Medea (Seneca - Dolce)/Atto III
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ATTO TERZO.
Nudrice, Medea.
- Nudrice
- Reina, che da me fosti nudrita,
- Perché con tanta fretta
- Esci del tristo albergo?
- Deh frena l’ira, e ’nsieme
- Ritien l’impeto fiero.
- Ella a guisa di Menade, che tocca
- Dal gran furor di Bacco
- Sopra il giogo di Pindo, o qual di Niso
- Furiosa si move;
- Così di quà di là rivolge il passo;
- E come forsenata
- Ha gli occhi ardenti, et in aspetto fiero
- Chiama gli Dei: et in tanto
- Riga gli occhi di pianto;
- Hora si mostra allegra,
- E riceve ogni forma.
- Sta sospesa, minaccia, e tutta ardente,
- Hor si lamenta, hor geme.
- Ove porrà tal peso? ù le minacce,
- Ove si romperanno
- Così gonfie, turbate, e rapid’onde?
- Non po il furor caper, nè trova loco:
- Nè propone di fare
- Lieve o mezano male,
- Ma vincerà (ch’io lo conosco) tutti
- Gli effetti empi e crudeli
- De l’ire antiche. Ella di fare ordisce
- Cosa più d’altra fiera.
- Io veggo ben l’aspetto
- Del solito furore.
- Faccia Giove, che questa
- Mia temenza s’inganni.
- Med.
- Se tu cerchi meschina
- Infino a quanto debba
- Arrivar l’odio, che ti preme il petto,
- Fallo uguale a l’amore,
- Che portasti a Giasone.
- Io debbo sofferire,
- Che queste nozze sieno
- Senza la mia vendetta?
- Partirà questo giorno
- Senza alcun grave e memorabil male?
- Con tanti preghi da me cerco, e ’nsieme
- Con tal difficultate a me concesso?
- Mentre la terra fia
- Centro de l’universo;
- Mentre che sempre i cieli
- Si volgeran con infallabil giri;
- Mentre sian senza numero l’arene;
- Mentre il giorno havrà il Sole,
- E la notte le stelle;
- Mentre anderà d’intorno
- Il polo l’orsa, e mai
- Non si bagnerà in mare,
- Mentre i fiumi daranno
- Tributo a l’onde sue,
- Non cesserà giamai
- Il mio furor ne le costoro pene,
- E crescerà mai sempre.
- Qual Scilla, qual Cariddi
- Sorbendo il mar Ionio, e ’l Siciliano,
- Qual’Etna, che i Giganti
- Preme, sarà così fervente e calda
- Di cotante minaccie,
- Come son io? non già rapido fiume,
- Non procelloso mare,
- Quando agitato è più da venti fieri:
- O fiamma, ch’aiutata sia da fiante
- D’impetuoso vento,
- Non potrebbe tardar l’impeto mio,
- Nè le nostre ire: io turberò ogni cosa,
- Et ogni cosa volgerò sossopra.
- Egli temè Creonte,
- E la guerra del Duce di Thesaglia:
- Ma ’l vero Amor non teme alcuna cosa.
- Ma forse, ch’egli vinto,
- Da le ragioni mie,
- Mi si renderà ancora.
- Poteva ei ben venire
- A trovar la mogliera,
- E non negarle l’ultime parole;
- Ma temuto ha quel fiero anco far questo.
- E poteva anco il genero crudele
- A tanto esilio darmi
- Più largo spatio: che ragion volea:
- Ma concesso ha un sol giorno a due figliuoli.
- Non mi lamento già del tempo breve,
- Ch’esso sarà a bastanza.
- Questo giorno farà, farà tal cosa,
- Che non tacerà il secolo futuro.
- Io troverò gli Dei,
- E tutto scuoterò.
- Nud.
-
- Padrona torna
- In te la mente dritta,
- Ch’è turbata da i mali:
- E mitiga il tuo petto.
- Med.
- Non mi posso acquetar, se pria non veggio
- Ch’una ruina meco il tutto volga.
- Nud.
- Tu puoi veder, se con dritt’occhio guardi,
- Quanto da temer hai:
- Nessun può dare assalto
- A potenti sicuro.
Giasone, Medea
- Giasone
- O sempre duri fatti, et aspra sorte,
- Malvagia, e quando incrudelisce, e quando
- Benigna si dimostra.
