suo ritorno in famiglia si sparse presto fra i casigliani e i conoscenti, e non andò molto ch’ella fu assalita dalle visite delle antiche compagne di scuola, disoccupate e curiose.

Fu un subisso di chiacchiere e di racconti, di domande e di insinuazioni.

— Io credevo che tu non avresti mai lasciato un posto così brillante! — le diceva Amelia Cardarelli, quella che firmava Margherita negli album delle amiche, sotto a qualche frase appassionata. — Pensavo che avresti finito con l’innamorare qualche signore. Stavi tanto bene in carrozza! Qualche volta ti ho perfino invidiata, più di Martinelli che ha preso marito. [p. 102 modifica]

— Non dire male di Martinelli, — saltava su a dire Antonietta Restelli, una grassona, dal viso di cuoca, — sai che in convitto era la simpatia di Mauri!

— Ti prego. Restelli, non dire queste sciocchezze!... — sospirava Gilda leggermente seccata. — Raccontate piuttosto che cosa ha fatto questa povera Martinelli.

E le maestrine raccontavano, continuando a chiamarsi per cognome, senza neanche premetter l’articolo, proprio come usavano alla scuola.

Martinelli si era presa di amore per il cugino di Turconi, uno scappataccio, che voleva più bene alla cugina, ma sposava lei per quel poco di dote. Ma Martinelli non stava bene in casa e per questo aveva furia di maritarsi: aveva la mamma gelosa dell’amico, perchè faceva troppi complimenti alla figliuola.

E qui commenti all’infinito, misti a sorrisi maliziosi e cupidi rossori. Rosetta Turconi, la cugina dello sposo, la più bella bionda del terzo corso l’anno avanti che ci fossero passate loro, divenne a sua volta il soggetto della conversazione e fu attaccata furiosamente da cinque o sei lingue taglienti di maestrine disoccupate. Non era poi così bella come la facevano! Aveva il corpo piatto! Era troppo alta! E poi che civetta! I professori le avevano sempre dato i migliori punti, non perchè li meritasse, ma per le occhiatine tenere che teneva pronte per tutti...

A questa accusa, Gilda si ribellava.

— Civetta quanto volete, ma brava, — diceva alle amiche, — e studiosa davvero! Le sue classificazioni se le è sempre meritate. E adesso [p. 103 modifica]dov’è?... — Allora le amiche raccontavano che andava all’Accademia di studi superiori, insieme ai giovinotti, ma che dava pure delle lezioni particolari, per non esser del tutto a carico della famiglia.

Gilda sospirava profondamente: era quello che avrebbe voluto fare anche lei. Le ragazze se ne andavano, ma pochi giorni dopo ritornavano ancora, irrompendo nel piccolo appartamento con le chiacchiere e le risate.

A poco a poco le loro visite diradarono. Gilda era diventata troppo seria e malinconica, e non voleva raccontar nulla di sè. La curiosità delle visitatrici rimaneva inappagata; poi trovavano zia Caterina troppo immusonita e il babbo della ragazza troppo ordinario e abituato a vociare.

Tutte d’accordo convennero che quella casa non presentava nessuna attrattiva e si allontanarono.

Gilda non se la prese a cuore. Oramai, la vita aveva messo un gran distacco fra i pensieri di quelle ragazze ed i suoi. Stava meglio sola.

Si sentiva profondamente mutata. Aiutava zia Caterina a ricamare e cucire; poi ogni due o tre Giorni usciva, per andare al Municipio o al Provveditorato delle Scuole, a sentir notizie e a raccomandarsi per avere un posto. Ora non si sentiva più di entrare nelle famiglie a fare la istitutrice; voleva seguire la carriera più modesta e sicura della maestra governativa.

La spaventava tuttavia la miseria delle offerte. Ora che si era avvezzata a vivere da signora, come avrebbe fatto? E d’altra parte, come rialzarsi senza un aiuto? Come uscire, onestamente, da quell’ambiente meschino, con quel suo padre, che voleva essere mantenuto e s’ubbriacava al[p. 104 modifica]meno tre giorni della settimana: sabato, domenica e lunedì?

Non le restava che una strada: cercar un posto fuori di Milano, in qualche provincia lontana.

Questo era un pensiero savio. Ma finora le era mancato il coraggio di metterlo in esecuzione. Il suo cuore sanguinava alla sola idea di un passo così decisivo, che l’avrebbe allontanata forse per sempre da Giovanni Pianosi. Non era guarita di quell’amore: tutt’altro.

