Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri/IV

Degli antenati di Dante, e dei suoi discendenti

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III V

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§ IV.

Degli antenati di Dante, e de’ suoi discendenti.

Dopo aver parlato in generale della casata del nostro Poeta, per illustrazione del qui annesso albero genealogico della medesima, dobbiamo poco fermarci a ragionare de’ suoi maggiori, e di quelli che da lui discesero. Il primo di cui si abbia una distinta notizia fu Cacciaguida, dal quale derivò per dritta linea Dante1. Nacque Cacciaguida in Firenze l’anno 1106. in circa, siccome osservano gli Accademici della Crusca2 in una postilla marginale a queste parole del canto XVI. del Paradiso3.

.  .  .  .  .  .  .  Da quel dì che fu detto Ave
     Al parto in che mia madre, ch’è or santa,
     S’alleviò di me ond’era grave,
Al suo leon cinquecento cinquanta
     E trenta fiate venne questo foco
     A rinfiammarsi sotto la sua pianta.

Ed in vero fingendo il Poeta di parlare a Cacciaguida nella costellazione di Marte, che mette quasi due anni di tempo a terminare il giro del cielo, ed a scorrere per i dodici segni dello zodiaco, qualora si moltiplichi per due il numero 553. viene ad aversi il 1106. non valutando que’ rotti del tempo, che impiega la detta stella nel ritornare in un medesimo segno, giacchè può credersi che ad essi Dante non facesse attenzione4. E’ poi da osservarsi che negli [p. 29 modifica]addotti versi si dà alla madre di Cacciaguida il titolo di Santa, forse perchè il Poeta aveva probabil motivo di piamente credere che fosse già a godere la visione beatifica dopo tanto ch’era morta questa sua antenata5. E da quella che fa dire il Poeta a Cacciaguida ben chiaro apparisce essere stato personaggio di molto riguardo, e stima nella città nostra, la quale, nel tempo che venne esso alla luce, stava sotto l’obbedienza della famosa Contessa Matilda. Infatti dopo essersi accasato nella sua giovinezza con una donna degli Aldighieri «di Val di Pado»6 dalla quale generò più figliuoli, si pose a militare sotto Corrado III. della casa di Svevia eletto Imperatore nel 1138. e lo seguitò nella celebre Crociata promossa da Lodovico VII. il giovane re di Francia, e da S. Bernardo per ricuperare dalle mani degl’infedeli i luoghi di Terra Santa. Ma in questa spedizione, la quale per colpa dell’Imperatore d’Oriente Emanuelle Comneno fu a tutta la Cristianità molto fatale, perchè fu disfatto un poderosissimo esercito di detto Corrado; morì l’anno 1147. Cacciaguida ucciso per mano dei Turchi, avendo prima ottenuto in remunerazione de’ suoi servigi il grado di Cavaliere dal medesimo Imperatore7. [p. 30 modifica]Suoi fratelli furono Moronto, ed Eliseo, de’ quali abbiamo ragionato sopra8. Ebbe poi Cacciaguida, fra gli altri de’ quali non sono fino a noi arrivate le memorie due figliuoli, cioè Allighiero, e Preitenitto. Di costoro, nel primo de’ quali volle la madre rinnovare il proprio cognome9 si trova fatta menzione in una carta dell’archivio di Badia di Firenze del 1189.10 ed è probabile che il detto [p. 31 modifica]Allighiero vivesse ancora molto vecchio nel 1201; benchè qualche luogo della Commedia dia da sospettare che fosse morto avanti il principio di quel secolo11. Finge Dante [p. 32 modifica]nella sua detta opera, che questo suo bisavo Allighieri per il lungo spazio di cento anni era stato ritenuto nel primo girone del Purgatorio a pagare la pena del peccato della superbia, e che dopo questo tempo ancora aveva bisogno di suffragi per volare al cielo12. D’Allighiero nacque Bellincione, e messer Bello. Il primo fu l’avo di Dante,13 quantunque da altri sia stato creduto diversamente14, e si trova nominato nelle vecchie carte fino all’anno 126615. Da lui discese Allighiero padre del Poeta, Brunetto, che [p. 33 modifica]ebbe un figliuolo detto Cione, e Gherardo, il quale viveva nel 1277.16. Da messer Bello che fioriva nel 1255.17 furono generati parimente più figliuoli, cioè Gualfreduccio ascritto nel 1237. all’arte del cambio18, messer Cione19, Cenni20, e Geri21. È quest’ultimo senza fallo quello, di cui parla il nostro Dante nel XXIX. Canto dell’Inferno, raccontando com’era stato ucciso a tradimento, e che la di lui morte non aveva trovato fino a quel tempo chi nella sua famiglia avesse saputo farne vendetta22. Il suddetto Allighiero padre di Dante fu (al [p. 34 modifica]dire di Benvenuto da Imola)23 giureconsulto di professione, ed in prime nozze si accasò con donna Lapa di Chiarissimo Cialuffi, che fu la madre di un Francesco fratello del Poeta. Rimasto vedovo prese una seconda moglie, da cui gli nacque il suo tanto celebre figlio per donare alle Toscane lettere la vita, ed alla sua casata un maggior lustro. Il nome soltanto è restato di quella fortunata femmina, e nulla più; poichè sappiamo che donna Bella si chiamò24, e che restata essa priva del marito poco dopo [p. 35 modifica]l’anno 127025 dovette probabilmente caricarsi della cura d’allevare la sua prole. Francesco poi, avendo sposata donna Piera di Donato Brunacci26 ebbe due figliuole, la prima [p. 36 modifica]delle quali per nome Martinella fu moglie di ser Gregorio di ser Francesco di ser Baldo del Popolo di Sant’Ambrogio autori della famiglia Ser Franceschi, che godette gli onori della Repubblica Fiorentina27, e la seconda per nome Tonia ebbe in consorte Lapo di Riccomanno del Pannocchia. Un figlio maschio nacque ancora a Francesco, il quale si trova che, come lo zio, ebbe nome Durante28. E qui non posso fare a meno di non avvertire lo sbaglio preso da alcuni moderni scrittori nel supporre, che Dante avesse un figliuolo per nome Francesco e che da costui fosse comentata la divina Commedia del padre29. Imperiocchè non avendo potuto avere di ciò un indubitato riscontro nè da veruno antico autore, nè da qualche documento d’intiera fede, il quale rammenti un Francesco per figliuolo di Dante, ho giusto motivo di credere, che questi tali scrittori non abbiano altra testimonianza da addurre per riprova della loro asserzione, che quella di Cristofano Landino30, e di Martino Paolo Niobedato Novarese31; e che su la loro fede abbiano confuso il fratello del Poeta con alcuno de’ figliuoli del medesimo Dante; tanto più poi che il supposto commento per confessione di loro stessi non si sa ov’esista, ed è forse perduto32. Oltre al fratello Francesco ebbe Dante [p. 37 modifica]ancora una sorella, che per quanto dice il Boccaccio33, fu maritata ad un tal Leon Poggi, e da cui nacque quel Leon Poggi conosciuto famigliarmente dallo stesso Boccaccio, del quale dovremo ragionare in altro luogo. Ma per non interrompere il novero di tutti quelli, che abbiamo collocati nell’albero genealogico della casata del nostro Poeta, prima di entrare a descrivere le notizie particolarmente che alla sua persona appartengono, ci resta a parlare de’ suoi discendenti. Dante prese in moglie, come diremo anche altrove, Gemma Donati, e da costei gli nacquero più figli, de’ quali sette ne conosciamo. Questi sono Pietro34, Jacopo, Gabriello, Aligero, Eliseo, Bernardo, e Beatrice. Per rifarci dal primo, Leonardo Aretino è quello che di lui così parla. «Ebbe Dante un figliuolo tra gli altri chiamato Pietro, il quale studiò in legge, e divenne valente, e per propria virtù, e per favore della memoria del padre si fece grand’uomo, e guadagnò assai, e fermò suo stato in Verona con assai buone facoltà». Il Filelfo soggiunge di più35 che alla giurisprudenza attese prima [p. 38 modifica]nella patria, che di poi avendo avendo seguitato sempre il genitore anche nel suo esilio passò a Siena, e dopo a Bologna, e che quivi prese la laurea dottorale. Fu in oltre amico di Francesco Petrarca, dal quale gli venne indirizzata una lettera in cui lo chiama Florentinum causidicum. In Verona si esercitò nella giudicatura36, e mentre era nel 1361. Vicario del Collegio di detta Città, e del Potestà Niccolò Giustiniani37 trasferitosi a Treviso per qualche suo affare, ivi morì38 nel 1364. anno in cui fece il suo testamento, e le sue ceneri furono sepolte nella Chiesa dedicata a Santa Caterina in un bel deposito con questa iscrizione39:

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Clauditur hic Petrus tumulatus corpore tetrus
Ast anima clara caelesti fulget in ara:
Nam pius, et justus juvenis fuit atque venustus,
Ac in jure quoque simul inde peritus utroque
Extitit expertus multum scriptisque refertus,
Ut librum Patris caveis aperiret in atris,
Cum genitus Danthis fuerit super prorsus Averno
Menteque purgatus, animo revelante beatus
Quo sane dive gaudet Florentia cive.