- Trovato ha tante volte a noi rimedi
- Giove del mal peggiori.
- S’io voleva la fede
- Serbar a morti de la mia consorte,
- Era bisogno por la vita a morte,
- E morir non volendo: mi conviene
- Mancar de la mia fede.
- Nè mi vince paura, che non deve
- Vincer cor generoso, ma pietate;
- Perché con la mia morte
- Seguirebbe ancor quella
- De’ cari miei figliuoli.
- Ti chiamo in testimon di mie parole
- Santa Giustitia, che ti stai nel cielo,
- Che i miei figliuoli han vinto
- Me, che lor padre sono.
- Credo, ch’anco Medea,
- Benc’habbia fiero il cuore,
- Et implacabil sia,
- Vorrà più tosto haver rispetto a figli
- Ch'a le sue nozze. Io sono
- Risoluto di veder con i preghi
- Alquanto intepidir l’animo irato.
- Ecco, che tosto, ch’ella
- M’ha veduto, s’è mossa,
- E tutta furiosa
- Dimostra l’odio in volto;
- E tutto quel dolor, che tien ne l’alma.
- Med.
- Noi fuggimo Giasone; noi fuggimo:
- Nè nuovo è il mutar luogo;
- Ma nuova è ben la causa del fuggire.
- Che già per tua cagion solea fuggire.
- Io mi parto, io abandono
- Le tue case: ma dove
- Mi rimetti, ch’io vada?
- Andrò misera forse
- A veder Fasi e Colco?
- E ’l paterno mio Regno?
- E nel terren bagnato
- Per le mie man del sangue del fratello
- Dimmi a qual terra vuoi,
- Ch’io rivolga il mio piede?
- E qual mar mi dimostri?
- Le bocche pur del Ponto?
- Per lequali io ridussi
- Tanti nobili adulteri, seguendo
- Per l’Isole Simplegadi ciascuno.
- Rivedrò forse ancora
- La pargoletta Iolco,
- O la Thessala Tempe?
- Le vie, che a te già apersi, a me l’ho chiuse.
- U mi rimetti? a l’esule tu imponi
- Esilio, né lo dai.
- Vadasi: che l’ha imposto
- Il genero del Re. nulla ricuso:
- Dammi quanti supplici, ch’a te giova.
- L’ho meritato. La consorte tua
- Aggiunga ogni tormento a la rivale,
- Leghi queste mie mani, e mi condanni
- A perpetua prigione:
- Io patirò minori
- Pene, di quel, ch’io merto.
- Ingrato petto, volgi un poco teco
- I Tori, che mandavan fiamma e foco:
- E gli huomini nasciuti
- De’ seminati denti,
- I quai per mia cagion rivolser l’armi
- Contra se stessi. Aggiungi
- Le spoglie a questo del Monton di Friso,
- E ’l vigile Dragon, che tu facesti
- Addormentar, merce di mia pietate.
- E ’l mio fratello occiso:
- Et in un mal più mali,
- Le figliuole da me sospinte a dare
- La morte al padre, et a smembrar le membra,
- Di cui più non dovea
- Riveder questa luce.
- Io misera seguendo
- I Regni altrui abandonati ho i miei.
- Ti prego per la speme,
- C’hai de’ figliuoli tuoi;
- Per questo albergo, ilqual sia fermo e certo,
- Pe i vinti Mostri; e per le man mie stesse
- A cui per te giamai non perdonai,
- Per li passati tuoi spaventi e teme,
- E pel cielo e per l’acque,
- Che testimoni fur de le mie nozze,
- C’haggi di me pietate;
- E c’hora verso me, che n’ho bisogno,
- Ti mostri tal, qual dimostraimi alhora,
- Ch’eri a tanto pericol de la vita:
- E di tante ricchezze,
- Che di lontan rubando
- Cercan gli Scithi insino
- Da gl’Indi estremi, e quelle calde parti,
- Le quai crescendo poi
- In tanta quantità, le nostre case
- Non son atte a capirle,
- Onde d’oro adorniamo insino i boschi:
- Io esule con meco
- Altro non ne portai,
- Che le membra meschine
- Di mio fratello: e queste ancora fure
- Sparte per tua cagione.
- A te cesse la patria, a te il fratello,
- La vergogna e ’l pudore.
