Medea (Seneca - Dolce)/Atto II
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Atto secondo.
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ATTO SECONDO.
Medea, Nudrice.
- Medea
- In ferro crudelmente
- M'ha trapassato il petto:
- Che giunto è a le mie orecchie
- Il suono de le nozze
- Del non più mio Giasone.
- Io stessa a pena posso,
- A pena creder un sì fatto male.
- Pote ciò far Giasone?
- Sendomi tolto il padre,
- E la patria, et il Regno,
- Lasciarmi sola in peregrina parte.
- Questo duro ha sprezzato
- I benefici miei.
- Ei, che veduto havea
- Le fiamme vinte e 'l mare
- Da la mia sceleraggine, s'induce
- A creder, che non più mi resti alcuna
- Sorte di grave male.
- Dunque quasi dubbiosa
- E senza mente e cuore
- Vado considerando tutti i modi
- Di far degna vendetta
- Di tanta offesa mia?
- Volesse Dio, che questi
- Alcun fratello havesse:
- Ma egli ha moglie, in lei
- S'adopri il ferro mio:
- Questo basta a miei mali.
- S'è alcun delitto, ilquale
- Conobber mai cittadi
- Si barbare, qual Greche,
- E che stato non sia da le tue mani
- Conosciuto fin quì, hor si prepari.
- Ti confortino a questo
- Le tue sceleritati,
- E ritornino tutte unite insieme.
- Rapito del mio Regno
- Fu il famoso ornamento;
- E 'l mio picciol compagno
- E fratel di me stessa
- Scelerata donzella
- Fu da me ucciso e fatto
- In molte parti, crudo
- E misero spettacolo a suo padre.
- Per lui tolto di vita
- Ho il vecchio Pelia, e cotte
- Fur le sue carni in un bollente rame
- E quanto sangue e quante
- Fiate ho sparso: e pure
- Ira non fu cagione,
- Ma solo amor, che m'arse
- Di questo ingrato il petto.
- Ma, che potea Giasone
- Far, essendo venuto
- Ne l'altrui arbitrio e voglia?
- Dovea più tosto porre
- Il petto incontra al ferro.
- Ah meglio meglio doglia
- Furiosa favella. Se si puote
- Viva, qual fu Giasone,
- Mio: ma se non si puote
- Vivasi ancora, viva;
- E di me ricordandosi, riguardi
- A benefici tanti,
- C'ha da me ricevuto.
- Tutta la colpa è di Creonte, ilquale:
- Come quello ch'è Re di questi luoghi,
- Romper gli ha fatto il gia legato nodo
- Del maritaggio mio;
- E che toglie a figliuoli
- La madre, e questi pegni
- De l'alme data fede
- Da me diparte. Questi haggia il gastigo,
- Solo qual si conviene.
- Io farò tosto che 'l palagio altero
- Sarà distrutto in cenere; e le fiamme
- Vedran le navi, che legate stanno
- Infino a la Malea.
- Nud.
- Io ti prego a tacere,
- Et a dolerti in parte,
- Ove sieno segreti i tuoi lamenti.
- Percio che quel, che le ferite gravi
- Con pacienza sostiene,
- Trova poi occasion da vendicarsi.
- Med.
- L'ira, che ascosa tiensi
- Nuoce.
- Nu.
-
- L'odio, ch'è aperto,
- Invola il far vendetta.
- Med.
- Picciola doglia è quella,
- Che riceve conforto,
- E si giace celata.
- I gran mal non si ponno
- Tener sepolti. Io voglio
- Andar contra a nimici.
- Nud.
- Ferma ferma figliuola
- L'impeto furioso,
- Che ben vedi, ch'a pena
- Ti può render sicura
- Lo star mutola e cheta.
- Med.
- Fortuna teme i forti,
- Et i timidi preme.
- Med.
- Hora è da far la prova,
- Se la virtude ha luoco.
- Nud.
- Sempre virtude ha luoco.
- Nud.
- Non ho speranza alcuna
- Ne le mie cose afflitte.
- Nud.
- Chi di nulla ha speranza,
- Di nulla si disperi.
- Med.
- Rimaso è a dietro il mio Regno di Colco:
- Il mio consorte ha la sua fede rotta,
- E di tanti miei beni
- Non me ne resta alcuno.
- Solo avanza Medea.
- Quì vedi mare e terre, e ferro, e fuochi.
- E fulmini e gli Dij.
- Nud.
- Il Re si dee temere.
- Med.
- Fu già mio Re mio padre.
- Nud.
- E tu l’arme non temi?
- Med.
- Non se nascesser ben fuor de la terra.
- Nud.
- Tu morrai.
- Med.
-
- Lo desio.
- Nud.
- Fuggi.
- Med.
-
- Non già: son di fuggir pentita.
- Dunque io, che son Medea,
- Dovrò fuggir?