Pietro ebbe in moglie una donna per nome Jacopa, di cui non si sa il casato, e che gli morì nel 1358. e coltivò ancora la poesia; ed alcune sue rime sono citate dai contempilatori del vocabolario della Crusca40, e si conservano in diversi codici di queste nostre librerie41, ed altrove42. [p. 40 modifica]Ma oltre a questo espose il primo di tutti in lingua latina la divina Commedia del Padre43, la qual fatica sta inedita in molte librerie;44 benchè, quantunque sia non un intiero comento, ma una tal quale spiegazione d’alcuni luoghi di quel divino Poema i più intralciati, ed oscuri45, meritasse di venire alla luce46. Del medesimo Pietro credei che fosse un capitolo in terza rima in lode di Dante, il quale fu pubblicato da Jacopo Corbinelli47, perchè col [p. 41 modifica]suo nome mi era occorso di leggerlo in un testo a penna della Laurenziana48; ma più esatte ricerche mi scopersero esser componimento di Simone di ser Dino da Siena detto Saviozzo49, dal Crescimbeni chiamato de’ Forestani50. Onde merita l’avvedutezza de’ giornalisti di Venezia, i quali, parlando di questa poesia51, osservarono contro [p. 42 modifica]il parere del mentovato Corbinelli esser lavoro di uno scrittore non più antico del secolo XV. A Pietro bensì viene attribuito da Filippo Villani un compendio in terzetti del Poema Dantesco, che incomincia:

O voi che siete dal verace lume
Alquanto illuminati nella mente;

e che in varj manoscritti è notato come lavoro di Jacopo altro figliuolo del nostro Poeta. Ancor di questo, comunque sia di ciò, fa parola il sopramentovato Filelfo, ma s’inganna poi dicendo, che gli mancò di vivere in Roma, quando colà trovavasi con suo padre, il quale vi era stato mandato in qualità di ambasciatore de’ Fiorentini al Pontefice Bonifacio VIII. l’anno 1301.52 Imperciocchè vi sono documenti sicuri, che ci dimostrano esser egli sopravvissuto al genitore, e che nel 1342. non aveva terminato il corso de’ giorni suoi53. E certamente di questo è anche una riprova il trovarsi alcune chiose di Jacopo figliuolo di Dante sopra la prima cantica della divina Commedia del Padre, le quali stanno in un raro codice delle altre volte citata libreria Mediceo-Laurenziana54. Egli pure fu amico delle [p. 43 modifica]Pieridi55 come dicevasi in quei tempi, e oltre a diverse rime che ci ha lasciate, un compendio scrisse del medesimo Poema in verso56, ed un altro componimento diviso in più capitoli57, il quale intitolò il [p. 44 modifica]Dottrinale58. Ma siccome un altro Jacopo si conta fra i discendenti del divino Poeta, al quale parimente piacque il coltivare le muse, quindi è che a buona equità non è punto facile il distinguere le composizioni in verso dell’uno, e dell’altro, se pure d’ambedue alcuna ne resta. Il nostro Jacopo, che forse attese a buoni studj sotto Paolo dell’Abbaco eccellente astronomo de’ suoi tempi59, ebbe successione, trovandosi aver generato fra gli altri un Bernardo60, e donna Alighiera, che fu moglie d’Angiolo di Giovanni Balducci, e che vedovando viveva nel 1403.61. [p. 45 modifica]Gabbriello poi terzo figliuolo di Dante abbiamo riscontro che fosse in vita nel 1351.62, e gli altri due suoi figliuoli, cioè Alighiero ed Eliseo, morirono in un’età molto tenera di pestilenza, se star dobbiamo al detto del tante volte citato Filelfo63. In quanto alla figliuola Beatrice, nella quale è probabile che Dante rifacesse il nome della Beatrice Portinari da lui amata con trasporto di passione, si sa che vestì l’abito religoso nel monastero di S. Stefano detto dell’Uliva di Ravenna, ed a costei forse per premiare i meriti del padre in vita non apprezzati, la Repubblica Fiorentina per mezzo di Gio. Boccaccio concesse nel 1350. un sussidio in denaro64. Dal sopra mentovato Pietro, e da una Jacopa nacque un altro Dante «civis optimus, et vir deditus familiaribus negotiis» al dire del Filelfo65 e questo morì l’anno 1428.66 un altro Jacopo, ed un Bernardo67, e tre sorelle cioè Aligeria, Gemma, e Lucia [p. 46 modifica]che tutte furono monache nell’antichissimo monastero di S. Michele in campagna di Verona, di cui la terza fu anche badessa per lungo tempo68, e due altre per nome Antonia ed Elisabetta, delle quali non si sa il destino69. Il Filelfo70 è quello, che così scrive di detto Jacopo «Ex eo» cioè del Pietro figliuolo di Dante «natus est Jacobus qui tandumdem adhibuit operam legum scientiae, rythmisque interpretatus est avi codicem rei veritate a Petri patris commentariolis accepta. Extant autem in hunc usque diem utriusque sententiae, et quas Petrus de Dantis sui patris protulit libris, et quas Jacopus rythmis expressit». Qual sia il componimento, di cui ragiona qui Giovan Mario Filelfo non saprei certamente indovinarlo, se a questo Jacopo non prese sbaglio d’attribuire quello che l’altro scrisse; e non sarebbe improbabile, come di sopra si fece [p. 47 modifica]avvertire, che ne’ manoscritti fossero state confuse le rime del nipote con quelle del zio71. Soggiunge ancora il Filelfo «che questo Jacopo non lasciò successione, avendo in età fresca terminato il corso del viver suo. Bensì da Dante II. nacque Pietro72 e Leonardo, il quale oggi vive, ed ha più figliuoli» come scrive Leonardo Aretino che nel 1436. compose la vita del divino Poeta. «Nè è molto tempo (segue egli a dire), che Leonardo antedetto venne a Firenze con altri giovani Veronesi bene in punto, e onoratamente; e me venne a visitare, come amico della memoria del suo proavo Dante. E io li mostrai le case di Dante, e de’ suoi antichi, e diegli notizia di molte cose a lui incognite, per essersi stranato lui, e i suoi dalla sua patria». Questo fece testamento nel 1439. e dei figliuoli che ebbe non si sa che gli sopravvisse altro che un Pietro, uomo di merito, e di reputazione fra i suoi, al quale nel 1468. siccome a suo luogo fu detto Giovan Mario Filelfo indirizzò la vita del Poeta Dante, avendo con esso avuta stretta famigliarità73. Questa vita fu poi da Pietro dedicata a Pietro de’ Medici ed a Tommaso Soderini, in dimostrazione dell’affetto che verso quella patria nutriva, la quale a suoi maggiori era satta assai poco favorevole. [p. 48 modifica]Visse dopo detto tempo alcuni anni74, ed ammogliatosi non so con qual donna generò Dante III. che come gli antenati suoi attese alle lettere, e specialmente alla poesia tanto latina che volgare, nella quale dette saggio di non ordinaria dottrina. Infatti alcuni suoi componimenti in queste due lingue furono qua, e là stampati, ed una sua ben lunga elegia si legge in una raccolta, che ha per titolo «Azion Pantea»75. Il marchese Scipione Maffei, che parla di Dante III. fra gli scrittori Veronesi76, rammenta ancora un’egloga di lui in morte di Leonardo Nogarola, un’altra per la morte di Domizio Calderini77, ed alcune elegie e lettere in lode di Laura Brenzona Schioppa, della quale fu amante78. Fra i Codici poi del celebre Lorenzo Pignoria conservasi un suo panegirico in lode di Francesco Diedo Pretore di Verona79, il quale in detto impiego l’anno 1484. finì i suoi giorni80. Per qualche tempo passò costui ad abitare in Ravenna, volendo fuggire le calamità che affliggevano Verona sua patria, ma dopo avere nel 1495. invano procurato la Repubblica Fiorentina, che [p. 49 modifica]ritornasse alla patria de’ suoi maggiori, morì oppresso dalla povertà in Mantova l’anno 1510. in circa, come si ha da Pierio Valeriano, il quale di esso parla con encomio, piangendo lo stato, in cui non per sua colpa era caduto81. Ebbe Dante III. un fratello per nome Jacopo82, e tre figliuoli, i quali ad onta dell’avversa fortuna del genitore seppero imitare le virtù degli antenati, onde si restituirono a Verona riacquistando i beni, e gli onori dovuti alla loro nascita, ed al loro merito. Il primo di questi fu Pietro. Egli non solo ebbe varj impieghi, e fu nel 1539. Provveditore di Verona, ma applicandosi ai buoni studi, e facendo acquisto della lingua greca e latina, i giovenili suoi anni passò nel leggere i migliori poeti di queste due lingue83. Di poi [p. 50 modifica]accasatosi con Teodora Frisoni, da cui ebbe una sola figliuola per nome Ginevra, pagò il funesto tributo alla natura, e fu sepolto con la moglie nella Chiesa di S. Fermo maggiore di detta città in una cappella a mano sinistra dell’altar grande, con una breve ma decorosa iscrizione in questi termini:

Petro Aligero Dantis III. filio

graece et latine docto

et Theodorae conju-

gi incompara-

bili84.

