Macbeth/Atto quarto
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ATTO QUARTO.
SCENA I.
Luogo aperto
ROSSE e LENOX.
rosse.
Io v’addito la via che può condurvi
Sulle tracce del ver. Le mie parole
Ben pomderate. - In lagrime Macbetto
Si stemprò per Duncan: la cosa è chiara.
Sepolto egli era. Il caro egregio Banco
A tardissima notte in via si pose.
Potria, chi n’ha talento, andar cianciando
Che lo uccise il figliol, perchè Fleanzio
Fuggì. Mal cauto chi viaggia al bujo!
Ma come immaginar che mostri tali
Fossero Donalbano e suo fratello
Da piantar nel più tenero dei padri
Il pugnal del sicario? Enorme colpa
Che die’ grave cordoglio al pio Macbetto.
In un sacro furor ha svenato
Egli i due parricidi avvinazzati
E sonnolenti? Nè fu quella un’opra
Bella al par che prudente? E senza sdegno
Ascoltar li potea quel buon signore
Respingere l’accusa? Oh, molto adunque
Com’io dissi, prudente! E se per caso
Malcomo e Donalban (che Dio nol voglia!)
Cadessero in quell’ugne, io v’assecuro
Dovrebbero imparar qual fio si merti
L’assasinio d’un padre: e tal saria
Pur di Fleanzio. - E il sir di Tife? Un detto
Libero, e il non tener dell’oppressore
L’invito periglioso, alla sua rabbia
L’han fatto segno. Ne sapete? Ignoto
Non v’è dove Macduffo or si ritrovi?
lenox.
Malcomo, il primogenito ed erede
Dell’ucciso Duncano a cui Macbetto
La corona ha rapita, or vive in Corte
Di Eduardo, bandito ed onorato
Come un vero monarca, e le amarezze
Dell’esilio non sente. Anco Macduffo
Corse in terra britanna a supplicarvi
Quel santo re di moverci in ajuto
Il valoroso condottier Sivaldo,
Perchè, protetto dal Signore, abbatta
Il cruento tiranno, e ne ridoni
Le nostre notti di tranquillo sonno;
E perchè dalle mense e dai conviti
Ne allontani il pugnal dell’assassino,
Raccogliendoci ancor sotto lo schermo
De’ legittimi prenci, a cui si possa
Prestar senza viltà l’antico omaggio:
Beni che indarno sospiriam. - Le nove
Della nostra miseria, ivi racconte,
Tanto furor nel despota svegliaro
Che, per trarne vendetta, armi ed armati
Apparecchia alla guerra.
rosse.
E per Macduffo
L’oppressor non mandò?
lenox.
S’; ma quel messo
(A cui diè netto e pieno il sir di Fife
Un rifiuto) accigliato e scuro in volto
Gli ómeri gli voltò con tal minaccia:
« Signor! del congedarmi a questo modo
Pentirvene potreste. »
rosse.
Ottimo avviso
Perchè più se ne scosti. Oh, qualche santo
Cherubin lo preceda in Inghilterra,
E il buon Eduardo il cor disponga
Asecondarne la preghiera, e trovi
Nel suo giungere un’oste in tutto punto
Per la salute della patria, oppresa
Dal demonio incarnato!
lenox.
Ed or ne andate?
rosse.
A Fife. Consolar la donna sua,
Difenderla, potendo, ecco il mio fine.
Si allontanano parlando.
SCENA II.
Vasta e buia caverna. In mezzo una caldaia al fuoco.
ECATE, le tre STREGHE.
prima strega.
Perchè, maestra, quell’aria fiera?
seconda strega.
Perchè ci guardi così severa?
ecate.
Nè il debbo, o vecchie prive di senno?...
Voi, voi che osaste senza il mio cenno,
Posto in non cale dover, rispetto,
A questo laccio tirar Macbetto?
E con enimmi, con voci arcane
Spingerlo ad opre bieche, inumane?
Ed io che tengo su voi l’impero,
Io che v’inspiro il mio pensiero,
Io che v’appresi la magic’arte,
Di tal triongo non venni a parte?
Alla maestra, prima orditrice
D’ogni sventura, nulla si dice?
E chi, sfacciate, chi feste segno
De’ vostri incanti? Quell’uomo indegno,
Vano, arrogante, che la sua fama
Solo accarezza, ma voi non ama.
Emenda almeno fate al trascorso:
Compite l’opera col mio soccorso.
Tra voi m’avrete. Vo’ che v’assista
La mia presenza da lui non vista.
Verrà Macbetto di buon mattino
A farvi inchiesta del suo destino:
Ch’io non vi vegga le mani in mano,
Giacchè l’albore non è lontano.
Tutti gli spirti mandarvi io voglio
Che servi e schiavi son del mio soglio.