- Nud.
-
- Sei madre.
- Med.
- Del seme di cui vedi.
- Nud.
- Dubiti di fuggire?
- Med.
- Fuggirò, ma dapoi,
- Ch’a pieno fatta havrò la mia vendetta.
- Nud.
- L’offeso per punirti
- Ti seguirà.
- Med.
-
- Ben’io
- Gli farò ritrovar qualche dimora.
- Nud.
- Deh le parole e le minaccie affrena
- Mal’accorta, e diponi
- Cotesto animo altiero.
- Ch’è bel saper accommodarsi al tempo.
- Med.
- Fortuna può ben le ricchezze torre
- Ma non l’animo franco.
- Ma l’uscio scocca, e s’apre.
- Esce Creonte de l’Imperio Greco
- Ne l’aspetto superbo.
Creonte, Medea
- Creonte
- Medea d’Eta figliuola,
- Scelerato lignaggio,
- E di malvagità colmo e ripieno,
- Ancor non porta il pie fuor del mio Regno?
- Certo ella macchinando
- Va qualche opra crudele:
- C’homai famosa è la sua fraude a tutti,
- E famose le mani.
- A chi perdonerà questa malvagia?
- E chi permetterà, che stia sicuro?
- Io m’era già proposto di levare
- Tosto col ferro questa grave peste.
- Ma il mio genero usando
- Meco preghiere, al fin pur vinto m’have.
- L’ho concesso la vita: ma partendo
- Liberi da paura le mie terre.
- E sen vada secura.
- Vedi, com’ella viene
- Verso di me con fiero aspetto; e pare,
- Che con minaccie di parlarmi cerchi.
- Vietate, che s’accosti
- Servi; e dite, che taccia.
- Et impari una volta
- Obedire a ch’impera.
- Partiti immantenente,
- E vanne altrove con veloce piede,
- Portando teco e conducendo un Mostro
- Horribile e crudele.
- Med.
- Per qual difetto mio mi dai l’esilio?
- Cr.
- Questa innocente Donna
- Domanda la cagione,
- Onde a perpetuo esilio la condanno.
- Med.
- Se giudicar ti piace,
- Si come giusto l’altrui causa, ascolta:
- Se, come Re, comanda.
- Cr.
- O giusto o ingiusto, che si sia, conviene,
- Che al mandato d’un Re sij obediente.
- Med.
- Sappi, che i Regni ingiusti
- Non sogliono durare.
- Cr.
- Va pur, e cerca Colco.
- Med.
- Io son per ritornarvi,
- Ma chi quì mi menò, mi vi riduca.
- Cr.
- La notte troppo tarda
- Viene al decreto mio.
- Med.
- Un Re giusto non suole
- Terminar contra alcuno.
- Se pria non ode la contraria parte.
- E se ben fosse giusto
- Il suo giudicio, esso gia non fu gia giu.
- Cr.
- Da te riceve Pelia indegna morte:
- Ma favella, ch’io voglio,
- Ch’a la tuo nobil causa si dia loco.
- Med.
- Quanto difficile sia
- Di sgombrar l’ira fuori
- De l’animo, che gia se ne sia acceso:
- E quanto questa passion tenace
- Faccia seggio in un Rege,
- Hello imparato anch’io
- Ne la mia Real corte.
- Che quantunque io mi trovi
- In così miserabile ruina
- Abbattuta, scacciata
- Supplice, sola, e da ciascun nel fine
- Misera abandonata;
- Già fui pur risplendente
- D’illustre e Real padre,
- Et è mio avo il Sole:
- E tutto, quel che Fasi irriga e bagna
- Con piacevoli giri,
- E tutto quel, che ’l Ponto
- Scithico a dietro vede:
- E di donde addolcisce
- Il mar ne l’acque poi palustri; e quanto
- Suol spaventar la schiera
- De l’armate Danzelle,
- Rinchiusa da le rive
- Del Thermodonte, tutto
- Soggiace al padre mio.
- Dunque discesa d’alta
- Prole, figlia di Re, felice fui.
- Alhora addimandar le nozze mie
- Quei, c’hor son dimandati:
- Ecco l’empia fortuna
- Volubile e fugace
- M’ha levata dal Regno
- Hora e in esilio posta;
- Dunque confida tu ne’ Regni tuoi,
- Quando un picciol momento
- Volge sossopra i Regni.
- Quest’hanno i Re nel vero
- Magnifico e gran dono, e proprio loro,
- E che non può levar tempo ne morte:
- Il sovvenir a miseri, e raccorre
- I supplici e scacciati ne’ suoi tetti
- Con fedeltà et amore.
- Solo ho portato questo
- Fuori del Regno mio
- L’haver servato l’ornamento e ’l fiore
- Et i presidi de la gente Greca,
- E la prole famosa de gli Dei.
