Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri/III

Della stirpe di Dante

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II IV
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§ III.

Della stirpe di Dante.

L’origine primitiva delle famiglie anche le più cospicue è sempre per difetto di memorie, o intieramente oscura o molto incerta, e dubbiosa. Gli scrittori della vita del nostro Poeta si sono immaginati, che discendesse dalla nobilissima casata Romana de’ Frangipani, ed hanno scritto avere ottenuto essa questo nome a motivo di un atto generoso fatto da qualcheduno de’ suoi antichi in tempo di carestia1. Aggiungono di più che un tale di questa famiglia appellato Elisone, o Eliseo trasferitosi in Firenze con altri sei compagni in seguito di un certo Uberto inviato qua da Giulio Cesare, come a lungo racconta Riccardaccio Malespina2, o a tempi di Carlo Magno3 allor quando questo Imperatore, si accinse a riedificare la nostra città da Attila Re de’ Goti distrutta, e desolata, come falsamente suppongono i nostri storici,4 stabilisse quivi la sua dimora, e [p. 12 modifica]desse il principio ed il cognome alla casata degli Elisei. Ma senza dimostrare la falsità, o incertezza di simili racconti5, tanto più che i sublimi talenti per colmo di merito non hanno bisogno di una splendida, e nobile origine, egli è certo che Dante medesimo non seppe6, o non si curò di spiegare d’onde derivasse la sua famiglia, dicendo per bocca di Cacciaguida, dopo aver questo di sè data contezza al Poeta nel suo immaginario viaggio7.

Basti de’ miei maggiori udirne questo;
Chi ei si furo, e onde vennero quivi,
Più è tacer, che ragionare, onesto.