- Con questa dote per marito t’hebbi:
- Ritorna il suo a chi fugge.
- Gias.
- Tu puoi saper, che volendo levarti
- Di vita il Re Creonte,
- A preghi miei s’è volto
- A cangiar con l’esilio la tua morte.
- Med.
- Stimava, che l’esilio fosse pena:
- Hor veggio, che m’è dono.
- Gias.
- Mentre c’hai tempo di poter partirti,
- Partiti prestamente:
- Perché l’ira dei Re mai sempre è grave.
- Med.
- Tu mi conforti a quello?
- Con Creusa ten resti,
- E me, che fui tua moglie,
- A guisa di rivale, odi e discacci?
- Gias.
- Medea mi opponi amori?
- Med.
- E occisioni e inganni.
- Gias.
- E qual peccato mi si puote opporre?
- Med.
- Tutto il mal, c’ho fatt’io.
- Gias.
- Resta ancor questo sopra l’altre cose,
- Che de l’opere tue
- Crudeli e scelerate
- Io sia reso colpevole e nocente.
- Med.
- Elle son tue, pur tue:
- Che a cui la sceleraggine a prò torna,
- Costui commessa l’have:
- Ma sia pur chi si voglia,
- Che me n’incolpi e biasmi,
- Tu sol difender dei,
- E chiamarmi innocente.
- Sia presso te innocente
- Chi per te fu nocente.
- Gias.
- Non è grata la vita
- A chi prende vergogna
- Di ricevuta haverla.
- Med.
- Et a chi si vergogna
- Di haverla ricevuta,
- Esser caro non dee di ritenerla.
- Gias.
- Anzi vinci lo sdegno
- E l’ira fiera e grave,
- Che ti molesta il petto;
- E vivi per cagion de’ tuoi figliuoli.
- Med.
- Io non gli voglio, io gli rifiuto, e danno:
- Dunque darà Creusa
- Fratelli a miei figliuoli?
- Sarà dunque costei
- Potente per li figli
- De miseri sbanditi?
- Non venga a gl’infelici
- Questo malvagio giorno,
- Ch’una prole sì chiara
- Sia macchiata da oscura e così brutta;
- I nipoti di Febo
- Co quelli di Sisifo.
- Gias.
- Perché misera tiri
- Me parimente e te nel dato esilio?
- Partiti tosto, parti.
- Med.
- Ben ha Creonte intesa, et esaudita
- La mia dimanda giusta.
- Gias.
- Dimmi quello, ch’io posso
- Far a tuo beneficio e giovamento.
- Med.
- Ogni mal, che tu puoi.
- Gias.
- Sappi, che d’ogni parte il Re ti serra.
- Med.
- C’è di questo un spavento assai maggiore:
- E sol questo è Medea.
- Lascia, che ’nsieme contendiamo: e poi
- De la vittoria il prezzo sia Giasone.
- Gias.
- Io cedo stanco homai
- A molti lunghi mali.
- E tu paventa ancora
- I casi tante volte
- Da te imparati a prova.
- Med.
- Sempre minor di me fu la fortuna.
- Gias.
- Acasto preme, e più vicin nimico
- E’ Creonte: però l’un l’altro fuggi.
- Non vo, ch’armi le mani
- Contra il suocero mio:
- Né che t’imbratti ancora ne la morte
- De’ congiunti et amici.
- Med.
- Meco fuggi innocente,
- E dì poi, che costretto hatti Medea.
- Gias.
- E chi potrà giamai
- Far resistenza, quando
- Soprastino due guerre;
- E che Acasto e Creonte
- Uniscan le lor forze?
- Med.
- A questo aggiungi i Colchi,
- Et Eta Re mio padre,
- Et aggiungi anco a Greci
- I fieri Scithi: io ti prometto certo,
- Che gli sommergerò tutti nel mare.
- Gias.
- Io tuttavia pavento di coloro,
- Che in alto seggio son levati e posti.
- Med.
- Vedi che non desideri temerli.
- Gias.
- Acciò che’l nostro favellar sospetto
- Non porga; sarà buon che tu l’accorti.
- Med.
- Hor Giove d’ogni parte
- Tuona dal cielo; e i fieri strali prendi
- Per far vendetta di cotanti oltraggi,
- E ’l mondo tutto scuoti,
- Ferendo o me o costui,
- Che qual d’ambi noi caggia,
- Cadrà nocente: in noi le tue saette
- Errar non ponno.
