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nell’ingranaggio 109

più osato recarsi dalla sua protettrice. Aveva paura di scoprire qualche cosa di poco buono sul conto della ragazza, di sentire dei rimproveri, che in certo modo sarebbero ricaduti anche sopra di lei. Ma adesso, vedendo la piega che prendevano le cose, il contegno di Pietro, la tristezza crescente di Gilda, e quell’abitudine di non parlare, di tener tutto per sè, che è tanto antipatica alla gente del popolo, s’era fatta coraggio e voleva pigliare il diavolo per le corna. Se anche, alla più sciagurata, Gilda aveva fatto del male, lei non ci aveva colpa, eia contessa sapeva che donna era; se poi non si trattava che di scioccherie, bisognava bene che la compatissero: era giovine, e per le case degli altri non c’era mai stata prima di allora. Se aveva sbagliato una volta, non poteva essere una ragione per abbandonarla, chè se loro signore avevano la virtù della beneficenza, dovevano essere anche misericordiose, non c’era dubbio.

Così confortandosi e facendosi cuore, la Caterina affrettava il passo, trotterellando con le sue gambette; chè dal bastione di Porta Romana a casa Vimercati la strada era lunga, e la sua testa poco abituata alla confusione delle strade centrali, ne provava uno stordimento.

Finalmente, rossa rossa, e tutta sudata per la corsa sotto alle prime carezze del sole di primavera, ella entrò nella bella portineria, che cominciava a metterla in uno stato di soggezione, la quale poi andava aumentando man mano che si avvicinava al salotto della Contessa.

— C’è la signora contessa Vimercati? — domandò avvicinandosi alla portinaia — è permesso disturbarla?