Il secondo fu Lodovico, il quale si esercitò nella giurisprudenza, senza lasciar di applicare ancora agli studi più geniali dell’umane lettere85. Per i suoi talenti fu Vicario de’ mercatanti, dignità considerabile nella città di Verona, ed ambasciatore a Venezia. Ancor esso si accasò con Eleonora figliuola del Conte Antonio Bevilacqua, ma non gli sortì di aver successione, onde con suo testamento fatto nel 1547. lasciò erede il fratello Francesco, che eresse la suddetta cappella, in cui furono collocate le ceneri ancora di Lodovico, con epitaffio che ivi si legge in monumento distinto da quello dell’altro fratello Pietro.

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Lodovico Aligero jurisconsulto

omnibus virtutibus

ornatissimo

fratris amatissimis

et sibi Franciscus Aliger fieri curavit

H. M. H. N. S.86.

Questo Francesco fu l’ultimo de’ figliuoli di Dante terzo, e non meno degli altri di senno, e di dottrina nobilissimamente fornito. Di ciò ne abbiamo le testimonianze in una lettera del conte Lodovico Nogarola Veronese, scritta al celebre Daniel Barbaro, il quale lo aveva pregato a procurargli dai suoi più dotti concittadini qualche ajuto per la versione di Vitruvio che andava lavorando. Ecco come in essa risponde il Nogarola87 «Vitruvium jam vidi a Bernardino Donato nostro in linguam Hetruscam converso, additis etiam nonnullis scholiis, quae quidem omnia suspicor inaniter periisse. Hoc idem postea fecit rogatu Alexandri Vitellii, Franciscus Dantes Aliger, quo neminem Veronae arbitror ad Vitruvii intelligentiam proprius accedere. Cum hoc viro doctissimo magnus olim mihi fuit usus, nunc vero nullus, nam ruri continenter vitam agit, nec nisi raro ad nos revertitur, si forte tamen accidat, ut urbem repetat, hominem aggrediar». Il dottissimo marchese Poleni è di sentimento che tal fatica si sia paerduta, non ne avendo potuto avere notizia veruna88. Da Giovan Battista Doni un’altra ancora è rammentata di Francesco89 con questo titolo [p. 52 modifica]«Antiquitates Valentinae Francisci Aligerii qui se dicit Dantis tertii filium». Credè il marchese Maffei90 che in questo titolo vi sia corso errore, e che in vece di Valentinae legger si dovesse «Veronenses» giacchè non si sa che Francesco viaggiasse in lontani paesi. Ma egli s’ingannò dopo altri, mentre sotto un tal titolo non si accennano che le antichità raccolte in Trevi dalla casa Valenti, ed illustrate in detta opera la quale forse non in sostanza diversifica dal manoscritto in 4.° di sedici pagine in circa, che era nella libreria del Convento di S. Marco di questa città di Firenze de’ Padri Domenicani91 intitolato [p. 53 modifica]«Inscriptiones quaedam in marmoribus, et urnis sepulcrorum cum adnotationibus Francisci Aligerii Dantis tertii filii» in cui «aliquot inscriptiones latinas congessit, quas non solum adnotationibus, sed etiam monumentorum picturis sua manu expressis elucidavit». Siccome scrive l’abate Lorenzo Mehus, che di questo codice fa menzione aggiungendo di aver veduta una vecchia edizione di tali monumenti; Infatti ella esiste, ed è rarissima portando la data «Romae 1537. apud Autonium Bladum Asculanum». Di quest’opera possiedeva un esemplare monsignor Filippo Valenti, che l’ebbe dalla libreria di monsignor Anton Francesco Valenti suo zio, che fu sottodatario, nella quale a penna sta segnato l’anno della stampa MDXXXVII. Il detto Prelato era di pensiere di farla nuovamente comparire in luce, siccome si ha da una lettera di Giovan Cristoforo Amaduzzi inserita nelle novelle letterarie Fiorentine del 1766. col. 135. e seg. e nel corriere letterario di Venezia 1766. col. 374. Il vero è che nel vol. 11. anecdota litteraria ex manuscriptis codicum erutorum, Romae apud Gregorium Settarium in 8.° pag. 217. e seg. con sua dedica a detto monsignor Filippo in data postridie nonas novembris 1773. l’Ameduzzi pubblicò il secondo dialogo de antiquitatibus Valentinis fra Benedetto Valenti, Francesco Aligeri, e Xanto Ponzio, giacchè il primo era stato pubblicato in detta edizione del 1537. pag. 84. Dell’iscrizioni poi raccolte da Francesco molti ne profittarono nelle loro collezioni, come ha osservato l’abate Amaduzzi. È poi indirizzata a Benedetto Valenti «Tribunus aerarii Pontificii» cioè avvocato fiscale, che alloggiò in sua casa in Trevi due Pontefici vale a dire Clemente VIII. e Paolo III. e di cui furono figliuoli Monte Valenti Presidente di Romagna, e poscia Governatore di Roma, e Remolo Vescovo di Conversano, che intervenne al Concilio di Trento. Quivi si illustrano varie antiche inscrizioni, e in appresso segue un dialogo, i di cui interlocutori sono Francesco Alighieri stesso, un tal Xanto Ponzio, e Benedetto Valenti, nel [p. 54 modifica]quale si spiegano varie antiche statue, che quest’ultimo aveva acquistate. Da questo libro certamente apparisce la perizia di Francesco nell’antiquaria, ed il suo buon gusto nel far raccolta de’ venerabili avanzi della Romana storia, benchè questa scienza fosse ancora bambina; lo che viene confermata da altro dialogo inedito, che pare imperfetto, in cui sonovi i medesimi interlocutori, e nel quale trattasi d’altre antichità della casa Valenti92.

In Francesco mancò la discendenza del Poeta Dante; Ginevra figliuola di Pietro il giovane, e perciò sua nipote accasandosi nel 1549.93 col conte marchese Antonio Sarego portò in questa nobil casata la facoltà ed il cognome Allighieri per il qual motivo nelle case d’abitazione di tal famiglia in Verona si vede l’arme che i discendenti del Divino Poeta scelsero dopo avere abbandonata Firenze, e che fu un Ala d’oro in campo azzurro. Da questo matrimonio poi discesero per diritta linea i notati nell’Albero, dei quali mi venne comunicata la notizia dal conte Pandolfo Sarego.

Note

  1. Per questo finge il Poeta che Cacciaguida lo chiami figlio nel primo abboccamento ch’ebbe con esso. Canto XV. del Paradiso v. 52.
  2. Nella loro pregievole edizione della Divina Commedia fatta in Firenze per Domenico Manzani nel 1595. in 8°. dopo Pietro, figliuolo di Dante nel suo comento latino. Nè può certamente stare altrimenti, poichè se si volesse leggere trenta, moltiplicando per due il 580. si avrebbe l’anno 1160. e verrebbe a contradirsi il Poeta facendo prima morire, che nascere il suo antenato.
  3. Verso 34. e segg.
  4. Veramente nelle prime edizioni della Commedia leggevasi negli addotti versi trenta invece di tre ma questo errore scorso anche ne’ manoscritti fu avvertito, e corretto da suddetti Accademici
  5. Non ho notizie per dare altro senso all’espressione di Dante.
  6. Canto XV. del Paradiso v. 137. Vedi l’antecedente §. III.
  7. Nel Canto citato del Paradiso, v. 139. e seg. dice Dante per bocca di Cacciaguida

    Poi seguitai lo ’mperador Currado,
         Ed el mi cinse de la sua milizia,
         Tanto per bene ovrar li venni in grado.
    Dietro li andai incontro a la nequizia
         Di quella legge il cui popolo usurpa,
         Per colpa del pastor, vostra giustizia.
    Quivi fu’ io da quella gente turpa
         Disviluppato dal mondo fallace,
         Il cui amor molt’anime deturpa.
    E venni dal martirio a questa pace.