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Il primo degli ascendenti del Poeta, di cui si possa con sicurezza parlare, è il detto Cacciaguida, e questo è stato da me collocato per stipite della famiglia Allighieri nell’albero genealogico, mentre lo stesso Dante finge che Cacciaguida medesimo s’intitoli sua radice8. Ebbe due fratelli, uno per nome Eliseo, e l’altro Moronto9. Dal primo derivò la nobil casata degli Elisei, già da molto tempo estinta, e se Leonardo Aretino merita fede in questa parte10, forse anche prima gli antenati di Cacciaguida avevano questo nome. Comunque sia egli è certo che gli Elisei11 furono antichissimi cittadini, che goderono i primi onori della Repubblica, e che abitavano nel sesto di Por S. Piero vicino a mercato vecchio12. Nelle loro case nacque Cacciaguida13. Non molto lontano dalle medesime, che [p. 14 modifica]occupavano un buono spazio, e che si può credere essere state dirimpetto al luogo, ove era il Palazzo Salviati poi Riccirdi ed ora Stiozzi in via Por San Piero presso l’antico Convento dei Padri delle Scuole Pie14 vi era una volta, la quale si chiamava la volta della Misericordia, perchè al dire del Malespina autore molto antico, qualunque reo si fosse ivi ritirato godeva il privilegio dell’asilo15. Il dottissimo Vincenzio Borghini pensò che questa volta fosse un arco trionfale, o qualche cosa di simile16, e di tal sentimento fu pure Leopoldo del Migliore17; ma da un moderno accreditatissimo antiquario è stata creduta un arco degli acquedotti delle nostre terme18. Per quanta venerazione io abbia a questo soggetto, e per la sua dottrina, e per la sua perizia nella storia patria, non ostante mi dovrà esser permesso di attenermi all’opinione dei due sopramentovati scrittori, giacchè l’immunità che godevasi in questo luogo, mi ricorda quelle le quali erano a coloro accordate, che alle statue degli Imperatori Romani, ed alle altre fabbriche inalzate in onore de’ medesimi ricorrevano;19 e mi fa parer strano, che di tal privilegio si potesse profittare sotto una semplice arcata d’un acquedotto. Da questo luogo, il quale per dirlo di passaggio, era situato [p. 15 modifica]non lungi dalla Chiesa di S. Maria Nipotecosa, poi S. Donnino, nel corso degli Adimari o sia via de’ calzajuoli20 alcuno della famiglia degli Elisei, ed in specie un certo messer Buonaccorso giudice, e contemporaneo del nostro Poeta si disse de arcu21. Egli nasceva di un Eliseo probabilemte anch’esso giureconsulto, ed aveva un fratello chiamato per nome Guidotto22. Ebbe poi un [p. 16 modifica]Leonardo per figiuolo, il quale fece testamento nel 1371. e che fu Patrono della Chiesa di S. Andrea in mercato vecchio, come dal testamento medesimo apparisce23. Del resto ancora si sa, che gli Elisei ebbero castella in contado, e torre in Firenze distintivo d’una special potenza24. Ma lunga ed inutil fatica sarebbe per noi il ricercare scrupolosamente l’arme, e la discendenza loro in diversa maniera, tessuta da’ genealogisti, ed espressa ne’ registri dei Priori e Gonfalonieri, che governarono la Repubblica, che noi Priorista appelliamo. Il sopra mentovato Moronto non ebbe successione25 ed il nostro Poeta per diritta linea discese da Cacciaguida. I di lui discendenti presero il cognome di Allighieri in memoria di sua consorte ch’era degli Aldighieri «di Val di Pado» cioè di Ferrara, siccome asserisce il Boccaccio26 ed una numerosa folla di scrittori [p. 17 modifica]che forse lo hanno copiato, o secondo altri di Parma27. Appunto intorno a’ tempi, ne’ quali vissero i figliuoli di Cacciaguida si sparse l’uso, poc’anzi introdotto, de’ cognomi per distinguere non tanto le persone, quanto le famiglie. Molti di questi si formarono certamente dal nome di qualche ascendente, e ciò accadde qualora i figliuoli di un tale per identificare la loro persona, o casata aggiunsero al nome proprio quello del padre, o della madre, e se alcuno di questi si fosse in qualche modo renduto celebre, i nipoti, ed i posteri seguitavano ad usarne in forma di cognome28. In tal maniera da un Aldighiero figliuolo di [p. 18 modifica]Cacciaguida appellato così per memoria della madre con piccolo divario si denominò delli Allighieri per attestato dello stesso Poeta tutta la sua discendenza29. Da ciò resulta essere un sogno di scrittori poco illuminati, che gli ascendenti di Dante si chiamassero, come si diceva, o Frangipani, o Elisei: tanto più che avanti il decimo secolo non si vede negli antichi istrumenti essersi punto adoperati i cognomi. La casata Allighieri ebbe poi la sua abitazione, secondo Leonardo d’Arezzo, nella piazza dietro S. Martino del Vescovo ora Chiesa de’ buonomini situata presso il convento dei Cassinesi, dirimpetto alla via, che conduceva alle case dei Sacchetti; e dall’altra parte si estendeva verso le case dei Donati, e dei Giuochi, famiglie molto nobili, e delle quali l’ultime due sono oggi estinte30. Ed in fatti il nostro [p. 19 modifica]Poeta era della Parrocchia della suddetta Chiesa di S. Martino del Vescovo31; e se nei libri delle anime della Cura di Santa Margherita (Chiesa non molto discosta dall’altra) una casa posta sulla piazzetta della medesima S. Margherita posseduta già dai Padri Domenicani si trova sempre nominata la torre di Dante,32 ciò accadde forse perchè avendo S. Martino cessato d’essere Parrocchia33, la casa del Poeta venne ad essere incorporata nell’altra di S. Margherita. Che le case dell’Allighieri per altro non sieno la medesima torre, ce ne può far sospettare un instrumento del 1189.34 da cui apparisce ch’erano molto accoste al predetto S. Martino, e può ben essere che sieno quelle, delle quali sono descritti i confini in un’altra carta del 1332.35. Ma lasciando simil ricerca, il cognome di [p. 20 modifica]Dante si trova scritto diversamente 36, ed altre [p. 21 modifica]famiglie certo, se io non m’inganno, avevano in Firenze questo [p. 22 modifica]medesimo casato, senza aver parentela o congiunzione di sangue con quella del nostro Poeta, o forse solamente molto lontana37. L’arme degli Allighieri di Dante fu poi uno [p. 23 modifica]scudo diviso per il mezzo in diritto parte d’oro, e parte nero, e tagliato per traverso piano da una fascia bianca, e così vedesi in un libro d’armi del 1302. che originale posseggono i figli del defunto Cavaliere Andrea da Verrazzano38. Vuole Giovanbatista Ubaldini nella storia della [p. 24 modifica]sua casata39 che dal nostro Poeta Dante prendesse la denominazione la famiglia de’ Danti di Perugia; lo che si dice ancora da Niccolò Granucci da Lucca, e da altri40, e che consorti41 del medesimo Poeta fossero quei del Bello, da’ quali discesero i Beliotti, poi Biliotti del quartiere Santa Croce, e ch’ebbero, in tempo che Firenze si governava a modo di Repubblica, alcuni che risiederono nel supremo magistrato de’ Priori; differenti per altro da’ Biliotti del sesto d’oltrarno in antico cognominati Volpi42 i quali non ha molto che sussistevano in questa nostra città con lustro, divisi in due rami strettamente congiunti fra loro. Tutto ciò peraltro non è che una gratuita asserzione di scrittori poco esatti, e del genere di quei genealogisti, a’ quali nulla costando gl’innesti delle famiglie, sogliono senza prove dirette mescolare insieme il sangue di quelle, che torna loro più a grado, per procurare ad alcune un immaginario splendore. E senza dire della famiglia Danti di Perugia, di cui non so quali sieno i riscontri che si abbiano, per crederla discesa dal Divino Poeta, se si prescinda da quello troppo equivoco della simiglianza del nome, è certo che i suddetti Biliotti non hanno avuta parentela veruna con i nostri Allighieri43, [p. 25 modifica] e che neppure con i medesimi si sa sicuramente che avessero che fare que’ del Bello, altra famiglia per altro, a cui toccò il godimento de’ primi magistrati nella Repubblica nostra. Vincenzio Bonanni trovando un Geri del Bello, come più a basso diremo, del sangue di Dante, non esito a credere44 che di questa casata fosse detto Geri, quando il riscontro de’ tempi ci fa molto dubitare, se le appartenesse in verun modo45. Ma per intendere ciò che siamo per dire nel seguito di queste memorie, si dee premettere che i maggiori di Dante nelle divisioni, le quali tanto sturbarono la quiete pubblica dell’Italia, e specialmente di Firenze, si attennero sempre al partito Guelfo, e come tali due volte furono [p. 26 modifica]ciati, e banditi dalla patria46. Ciò seguì la prima volta nel 1248. quando Federigo II. dopo essere stato quattro anni prima nel Concilio di Lione da Innocenzio IV scomunicato, e deposto dall’Impero, si pose a perseguitare i «Fedeli di S. Chiesa in tutte le città ove hebbe podere»47 per lo che i Guelfi di Firenze doverono abbandonare per la prima volta la patria nella notte di S. Maria Candelaja ai 2. di febbrajo, e per la seconda nel 1260. a motivo della famosa sconfitta data, come diremo anche più sotto, da Senesi a’ Fiorentini a Montaperti su l’Arbia48. E qui si può avvertire che la famiglia Elisei di cui abbiamo ragionato, fu del partito Ghibellino;49 la qualcosa per altro niente prova contro l’opinione [p. 27 modifica]di chi pensò le casate Allighieri, ed Elisei esser derivate da un medesimo stipite, poichè troppi sono i lagrimevoli esempi di famiglie nemiche fra loro, quantunque strettamente congiunte di sangue, per motivo delle gare cittadinesche, per le quali ne’ tempi andati Firenze si rese a suo svantaggio non poco famosa.