Se aveva avuto il coraggio di uscire dalla casa del Banchiere, non era però possibile che lo dimenticasse così rapidamente. Tutta la sua forza bastava appena a trattenerla dallo scrivergli e dal cercar di vederlo.

Due mesi erano già passati dacchè ella aveva lasciato il suo posto di istitutrice, e lui non aveva dato segno di vita. Questa indifferenza la cruciava, quantunque cercasse di spiegarsela in mille maniere.

Forse Giovanni era in collera con lei per quella specie di fuga dalla sua casa: perchè non lo aveva consultato, nè salutato altro che insieme a sua moglie. Forse aveva compreso che faceva un grande sacrificio e s’imponeva di rispettarlo? Chi sa! Ella avrebbe dato dieci anni di vita per sapere se lui soffriva della sua lontananza, o se era tranquillo.

Conoscendo pochissimo il carattere dell’uomo che amava, non riesciva a risolvere questo difficile problema, e si tormentava, ora esaltandosi in un misticismo appassionato, ora sprofondando nell’abbattimento e nello sconforto.

Pure, di tratto in tratto il suo animo si solle[p. 105 modifica]vava, e la sua intelligenza cercava di ragionare traverso gli offuscamenti della passione. Dacchè aveva avuto il coraggio di uscire da quella casa, ella si diceva che doveva desiderare almeno di non perdere il frutto del suo coraggio. O se no, perchè aveva preso una decisione che non era capace di sostenere? Perchè non aveva avuto piuttosto il coraggio disperato della passione? Perchè non aveva detto a Giovanni che sua moglie lo tradiva? Che ella non era degna di portare il suo nome, e che lui aveva tutto il diritto di mandarla via?... di divorziare, se era vero che la legge, sotto alla quale aveva contratto il suo matrimonio, gli concedeva tanto vantaggio? — Che felicità allora per lei! Giovanni libero, Giovanni padrone di amarla e di sposarla!

Un brivido di piacere le ricercava le fibre.

Socchiudeva gli occhi e guardava il quadro delizioso della felicità, ch’ella non aveva saputo conquistare. Oh! perchè? perchè se l’era lasciata sfuggire?

Per uno scrupolo, per un falso orgoglio! Perchè era una indole incompleta, che anelava alla felicità e non sapeva lottare per procurarsela: che voleva essere generosa, eroica, e poi non aveva la costanza del sacrificio. Perchè apparteneva alla razza antipatica e vile degli eterni spostati, dei malcontenti incurabili. Si faceva rabbia. Aveva dei momenti di spasimo acuto, nei quali avrebbe voluto strapparsi il cuore: finirla.

Ma poi la speranza le ritornava. Forse l’amore di Giovanni durava come il suo, e bastava che gli scrivesse che gli desse un appuntamento, lui sarebbe accorso, e ella gli avrebbe parlato. [p. 106 modifica]

Dopo tutto, ella non aveva nessun obbligo verso la signora Edvige.

Era libera di amare, libera di fare tutto quello che poteva giovare al suo bene.

Un solo dubbio le rimaneva: non la sorte di Lea, poichè si proponeva di amarla come se fosse stata sua: questo le pareva naturale; anche che Lea dimenticasse sua madre. Il dubbio le veniva da Giovanni stesso.

Chi poteva prevedere l’effetto che avrebbe fatto sull’animo suo la scoperta del tradimento di sua moglie? Forse, nel divampare della collera, l’antico amore si sarebbe ridestato, e il suo solo ricordo sarebbe bastato a soffocare l’amore nuovo. Forse anche si sarebbe cambiato in odio verso l’accusatrice; e invece di accontentarsi del divorzio e della libertà riconquistata avrebbe voluto la vendetta? Chi sa che vendetta terribile?

Ma, ammesso pure che tutto fosse andato secondo i suoi desideri riguardo al divorzio, poteva ella credere che il banchiere Pianosi, quell’uomo così altero ed elegante, acconsentisse ad accettare per suocero il padre di lei, Pietro Mauri ex corista e frequentatore di bettole?

Forse l’avrebbe anche sospettata di avere rappresentato una parte, per farsi sposare e diventar ricca. E se non lui, certamente i parenti e gli amici suoi.

E non l’aveva lei in fondo la passione di fare la signora?

Qualche volta, guardando suo padre, nelle ore in cui era meno abbrutito, ella si spaventava della somiglianza che aveva con lui.