    Vedasi l’Ammirato nella sua Storia Fiorent. con le aggiunte di Scipione il giovane T. I. pag. 53.
  8. Nell’antecedente §. pag. 13.
  9. Fu già detto a suo luogo sull’autorità del Boccaccio, che questa Aldighiera fosse degli Aldighieri di Ferrara. Nota Tiraboschi (Storia dell’Abbazia di Nonantola, T. 1.°, pag. 207.) che un Aldighiero del fu Pietro Aldighieri Ferrarese fu investito nel 1224. dall’Abate di Nonantola Raimondo, in forma di feudo, di un pezzo di terra nella villa di Santa Giustina. Nota egualmente quest’accurato scrittore ivi pag. 288. che parimente da un altro Abate di Nonantola, Niccolò d’Assisi nel 1387. concesse in feudo per i Marchesi Abizzi una casa, ed alcuni beni a Domenico del fu Aldighiero fiorentino, massaro generale di Modena. Il medesimo Tiraboschi (tom. 2.°, pag. 348. in nota) dice che la famiglia Aldighieri era originaria di Nonantola, e lo dice illustrando una carta del 1213. con la quale due fratelli Aldighieri rinunciano a ciò che dovevano avere dal notajo Alisino. Questi due fratelli sono Mainardo Vescovo d’Imola, di cui può vedersi l’Ughelli (Italia Sacra Vol. II. in Episc. Imol. e Pietro). Vi si nomina anco Aldighiero, altro fratello, ed Alberto padre già defunto. Era anco a Parma una famiglia Aldigeri de Aldigeriis, della quale un messer Paolo fu Rettore di Bologna nel 1328. (Matt. de Giffonibus memoriale historicum rerum Italicarum, T. 18, col. 143). Questo Paolo è anco nominato nella cronaca di Bologna (col. 330), il quale nel 1316. cacciò di Parma, con altri il suo cognato messer Giberto da Correggio.
  10. Questa carta mi fu comunicata dal Padre Pier Luigi Galletti noto al mondo letterario per le sue dotte fatiche, e per la sua singolar perizia nella diplomatica, e nell’antiquaria. Noi la riferiremo per esteso in queste memorie.
     In Dei nomine. Anno millesimo centesimo octuagesimo nono, quinto. Idus decembris indictione octava. In praesentia Berci filii Mincelli, et Lutterii, et Giugni fratruum filiorum Zampe, et Astuldi filii clarissimi, et Passavantis filii Bencivenni. In istorum et aliorum testium praesentia Preitenittus et Alaghieri fratres filii olim Cacciaguide sub pena solidorum viginti. et obligo Consulum vel alterius potestatis pro tempore Florentiae exsistentis promiserunt, et pactum fecerunt Presbitero Ptolomeo Eccl. S. Martini, et ejus successoribus, quod ficum quam habent ibi iuxta murum qui est Sancti Martini, vel si alium ibi habent aliquo tempore infra VIII. dies proximos post inquisitionem eis factam a Presbiterio Sancti Martini vel alterto pro eo penibus abscindent, et extirpabunt. Quod si non facerent possit Presbiter Sancti Martini vel aliter (f. alter) pro ipsa Ecclesia sine pena (sic) abscidere, et extirpare sine ipsorum vel heredum contradictione. Quod si molestarent vel contradicerent, predictam penam solvent et pena soluta hec firma tenebunt. Praeterea Bencivenni filius Follis similem promissionem, et pactum fecti prenomato Presbiterio pro quadam alia ficu, quam ibi habet; et obligavit et fecit, et promisit de se, et per se in totum de ipsa ficu, vel si que alla foret, sicut fecerunt predicti ut dictum est. Actum Florentie.
     Signa manuum predictorum obbligatorum qui haec omnia fieri rogantur.
     Signa manuum predictorum hominum ibidem testium rogatorum.
     Ego Rusticus Henrici regia judex et notarius ibidem rogatus interfui, et haec omnia scripsi.
  11. Il Migliore (nel suo Zibaldone II. a 132.) riportando un’albero della famiglia Allighieri da lui compilato, segna sotto il nostro Allighiero il millesimo, cioè 1201. per denotare che in quel tempo ancora era vivo, in età molto vecchia, poichè erano 54. anni che morto gli era il padre: e Cosimo della Rena ne’ suoi spogli cita un documento del medesimo anno 1201. nel quale è nominato il suddetto Allighiero. Il sig. Dei mi ha indicato un’istrumento pure del 1201. nel quale «Jacobus Rose protomagister de Venetia fecit olim finem Communi Florentie et pro eo Sitio filio quondam Butrigelli et Melio filio Catalani consiliarii domini Paganelli Potestati Florentie. Actum Florentiae» e ad esso fra gli altri testimonj è sottoscritto «Alagerius fil. Cacciaguide» (Lib. 26. de’ Capitani a 29. a 42.) Dante poi fa dire a Cacciaguida nel Cant. XV. del Parad. (v. 91.)

    .  .  .  .  .  .  .  Quel, da cui si dice
         «Tua cognazione, e che cent’anni e piue
         «Girato ha ’l monte in la prima cornice ec.

    cioè sono più di 100. anni che mio figliuolo si purga nel primo girone del Purgatorio. Se ciò prender si dovesse a rigore, fingendo il Poeta di avere avuta la sua visione nel 1300. come altrove si dirà, verrebbe Dante a dimostrare che il suo bisavo era morto prima del 1200. ma si può credere, che egli in questo calcolo non fosse molto esatto.

  12. Dopo la citata terzina, soggiunge Cacciaguida (v. 95)

    Ben si convien che la lunga fatica
    Tu gli raccorci con l’opere tue.

    Della pena che soffrivano le anime dei superbi nel primo girone del Purgatorio ved. il canto X. del medesimo Purgatorio.

  13. Così il Migliore nei citati spogli (zibaldone II. a 132), ed in quelli di Pier Antonio dell’Ancisa, i quali esistono nell’archivio segreto di Palazzo vecchio leggo «1260. Allighiero di Bellincione spog. del Sen. Carlo Strozzi» nè so vedere chi altri possa essere questo Allighiero, se non che il padre del nostro Poeta. Il suddetto Migliore (zibaldone I pag. 131.) dice di aver ritrovato questo Bellincione in diverse memorie nominato come di consiglio, e popolare.
  14. Il capitan Cosimo della Rena nell’introduzione alla storia de’ Marchesi di Toscana (pag. 28.) e ne’ suoi spogli dice «l’avo di Dante fu Bello». E l’autore delle annotazioni ai discorsi di Vincenzio Borghini ristampate in Firenze nel 1755. (P. 2. pag. 163.), distingue due Cacciaguidi, facendo che il primo fosse il tritavo di Dante, l’altro l’avo, senza però addurre alcuna testimonianza di ciò. A me sarà permesso di credere diversamente fin tanto che non si trovi qualche documento, che avvalori l’autorità di uno di questi due scrittori molto dotti, e di gran reputazione. Così nelli spogli del capitan della Rena, il quale fa questo Bellincione zio grande, non già avo del nostro Poeta, ed in quelli di Pier Antonio dell’Ancisa (P. a 307).
  15. Il Migliore (zibaldone VI. pag. 67.) fra i Ghibellini Imponitori dell’imposta per la guerra di Monte Accianigo circa l’anno 1306. nomina nel Popolo di S. Martino del Vescovo Cione di Brunetto Alighieri.
  16. Il predetto Migliore, zibaldone II. pag. 131., dice, che Gherardo, e Brunetto di Bellincione vengono nominati nel 1277. con Cenni del già messer Bello «Procuratores nominum vicinae Ecclesiae» di S. Martino del Vescovo, e nello zibaldone I. pag. 116. tra i fanti eletti da ciascun sesto il dì 11. di febbrajo 1259. per accompagnare il Carroccio de’ Fiorentini nella guerra di Monte aperto, nomina Brunetto di Bellincione Alaghieri del Popolo di S. Martino del Vescovo, sesto di Por San Piero.
  17. Spogli del capitan della Rena. Nel zibaldone III. pag. 101. del Migliore, si trova questo Bello avere annesso il titolo di messere, dal che si dee congetturare essere lui stato dottore, o cavaliere. Vedi l’autore delle annotazioni all’Aminta difeso di monsignor Fontanini pag. 355. edizione di Venezia del 1730. in 8.°
  18. Spogli del capitan della Rena. Le notizie inserite in queste memorie, e tratte da detti spogli mi furono date dal Priore Ipolito Amici, il quale ha molto lavorato intorno alla seconda parte della storia dei Marchesi di Toscana del suddetto capitan della Rena, lasciata imperfetta.
  19. Spogli del capitan della Rena. Io penso che costui sia quel Cione di messer Bello, che il Migliore, zibaldone II. pag. 152. colloca nell’albero della famiglia Allighieri fra i figliuoli di detto messer Bello.
  20. Questi è nominato qui sopra come vivente nel 1277.
  21. Spogli del Rena. Il tante volte citato Migliore, zibaldone III. pag. 101. dice, che in un libro in carta pecora, in cui sono notati i rifacimenti dei danni fatti ai Guelfi nel 1269, si legge: Geri del fu messer Bello (quondam domini Belli) Alaghieri del Popolo di S. Martino del Vescovo del sesto di Por S. Piero.
  22. Il Poeta dopo aver detto il nome di questo suo congiunto, e che non si lasciò vedere a lui, soggiunge «Inferno, Canto XXIX. v. 31. parlando a Virgilio quanto segue:

              O duca mio, la violenta morte
              Che non gli è vendicata ancor, diss’io,
              Per alcun, che de l’onta sia consorte,
                   Fece lui disdegnoso; onde sen’ gìo
              Sanza parlarmi, sì com’io stimo.