Note

  1. Filippo Villani nella vita di Dante dopo aver narrato, che il caso aveva fatto prendere a suoi antenati, prima che si fossero trasportati in Firenze, il cognome de’ Frangipani, soggiunge «unus siquidem ex ea qua dixi Patriciorum familia vir ditissimus excurrenti plebi Romanae frumenta multa, quae in horreis congesserat, gratis erogavit. Inde quasi panem famelico populo ponendo fregisset, tale nomen emeruit». Al Villani si accordano altri si accordano altri scrittori, e specialmente Domenico di Bandino d’Arezzo, che per la semplicità de’ tempi ne’ quali scrissero, non seppero conoscere il ridicolo di simili favole. Ve ne sono poi di quelli ancora che senza mostrare di dar fede a questo racconto, fanno discendere gli Elisei, e gli Allighieri dalla medesima famiglia. Ma questo pure è troppo incerto.
  2. Nel cap. 29 della sua storia pag. 27 dell’edizione de’ Giunti di Firenze del 1598 in 4°.
  3. Così il Boccaccio, il Manetti, ed altri scrittori della vita di Dante.
  4. Il dotto Vincenzio Borghini in un discorso particolare, impresso con gli altri, che vennero alla luce dopo la sua morte, ha combattuto questo favoloso racconto della riedificazione di Firenze, che si legge in quasi tutti i nostri antichi storici. Vedasi anche il Varchi nel libro IX della sua storia Fiorentina.
  5. Il mentovato Borghini in uno de’ suddetti suoi discorsi dice a questo proposito vol. 11 pag. 50 dell’edizione di Firenze del 1755 in 4.° «E non so s’io m’ho sognato, che alcuni abbian voluto originare il nostro Dante dall’antica radice de’ Frangipani di Roma, presa la cagione si può credere, dall’arme, essendo questa per traverso a sghembo, azzurra di sopra, e di sotto rossa, quella del Poeta, come di sopra disse, dimezzato il campo per diritto azzurro, e rosso, aggiunta la fregiatura di sopra d’una lista bianca» (si vedrà più a basso che i veri colori dell’arme di Dante non sono questi). «Ma se non vi sono altri indizi, o ragioni sarà stato detto o creduto con molto debol fondamento.» Bisogna che queste ragioni non vi sieno, giacchè non le ho trovate in alcun autore di quei molti che riferiscono ciò.
  6. Benchè alcuni comentatori credano, che Dante in un luogo del canto XV dell’Inferno abbia voluto insinuare esser egli disceso da una delle famiglie Romane, le quali passarono ad abitare in Firenze, pure questo luogo non è abbastanza chiaro; e quando si voglia che il Poeta abbia avuto in mente ciò, che dicono i comentatori, non vedo come con questo medesimo luogo della Commedia si possano convalidare le favole narrate dagli scrittori della vita di Lui. Ecco come parla il Poeta per bocca di Brunetto Latini nel citato ver. 73 e seg. dopo aver detto che il popolo Fiorentino disceso era anticamente di Fiesole’.

    Faccian le bestie Fiesolane strame
         Di lor medesme, e non tocchin la pianta,
         S’alcuna surge ancor nel lor letame,
    In cui riviva la sementa santa
         Di quei Roman, che vi rimaser, quando
         Fu fatto ’l nidio di malizia tanta.

  7. Nel canto XVI. del Paradiso ver. 43 e seg.
  8. Nel canto XV. del Paradiso ver. 87 e seg. finge il Poeta, che così gli dica il Cacciaguida:

    O fronda mia, in che in compiacemmi,
    Pure aspettando, io fui la tua radice.

  9. Il medesimo Cacciaguida dice nel citato canto XV. del Paradiso ver. 136.

    Moronto fu mio frate, ed Eliseo

  10. In principio della vita di Dante; ma una tale opinione è molto mal sicura, poichè come avvertiremo i cognomi non erano per anche in questi tempi in uso.
  11. Questa famiglia nelle vecchie carte, e nelle nostre cronache è detta ancor Ilisei, Lisei.
  12. La città di Firenze che ora è divisa in quartieri come Roma in rioni, anticamente era distinta in sesti o sestieri; di che vedasi il Varchi nel lib. IX. della storia Fiorentina pag. 248. edizione di Colonia 1721. in foglio; ed il sesto di Por San Piero prendeva il nome dalla Chiesa dedicata a questo S. Apostolo, alla quale già andava il Vescovo Fiorentino nel giorno del suo pubblico ingresso.
  13. Lo fa dire il Poeta allo stesso Cacciaguida nel XVI. canto del Paradiso verso 40 e seg.

    Gli antichi miei, ed io nacqui nel loco
    Dove si trova pria l’ultimo sesto
    Da quel che corre il vostro annual giuoco

    Che vuol dire ch’egli venne alla luce nelle case de’ suoi antenati, le quali erano in tal modo situate, che i cavalli, i quali ogni anno nel giorno della festa del Protettore S. Gio Battista correvano al palio, le incontravano quasi subito nell’entrare da mercato vecchio nel sesto Por San Piero. Anche l’Aretino loc. cit. afferma, che gli Elisei abitavano «quasi sul canto di Porta S. Piero, dove prima vi s’entra da mercato vecchio nelle case, che ancor oggi si chiamano degli Elisei, perchè è loro rimasa l’antichità».