Tesserò frodi di tal natura
Che la sua mente divenga oscura,
E d’una febbre d’audacia presa
Forte si creda per ogni impresa.
Nel suo delirio quel forsennato
Vo’ che disfidi l’immobil fato.
E colla benda della follia
Segua il fantasma che lo travia.
Voi già sapete come fatale
Questa baldanza torni al mortale.
(Ecate dispare nella caldaja.)
SCENA III.
le tre STREGHE.
prima strega
Tre volte il gatto miagolò.
seconda strega.
L’istrice anch’esso tre volte urlò.
terza strega.
Gemito dell’arpa nell’aere sento.
Sirocchie all’opra! Questo è il momento.
(Si mettono a danzare intorno alla caldaja.)
prima strega
Giriamo la pentola,
Soffiam nelle brace,
Versiamole i tossici
Nel ventre capace.
seconda strega.
Rospo, tu che trenta notti,
Trenta dì non interrotti
Dietro un sasso accovacciato
Di venen ti se’ gonfiato
Scendi primo e ti volta e rivolta
Nel bollor della magica polta.
tutte e tre.
Mano sollecita,
Carboni all’olla,
Sì che la méscita
Bolla e rbolla.
prima strega.
Coda di rettile
Cresciuto in sozza
Torba di pozza;
Dente di botolo,
Lingua di vipera,
Piè di lucertola,
Pelo di nottola,
Tutto dispaja
Nella caldaja.
Tutto si cuoca per l’opra fatale,
Tutto gorgogli nel brodo infernale.
tutte e tre.
Mano sollecita,
Carboni all’olla
Sì che la mescita
Bolla e ribolla.
prima strega.
Squamma di drago, mummia di fata,
Cicuta a mezza notte sbarbata,
Piè di ramarro, vorace strozza
Di can marino, fiel di camozza,
Scana di lupo, fegato e core
Di circonciso bestemmiatore,
Frasca di tasso, dal tronco scissa
Mentre la luna nel ciel s’eclissa.
Dito di bimbo, da laida fante
Nato e sgozzato lo stesso istante;
Giù tutto quanto nel cupo vaso;
Giù questo labbro, giù questo naso
Naso d’un turco, labbro staccato
Dalla mascella d’un rinnegato;
Poi le minugia d’una pantera
Faccian la polta più densa e nera.
Tutte e tre.
Mano sollecita,
Carboni all’olla
Sì che la mescita
bolla e ribolla.
Prima strega.
Compiuto è l’incanto. Freddiam la mistura
Con sangue di scimmia che secca e indura.
seconda strega.
Neri, candidi,
Rossi spiriti,
Voi che mescere
E rimescere
Ben sapete,
Su! mascete,
Rimescete!
(Appajono molti spiriti e rimestano la caldaja.)
terza strega.
Nel dito mignolo
Sento una doglia.
Alcuna perfida
Cosa n’è presso
Sia chi si voglia,
Trovi l’ingresso.
SCENA IV.
MACBETH, le STREGHE, indi apparizioni diverse.
macbeth.
Che fate, voi misterïose donne?
tutte e tre.
(contemporaneamente).
Un’opra senza nome.
macbeth.
Oh, per la vostra
Tenebrosa scïenza io vi scongiuro
D’una risposta! E pur che l’abbia, il mezzo
Non v’atterrisca. Sprigionate i nembi
Per abbattere i templi; il mare turbate
Per calar nell’abisso ogni naviglio;
Riversate la grandine sui campi
Lieti di messe, e torri, e salde rôcche
Ruinate sul campo a’ lor custodi;
Piramidi, plagi al suol gittate
Da cima a fondo; scompigliate in somma
Tutta quanta la terra e l’universo,
Ma rispondete!
prima strega.
Parla!
prima strega.
Chiedi!
terza strega.
Avrai
La risposta che invochi.
prima strega.
Udir la brami
Dal labbro nostro, o dalle posse arcane,
cui soggette noi siamo? È tua scelta.
macbeth.
Evocatele! Udir, veder le voglio.
le tre streghe.
Dall’aere scendete,
Dal suolo sbucate,
Dall’onda sorgete!
(Tuono. Un capo armato s’alza dalla caldaja.)
macbeth.
Dimmi, ignoto poter....
prima strega.
Nel tuo pensiero
Egli già penetrò. Lo ascolta e taci.
il capo
O Macbetto, Macbetto, Macbetto!
Da Macduffo prudente ti guarda,
Ciò ti basta, non volgermi detto.
macbeth.
Grazie, chiunque sii, di questo avviso.
Alla incerta mia tema un segno additi;
Ma dimmi ancor....
(Il capo sparisce.)
prima strega.
Comandi egli non soffre.
Eccoti un altro più di lui possente.