    I commentatori narrano, che costui era un seminatore di risse, e ch’era stato ucciso da uno della famiglia de’ Sacchetti; ed aggiunge il Landino che trenta anni dopo fu fatta questa vendetta da un suo nipote, cioè da un figliuolo di messer Cione, il quale trucidò un Sacchetti sulla porta della sua casa.

  23. Estratto del suo comento latino sopra la Commedia di Dante pubblicato dal Proposto Muratori, tom. I, Antiquitatuum medii aevi col. 1269. Di questo fanno menzione tutti quelli, che parlano di Dante fra gli altri l’Aretino «Il Padre suo (Dante) Aldighieri perdè nella sua puerizia» ed il Migliore, zibaldone II. pag. 131. avverte, che questo non si trova mai nominato se non come padre di Dante.
  24. Per conferma di questo è necessario riferire il sunto di un lodo, e di un’instrumento di vendita, il tutto esistente all’archivio generale nei rogiti di ser Salvi Dini protocollo X. tal quale si è compiacuto comunicarmelo il mentovato Dei: 1332. Franciscus quondam Alegherii de Alagheriis, qui moratur in Populo Sancti Martini Episcopi de Florentia, et hodie moratur in Populo Plebis de Ripoli, et dominus Pierus judex, et Jacobus fratres, filii quondam Dantis Allagherii de Alagheriis Populi Sancti Martini Episcopi Nicolaus quondam Foresini de Donatis procurator dicti Petri compromittunt in Laurentium Alberti de Villamagna notarium. Nero Naddi, Nero Joannis, Minuto testibus. Actum in Populo Sanctae Ceciliae, 1332. Bona dicti Francisci, et domini Petri, et Jacobi de Alagheriis a huc erant indivisa inter eos videlicet; un podere con casa nel Popolo di San Marco di Mugnone in Camerata, cui a 1.° 2.° 3.° via, 4.° Berti; una casa posta in Firenze nel Popolo di Sant’Ambrogio, a 1.° 2.° 3.° 4.° via; una casa posta in Firenze nel Popolo di San Martino del Vescovo a 1.° via, 2.° heredes Simonis Nerii de Donatis, et Tuccius Giammori, a 3.° de Cocchis, seu alii, a 4.° a Betti de Mardolis; un casolare nel Popolo di Sant’Ambrogio a 1.° et 2.° via, 3.° heredes Cursi Fornaciari, 4.° heredes Migliorucci; un podere nel Popolo di San Miniato di Pagnolla contado di Firenze luogo detto le radola, a 1.° via, 2.° fossato, 3.° Vescovado di Fiesole, 4.° Lotti de Eruariis; più pezzi di terre posti intorno a detto podere, le quali cose furono assegnate a detto Francesco per la metà, il qual Francesco immediate vendè il podere di Camerata a Giovanni di Manetto Portinari comperante per sè, e per Accerito suo fratello, e con parte del prezzo pagano al detto Francesco li figliuoli di Dante un debito 125. bonorum, et legalium florenorum auri, quos dictus Dantes confessus fuit se mutuo recepisse, et habuisse a dicto Francisco per Instrumentum rogatum manu ser Guidonis Benivieni Guidi Ruffoli de Florentia notarii sub anno domini 1299. indictione XIII. die 14. intrante mense martii, et de quodam alio debito florenorum 80. auri, quos mutuo recepit a dicto Francesco per publicum instrumentum facto sub anno domini 1300. indictione XIII. die 2. junii manu ser Uguccionis domini Aghinetti notarii, et imbreviaturis ser Aldobrandini filii sui, e promesse detto Francesco, che li figliuoli di Dante non molesterebbero li beni, che già furono di Dante per occasione di dote, e d’instrumento di dote dominae Lapae matris dicti Francisci, et filiae olim clarissimi Cialuffi, et uxor olim Aleghieri; nè per occasione della dote dominae Pierae uxoris dicti Francisci, et filiae olim Donati Brunacci etc. E promessero gli detti Jacopo, e messer Pietro pagare a Francesco infino a tanto, che i beni di Dante si cavassero da’ beni de’ ribelli, e sbanditi del comune di Firenze, staia 30. grano. Inoltre si obbligarono li detti Jacopo, e messer Piero, e Francesco che il podere di Camerata non saria molestato per occasione delle doti domine Belle olim matris dicti Dantis, et olim aviae dicti Jacobi, et domini Petri, et uxoris olim dicti Allegherii; nè per la dote domine Gemme vidue olim matris dictorum Jacobi, et Petri, et uxoris olim dicti Dantis, et filiae olim domini Manetti de Donatis. Dictus Franciscus fuit heres Jacobi quondam Lotti de Corbizzis. Actum Florentiae in Populo Sancte Ceciliae in aedibus medicorum, spetiariorum, et merciariorum sub die 16. maii anni Domini 1332. Joanne ser Reddite Populi Sancti Laurentii, Lapuccio Tinucci, ser Spigliato Dini notario Populi Sancte Margharite testibus.
  25. Dante essendo nato nel 1265. come si dirà, ed ancor fanciullo avendo perduto il padre, ne segue che questi dovè morire circa detto anno 1270.
  26. Così nel riferito instrumento di vendita.
  27. Spogli del capitan della Rena.
  28. Nei detti spogli del capitan della Rena si trova mentovata madonna Tonia sorella di Durante di Francesco d’Alighiero Alighieri, e moglie di Lapo di Riccomanno del Pannocchia.
  29. Dopo il Canonico Mario Crescimbeni nella storia della volgar poesia vol. II. pag. 272, edizione di Venezia del 1730. in 4.° l’Apostolo Zeno nelle annotazioni alla biblioteca italiana del Fontanini tom. 1. pag. 229. e seg. il Conte Mazzucchelli nel Vol. I. part. I, degli scrittori Italiani pag. 492. ed altri che per brevità si tralasciano.
  30. Prefazione del suo comento sopra la Commedia di Dante.
  31. Nella dedicatoria a Guglielmo marchese di Monferrato dell’edizione della Commedia fatta in Milano nel 1478. col comento di Guido Terzago, e del supposto Jacopo della Lana.
  32. Così il Mazzucchelli nel luogo citato, ed altri. In quanto a me fino a tanto che non si ritrovino più autentiche autorità di quelle del Landino, e del Nidobeato non mi so indurre ad ammettere per vera l’esistenza d’un figliuolo di Dante per nome Francesco.
  33. Nel comento all’VIII. canto dell’Inferno di Dante pag. 66. del vol. VI. delle sue opere stampate in Napoli colla data di Firenze.
  34. Il Maffei luogo citato sull’autorità di un necrologio delle monache di San Michele in campagna di Verona, 1364. Dominus Petrus judex filius quondam Dantis de Alegheriis condidit testamentum Veronae praesentibus inter alios domino Francisco judice filio domini Rolandini de Mafeis de Sancto Benedicto: heredem fecit Dantem filium suum: legati societati Sancte Mariae de Orto Populi Sancti Martini Episcopi de Florentia. Libro di testamenti nell’archivio di quei capitani. Il dotto Giovan Battista Biancolini riporta intero il necrologio nella part. 1. del libro V. delle notizie istoriche delle Chiese di Verona pag. 194. a 220. ed in questa copia si legge, «f. XI. Kalendas majas obitus domini Petri Dantis de Aligeris patris sororum Allegerie, Gemme et Lucie M.CCC.LXIIII».
  35. Vita di Dante manoscritta in San Lorenzo. «Petrus cum Florentiae cepisset navare operam juri civili, deinde Senae, Bononiae demum studium explevisset, essetque jureconsultus effectus, doctoratusque donatus insignibus assidue, dum pater vixit eum secutus est pientissime. Post patris obitum de quo non multo dicetur inferius, dimissa Ravenna Veronam accessit, et cum assiduitate consultandi, tum felicitate patriae memoriae, multorum adjumentis ditissimus factus est, incoluitque Veronam». Qui si avverta, che avendo gli Allighieri fermata la loro dimora in Verona, si dissero Aligeri, e quasi questo cognome venisse dal latino Aliger, lasciarono l’antica arme, e fecero un’ala d’oro in campo azzurro per impresa. Maffei degli scrittori veronesi.
  36. Il marchese Maffei negli scrittori Veronesi ci assicura, che in un atto del maggior Consiglio di Verona del 1337. esistente presso di sè, fra quelli i quali intervennero col titolo di giudice, si vede enunziato il nostro Pietro «praesentibus sapientibus viris dominis Petro de Aligeriis judice communis Veronae».
  37. Giulio del Pozzo elogium Collegii Veronensis pag. 143. edizione di Verona 1653. in fol.
  38. Maffei luogo citato.
  39. Padre Giulio Negri Gesuita degli scrittori Fiorentini pag. 458. Il Conte Mazzucchelli ancora riferisce quest’iscrizione tom. I. part. 1. degli Scrittori d’Italia pag. 494. con qualche divario, al verso 5. leggendosi