- Gias.
-
- Trova voci homai
- Da saggia, e di parole humane e dolci.
- Se cosa alcuna è appresso
- Del mio suocer; laquale
- Teco portando ti dia qualche aita,
- Chiedila, che l’havrai.
- Med.
- Sai, che l’animo mio
- Sprezzar può le ricchezze
- Reali, e suole. Siami solamente
- Compagni del mio esilio i miei figliuoli,
- Nel sen de quali io possa
- Sparger il pianto mio.
- Da te s’aspetta altri figliuoli nuovi,
- Si che poi starne senza.
- Gias.
- Confesso, ch’io vorrei
- Gradir a li tuoi preghi:
- Ma pietà non mi lascia:
- Perché patir non posso
- La lontananza loro;
- Non, quando ancor sforzar me ne volesse
- Il Re suocero mio.
- Questi sono cagion de la mia vita
- Questi son mio conforto
- In tutti i miei travagli.
- E più tosto potrei
- Mancar di questo spirto,
- De’ membri e de la luce.
- Med.
- Se questi ama i figliuoli
- Bene ha, lo tengo, è luoco a la ferita,
- Hor concesso mi sia,
- Che prima, ch’io mi parta,
- Dar io lor possa gli ultimi ricordi.
- Mi sia lecito a dare
- L’ultimo abbraciamento.
- Ciò m’è grato: e ti chieggio
- Con l’ultime parole,
- Che se ’l dolor m’ha spinto
- A dir quel, ch’io non debbo,
- T’escan di mente le parole mie,
- E ti ricordi il meglio,
- Obliando del tutto
- Quel, ch’a dir spinse l’ira.
- Gias.
- Già de l’animo mio
- Tutto ho sgombrato fuori.
- Io ti prego a volere
- Regger gli affetti tuoi con miglior forma;
- Et esser più benigna e più pietosa:
- Suole il riposo spesso
- Alleggiar le miserie et i tormenti.
- Med.
- Ei s’è partito. Adunque
- Tu te n’andrai scordato
- Dei benefici miei,
- E di me stessa? Io son di mente uscita
- A te Giason: ma stimo,
- Che di Medea ti sovverrà mai sempre.
- Hor su raccogli tosto
- Tutte tue forze et arti:
- E’ frutto de le tue sceleritati
- Stimar, che nulla sia sceleritate;
- Et in cosa sì honesta
- Non si può dir che sia
- Il male mal, ma bene.
- Io so che son temuta;
- Ma va per quella strada,
- U non si temerà d’alcuna cosa.
- Segui Medea, comincia, ordisci, et opra
- Ciò che puoi, e che non puoi.
- Tu fida mia Nudrice
- Compagna de’ miei affanni,
- E de’ vari accidenti,
- Aiuta questa misera e dolente
- Con i consigli tuoi.
- Appresso me si trova
- Una superba gonna,
- Che fu celeste dono,
- Et ornamento già del nostro Regno;
- Donolla il Sole istesso
- Ad Eta padre mio
- Sol per pegno d’amore.
- Ho anco un bel monil d’oro e di gemme,
- Lo splendor de le quali
- Distingue quel de l’oro:
- Di questo a guisa di corona suole
- Farsi cinto a le chiome.
- Voglio, che i miei figliuoli
- Portino questi doni
- A la novella sposa:
- Ma prima tinti sieno
- De i mortifer veleni,
- Che sa trovar la divin’arte mia.
- Chiamisi a questo effetto
- Hecate: e tu apparecchia
- I sacrifici horrendi,
- Che debbono apportar lagrime e morti.
- Gli altari fatti sono:
- S’odin suonar ne tetti
- La mortifera fiamma.
- Coro
- Non è fiamma veruna,
- C’habbia cotanta forza;
- Nè vento o stral, che scenda
- Da ciel: quanti una Donna,
- Ch’abandonata sia dal suo consorte
- Sente nel petto fiero odi e disdegni.
- Non quando l’Austro apporta
- Nebuloso le piogge
- Del freddo verno: o, quando
- L’Histro crescendo spezza
- I ponti, e vago le campagne copre.