Erano le stesse linee molli, gli stessi occhi dolci e lucenti, gli stessi capelli ondati e fini. [p. 107 modifica]

E lui pure era stato buono, diceva zia Caterina: buono ma debole. Smanioso di fare il signore, di brillare, di emergere.

Precisamente come lei. Tutti e due si sentivano una gran foga di salire, ma senza forza sufficiente per sostenersi, senza grandi qualità per emergere, sopra tutto senza costanza. Quella gran foga non serviva che a farli precipitare.

Anche lei forse era predestinata a decadere come lui, a sommergersi nella bassezza; più vergognosamente di lui, perchè più educata e di fibra più fine.

Che tormento! Che angoscia!

Pareva che Pietro dal canto suo intuisse qualche cosa degli intimi combattimenti di sua figlia tanto cercava di distoglierla dalla vita di lavoro a cui si era consacrata.

Ogni giorno enumerava le miserie dei maestri e delle maestre, le loro fatiche sprecate, le noie, le ingratitudini di cui li colmavano gli scolari. Per contrapposto egli faceva le più brillanti descrizioni della vita di palcoscenico, e delle fortune che una giovine vi poteva incontrare.

Ora era una povera ragazza che recitando una piccola parte graziosa aveva innamorato un milionario: ora una cantante di operette, che guadagnava tanti denari da mettersi più in lusso di una vera contessa; ora una mima, che era stata sposata, proprio sposata, da un ricco signore.

Alcune relazioni ch’egli aveva conservate fra la gente di teatro, gli fornivano gratuitamente qualche giornale teatrale e qualche biglietto eh egli regalava a Caterina perchè conducesse con sè la Gilda. [p. 108 modifica]

Questa andava volentieri al teatro; ma tagliava corto ai discorsi del padre, osservando che per recitare bisognava avere un gran talento, o niente.

Pietro però si ostinava. Per gli uomini, si, oh! lo sapeva purtroppo. Ma per le donne, no.

— Il talento delle donne — diceva esaltandosi e senza dare retta alle interruzioni della povera Caterina — il talento delle donne sta nelle belle forme, nei bei capelli, nei visi bianchi e delicati.

Il palcoscenico, — continuava a dire, — è un piedestallo dove la bellezza viva si espone, come le statue nelle gallerie. Il pubblico paga per vedere. Lo so, perchè ho viaggiato: da per tutto il mondo è lo stesso. E che paghe pigliano sul teatro le belle! Possono prendere in un mese quello che una maestra, come te, che ha studiato e pensato, non guadagna in un anno.

Caterina era disperata.

Quel disgraziato di suo fratello voleva far girar la testa a quella povera figliuola. Dio non poteva permettere un peccato simile!

Un giorno, poichè le cose le parevano giunte all’estremo, prese una risoluzione. Senza dir nulla alla Gilda, la buona vecchia si vestì del suo meglio e uscì, dicendo che andava a prendere alcune commissioni.

Andava invece dalla contessa Vimercati, quella che aveva trovato a sua nipote il posto in casa Pianosi.

Era una buona signora, che la conosceva da tanti anni e non l’aveva mai abbandonata nei momenti difficili. Dacchè Gilda era tornata a casa, in quella maniera così misteriosa, con quell’aria di Maria Addolorata, la povera Caterina non aveva [p. 109 modifica]più osato recarsi dalla sua protettrice. Aveva paura di scoprire qualche cosa di poco buono sul conto della ragazza, di sentire dei rimproveri, che in certo modo sarebbero ricaduti anche sopra di lei. Ma adesso, vedendo la piega che prendevano le cose, il contegno di Pietro, la tristezza crescente di Gilda, e quell’abitudine di non parlare, di tener tutto per sè, che è tanto antipatica alla gente del popolo, s’era fatta coraggio e voleva pigliare il diavolo per le corna. Se anche, alla più sciagurata, Gilda aveva fatto del male, lei non ci aveva colpa, eia contessa sapeva che donna era; se poi non si trattava che di scioccherie, bisognava bene che la compatissero: era giovine, e per le case degli altri non c’era mai stata prima di allora. Se aveva sbagliato una volta, non poteva essere una ragione per abbandonarla, chè se loro signore avevano la virtù della beneficenza, dovevano essere anche misericordiose, non c’era dubbio.