    Multorum et scripta refertus

    verso 6.

    Patris punctis aperiret in atris

    e verso 9.

    Menteque purgatas animas revelante beatas.

    gli ultimi tre versi poi non appartengono a Pietro, ma a Dante suo Padre.

  40. I vecchi compilatori del Vocabolario della Crusca scrissero che stampate erano le rime di Pietro figiuolo di Dante, ma gli ultimi ci assicurano di non essersi mai incontrati in vedere dette Rime impresse, nè aver trovato chi affermi tal cosa.
  41. Alcune rime di Pietro sono nella Riccardiana in un codice cartaceo in fogl. segnato O 11. 9. ed in un altro pur cartaceo in 4.° numero 11. 24 siccome abbiamo dal Lami nel catalogo di detta libreria pag. 22. L’Abate Mehus altro ne cita segnato O 11. numero XI. in fol. contenente una raccolta di poesie di vari antichi. Vedasi la sua vita del Traversari pag. 261. Nella Strozziana nel Codice 240. al dire del marchese Maffei, luogo citato, si conservano alcuni capitoli di Pietro sopra la Commedia del Padre, e nella Laurenziana Plut. XL. codice 46. in 4.° Il capitolo sopra la Commedia è quello che incomincia:

    O voi che sete dal verace lume

    e che diremo in appresso esser veramente parto di Jacopo suo fratello. Bensì anche in un codice scritto di mano di Filippo Villani contenente la medesima Commedia, che esisteva nella libreria di S. Croce Plut. XXVI. num. 1. ora nella Laurenziana è trascritto come lavoro di messer Piero di Dante.

  42. Di alcune rime di Pietro esistenti in un codice di Giovan Batista Boccalini professore di lettere umane in Foligno fa menzione il Crescimbeni, Storia della volgar poesia, vol. V. pag. 12.
  43. Se credere si deve al canonico Crescimbeni Storia della volgar poesia vol. II. pag. 272. Pietro compilò quest’opera nel 1327. dimorando in Treviso. Ma il detto Canonico non ci dice sopra quale autorità appoggi questa sua osservazione, ed il Dionisi, che fece accurato esame di quel che passa sotto il nome di Pietro, adduce molti argomenti per concludere che sia di tutt’altra persona.
  44. Questo comento, lasciando da parte ogni controversia, si custodisce nella Laurenziana Plut. XL. Codice 36. in fogl. e due altri nella medesima libreria sono passati, che erano nella Gaddiana segnati di N.° 353. e 354. cart. in fol. ed un altro testo a penna ho veduto pure in casa dei signori del Turco Rossetti di queste chiose. Luigi Alemanni ne possedeva già un’altra copia, ed una n’era in mano di Alessandro Giraldi ambedue gentiluomini Fiorentini, le quali copie sono citate in margine del Canto XVI. del Paradiso dagli Accademici della Crusca a pag. 418. dell’edizione di Dante ridotta da essi a miglior lezione, e stampata in Firenze per Domenico Manzani nel 1595. in 8. Finalmente un’altro testo a penna di questa fatica di Pietro, il qual testo come in fine si vede, era stato copiato nel 1453, fu del defunto marchese Alessandro Capponi segnato di n° 176. ed ora si custodisce nella Vaticana. La soscrizione che vi si legge riferita nel catalogo della libreria Capponi pag. 423. dice «Librum istum scripsi ego Jacobus domini Petri de civitate Ducali MCCCCLIII.» Forse è quello stesso che vide il Fontanini, e che cita nella sopraddetta opera lib. I. cap. IX.
  45. Giovanbattista Gelli nella prima lezione sopra lo Inferno di Dante parlando di Pietro dice «fece ancora egli sopra detta Opera alcune postille latine.»
  46. Di questo comento dice il mentovato Filelfo «Nec arbitror quemquam recte posse Dantis opus commentari, nisi Petri viderit volumen, qui ut semper erat cum patre, ita ejus mentem tenebat melius.» Del medesimo sentimento è il Forlanini nel libro III. della sua eloquenza Italiana pag. 422, dell’edizione di Venezia del 1737. in 4.°
  47. Il Corbinelli pubblicò questo capitolo, che incomincia dietro all’operetta latina di Dante De vulgari eloquentia impressa in Parigi apud Jo. Corbon 1577. in 8. pag. 80. e seg. senza nome di autore, ma credendolo di uno, che vissuto fosse vicino a’ tempi di Dante.
  48. In principio del mentovato codice 38. Plut. 40. della Laurenziana vi è questo capitolo col nome di Pietro figliuolo di Dante.
  49. In un testo a penna della Magliabechiana classe 8. n. 1278. fra l’altre cose si legge questo capitolo dopo una Canzone in lode della casa Colonna, ed in fine del medesimo capitolo si trova notato quanto appresso «Segue infra uno chapitolo fatto per Simone di ser Dini da Siena detto Saviozzo a stanza del magnificho e generoso Principe Janni Cholonna nel quale si trata subrevita tuta la vita di Dante, e della morte, e tuta la materia de libro suo; chomposelo nelli anni 1404. Sichome io scriptore Jacopo di Nicholo ho trovato iscripto in un Dante di sua mano, il quale mi mandò a donare il sopraddetto Janni Colonna con una canzone morale in laude chasa Colonna che ischripta e nintro de sto libro la quale scriptura e nanzi Dante dopo questo chapitolo». Questo capitolo senza nome d’autore leggesi finalmente nel codice 107. classe VII. de’ manoscritti della Magliabechiana.
  50. Istoria della volgar poesia vol. 1. pag. 205.
  51. Tom. XXXV. pag. 235. del giornale di Venezia composto da diversi letterati colla direzione del dottissimo Apostolo Zeno. I medesimi giornalisti ancora andarono più innanzi congetturando a motivo di quei versi, che dicono:

    «Franca colonna, hor poi che tu se’ duce
    «Di comandarmi, e io voglio ubbidire,

    questo capitolo essere stato indirizzato a Papa Martino V., di casa Colonna; nè molto nell’asserir ciò si scostarono dal vero, poichè se non fu dall’autore presentato a quel Pontefice, almeno lo compose ad istanza del Principe Giovanni Colonna della stessa casata.