- Dunque Orfeo è dono mio,
- Che col suo canto rende molli i sassi,
- E insieme con le selve
- A le sue note tira.
- Cosi mio dono è Castore e Polluce,
- E di Borea i figliuoli,
- E Linceo, che la vista ha sì sottile,
- Che le cose oltre mar penetra e vede.
- E tutti i Minij: però ch’io mi taccio
- Del Duce di quei Duci,
- Per il qual fasto nulla mi si deve.
- Questi imputo a niuno,
- A voi ridotto ho glialtri.
- Ne mi si puote opporre
- Fuor, che questo: che sol per mia cagione
- E’ tornata la nave, che fece Argo.
- Se a me fosse piaciuto
- La mia virginità, se ’l padre mio,
- Insieme con sì grandi e chiari Heroi,
- Grecia hora ne saria tutta distrutta.
- E primo fora stato
- Tolto di vita da i feroci Tori
- Questo genero tuo.
- Sia pur la causa nostra
- Da qual si vol fortuna oppressa e vinta:
- Nè m’incresce d’havere
- Conservati cotanti huomini illustri.
- Tutto quel guiderdone,
- Ilqual da la mia colpa ho ricevuto
- E’ sol presso di te. Se ti gradisce,
- Condannami per rea.
- Ma intendi il mio peccato,
- Son nocevole: questo
- Lo confesso Creonte:
- Matal sapevi, ch’io
- Era, quando io ne venni
- A piedi tuoi, et humilmente chiesi
- La fede, e la tua mano
- Benigna e protretice
- Io cheggio, che concedi,
- C’habitar possa in questa tua cittate
- In luogo abietto e vile,
- Nascoso, e dove i miseri si stanno.
- E, se ti piace pure
- Scacciarmen fuori; almeno
- Mi si conceda nel tuo Regno un loco
- Lontano; ov’io dimori.
- Cr.
- Assai bene ho dimostro,
- Ch’io non son di que’ Regi,
- Che reggon con la forza il Regno loro,
- E che col pie superbo
- Soglion calcar i miseri: anzi sono
- Liberale e pietoso,
- Havendo eletto per genero mio
- Huomo esule et afflitto,
- E pieno di terrore:
- Che te brama a la pena
- Et a la morte. Acasto,
- Ilqual hor di Thesaglia il Regno tiene,
- Si duol, che ’l debol padre
- Per la molta vecchiezza
- Da te sia stato occiso;
- E del vecchio le membra
- Divise e guaste piagne,
- Alhor che le sorelle
- Dal tuo inganno sospinte
- Si misero a quell’opra
- Si scelerata e ria.
- E puo Giason, se tu la tua rimovi,
- La sua causa difender giustamente:
- Però che nessun sangue
- Contaminate ha le sue pure mani,
- Ne adoprò mai la spada
- Empiamente: ma sempre
- S’è serbato innocente.
- Ma tu machinatrice d’ogni male,
- A cui la feminil malitia porge
- Ardire a ogni opra rea,
- E in questo hai forza assai piu, che virile;
- Esci non pur di questa mia cittade,
- Ma di tutti miei Regni:
- Purgali di te stessa,
- E porta teco le mortifer’ herbe,
- E i cittadin d’ogni paura sciogli.
- E stando in altra terra
- Quivi a tua voglia i Dei scongiura e prega.
- Med.
- Tu comandi, ch’io fugga.
- Rendimi la mia nave,
- O torna il mio compagno,
- Perche, vuoi tu, ch’io me ne fugga sola;
- Poi, che sola io non venni?
- Se tu temi haver guerra,
- Luno e l’altro discaccia del tuo Regno.
- Perche contra ragione
- Due colpevol distingui?
- Io Pelia non occisi
- Per me, ma per lui solo.
- La fuga aggiugni, le rapine, e ’nsieme
- L’abandonato padre,
- E ’l lacero fratello.
- Ne similmente è mio
- Quel, che ’l marito insegna
- A le novi moglieri.
- Tante fiate io sono
- Stata nocente altrui:
- Ne mai per mia cagione.
- Cr.
- Gia gran pezza conviene,
- Che fosti uscita: a che con le parole
- Vai trattenendo il tempo, e fai dimora?
- Med.
- Io ti prego partendomi humilmente,
- Che non nocqua a figiuoli
- La colpa de la madre,
- I quai sono innocenti.
- Cr.
- Vanne tu pur: ch’io ti prometto certo
- Riceverli appo me, si come padre,
- Med.
- Deh ti prego Signore
- Per le felici nozze
- Di tua figliuola:
- Per le speranze tue, per li tuoi Regni,
- I quai da fortuna,
- Che mai non serba un stile
- Sogliono esser percossi et agitati;
- Che, mentre io m’apparecchio,
- Al duro esilio mio,
- Mi concedi un sol giorno
- Di potermi fermare
- In questa tua cittate,
- Acciò, ch’intanto io possa
- A miei figliuoli dar gliultimi baci,
- Come, quella, che forse
- Morrò, pria, ch’altra volta gli rivegga.