  14. A questo luogo si adatta quanto si disse nell’antecedente annotazione.
  15. Nella citata storia del Malespina cap. 108. pag. 97. si legge tal cosa, e ne’ contratti antichi in quest’arco, o volta dicesi arcus pietatis.
  16. Borghini loc. citato pag. 212. e 213. ver. 11.
  17. Nella Firenze illustrata pag. 503.
  18. Questo antiquario è il nostro celebre Domenico Maria Manni, che di ciò parla nella sua operetta sopra le antiche terme di Firenze lib. II. cap. 12.
  19. Ved. la costituzione di Valentiniano, Teodosio, ed Arcadio del 386, ch’è inserita nel codice Teodosiano lib. 9. tit. 44. De his qui ad statuas confugiunt, e nel codice Giustiniano lib. I. cod. tit. ed il dottissimo Jacopo Golofredo nelle sua annotazioni al sopraddetto codice Teodosiano.
  20. Leopoldo del Migliore nel luogo citato scrive che la Chiesa parrocchiale di S. Andrea in mercato vecchio in antiche scritture è nominata S. Andreae prope arcum, e la Chiesa di S. Donnino in un testamento del 1371, che si riferirà più sotto, dicesi S. Mariae Nipotecose de arcu pietatis. Ciò potrebbe far sospettare che la volta della Misericordia fosse situata in egual distanza fra queste due Chiese; ma io stimo che quella di S. Andrea non fosse detta prope arcum se non per rapporto ad alcuno di quelli archi, che erano dove fu poi edificato San Miniato fra le torri secondo il mentovato Manni, (loc. cit.) giacchè la suddetta Chiesa non era da questo luogo molto distante. Se così fosse, allora si potrebbe collocare l’arco della pietà verso il canto detto della Croce rossa fra S. Donnino, e la già Chiesa dei Padri delle Scuole Pie; ed allora starebbe bene, che tanto il medesimo S. Donnino, quanto alcuno della famiglia Elisei, che quivi intorno abitavano, prendesse la denominazione, come diremo, dallo stesso arco. Vedasi Lami, Memorabilia Ecclesiae Fior. tom. 2. pag. 975. e seg.
  21. Lo afferma il Migliore nel luogo suddetto, ove dice di essersi incontrato a vedere antiche scritture: Dominus Bonaccursus de Eliseis de arcu. Judex. Intorno a questo Buonaccorso, Gio. Battista Dei peritissimo nelle memorie delle nostre famiglie Fiorentine, m’indicò tre carte estratte da’ rogiti di ser Matteo Biliotti, la prima del 1294. in cui si legge «Domina Gemma uxor Bindi magistri Benis Medici in praesentia domini Bonaccursi Lisei judicis legum doctoris petit mundualdum» La seconda del 1295. la quale mostra che «Dominus Bonaccursus Eliseus recepit florenos quinque pro salario suae avocationis et allegationum etc.» e l’ultima del 1300. nella quale si dice che» Domino Maruccio de Cavalcantibus, et Gerardino naturali filio Bonafedis Milliorati testibus. Bonafede Milliorati populi S. Mariae Novellae emancipavit Matteum filium suum coram sapienti, et jurisperitissimo domino Bonaccurso Helisei legum dottore.» Di lui fu poi moglie donna Ravenna di Castello de’ Nerli come apparisce da un documento del 1303. citato negli spogli di Pier Antonio dell’Incisa esistenti nell’archivio segreto di Palazzo vecchio di cui era custode lo stesso Dei.
  22. In una carta presa da rogiti del suddetto Matteo Biliotti a 95. statami comunicata dal nominato Dei, leggo «1300. Actum in domo domini Bonaccursi Elisei et fratrum Guidottus filius quondam domini Elisei suo nomine, et vice, et nomine domini Bonaccursi Elisei fratris sui locat bona in populo S. Columbani, canonici de Mosciano confines etc.» Si osservi il titolo di dominus dato ad Eliseo.
  23. Questo testamento che esiste nell’archivio del Regio Spedale di S. Maria Nuova è riferito dal Manni nel suo citato libro delle terme Fiorentine lib. 2. cap. 9. ed in esso si legge «Leonardus olis domini Bonaccursi de Liseis populi S. Mariae Nipotecose de arcu pietatis, fecit testamentum» ove vuole che «deferatur corpus suum per homines, et personas de domo de Adimaribus ad sepeliendum in Ecclesia S. Andreae Callismale, ut Patronus ejusdem in sepulcro fiendo in dicta Ecclesia».
  24. Lo dice fra gli altri Francesco Rucellai gentiluomo erudito, il quale andò in traccia delle memorie della Patria, in certi suoi scritti esistenti presso i suoi eredi, ed il Monaldi nella storia manoscritta delle famiglie Fiorentine.
  25. Leonardo Aretino vita di Dante. Negli spogli della Badia di Firenze fatti dal capitan Capitan Cosimo della Rena trovo «1076. Filii, et nepotes Morunci de Arce». O questa è una persona diversa da Moronto fratello di Cacciaguida, com’è probabile, o altrimenti l’Aretino si sarebbe ingannato. part. II pag. 215 per altre memorie scritte in quel codice or perduto, e citato da D. Ferrante Borsetti nella sua storia dello studio di Ferrara, che vedde la luce nel 1735.
  26. Dicesi che un antico codice di Virgilio scritto nel 1193. che dalla libreria de’ Carmelitani di Ferrara passò in potere de’ Conti Alvarotti portasse il nome di Giovanni Alighieri, per aver lavorate le miniature, ch’erano in esso Codice. I libri di detti Conti passarono nel Seminario di Padova, ma più non vi esistono. Il monumento par sospetto all’abate Lanzi nella sua storia pittorica d’Italia tom. II.
  27. Filippo Villani, nella vita inedita di Dante e Domenico d’Arezzo nella sopra citata opera manoscritta, che ha per titolo «Fons memorabilium universi» ove parla del Poeta part. V. lib I. scrivendo, che a suoi tempi in Parma vi sussisteva la casata Alagheri, e che Benvenuto da Imola, comentando un terzetto del canto XV. del Paradiso, aveva pensato che la moglie di Cacciaguida fosse di Ferrara per compiacere al Marchese Niccolò d’Este. Ma ciò non può esser vero, perchè prima di Benvenuto aveva detto il medesimo il Boccaccio nella vita di Dante. Comunque però sia, in Ferrara la famiglia Aldighieri era in essere nel XVII. secolo, e rispetto a quella di Parma trovo nelle memorie storiche di Bologna di Matteo de’ Griffoni stampate nel T. XVIII Scriptores rerum Italicarum pag. 143. che un Paolo de Aldigeriis de Parma fu nel 1328. Rettore della stessa Città di Bologna, e che di questo medesimo Paolo parla ancora frate Bartolomeo della Pugliola nella sua cronica di Bologna all’anno 1316, inserita in detto tomo della suddetta raccolta pag. 330. Cosa poi debba credersi fra questa varietà di sentimenti non ho tanto in mano per determinarlo.
    Soltanto stimo di dovere aggiungere che nella prefazione alle rime scelte de’ poeti Ferraresi antichi e moderni stampate in Ferrara nel 1713. in 8.° si sostiene che Dante potrebbe chiamarsi in qualche maniera di Ferrara, appunto per avere il suo tritavo sposata una donzella di detta città, la quale ai suoi discendenti fè passare la denominazione, e l’arme di sua famiglia; e di ciò si cita per testimone il predetto Benvenuto.
  28. Vedi Ludovico Ant. Muratori Antiquitates medii aevi dissert. XLII., ed il Brocchi nella vita del Beato Michele Flammini Vallombrosano pag. 58. dell’edizione 2.ª fatta in Firenze nel 1761. in 4.°
  29. Dante per bocca di Cacciaguida nel canto XV. del Paradiso vers. 91. e seg. dice