(Tuono. Comparisce un fanciullo insanguinato.)
fanciullo.
O Macbetto, Macbetto!
macbeth.
Io m’empirei
Quattro orecchie di te, sol che le avessi.
fanciullo.
Sii pur, Macbetto, impavido e feroce;
Sangue versa atuo grado, e dell’umano
Poter ti beffa, perocchè la mano
D’uom che nacque di donna non ti nuoce.
(Sparisce nella caldaia.)
macbeth.
Dunque vivi, o Macduffo! Or di paure
Più cagion non mi dai…. Ma no! Vestirmi
Vo’ di doppia lorica, ed al destino
Chiedere un’arra…. Sì, morrai! Ch’io possa
Dir finalmente al mio destin: « Tu menti!»
E tranquillo dormir fra le tempeste.
(Un fanciullo coronato con una fronda in mano.)
macbeth.
Che s’innalza colà? Progenie parmi
di re quel fanciulletto: intorno al capo
Cinte ha le bende di chi regna.
le tre streghe.
Ascolta,
E raccogli in silenzio i detti suoi.
fanciullo.
Nella ferocia, nell’ardimento
Lion ti mostra, né darti cura
Se un tuo vassallo leva un lamento,
Se t’odia un altro, se in te congiura.
Solo, o Macbetto, cader potrai
quando vedrai
Birnàm, l’antica selva lontana,
Sotto la cerchia di Dusinana.
(Si sprofonda.)
macbeth.
Ciò mai non avverrà. chi dice al bosco
Come al guerrier: «Mi segui, e le profonde
»Radici che t’avvincono alla terra
»Sbarbica e corri?» Oracolo felice!
Non potrà la rivolta alzar la fronte
Pria che smossa non sia dal letto antico
La selva di Birnam. Vivrai, Macbetto,
gli anni che la natura a te concede,
senza porgere ad altri il tuo tributo
Fuor che alla legge universal.- Ma d’oltre
Saver mi batte desioso il core.
Dite (se l’arte vostra a tanto arriva)
La progenie di Banco avrà lo scettro
Di questo regno?
le tre streghe.
Nol cercar!
macbeth.
Lo voglio!
Se negate appagarmi, ora e per sempre
Cada sul vostro capo…
(Suoni armoniosi.)
Oh, qual concento?....
E perché sprofondò quella caldaja?
prima strega.
Apparite!
seconda strega.
Apparite!
terza strega.
Apparite!
tutte e tre.
Apparite! Affliggetegli il core,
Poi di novo qual ombra sparite.
(Otto re appariscono l’un dopo l’altro passando con lenti e lunghi
passi innanzi a Macbeth. Da ultimo Banco con uno specchio in
mano.)'’
macbeth.
(Mentre la visione gli passa innanzi.)
Tu, lo spirto di Banco a me ricordi.
Va’! vanne! I raggi della tua corona
M’arroventano gli occhi. – Alla sembianza,
Al serto d’oro che ti splende in capo,
Tu che vieni secondo il primo agguagli.
Via da me, sciagurato! – Ad essi il terzo
Pur rassomiglia…. Maliarde! E questo
Mi rivelate?.... Un quarto ancor?.... Dal fronte
Spiccatevi, occhi miei!... Ma dunque il seme
Di cotal razza finirà soltanto
Col novissimo dì?... Che veggo?...Un altro?
Un settimo…. Non più! Ritirar lo sguardo
Da tal vista vogl’ io…. Ma già l’ottavo
M’ appar con uno speglio, e dentro a quello
Molti e molti re scerno…. Orrendo aspetto!
S’ addoppiano i diademi, in tre si parte
Lo scettro…. O dura verità! Lo spettro
Sanguinoso di Banco a me li addita
Come sua prole; e mi dileggia…. E quanto
Mi contamina gli occhi avrò sustanza.
prima strega.
Sì! – Ma perché
Turbato è il re?
(Macbeth sviene.)
Via! sereniamgli l’anima mesta
Con una danza, con una festa.
Scegliamo il fiore dei nostri incanti,
Risoni l’ aria di dolci canti;
Dica Macbetto che le tre suore
Gli han fatto onore.
(Dopo una breve danza spariscono.)
macbeth.
(Si ridesta.)
Ove sono?.... Sparite! Ah, sia quest’ ora
Maledetta in eterno!.... Olà!
SCENA V.
MACBETH e LENOX.
lenox.
Che brami,
Mio re?
macbeth.
Viste non hai quelle fatali
Femmine?
lenox.
Io no, signore….
macbeth.
Eppure innanzi
Ti passar.
lenox.
Ma nessuna io n’ ho veduta,
Veracemente.
macbeth.