  52. Il Filelfo nella vita di Dante così scrive di questo Jacopo, «Jacobus obiit Romae per aeris intemperiem, cum illo profectus est Pater orator.
  53. Nelle passate annotazioni si vedde che Jacopo figliuolo di Dante era vivo in Firenze sua patria nel 1332. e altrove da un documento incontrastabile apparirà, che ancora nel 1342. non era morto. Ciò che compose per illustrare la Commedia del Padre, è parimente una prova sicurissima dello sbaglio, in cui cadde il mentovato Filelfo, il quale come si vedrà, confuse quest’Jacopo con un’altro nipote del primo. Di questo ragiona il Negri negli scrittori Fiorentini, ed il celebre Conte Mazzucchelli nella sua grand’opera degli scrittori d’Italia vol. 1. part. 1. Egli abitò in Firenze, e dagli spogli del capitan della Rena costa che stava nel Popolo di S. Ambrogio probabilmente in quella casa accennata nel lodo riferito di sopra.
  54. Queste chiose, il proemio delle quali incomincia «Acciocchè del frutto universale novellamente dato al mondo ec.» sono nel banco XL. codice X. della Laurenziana, e certamente appariscono cosa diversa da una traduzione di quelle di Pietro accennate più di sopra, quantunque il citato Scipione Maffei dica «luogo citato «forti ragioni addur potrei per confermare l’opinione del Quattromani, (lettere pag. 37.) che questo Jacopo altri non fosse che l’istesso Piero; ei lo chiama Pier Giacomo.» Ma non mi so indurre a confondere questi due figliuoli di Dante, perchè nelle vecchie scritture, e nei codici delle nostre librerie sono distintamente nominati.
  55. Il Marchese Maffei luogo citato pag. 52. parla di questo enumerandolo fra gli scrittori Veronesi, ma con poca ragione, perchè come si è veduto nelle antecedenti annotazioni, esso non si partì di Firenze. Del restante diverse rime di lui si conservano manoscritte in Roma nella Vaticana, e nella Chigiana, codici 1124. e 589. in fogl. e 125. in 4.° in Firenze nella Strozziana, e nella Laurenziana banco LI. codice 42. ed in alcuni testi a penna, che furono di Francesco Redi, i quali si citano nel Vocabolario della Crusca edizione ultima vol. VI. pag. 68. L’Apostolo Zeno nel III. vol. delle sue lettere pag. 17. accenna una Zingaresca inedita di Jacopo di Dante, la quale si conserva in un Cod. di Rime antiche che era posseduto da Annibale degli Abati Olivieri.
  56. Nella suddetta libreria Riccardiana Plut. ordine 2. codice n. 5. leggesi questo compendio così intitolato:
    «Haec est tabula super primo libro Dantis qui vocatur Infernus, facta a Jacobo ejusdem Dantis filio». Il principio del cap. I è:
    «Cammin di morte abbreviato inferno
    del secondo.
    «Nel mezzo del cammin di nostra vita ec.
    Di questa poesia vedasi quanto scrive nelle sue novelle letterarie il più volte citato Lami all’anno 1756. col. 610. e seg. e col. 625. e seg. necessario sarebbe che si potessero fare più esatte ricerche nelle pubbliche, e private librerie.
  57. Di questo tornerà in acconcio di parlare più a basso. Del restante, avendo Francesco Maria Raffaelli di Gubbio incontrati alcuni dei capitoli mentovati, cioè il 1.° il 6. e il 10.° di quelli che serba il codice Riccardiano, in un suo testo a penna scritto nel secolo XIV. o XV. contenente alcune poesie di Busone da Gubbio suo illustre antenato, ha creduto che di questo fossero i detti capitoli, e gli ha inseriti fra le altre rime di lui, dietro al suo erudito trattato della famiglia, della persona del medesimo messer Busone, il qual trattato forma il tomo XVII. delle Deliciae eruditorum stampato dal Lami. Ma per giudicare con più certezza di questo fatto,
  58. I compilatori del Vocabolario della Crusca nel citare questo componimento vol. VI. pag. 34. si servirono di un testo a penna, che fu di Bernardo, poi del conte e canonico Bostico Davanzati, quindi del canonico Gabbriello Riccardi che era di vecchi codici diligente raccoglitore. Il Lami nel catalogo dei manoscritti Riccardiani pag. 22. riferisce altri testi, che si conservano nella libreria della famiglia, cioè nel banco O. 1. n.° XVI, in fogl. n.° XIX. n.° XX, n.° XXIII. in fogl. e nel banco O. 11 n.° 11. in 4.° ne’ quali è il mentovato capitolo senza suo nome.
  59. Il Crescimbeni nel vol. III della Storia della volgar poesia pag. 130. riferisce un sonetto d’Jacopo scritto a Paolo dell’Abbaco, il quale comincia:

    «Vedendo il ragionar di l’alto ingegno
    «Che rende lume nel vostro intelletto
    «Per mio caro maestro io v’ho eletto,
    «E come a padre, a voi ricorro, e vegno.

    Questo morì a dire del Mazzucchetti degli scrittori d’Italia vol. 1. P. 1. pag. 17. nel 1366. incirca: ciò potrebbe ad alcuno far sospettare, che veramente d’Jacopo non sia il detto sonetto, o almeno che egli fosse anzi amico, e coetaneo di Paolo, ma non mai discepolo, e di questo sentimento sono ancor’io.

  60. Spogli del capitan della Rena.
  61. Il più volte citato Dei mi ha data contezza del seguente contratto preso dai libri delle gabelle lib. A. 54. pag. 3. «1403. domina Aleghiera filia olim Jacobi Dantis de Aldighieris et uxor olim Agnoli Joannis Balducci Populi S. Fridiani de Florentia, pro se, et quo nominaverit emit bona per instrumentum rogatum a ser Antonio Chelli sub die 6. februarii 1403. a fratre Marco sindaco fratrum Sanctae Mariae del Carmine pro £22. Vi è stato chi in questa memoria ha letto in vece di Balducci, Baldocci.
  62. Ne’ detti spogli questo Gabbriello è notato fra i figiuoli di Dante coll’anno 1351. per dare a divedere che in quel tempo viveva. Ne’ medesimi spogli parimente si dice che una figiuola di Dante fu moglie di uno de’ Pantalioni da Firenze, ma non si accennando nè il nome di lei, nè quello del marito, l’abbiamo tralasciata nell’albero. Il non vedersi poi il mentovato Gabbriello fare alcun atto insieme coi fratelli nelle da noi citate scritture, può far credere che egli fosse diviso da essi.
  63. Di essi dice il Filelfo nella vita di Dante «Peste sunt oppressi cum annum duodecim alter, alter vero octavum attigissent». Io non so di qual peste parli questo autore, mentre non trovo che alcuna ne fosse in Firenze fra il principio del XIV. e la fine del XIII. secolo.
  64. In un libro d’entrata, ed uscita del 1350. tra gli altri esistenti nella cancelleria de’ capitani di Or S. Michele riposto nell’armadio alto di detta cancelleria, si legge a pag. 30. la seguente partita a uscita nel mese di settembre del detto anno 1350. «A messer Giovanni di Bocchaccio (è il famoso autore di 100. novelle) fiorini dieci d’oro, perchè gli desse a suora Beatrice figliuola di Dante Alleghieri monaca nel monastero di Santo Stefano dell’uliva di Ravenna ec.
  65. Nella vita di Dante lo rammenta ancora Leonardo Aretino.
  66. Il marchese Scipion Maffei luogo citato pag. 53. ci attesta di aver veduto nel pubblico archivio di Verona, poi miseramente incendiato, il di lui testamento in data del 1428.
  67. Il suddetto necrologio è quello che ci dà notizia di costui leggendovisi «f. XV. Kalendas decembris (obitus) domini Bernardi de Aldigeriis fratris domine Lucie abatisse monasterii Sancti Micaelis». Vi è poi motivo di credere che Bernardo fosse notaro, accennando il Biancolini ove sopra, che il notajo Bernardo degli Aligeri, quondam Pietro di mercato nuovo rogò ne’ 28. dicembre 1405. una locazione fatta da queste medesime monache nel tempo che abitavano in Verona come si disse nella Parrocchia di San Paolo.
  68. Dal citato necrologio si ha tutto questo, poichè vi si legge «C.XVIII Kalendas septembris obitus Aligerie de Aligeris monace M.CCC.LXXXVII, a Kalendis januarii obitus domine sororis Luciae de Aldigierii abbatisse dicti monasterii, qui obiit die 1.° januarii 1421.» Rispetto a Gemma non si sà in che tempo morisse, mentre quantunque il di lei nome, e cognome si legga più volte nel medesimo necrologio, non ostante della sua morte non se ne dà ivi sicura notizia. È notato: XVI. Kalendas septembris obitus sororis Geme monache; e III. Kalendas octobris obitus sororis Geme monache 1362.» ma chi può dire quale di queste due sia sia della casata Allighieri? Ella morì come qui sopra si dice nel 1421. ma sino dell’anno 1402. si trova abbadessa di questo monastero, e così nel 1405. con le sue monache abitava in Verona nella Parrocchia di San Paolo per quanto dice il Biancolini «notizia delle Chiese di Verona parte I. del libro V. pag. 171.
  69. I nomi di queste due altre sorelle di Dante II. si ricavano dal mentovato necrologio. In esso sta notato «a VIII. Kalendas octobris obitus Elysabeth sororis sororum Aligerie, et Luciae monacharum C. VIII. Kalendas octobris obitus Antonie sororis Aligerie monache M.CCC.LXII.»
  70. Luogo citato.
  71. Giovan Battista Gelli nella 1.ª lezione sopra l’Inferno di Dante scrive «È da sapere che il nipote di esso Dante, il quale commentò quest’opera in quella lingua latina, che apportavano quei tempi senza mettervi il nome proprio, ma chiamando Dante genitore di Pietro suo ec.» Io non so chi sia questo nipote del Poeta, nè ho trovato il commento che qui accenna il Gelli. Potrebbe essere che lo compilasse il nostro Jacopo.
  72. Anche di questo Pietro se ne ha il riscontro dal predetto necrologio nel quale si legge III. Kalendas decembris obitus Petri filii domini Danti de Aldigeriis «fratris religiose domine Lucie abbatisse dicti monasterii».
  73. Il Filelfo luogo citato, di lui parla in questi termini: «Optimus vir est, et civis integerrimus, quique in urbe Verona maxima et apud cives, et apud universam Venetorum Rempublicam et auctoritate valet, et gratia, quo ego sum usus quam familiarissime, audivitque a me nonnullas Dantis atavi sui partes, quas anno superiore (scriveva nel 1468. in circa) sum interpretatus Verone, mirificeque est illius lectione delectatus».
  74. Il Landino nel comento dell’Inferno di Dante cant. XVII. vers. 40. sopra quel verso

    «Ravenna sta, come è stata molti anni,

    dice che quando scriveva, cioè nel 1475. in circa, vi era in Ravenna Dante figliuolo di Pietro discendente da Dante poeta, uomo letterato ed eloquente. Egli certamente intende parlare di questo Dante III. rammentato ancora da Mario Filelfo nel luogo citato.