    . . . . . . . . . . Quel da cui si dice,
    Tua cognazione, e che cent’anni, e piue
    Girato ha ’l monte in la prima cornice,
    Mio figlio fu, e tuo bisavo fue.

    e più sotto vers. 137. e seg.

    Mia donna venne a me di Val di Pado,
    e quindi ’l soprannome tuo si feo.

    Questi due luoghi chiaramente ci fanno conoscere, che il cognome Allighieri preso da’ maggiori di Dante derivò dal nome di un figliuolo di Cacciaguida, e che la casata del Poeta non fu la stessa che quella degli Elisei, benchè probabilmente da un medesimo stipite, come si disse, ambedue derivarono.

  30. I Sacchetti, le case de’ quali sono comprese nel monastero di Badia, trovansiFonte/commento: Pagina:Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri.djvu/228 adesso trapiantati in Roma, ove fiorirono con lustro, e furono mentovati da Dante nel canto XVI. del Paradiso. La nobilissima famiglia de’ Donati tanto celebre nelle nostre storie, che si spense nel 1616. con la morte di Gio. di Piero Donati ultimo di sua casa, abitava nella piazza che ancor porta il suo nome. Quella de’ Giuochi che nel 1188. godette il Consolato, e ch’è rammentata dallo stesso Poeta nel luogo citato, aveva la torre, i casamenti, e la loggia intorno alla Chiesa di S. Margherita, restò estinta fino ne’ tempi antichi; onde il Verino cantò nel suo poema «De illustr. urbis Florentiae

    Jam veteres periere Joci

    Di questa parla ancora il Padre Richa Gesuita nelle sue notizie delle Chiese di Firenze (part. II del quartier Santa Croce pag. 136.