Così confortandosi e facendosi cuore, la Caterina affrettava il passo, trotterellando con le sue gambette; chè dal bastione di Porta Romana a casa Vimercati la strada era lunga, e la sua testa poco abituata alla confusione delle strade centrali, ne provava uno stordimento.

Finalmente, rossa rossa, e tutta sudata per la corsa sotto alle prime carezze del sole di primavera, ella entrò nella bella portineria, che cominciava a metterla in uno stato di soggezione, la quale poi andava aumentando man mano che si avvicinava al salotto della Contessa.

— C’è la signora contessa Vimercati? — domandò avvicinandosi alla portinaia — è permesso disturbarla? [p. 110 modifica]

La portinaia si rammentava di averla lasciata salire altre volte, perciò disse subito di sì; ma il suo uomo intervenne per richiamare la visitatrice:

— Un momento: ehi, sposa, dia retta! Chi cerca, lei?

Caterina tutta imbarazzata tornò indietro e ripetè il nome della Contessa, poi, credendo in certo modo di giustificarsi, soggiunse che era la Caterina Mauri di Porta Romana, che la signora Contessa la conosceva bene e l’aveva ben eficata tante volte.

— Te l’ho detto io? — fece il portinaio voltandosi verso la moglie. — Mi pareva di riconoscerla.

— .... E ora mi lascia salire? — domandò zia Caterina riconfortata da queste parole.

Il portinaio, un pezzo d’uomo grosso, la guardò dall’alto in basso, crollando il capo.

Gli dispiaceva proprio, ma non poteva. La signora Contessa aveva cambiato sistema. Le erano toccati troppi dispiaceri, troppe seccature coi poveri.

Ora, le beneficenze, le faceva per mezzo di don Guglielmo e della Congregazione di Carità: era più spiccio. — Perchè, — commentava di suo il portinaio, — i poveri non hanno discretezza, e specialmente voi altre donnette non dite mai: basta.

La povera Caterina, se ne stava a capo basso, come se l’avessero côlta in fallo.

— Io non cercavo la carità — disse finalmente raddrizzandosi — era per una raccomandazione.

Ma la portinaia, prendendo la parola al marito, disse che era appunto per liberarsi dalle racco[p. 111 modifica]mandazioni che la signora Contessa aveva fatto un repulisti generale; perchè le ragazze d’oggi giorno non fanno onore a chi le raccomanda.

Era stata specialmente una maestrina che lei aveva collocato in casa di un Banchiere, che glie l’aveva fatta sporca; figurarsi! nientemeno che innamorare il marito della signora! E dire che l’aveva accettata per educare una bambinetta! fior di educazione! Pareva, niente meno, che si discorresse di separazione fra marito e moglie, per causa di quella pettegola!

La signora Contessa aveva avuto un dispiacere da non si credere!

Caterina tutta sbigottita, avrebbe pure voluto scavar terreno e sentire qualche altro particolare; ma non voleva farsi scorgere.

D’altra parte la portinaja non sapeva nulla di preciso e si perdeva in riflessioni generali sulle infedeltà dei mariti e la malizia delle ragazze.

La povera vecchietta ripigliò il suo cammino tutta mortificata, pensando con raccapriccio all’avvenire della sua Gilda.

Mentre questo contrattempo affliggeva la zia, la nipote, uscita anch’essa di casa senza dir dove andasse, correva incontro ad altri avvenimenti.

Oramai il combattimento interno era terminato: la piccola causa occasionale, che precipita i fatti inevitabili, non aveva mancato di sopraggiungere al momento preciso. Anzi, per non mancare allo scopo, le cause occasionali erano venute in due.

Ecco come.

Mistress Thionny aveva scritto a Gilda.

Sapeva che aveva lasciato il suo posto in casa Pianosi, glielo aveva detto il professor Rachelli [p. 112 modifica]che aveva incontrato in società, a Napoli, e siccome lei non poteva per quell’anno recarsi sul lago, perchè aveva fissato con degli amici di passare l’estate a Sorrento, la invitava a recarsi da lei, che appunto aveva bisogno di una segretaria perchè si stancava troppo a scrivere e avrebbe preferito dettare. La segretaria poi le avrebbe anche fatto da lettrice.

Letta la lettera, Gilda la chiuse sotto chiave per rimaner libera di accettare o no, senza subire i consigli di sua zia, o peggio le possibili opposizioni di suo padre.