  75. Questo è un libretto contenente la relazione della laurea poetica conferita a Giovan Antonio Panteo sacerdote Veronese da Francesco Diedo Podestà di Verona e molti componimenti latini fatti per questa occasione, impresso Veronae per Antonium Cavalchabovem et Joannem Antonium Novellum 1484. in 4.°
  76. Luogo citato pag. 53.
  77. Di questo parla ivi il Maffi lib. 3. pag. 114. e seg.
  78. Il Maffei luogo citato pag. 111. e 112. alcuna parte o principio di questo ci riferisce, ed attesta che si conservavano in un testo a penna di Alfonso Donnoli lettore in Padova.
  79. Questo panegirico è accennato dal Tomasino biblioteca Patavina manoscritto pag. 86 fra quelli di S. Giovanni di Verdara.
  80. Di lui vedi l’Apostolo Zeno tomo II. delle dissertazioni Vossiane pag. 56. e seg.
  81. De infelicitate litteratorum lib. 1. È necessario trascrivere tutto questo passo perchè con esso vengono ad esser confirmate alcune cose, che abbiamo scritte in questo luogo. «Dantes tertius Aliger Veronensis vir dubio procul optime literatus, et in latino condendo carmine bene elegans, et eruditus, fortunam ipse quoque novercam expertus est. Quo enim tempore scripta sua caeperat in classes instruere, et immortalitati suae viaticum comparare in belli tempora incidit, quod universi orbis viribus contra Venetos Julius II. Pontifex Maximus concitarat. Quo factum est, ut Verona a barbaris capta (ciò accadde nel 1509.) ipse ne immani eorum feritati parere cogeretur, Mantuam voluntario exilio profugerit. Ibique rerum omnium angustiis oppressus, uxore, et liberis ex opulenta satis conditione in arctissimam egestatem, et miseriam conjectis, tum aetate jam gravis, et ad incommoda hujusmodi ferenda minus adsuetus gravi admodum valetudine diu excruciatus in eo exilio, perturbato subversoque rerum omnium suarum ordine, calamitoso mortis genere vitam finiit». Adunque Dante morì in Mantova dopo il 1508. in cui seguì la famosa lega di Cambrai contro i Veneziani fra l’imperador Massimiliano, il Re di Francia, ed il Pontefice Giulio II. Il medesimo Valeriano in un suo endecasillabo impresso fra le sue poesie latine chiama Dante «Poetam optimum, civem optimum, et optimum patronum, quo Verona diu beata vivat». Angelo Poliziano poi in miscellanea cap. XIX racconta che costui era presente quando in una bottega di Verona estemporaneamente spiegò quasi tutto Catullo.
  82. Giovan Mario Filelfo luogo citato.
  83. Il Maffei luogo citato pag. 53. dice che in principio di una lettera manoscritta del conte Lovovico Nogarola diretta a Filelfo si legge «Si memoria tenes, mi Petre, dum nos adolescentuli eam ageremus aetatem, quae maxime levitatibus amatoriis dedita est, multum in poetis evolvendis temporis consumebamus, non modo latinis, nostratibusque, verum etiam Graecis, qui suos, vel aliorum amores decantassent. Cum vero in summo honore, ut nunc quoque, haberetur Dantes praeclarus auctor nobilitatis tuae, ac Franciscus Petrarca qui elegantissima poemata Etrusco sermone conscripserant etc.»
  84. Maffei luogo citato, e Giovan Battista Biancolini notizia delle Chiese di Verona lib. VIII pag. 169.
  85. Il tante volte mentovato Maffei onore della nostra Italia, luogo citato dice, che si trovano lettere del Nogarola scritte a Lodovico, le quali di greca erudizione favellano. Giammai apportò nocumento alla giurisprudenza la perfetta cognizione delle belle lettere, benchè alcuni pensino diversamente.
  86. Giovan Battista Biancolini notizie delle Chiese di Verona lib. VIII pag. 169. Le suddette sigle si spiegano Hoc monumentum haredem non sequitur. Vedasi l’istituzione antiquario lapidaria stampata in Roma nel 1770. in 8.° dal padre Zaccaria della Compagnia di Gesù pag. 278. e 430.
  87. Questa epistola è manoscritta e lo squarcio, che abbiamo riferito, è riportato dal Maffei luogo citato pag. 54.
  88. Exercitationes Vitruvianae primae pag. 83.
  89. In uno degl’indici dei libri e testi a penna, dei quali il medesimo Doni si servì per formare la sua raccolta delle antiche iscrizioni, i quali sono stampati in principio di detta raccolta in Firenze nel 1731. per opera del defunto proposto Antonio Francesco Gori in foglio.
  90. Osservazioni letterarie vol. VI. pag. 314.
  91. Il padre Zaccaria nel XIII. vol. della sua storia letteraria d’Italia a pag. 245. in nota riferisce il titolo di quest’operetta come esistente in un codice di detta libreria di cose parte raccolte parte descritte dal padre Giovan Battista Bracceschi Domenicano, così: «Inscriptiones quaedam in marmoribus, et urnis sepulcrorum cum annotationibus Francisci Aligerii Dantis III.» se così fosse, caderebbero a terra le mentovate congetture. Attesa la confusione dei manoscritti di quell’insigne biblioteca io non ho potuto con gli occhi propri dilucidare questo dubbio. Per altro credo che s’ingannasse senza fallo il canonico Angiolo Maria Bandini, quando nelle sue annotazioni alla vita del Doni, pubblicata insieme con le lettere nel 1755. pag. XIV. in nota, fra i Fiorentini raccoglitori d’iscrizioni, annovera Piero Alighieri «qui se Dantis tertium filium dicit». invece del predetto Francesco. Il fatto è che Benedetto Valenti uomo dotto e amantissimo delle antichità si era formato nella sua casa di Trevi un nobil museo. Il nostro Francesco di lui amico, e molto portato per lo studio delle lapidi, e delle statue antiche prese ad illustrare col suo ingegno, e con la sua penna quei monumenti con due latini dialoghi. Il primo composto di tre interlocutori il Valenti stesso, Francesco Aligeri, e Xanto Ponzio uscì in luce dalle stampe di Roma nel 1537. col titolo di Antiquitates Valentiae, titolo che non intesero nè il Maffei nè il Mazzucchelli. Il secondo dialogo indirizzato al medesimo Valenti, dove si parla di alcune teste di marmo, di Giano, per esempio, di Marsia, di Onfale ec. la prima volta è stato pubblicato da un manoscritto dei Valenti di Trevi, in ottavo luogo nel vol. 2.° degli «anecdota litteraria ex manoscriptis codicibus» l’anno 1774. in Roma in 8.° con una erudita prefazione dell’abate Cristoforo Amaduzzi in cui illustra l’opera in secondo luogo, e l’autore di lei, ed il suddetto Benedetto Valenti.
  92. Il suddetto monsignor Filippo dà una copia di questo dialogo preso da un codice in membrana, che esisteva appresso il Cardinale Lodovico Valenti Vescovo di Rimini, che dopo la sua morte non fu ritrovato. Fu data nuova edizione della suddetta opera, la quale trovasi pubblicata nel tomo 11. della raccolta intitolata Anecdota litteraria ex manuscriptis codicibus Romae 1774. in ottavo luogo pag. 217. e seg.
  93. Il Marchese Maffei negli Scrittori veronesi pag. 54. dice che l’instrumento dotale di detto anno era nell’archivio di Verona negli atti di Girolamo Piacentini. Nel ragionare dei discendenti di Dante, io mi sono attenuto a quanto aveva scritto questo letterato, perchè niuno fu di essi meglio inteso.