  31. Ciò apparisce da più scritture, le quali si citeranno in altra occasione. Da queste si viene in cognizione avere sbagliato i compilatori di alcuni Prioristi, i quali nel riferire nell’anno 1300. il Priorato di Dante lo fanno del Popolo di S. Margherita.
  32. Annale IV. della Società Colombaria Fiorentina manoscritto nella libreria della medesima Società pag. 195.
  33. Il suddetto Padre Richa della compagnia di Gesù nelle sue notizie istoriche delle Chiese Fiorentine p. I. del quartiere Santa Croce pag. 208. e 236. dice che i monaci Cassinesi della nostra Badia, ne’ quali nel 1034. era pervenuta la Chiesa di S. Martino del Vescovo per donazione del Diacono Triginio, unirono nel 1479. la sua Parrocchia a quella loro vicina Prioria di S. Procolo. Ma o è falso, che la torre detta di Dante, che è nella Cura di S. Margherita sia la vera casa del Poeta, o qualche fuoco della Parrocchia di S. Martino fu aggregato ancora a quella di S. Margherita.
  34. Questa carta presa dall’archivio di detta Badia si da nella nota seguente.
  35. Fra i beni che godevano per indiviso Francesco fratello di Dante, e Piero, e Jacopo suoi figliuoli, in un istrumento di detto anno 1332. riportato più a basso si trova descritta una casa posta in Firenze nel Popolo di S. Martino del Vescovo, confinante a primo via, 2.° haeredes Simonis Neriis de Donatis et Tuccins Giammori, 3.° de Cocchis, seu alii, 4.° Betti de Mardolis, a 173. cap. XII. dell’opera del sig. Ruberto Gherardi manoscritta intitolata la villeggiatura di Maiano. La casa di Dante in Firenze nel Popolo di S. Martino del Vescovo, d’onde, forse per la vicinanza, egli si accese di amore verso la celebre sua Beatrice Portinari abitante ivi appresso, fu lasciata per testamento di mess. Pietro giudice e figlio di Dante medesimo alla Compagnia della SS. Vergine di or San Michele di Firenze ne’ 21. febbrajo 1344. per rogito di ser Banchino Specchignani, e da essa compagnia restò dopo venduta a Matteo di Jacopo Arrighi nel 13. novembre 1365. per rogito di ser Domenico di Allegro, come dagli spogli di detta Compagnia a 31.
    Ivi a 168.
    «Ma quest’innocenti (cioè lo Spedale) m’invitano a schiarire la provenienza della di loro villa detta le cure, insieme col podere, per esser ella stata il trattenimento ed il sollievo e per averla posseduta in proprietà il nostro divino Dante Alighieri. Ognun sà, e l’abbiamo notato ch’esso fu esiliato dalla patria, e si vede ch’egli possedeva fra gli altri beni la suddetta villa col podere nel Popolo di S. Marco vecchio in Camerata, con più la casa in Firenze nel Popolo di S. Martino del Vescovo, siccome si può riscontrare da rogiti di ser Salvi Dini del dì 6. maggio 1332. Questi effetti dalla propria famiglia essendo stati redenti dalle mani del fisco, restarono poi venduti in parte, cioè la villa, e il podere predetto a Giovanni di Manetto Portinari, e ad Accorito suo fratello, cone nel detto rogito si legge. La Francesca di Duccio Tornaquinci vedova di Folchetto Portinari, e di loro cognata probabilmente aveva ricevuto dipoi in pagamento il detto effetto per la sua dote insieme colla villa delle cure; sicchè essa nel dì 30. gennajo per rogito del medesimo ser Salvi Dini lo rivendè a Jacopo del già Jacopo del Popolo di S. Pier Coelorum. Passato quest’effetto nello scorrer del tempo in varie mani, pervenne finalmente nella casa Cortigiani, ed i tutori de’ figli di Bonifazio d’Ormanno Cortigiani, per soddisfare ai legati lasciati da Bonifazio medesimo, venderono un terzo di detto podere chiamato il podere che fu di Dante Alighieri come si nota nel contratto del dì 26. settembre 1408. per rogito di ser Cristofano del già Andrea da Laterina esistente fra le carte dello spedale di Santa Maria Nuova, ad Andrea del Gallo per sè, e per chi nominerà, restando posseduti gli altri due terzi del podere medesimo da Maria Isabella figlia di Francesco di Boto Scodellari, e vedova del già Niccolò di Foresa Falconieri, li quali Falconieri avevano acquistata detta villa, e podere delle cure con case, e terre ec. ov’era il mulino fino al 21. gennaio 1353. per rogito di ser Ruberto di Talento da Fiesole. I tutori adunque de’ figli del Cortigiani, avendo venduta la terza parte della villa, e di detto podere posto nel Popolo di S. Gervasio, cui a 1.°, 2.°, 3.° via a 4.° mona Alessandra de’ Bardi luogo detto Camerata lo consegnarono al compratore, ad Andrea del Gallo predetto. Due scambi sono quivi seguiti, uno del Popolo, l’altro del 4.° confine del luogo. Il primo del Popolo si corregge per il rogito di ser Simone di Berto di Dino d’Asciano del 26. giugno 1404. come alla di lui posta nel libro di gabella A. 55. a 2. t. in cui dicesi nel Popolo di S. Marco vecchio. Il 4.° confine poi di mona Alessandra de’ Bardi, deve dire di Mona Maddalena, figlia di Doffo (cioè Dolfo) di Giovanni de’ Bardi, sorella di Giovanni Doffo, Niccolò e di Carlo de’ Bardi, che fu sposata da Jacopo di Niccolò Guasconi come al libro di gabella A. 51. a 98. Jacopo Guasconi fatto acquisto del rimanente delle case, e podere di Dante, e delle case, e terre proprie della sua moglie, e che essa godeva per indiviso con Lodovico di Michele di Banco, dette in portata il medesimo effetto nel prestanzone del lion d’oro nel 1427., poichè egli fu commissario generale a Pisa per i dieci di Balia, liberato per decreto della non fatta portata del 1427. ma bensì fatta dipoi nella filzetta del 1430. a. 126. t. dicendo quivi un podere posto in sul Mugnone in Camerata, con palagio, ed orto murato intorno da signore, e con casa da lavoratore, cui a 1.°, 2.° e 3.°, via a 4.° di Lodovico di Michele di Banco; e vi si aggiunge in postilla e di Mona Lena di Jacopo di Niccolò Guasconi; e si aggiunge la metà per non indiviso fra Lodovico di Michele di Banco e Mona Lena de’ Bardi mia donna d’una casa con circa 30. stara terra lavorativa, cui da 1.° via, da 2.° il supradetto podere, a 3.° via, a 4.° Bartolo di Domenico Corsi posta nel Popolo di S. Gervasio. Si aggiunga alle terre aggregate al detto podere di Dante il 4.° confino del Corsi, il quale ancora si scorge dalla portata del Corsi medesimo (nel catasto del 1427. lion nero a 280.) Se adunque apparisce, che il suddetto Guasconi col podere di Dante, che aveva acquistato, confinava a 4.° colle terre per indiviso fra il Banchi, e la moglie mona Maddalena de’ Bardi nel Popolo di S. Gervasio, e queste terre per indiviso confinavano col Corsi, essendo stati riuniti i due terzi all’altro terzo posseduto per indiviso dalla moglie del Guasconi, a tutto il podere che si chiamava di Dante Alighieri nel suddetto contrasto del dì 26. settembre 1408. forza è confessare che quest’effetto di Dante sia l’istesso, che come sopra il Guasconi nel 1430. e nella sua portata confinò colle tre strade, e con la moglie sua, ed il Banchi posto nel medesimo Popolo di S. Marco vecchio, come dalla sua portata nel gonfalone della scala, e del lion d’oro si riconosce; e per aver di poi fatto aggiunta delle terre indivise fra la moglie ed il Banchi nel Popolo di S. Gervasio confinanti allora (come ancora confinano di presente, e situate ne’ medesimi Popoli di S. Marco Vecchio, e di S. Gervasio) col podere del sig. Marchese Corsi fuori della porta a Pinti presso la querce, come nel gonfalone del lion nero si osserva. Dal Guasconi il detto podere di Dante passò agli eredi di Jacopo Giugni con la sua villa, e nella portata di detti eredi nel 1457. 1469. e del 1480. (nel gonfalone delle ruote S. Croce e dipoi da Giovanbatista di Jacopo Giugni fu portata in conto di Niccolò di messer Albizzo Albergotti (Gonf. delle ruote) per metà di un podere con casa da signore e da lavoratore luogo detto della Camerata posto nel Popolo di S. Marco Vecchio, e parte nel Popolo di S. Gervasio (per causa delle terre per indiviso tra la moglie mona Maddalena Bardi, ed il Banchi aggiunte dal Guasconi di lei marito a detto podere) cui a 1.°, 2.° e 3.° via a 4.° Bardo di Bartolo Corsi, a 5.° Mugnone con decima di scudi 3. 12. 8. La qual metà passata nell’Albergotti alla decima del 1498. restò di poi confiscata e cancellata per partito degli ufiziali di decima del 21. ottobre 1530. e si dice data allo Spedale degli innocenti, con più un pezzo d’albereta sul Mugnone in rifacimento di danni sofferti per l’assedio del 1529. con condizione che ad utile pubblico vi si fabbricassero le mulina nelle case di quà dalla villa. L’altra metà poi del podere di Dante fu venduta dal suddetto Giugni a Donato di Bonifazio Fazzi (gonf. leon d’oro), e Francesco suo fratello la rivendè dipoi per fiorini 560. d’oro allo Spedale medesimo il dì 24. ottobre 1542. per rogito di ser Zaccaria Minori come per arroto 1542. di n.° 118. Leon d’oro».