Quella stessa sera, vale a dire la sera precedente a quella bella giornata di primavera in cui Caterina Mauri andava fino alla portineria di casa Vimercati, Pietro Mauri, mezzo brillo, al solito, si era tirato in casa dei suoi amici coristi, coi quali aveva gozzovigliato, imponendo a Gilda di star là insieme a loro, a sentire i loro scherzi e le loro parolacce. In compenso, la Caterina le aveva fatto recitare il rosario prima di addormentarsi, per cacciare le tentazioni. Come se quelle potessero essere tentazioni per lei!

Veramente era troppo.

Il suo carattere indipendente, la sua indole fiera e appassionata, ora si ribellavano con la più grande violenza.

L’avevano tormentata al di là di quanto la sua pazienza potesse sopportare, gli uomini e le cose si erano messi d’accordo contro la sua pace. Per fierezza, per generosità, aveva rinunciato al suo amore; aveva lasciato un posto che le conveniva; s’era rassegnata alle umilianti condizioni che le faceva suo padre, pronta ad accettare un umile [p. 113 modifica]posto di maestra; ma a patto di essere rispettata e libera almeno nella sua casa, di poter seguire i suoi gusti e conservare le abitudini di persona educata, a cui non poteva più rinunciare.

Ora invece era condannata a dibattersi fra manie di suo padre e il bigottismo di sua zia. E presto sarebbe venuta la miseria, dacchè per ogni più misero posto di maestra vi erano almeno trenta concorrenti. L’offerta di mistress Thionny veniva dunque a proposito; era l’àncora di salvezza; ma era pure la più completa rinuncia a al suo amore. Prima di risolversi ad accettarla voleva parlare con Giovanni: dirgli tutto: il discorso che aveva avuto con Edvige la vigilia del giorno in cui era uscita dalla sua casa; quello che sapeva di lei; quello che aveva sofferto e sperato, e la posizione tristissima in cui si trovava. Se lui le diceva d’amarla ancora, se manifestava la risoluzione di divorziare e sposarla, lei si sarebbe presa una camera mobiliata fuori di casa e avrebbe aspettato. Se poi lo trovava indifferente, se l’aveva dimenticata, o semplicemente se non aveva il coraggio di sacrificarle sua moglie: ebbene, allora sarebbe partita direttamente per Napoli, dove insieme alla signora Thionny avrebbe certo trovato anche il professore Rachelli, del quale sapeva le intenzioni.

Indossò un vestitino di lanetta fine, di un ton grigio azzurrato, con un giacchettino di velluto Turchino cupo; in testa una cappottina empire di velo grigio e velluto turchino; ombrellino e guanti assortiti al resto.

Con l’animazione insolita della sua fisonomia e questo costumino così semplice ed elegante, la [p. 114 modifica]sua naturale bellezza acquistava uno splendore e una grazia sorprendente.

Le casigliane, che l’avevano per superba, perchè non si fermava mai a chiacchierare in portineria, nè sulla ringhiera, si affacciarono chiamandosi da un piano all’altro, per vederla passare traverso il cortile. La guardavano con sorda collera e bisbigliavano fra di loro parole poco benevoli.

Ma lei passò indifferente e bella come una creatura di razza superiore, che tali miserie non possono turbare. Forse non se ne accorse nemmeno, come non s’accorse dei mille occhi che si fermarono su lei in istrada. Il suo pensiero era lontano dalle cose presenti, e il cuore le batteva fortissimo nell’ansietà della aspettativa.

Chi sa se l’avrebbe trovato solo? E come l’avrebbe accolta? E quale sarebbe stata la prima parola che avrebbe pronunciato! Per il caso di non trovarlo, aveva preparato un biglietto in cui lo pregava di aspettarla il domani: la banca era un luogo pubblico, dove poteva essere condotta da un affare qualunque; e nessuno degli impiegati la conosceva. Questa considerazione serviva a mantenere la sua franchezza; tuttavia, man mano che si avvicinava alla meta, nei dintorni di piazza del Duomo, sentiva un tremito invincibile in tutte le membra.

Quando fu sull’angolo di via Rastrelli, un signore le si fece incontro, levandosi il cappello e inchinandola con aristocratica disinvoltura.

Ella non lo vide se non quando le fu vicinissimo, e mandò un piccolo grido di sorpresa e sbigottimento.

Era l’avvocatino Anselmi. [p. 115 modifica]

Desolato di averle fatto paura, egli si mise a discorrere amabilmente, deplorando la sorte avversa che appunto nel momento della massima gioja, quando gli riesciva finalmente di rivederla dopo tanto tempo, versava nel suo calice una goccia di assenzio.