- Cr.
- Tu mi domandi tempo
- D’adoprar le tue frodi.
- Med.
- E qual frode temere
- Si puo in si picciol tempo?
- Cr.
- Picciol non è alcun tempo
- Al mal, che si procuri.
- Med.
- Tu vuoi negar un poco
- Di tempo al lagrimare?
- Cr.
- Quantunque la temenza
- Mi vieta, che i tuoi preghi
- Sieno da me esauditi;
- Io ti concedo un giorno
- Da poter preparar le cose tue:
- Med.
- Questo è troppo; e di lui
- Puoi reciderne parte.
- Cr.
- Hor sollecita e affretta la partita:
- Perché, se ’l dì ti trova
- Ne la città, ti accerto,
- Che n’anderà la testa.
- Hor son chiamato a celebrar le nozze.
- Coro
- Troppo audace colui
- Fu, che primo con legno
- Così frale e si poco
- Avezzo a serbar fede
- Ruppe l’ondoso mare:
- E veggendo la terra
- Restar dopo le spalle
- Commise la sua vita
- Alieni venti; e pote
- Correndo il mar fidarsi a piciol legno
- Tra la morte e la vita
- Posto in breve confino.
- Non conosciuto ancora
- Havea le stelle alcuno:
- Nè di queste nessuno
- Serbava l’uso: non poteano ancora
- Fuggir le navi quelle,
- Che son Pleiude dette,
- Nè l’Hiade parimente,
- Nè ancor l’Olenia capra.
- Non quelle, che seguite
- Son dal tardo Boote,
- Tardo in guidar il carro.
- Non era ancora il nome
- Di Borea, nè di Zefiro. Fu primo
- Tisi ad haver ardire
- Spiegar le vele a i venti;
- E dar lor nuova legge.
- E in varie guise raccogliendo i venti
- Andar solcando il mare:
- E troppo avido fue
- Il navigante di veloce corso.
- I nostri antichi padri
- D’ogni fraude lontani
- Fur contenti di starsi
- Otiosi a godersi i propri lidi
- E i vecchi fatti ricchi
- In picciolo terreno
- Non conosceano altre ricchezze, fuori
- Che del natio terreno.
- Ma il mondo, che diviso
- Era fece tutt’uno
- La nave di Thesaglia
- Che prima corse il mare
- E gl’insegnò a patire
- Le ferite e percosse;
- E ’l mar, ch’era diviso
- Divener ratto parte
- De la paura nostra;
- E ben potrò ancor’essa
- Di gravi pene: quando
- Due monti, che chiudeano il mar profondo;
- Di quà di là, come percossi intorno,
- Gemer con alto suono,
- Che parea che venisse infin dal cielo;
- E ’l mar gravato l’onde
- Innalzò insino a le lucenti stelle,
- E sparsero di lor le folte nubi.
- Alhor s’impallidio
- Tisi, e lasciò tutte le briglie al legno.
- Si tacque Orfeo, e riposò la lira.
- E l’istess’Argo ancor perdeo la voce.
- E alhor, che la donzella
- Del sicilian Peloro,
- Che ’l ventre ha cinto di rabbiosi cani,
- Aprio tutte le bocche,
- Chi non tremò tutto dal capo al piedi?
- Chi similmente alhora,
- Che le Sirene fiere
- Con piacevole canto
- Acchetavano il mare?
- Alhor, che ’l Thracio Orfeo
- Avezzo a ritener con la sua cerva
- Le navi, quasi astretto
- Fu a seguir le Sirene?
- E qual fu ’l premio al fine
- Del periglioso corso
- L’aurata pelle, e seco
- Un maggior mal, Medea,
- Degna nel vero merce
- De la primiera nave.
- Hor già ci cede il mare,
- E patisce ogni legge.
- Nè Argo solamente
- Fabricata da Pallade, laquale
- Condusse i sacri Heroi,
- Il mar preme, ma ancora
- Ogni picciola barca.
- Ogni termine è smosso;
- E nuove città e mura
- Han posto nel terreno;
- E ’l mondo, che si puote
- Varcar, non ha lasciato alcuna cosa
- Nel proprio luogo. L’Indo
- Bee de l’Arasse, e ’l Perso
- E de l’Albi e del Rheno.
- E verran dopo molto corso d’anni
- Secoli, in che l’immenso
- Oceano aprirà le chiuse strade
- De la celata parte
- E manifesterà tutta la terra.
- E discovrirà Tisi
- Nuovi mondi; nè sia
- Ultima al mondo Thile.
Il fine del secondo Atto