  36.   Da diversi instrumenti citati in queste memorie e da altri scritti apparisce che la casata di Dante si disse Aleghieri, Alleghieri, Alaghieri, Aldighieri, Allegheri, Alegeri, Aligeri ec. ma a noi coll’autorità del Boccaccio è parso bene chiamarla Allighieri.
  37. Ne’ rogiti di ser Matteo Biliotti a 58 si trova «1295. Caruccius quondam salvi Allighieri Populi S. Mariae in Capitolio mutuo recepit libras duas a Folchetto quondam Cafaggii Marchagliae Populi S. Pancratii. Leopoldo del Migiore ne’ suoi zibaldoni esistenti nella Magliabechiana vol. 11. a 131. nota» 1284. Caruccius Salvi Alighieri» e ivi a 132. riportando un albero della famiglia di Dante, dice che questo Salvi padre di Caruccio fu figliuolo d’Alaghieri di Cacciaguida. Ma ritrovando io, in detti rogiti del Biliotti Salvi, essere stato del Popolo di S. Maria in Campidoglio distante alquanto da S. Martino del Vescovo, ho creduto ch’egli fosse d’un altra casata, e non mi sono curato di nominarlo nell’albero. D’altra famiglia stimo che fosse ancora per la stessa ragione un Gherardo Aldinghieri del popolo di S. Remigio cancelliere degli uffiziali della guerra. Il Borghini ne’ suoi spogli esistenti nella suddetta libreria Magliabechi dà l’estratto di un libro tenuto da costui del 1304. nel quale erano notati i capitani della guerra, e diverse loro deliberazioni. Questo è senza fallo quel ser Gherardo Aldighieri che nel 1302. fu notajo dei Priori di libertà che il Migliore (loc. cit. a 131.) rammenta come vivente nel 1269. e che il medesimo (nel vol. V. a 90.) dice aver nel 1312. come notajo dei due capitani di parte Guelfa rogata una nota di ribelli. Egli poi fu lo stipite d’una famiglia, la quale per distinguerla da quella del nostro Poeta, vien detta degli Aldighieri di ser Gherardo, e di cui fu l’ultimo un Padre Sinibaldo dell’ordine de’ Predicatori, figliuolo di messer Donato giureconsulto di Ricco che fu de’ Priori nel 1550. Di detto ser Gherardo d’Aldighieri, di questo Religioso, e della sua morte accaduta nel 1420. ce ne ha conservata la memoria l’antico necrologio del nostro Convento di S. Maria Novella in tal forma (n.° 612. F.)» Sinibaldus domini Donati magister in Teologia, et praedicator gratissimus ac doctissimus obiit prima die aprilis 1420. Hic exemplaris, et religiosus fuit ter Prior Flor. inquisitor Bononiensis, et saepius Provinciae definitor capituli generalis. Reliquit plurima societati laudum pro exequiis, et feslis celebrandis, ac tandem devotissime in Domino quievit Florentiae die quo sopra existens Prior conventus. Fuit de Aldigheriis Dantis agnatus Si deve però avvertire che queste ultime parole, vi sono state aggiunte da mano più moderna, poichè veramente non si crede, o almeno riscontro non abbiamo veruno, che questa casata vi abbia avuta attinenza, e la sua arme fu intieramente diversa da quella degli Elisei e degli Allighieri di Dante. Infatti consisteva in uno scudo bianco con una croce azzurra vuota come si vede nella lor cappella della Chiesa di S. Remigio, la quale passò poi nella famiglia Gaddi per causa che Caterina di messer Donato Aldighieri sorella del sopra detto frate Sinibaldo fu moglie di Zanobi di Taddeo Gaddi. Per questo prese abbaglio il Padre Richa asserendo nelle sue citate notizie (V. 1. del quartier S. Croce pag. 259.) che questa cappella fu la cappella gentilizia del nostro Divino Poeta.
  38. Nell’archivio segreto di Palazzo Vecchio in Firenze si conserva una diligentissima copia di questo libro, che fu lucidata dal suo originale nel 1666. dal celebre capitan Cosimo della Rena. Io mi sono attenuto a questo libro come il più antico documento, che si abbia in questo genere, senza curare quanto intorno all’arme di Dante dice ne’ suoi discorsi il Borghini (p. 11. pag. 41. e 50.) ed a quanto vedesi in alcuno de’ molti Prioristi o famiglie, i quali si conservano nelle pubbliche, o private librerie.
  39. Pag. 43. edizione di Firenze presso il Sermartelli 1588. in 4.°
  40. L’asserisce il Granucci nel suo trattato morale intitolato La piacevol notte, e lieto giorno: e ad esso si unisce Francesco Rucellai ne’ suoi citati scritti, soggiungendo esser da questi disceso Ignazio Danti Vescovo di Alatri nel Lazio, e celebre matematico del XVI. secolo. Pier Francesco avolo d’Ignazio Danti astronomo, dicesi che fosse della famiglia de’ Rinaldi Perugina, e che dilettandosi molto della poesia italiana e cercando singolarmente d’imitare lo stile di Dante prendesse da questo Poeta il cognome che lasciò a’ suoi discendenti Tiraboschi Storia della letteratura Italiana (T. VII. part. I, pag. 392. edizione in 4.°).
  41. Consorti chiamansi coloro i quali discendono da un medesimo stipite, ed equivale alla voce latina gentiles.
  42. Borghini ne’ discorsi part. 11. pag. 108 e 247.
  43. Per riprova della sua asserzione dice l’Ubaldini, che la famiglia Biliotti manteneva il nome Aldighieri, benchè corrotto, ed abbreviato in quello d’Aldieri, e che in un Priorista che si conservava in casa di Luca di Raffaello Torrigiani erano notati gli Aldighieri, ed i Biliotti come consorti, e con la medesima arme. In altri Prioristi, e pe’ mentovati scritti del Rucellai i Biliotti hanno per arme uno scudo con liste azzurre in campo rosso tramezzato di rose d’oro. Ma il lodato Giovanbattista Dei mi fece avvertire la vera arme di questa casata, che si vede nella Chiesa di S. Lorenzo a Vicchio Piviere di Ripoli, ed in S. Croce di Firenze in più luoghi nelle sue sepolture essere stato un campo azzurro con Croce dentata d’oro, e due stelle pur d’oro nel primo, e quarto lato della medesima Croce; e lo sbaglio di coloro, i quali confusero i Biliotti del quartier S. Croce con gli Aldighieri esser derivato dall’incontrare il nome d’Aldighieri della discendenza di Ricco Biliotti, il qual nome non era gentilizio in questa famiglia, ma lo aveva preso un figliuolo di Francesco del detto Ricco, perchè nasceva da Lisabetta figliuola d’Aldighieri del sopra mentovato messer Gherardo. Tanto apparisce nell’albero, che il Dei ha diligentemente formato della casata degli Aldighieri suddetti, e dei Biliotti.
  44. Nel suo discorso sopra la prima cantica della Commedia di Dante pag. 2. e. 3. dell’edizione di Firenze presso il Sermartelli 1572. in 4.° Ved. anche il medesimo a pag. 184.
  45. La casata del Bello, che dal 1302. al 1371 dette Priori, e Gonfalonieri alla Repubblica, non può discendere da messer Bello zio grande di Dante, perchè da Prioristi apparisce l’autore di essa essere stato un Bello figliuolo d’Alberto. Questo Bello ebbe un figliuolo nomitato Geri, da cui nacque un Giovanni, che nel 1340. fu Gonfaloniere di giustizia, e del 1371. la quinta volta de’ Priori. Da ciò ne segue, che detto Geri non è quello di cui parla il Poeta nel canto XXIX. dell’Inferno (v. 18. e seg. e v. 27.) perchè questo suo zio cugino, come diremo nel paragrafo che segue, viveva circa cento anni avanti, ed in conseguenza non potette essere il padre del predetto Giovanni, se non si forza molto la cronologia. È vero che anche il capitan Cosimo della Rena nell’introduzione alle serie de’ Duchi, e Marchesi di Toscana pag. 27. dice, che tanto quei del Bello, che gli Alighieri progenitori di Dante uscirono dallo stipite degli Elisei; ma io non ne ho le prove da creder ciò, e ben conosco la difficoltà di assegnare a molte famiglie l’origine loro senza interesse di prevenzione.
  46. Lo dice chiaramente il Poeta per bocca di Farinata degli Uberti nel canto X. dell’Inferno verso 46. e seg.