Lei, passata la prima stizza, cercò di fargli buon viso. Non era forse male tenerlo buono: non foss’altro per non averlo alle calcagna a farle la spia.

E poi, forse lui sapeva qualche cosa di Giovanni: in due mesi, dacchè lei si era esiliata dal mondo civile, chi sa quante cose potevano essere accadute! Lui certo avrebbe raccontato: non aveva che a lasciarlo parlare.

Ecco, egli già le diceva che era dispiacente di non andare quasi mai in casa Pianosi — causa le troppe relazioni e gli affari che aveva — soltanto perchè perdeva la fortunata occasione di trovarsi con lei.

— Ma io non ci sto più in casa del Banchiere — disse la fanciulla arrossendo.

— Come! lei ha lasciato quel posto? Ma perchè? Non mi pare possibile. Come mai ha fatto?

Era evidente che tanto stupore non era finto: quella notizia gli giungeva nuova, e Gilda capì benissimo che la Signora aveva trovato prudente di non dirgli nulla nei loro abboccamenti segreti — se pur duravano ancora.

Allora, in brevi parole, gli raccontò quello che diceva a tutti: che suo padre essendo tornato dall’America e la zia essendo vecchia e malaticcia, aveva sentito la necessità di tornare in famiglia. [p. 116 modifica]

Egli se ne rallegrò ed ebbe il tatto di non fare alcuna allusione. Disse soltanto che gli pareva un po’ pallida, che quella forse non era vita per lei: col suo ingegno, con la sua bellezza, non doveva seppellirsi nelle cure della famiglia.

Ella convenne che s’annoiava, e che avrebbe accettato volontieri un altro posto, ma erano tutti così meschini, o tanto lontani!...

— E lei non vuole andar lontano?... È il cuore che la tiene qui, eh?

— Mai più! io sono liberissima — esclamò Gilda.

E poichè non le piaceva di stare ferma su quel passaggio, in conversazione con un giovinetto, cosa che dava già nell’occhio ai curiosi, s’incamminò lentamente per via Cappellari, allontanandosi così dalla banca, davanti alla quale non avrebbe voluto passare in compagnia dell’Avvocato.

Questo, senza interrompere il discorso e prendendo forse il suo movimento per un invito a seguirla, le si messe al fianco, mentre le diceva:

— E allora perchè non vuole andar lontano?

— La famiglia... — balbettò la fanciulla — il clima... E poi, le par nulla lasciar Milano?

— Se avesse veduto Parigi, non le importerebbe più tanto di questo vecchio angolo di provincia.

Gilda crollò le spalle, già seccata della piega che prendeva il discorso.

— E che notizie mi dà della signora Edvige? — domandò all’improvviso guardandolo negli occhi.

Ma lui era bronzato.

— Si rivolge proprio male a chieder notizie a [p. 117 modifica]me della signora Pianosi — rispose, con la massima indifferenza — io non la vedo più affatto. Ma lei, dunque, non va nemmeno a trovarla? Si sono dunque lasciate male?

La fanciulla si morse le labbra. Aveva creduto d’imbarazzarlo e invece era lui che la imbarazzava. Ma a quella scuola si faceva anche lei. Replicò con arroganza; che lui sbagliava di grosso, ch’erano rimaste invece amicissime, e che anzi contava di andarla a trovare uno di que’ giorni. Non era andata ancora perchè non si moveva mai di casa, tanto era il da fare che aveva.

L’Avvocato lasciò passare la sfuriata, ed ebbe il buon gusto di non rilevare l’eccessivo calore con cui si difendeva.

Poi, quand’ella si calmò da sè, egli riprese il discorso con un tono dolce e insinuante. Della Signora non poteva dirle nulla, perchè, proprio in parola, non la vedeva più da tempo; ma del Banchiere, sì, se le desiderava, lui poteva darle ampie notizie. Quel povero Giovanni, tutto l’inverno aveva lottato contro il fallimento, lottato accanitamente corpo a corpo lavorando giorno e notte, senza riescire a salvarsi! Era finito; in Borsa aspettavano a giorni il patatrac.

Gilda chiuse un momento gli occhi e s’appoggiò al manico dell’ombrellino. Si sentiva venir meno.

L’avvocatino Anselmi la guardava di sottocchi.

— Le dispiace molto? — domandò avvicinandosele con tenerezza e un po’ d’ironia insieme.

