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nell’ingranaggio 103

dov’è?... — Allora le amiche raccontavano che andava all’Accademia di studi superiori, insieme ai giovinotti, ma che dava pure delle lezioni particolari, per non esser del tutto a carico della famiglia.

Gilda sospirava profondamente: era quello che avrebbe voluto fare anche lei. Le ragazze se ne andavano, ma pochi giorni dopo ritornavano ancora, irrompendo nel piccolo appartamento con le chiacchiere e le risate.

A poco a poco le loro visite diradarono. Gilda era diventata troppo seria e malinconica, e non voleva raccontar nulla di sè. La curiosità delle visitatrici rimaneva inappagata; poi trovavano zia Caterina troppo immusonita e il babbo della ragazza troppo ordinario e abituato a vociare.

Tutte d’accordo convennero che quella casa non presentava nessuna attrattiva e si allontanarono.

Gilda non se la prese a cuore. Oramai, la vita aveva messo un gran distacco fra i pensieri di quelle ragazze ed i suoi. Stava meglio sola.

Si sentiva profondamente mutata. Aiutava zia Caterina a ricamare e cucire; poi ogni due o tre Giorni usciva, per andare al Municipio o al Provveditorato delle Scuole, a sentir notizie e a raccomandarsi per avere un posto. Ora non si sentiva più di entrare nelle famiglie a fare la istitutrice; voleva seguire la carriera più modesta e sicura della maestra governativa.

La spaventava tuttavia la miseria delle offerte. Ora che si era avvezzata a vivere da signora, come avrebbe fatto? E d’altra parte, come rialzarsi senza un aiuto? Come uscire, onestamente, da quell’ambiente meschino, con quel suo padre, che voleva essere mantenuto e s’ubbriacava al-