- Nè, quando entra nel mare
- Il Rhodano pien d’ira:
- O, quando a meza Primavera suole
- Dileguarsi la neve,
- Et il suo largo humore
- Ne fa languido l’Hemo.
- Quando animo amoroso
- E stimolato d’ira,
- Cieco tosto diviene,
- Né cura d’esser retto,
- Anzi non pate freni,
- Non teme morte; ma desia di gire
- Incontra a ferri, e a le taglienti spade
- Deh perdonate o Dei,
- Noi vi chiediam perdono;
- Fate securo vivi,
- Chi già soggiogò il mare:
- Ma par, che si disdegni
- Il gran Re del profondo,
- Che sieno stati vinti
- I suoi Regni secondi.
- Il giovane Fetonte
- Havendo preso ardire
- Di governar il carro
- Del celeste suo padre,
- I fuochi, ch’egli sparse
- Intorno il mondo: in lui tornaro alfine.
- Le strade note altrui
- Mai non costaro care:
- Va, dove andati sono
- Quei, che furono avanti,
- E non voler del mondo
- Romper le sacre leggi.
- Chi de l’audace nave
- Entrò ne’ rami del sacrato bosco:
- E Pelio dispogliò de le sue ombre.
- Chi varcò l’onde, dove
- Sono cotanti scogli,
- E nel fine legò ne’ lidi strani
- La fune per tornare
- Predator de l’altrui
- Argento et oro; questi poi meschino
- Con duro fin la penitenza feo
- D’haver violato il mare:
- Ilqual punir lo volse.
- Tisi, che ’l primo fue,
- Che domò l’acque sue
- Lasciò il governo del dubbioso legno
- A non dotto Maestro
- Morendo in strani lidi
- Da la patria lontano,
- Et hebbe miser sepoltura vile
- Fra le barbare e ignote ombre infelici.
- Colui, che d’una Musa
- Fu gradito figliuolo,
- Al cui mirabil suono
- Si fermaro i torrenti,
- Tacquero i venti, e abandonando il canto
- I semplicetti augelli,
- Andaro ad ascoltarlo,
- Accompagnando lor la selva tutta,
- Giacque diviso e sparso
- Per li campi di Thracia, e la sua sacra
- Testa gettata fu dentro ne l’Hebro,
- E andò ne la palude
- Stige da lui veduta un’altra volta,
- E nel Tartaro cieco
- Senza più ritornar ne l’aria chiara.
- Stese il feroce Alcide
- I figliuoli di Borea, e occise ancora
- Il figlio di Nettuno,
- Ilqual prender soleva
- Innumerabil forme.
- Et esso poi c’hebbe placato il mondo,
- E dopo haver aperto
- Il Regno de l’Inferno,
- Vivo giacendo ne l’ardente Eta,
- Porse le proprie membra
- Consumato et afflitto
- Dal don di doppio sangue
- Fatto da la consorte.
- Meleagro di vita
- Empio tolse i fratelli de la madre;
- Et ei morì nel consumar d’un tizzo:
- E tutti meritarono la morte.
- Qual peccato commise
- O purgò quel fanciullo,
- Che tenero fu ucciso
- Dal grande Hercole ivitto.
- Andate adunque, andate
- Per il fallace mare
- Con franco animo audace.
- Benché Idmon conoscesse
- Quel, che apportava il fato,
- Fu sepolto da un serpe
- Ne l’Africane arene,
- Verace a tutti, et a se stesso falso
- Cadde Mopso, e ne fu privo di Thebe,
- Ei se predisse il vero,
- Il marito di Thete
- Andò sbandito errando.
- Nauplio col falso foco
- Nuocer dovendo a Greci
- Cadde nel mar pagando
- Le pene del peccato empio del padre:
- Fu percosso dal fulmine, et insieme
- Lasciò la vita in mare
- L’un de gli Aiaci: e riscuotendo il fine
- Del consorte Fereo
- La moglie diede l’anima contenta
- Al defunto marito.
- E colui, ch’a Giasone
- Impose, che portasse
- La spoglia d’oro con la prima nave,
- Pelia, cotto nel rame ardente al foco
- Arse fra picciol’onde.
- Già havete Dei a bastanza
- Vendicato l’oltraggio fatto al mare:
- Perdonate a colui,
- A cui fu imposto questo.
Il fine del terzo Atto