— Moltissimo, Signore! — rispose lei con franchezza e rimettendosi a poco a poco: — sono stata otto mesi in quella famiglia, e mi ci ero affezionata: non le par naturale? [p. 118 modifica]

— .... Oh! naturalissimo! Anzi, le fa onore!... Vorrei soltanto che un poco di quella affezione fosse caduta anche sulle persone che frequentavano la famiglia e volevano bene a lei.

— Certo: io sono riconoscente a tutti quelli che hanno qualche amicizia per me.

— .... La riconoscenza dice troppo e troppo poco... O Gilda, Paolo domanda amore!...

Erano appunto entrati in via dell’Unione, dopo di avere attraversato un tratto di via Carlo Alberto e il largo di San Giovanni in Conca. Camminavano sul marciapiedi destro, scendendo verso il Corso di Porta Romana, a piccoli passi urtandosi coi gomiti ogni volta che un camminatore più affrettato li spingeva contro il muro. Lui si piegava verso di lei, cercando di vederla negli occhi sotto la tesa sporgente della cappottina, e le soffiava in viso il suo alito caldo.

Ella cercava di sottrarsi a questa specie di contatto, tenendo il viso basso, e faceva ogni tanto un piccolo movimento per separarsi da lui e sfuggire alle sue crescenti insistenze. Ma non le riesciva; con un moto più rapido egli le sbarrava il passo, o la teneva per il vestito. Bisognava che l’ascoltasse ancora.

Gli avvenimenti incalzavano, e l’amore lo spronava.

Non aveva tempo da perdere. Dacchè la sua buona stella glie l’aveva fatta incontrare in quel giorno, doveva accordargli, un appuntamento... Per niente di male, oh! no, honny soit qui mal y pense! soltanto per poterle parlare, farsi comprendere da lei, perchè lui doveva partire a giorni per un paese lontano, dove lo aspettava una [p. 119 modifica]grande fortuna, che avrebbe voluto dividere con lei, se lei avesse accettato il suo amore, un amore ardente, unico, ben diverso, ben più solido di quello... cui ella pensava.

Questa insinuazione, fatta così male a proposito, ferì la fanciulla nei suo intimo e la irritò profondamente.

Era troppa impudenza! parlarle così di Giovanni, mentre egli si dibatteva contro una sventura, di cui forse lui era la principal causa, lui, il Giuda, che lo disonorava da anni! E poi, cosa ci entrava lui a parlarle dei suoi sentimenti? Lo aveva forse preso a confidente, lei, de’ suoi affetti?

Così pensando fra sè, si era fermata in mezzo al marciapiedi, e, dimenticando affatto i consigli della diplomazia, cui poco prima aveva dato retta, gli disse a voce bassa ma vibrante di collera:

— Ora basta, sa! Me ne ha dette assai. Io non voglio più ascoltarla, nè ora, nè mai più. Io non credo al suo amore, e fosse pur sincero, non saprei che farmene. Mi lasci andare.

Questo accadeva appunto di fronte allo sbocco di via del Pesce, al principio del Corso di Porta Romana, dove la strada si allarga. Gilda potè allontanarsi con un movimento rapido, voltando le spalle al suo interlocutore. Ma non aveva fatto più di due passi, che un nuovo incidente la fece arrestare.

Da un brougham a due cavalli senza numero, fermatosi allora allora, davanti alla Ca’ dei Cani, era uscita una signora elegantissima, la quale affrettava il passo verso i due giovani.

— Gilda! o cara Gilda! fermatevi un momento, [p. 120 modifica]vi prego! diceva alle loro spalle una bella voce vellutata che subito riconobbero.

Si voltarono tutti e due a un colpo e si trovarono di fronte la signora Pianosi, la quale stendeva le belle mani alla giovine istitutrice, con un farino tanto gentile e cordiale, che l’occhio più scrutatore non avrebbe potuto dubitare della sua tenerezza, nè della serenità del suo spirito.

La conversazione fu subito avviata.

La signora era tanto felice di quella combinazione, e non aveva voluto perderla. Lei aveva sempre amata la sua cara Mauri; e la povera Lea la desiderava tutti i giorni. Doveva andarla a trovare, presto; avrebbe fatto un vero favore a tutta la famiglia.

