MEDEA.
Io misera seguendo
I Regni altrui abandonati ho i miei.
Ti prego per la speme,
C’hai de’ figliuoli tuoi;
Per questo albergo, ilqual sia fermo e certo,
Pe i vinti Mostri; e per le man mie stesse
A cui per te giamai non perdonai,
Per li passati tuoi spaventi e teme,
E pel cielo e per l’acque,
Che testimoni fur de le mie nozze,
C’haggi di me pietate;
E c’hora verso me, che n’ho bisogno,
Ti mostri tal, qual dimostraimi alhora,
Ch’eri a tanto pericol de la vita:
E di tante ricchezze,
Che di lontan rubando
Cercan gli Scithi insino
Da gl’Indi estremi, e quelle calde parti,
Le quai crescendo poi
In tanta quantità, le nostre case
Non son atte a capirle,
Onde d’oro adorniamo insino i boschi:
Io esule con meco
Altro non ne portai,
Che le membra meschine
Di mio fratello: e queste ancora fure
Sparte per tua cagione.
A te cesse la patria, a te il fratello,
La vergogna e ’l pudore.
Con questa dote per marito t’hebbi:
Ritorna il suo a chi fugge.
Gias.
Tu puoi saper, che volendo levarti
Di vita il Re Creonte,
A preghi miei s’è volto