    .   .   .   .   .   .   .   fieramente furo avversi
         (cioè gli antenati tuoi, o Dante)
         A me, e a’ miei primi, e a mia parte,
         Sì che per duo fiate gli dispersi.

    Farinata fu uno de’ principali capi del partito Ghibellino in Firenze. Nella seguente terzina finge poi Dante d’avergli risposto:

         S’ei fur cacciati, e’ tornar d’ogni parte,
         Risposi lui, l’una, e l’altra fiata.

  47. Giovanni Villani lib. VI delle sue croniche cap. 34. ediz. di Firenze presso i Giunti 1559. in 4.° Dispiacendo a questo Imperatore che in Firenze con troppa baldanza si manifestassero i Guelfi suoi nemici, col mezzo delle sue forze condotte dal suo figliuolo bastardo Federico d’Antiochia gli discacciò, e vi lasciò al governo lo stesso Federigo. Sopra di ciò può consultarsi oltre molti storici il celebre Pietro delle Vigne nelle sue lettere stampate in Basilea nel 1740. lib. II. cap. XL. e lib. III. cap. IX. giacchè le cose che accaddero in questi tempi sono troppo funeste, e non meritano che da noi, dopo tanti, sieno troppo a lungo ricordate.
  48. Ved. fra gli altri il medesimo Villani loc cit. cap. 8. Ma di ciò diremo nel §. V. qualche cosa.
  49. Il citato Villani nomina ove sopra cap. 34 i Lisei fra i Ghibellini di Por S. Piero, de’ quali erano capi i Tebaldini, e ciò si ha pure dagli spogli del Borghini manoscritti della Magliabechiana, e da quelli del capitan Cosimo della Rena, che conservano i suoi eredi.