Ma interrompendosi improvvisamente, senza cambiar tono, nè viso, si voltò verso l’avvocato Anselmi che era rimasto un po’ intontito, e rapidamente gli disse:

— È un’ora che vi cerco. Ascoltate, ma non fate alcun gesto; hanno fatto una perquisizione a casa vostra, e vi aspettano; siete egualmente aspettato al club e alla banca. Giovanni ha scoperte tutto... Intendete? Tutto! Ma, per ora, credo non voglia occuparsi altro che degli affari della banca e dello stabilimento di Como; di quel tanto per cui voi potete avere intaccato il codice penale... Ho paura che siate molto compromesso. Perciò non vi resta che partire subito. Fatevi portare alla stazione dal brougham che aspetta là, sulla porta di quella casa. Nella carozza troverete una valigetta con alcuni oggetti e un portafogli discretamente provvisto per le prime spese. E ora basta. Addio. [p. 121 modifica]

L’Avvocatino, che si era fatto livido di rabbia e stringeva i denti, fingendo di sorridere, rimase un momento perplesso.

— E se m’ingannaste? — sciamò dopo un momento di riflessione, ricuperando ardire e speranza. Se fosse tutto una vostra invenzione?... Avete pensato, o Signora, ch’io posso ritornare, e vendicarmi in mille maniere?...

Edvige lo guardò con tale espressione di disgusto e dolore, che Gilda si sentì scossa, e voltò via la testa.

— Oh, si! ci ho pensato — disse la signora Pianosi con una calma glaciale. — Ho pure pensato che voi potreste dubitare delle mie parole, e che questo vostro dubbio farebbe la mia involontaria ma giusta vendetta. Sentite: io ho cercato di salvarvi, non so nemmeno io per qual sentimento: se voi non mi credete, tanto meglio per la giustizia: andate a vedere!

Ma poichè in quel memento passavano alcune persone della buona società, fra le quali un negoziante che la salutò, ella riprese la conversazione interrotta con Gilda, rivolgendosi anche all’Avvocato con la più squisita cortesia.

Queste intanto aveva riflettuto meglio. Non poteva diffidare di Edvige: in tanti anni di relazione ella non lo aveva mai ingannato; aveva fatto per lui tutti i sacrifici, aveva sopportate tutte le torture della gelosia; era cosa sua, e quella era forse l’ultima e la più grande prova d’amore che gli potesse dare.

Strano fenomeno! questo breve riepilogo di un lungo amore, che lo aveva ristucco, questo attestato di fiducia rilasciato, nel fondo della coscienza [p. 122 modifica]alla donna che non lo innamorava più da un pezzo, ebbe virtù di commoverlo.

In quel momento supremo, in cui tutta la sua vita, miseramente sciupata, si riassumeva in una crisi terribile, là, sur un angolo di marciapiedi, in una strada pubblica, egli si sentì preso da uno slancio inaspettato di generosità e di tenerezza retrospettiva, che gli fece dimenticare il pericolo presente nel rimpianto amarissimo del passato. Come è opinione di molti, che accada a ciascuno di noi, nell’ultimo bagliore della memoria, quando la vita è vicina a spegnersi, così lui ebbe la visione nitida di tutte le sue vicende e di quello che avrebbe dovuto fare, o non aver fatto, per vivere contento con la stima di sè e l’amore di Edvige.

Con gli occhi arsi, i pomelli delle guance accesi, e la voce tremante di commozione, disse chinandosi verso Edvige:

— Perdonatemi. Ho avuto sempre torto con voi e vi ho fatto molto male. Ora voglio ubbidirvi. Partirò. Non ci rivedremo mai più.... A meno che voi non accettaste di partire con me, e dividere la mia miseria....

Ella lo guardò trasecolata, e non lo comprese, o ebbe paura di comprenderlo, e tremò tutta.

Questa volta era lei che lo ingannava, mentre lui le diceva forse le parole più sincere che le avesse detto in sua vita.

Ma tale era il loro destino di viltà e di abbiezione.

— Non è possibile, rispose sospirando: vi comprometterei inutilmente. Cercate di salvarvi almeno! io non domando più altro da voi. [p. 123 modifica]

L’avvocato Anselmi non fiatò: aveva esaurito il suo ultimo sentimento di tenerezza.

Per abitudine inveterata stese la mano a tutte e due le signore. Edvige la strinse con viva espansione: Gilda la sfiorò appena.

Poi egli si allontanò facendo uno de suoi più bei saluti, col cappello in mano e il braccio teso, in quella maniera aristocratica, che distingue un uomo della buona società dalla comune dei mortali. Un momento dopo, il brougham a tiro due, senza numero, correva verso la stazione centrale.