Cha la peste ammorbi
L’ aria che le trasporta; e la sciagura
Coglia chi crede alle bugiarde. – Intesi
Strepito di cavalli. A me sapresti
Dir chi trascorse?
lenox.
Tre messaggi, o Sire;
e recâr che Macduffo in Inghilterra
Fuggì
macbeth
Fuggì Macduffo in Inghilterra?
lenox.
Sì, mio sovrano.
macbeth
O tempo! I miei disegni
Terribili previeni. Ha ratte l’ali
Il proposto; e se l’opra al par veloce
Non lo accompagna, si dilegua e sfuma.
Il moto primo del mio cor, da questo
Giorno, quello pur sia della mia mano.
E perché la parola incoronata
Vegna tosto dal fatto, al mio pensiero
Darò subita vita. Io di Macduffo
Assalir vo’ la ròcca; a fil di spada
Passar madre, fanciullie tutta intera
Quella razza abborrita, e scoppio d’ ira
Millantatrice non sarà. Si faccia
Anzi che il mio volere intiepidisca.
Ma non più di fantasmi. – Ove n’ andaro
Quei messi? A lor mi guida.
(Partono.)
- SCENA VI
- Un giardino.
- SCENA VI
- MALCOM e MACDUFF.
- malcom
- Una riposta
- malcom
- ombra cerchiam, che dar libero sfogo
- Ne conceda al cordoglio.
- macduff.
- O meglio un ferro
- macduff.
- Recarci in pugno, e racquistar sul campo
- Con virile ardimento i conculcati
- Nostri diritti, o mio prence. Alba non sorge
- Che funestata dal dolor non sia
- Di vedove recenti e di recenti
- Orfani, né si levi un novo pianto
- Al ciel che lo ripete, e par che soffra
- Colla Scozia egli pure.
- malcom
- Io sol compiango
- malcom
- Quello che credo, e credere non voglio
- Se non quello ch’ io so. Pur ch’ io sorviva
- Tempo meno infelice, a questi mali
- Cercherò riparar. Saran le cose
- Come tu dici; nondimen quel mostro,
- Quell’ oppressore, il cui nome soltanto
- La lingua impiaga, d’onorata fama
Circondavasi un giorno, e tu lo amasti;
Né fino ad ora egli ti offese. Io sono
Un povero garzone, e farti un merto
Tu puoi per mezzo mio; chè saggio avviso
È d’offrire al coltello un agnellino
Per placar la temuta ira d’un nume.
Ma sono io forse un traditor?
Piegarsi
Repugnante al voler del suo signore
Anche il buono potrebbe. A’ miei sospetti
Perdona. Il mio pensar non ti trasmuta,
Macduffo; e qual tu sei rimani ognora.
Non perdono di luce i cherubini
Benchè sieno dal cielo i più lucenti
Di lor caduti. Se vestir le forme
Della virtù dovesse il più schifoso
Dèmone dell’inferno, ella d’aspetto
Non cangeria.
Perdute, oimè, son tutte
Le mie speranze!
E dove i miei timori
Forse io trovai. — Ma che? La sposa, i figli,
Questi pegni d’amore all’uom sì cari;
Lasciar potevi tu senza un addio,
Senza un bacio, in balia di quel tiranno?
Perdonami, Macduffo! Una difesa
Per me, non un oltraggio alla tua fede
Ne’ miei dubbi ti suoni; e ti conforta
Che men giusto non sarei per quanto ingiusto
Sia quel concetto ch’ io di te mi faccia.
macduff.
Versa dunque il tuo sangue, o miseranda
Scozia! E tu, tirannia, più salde ognora
Pianta le basi del tuo trono! Il figlio
Di quest’ ottimo re che tu tradisti,
Riversarti non osa. Addio! Per tutte
Le terre, o prence, che sotto il flagello
Gemono di Macbetto, e pei tesori
Tutti dell’ Oriente, io non vorrei
Diventar quell’ abbietto, infame schiavo
Che mi credete.
malcom.
Oh no, le mie dubbiezze
Non t’ irritino, amico! Io non diffido
Più di te che d’ ogni altro. Il ferreo giogo
(Dico tra me) d’ un despota efferato
Preme il nostro paese, e pianto e sangue
Sparge. Credere io non vo’ che piaghe nuove
Gli rechi il novo dì, né metto in forse
Che molte e molte braccia, al mio venirne,
Vedrei levarsi, e sostener coll’ armi
La mia buona tagione, e col soccorso
Dei quattromila battaglieri, offerti
Dall’ Anglia genetosa, il mio retaggio
Riconquistarmi. Ma di’ tu! Se tronco
E confitto avess’ io nella mia spada
Vincitrice quel campo, assai peggiore
Non sarebbe il destin della infelice
Scozia? Ben altre e più gravi sventure
Dal successore tollerar dovria!
macduff.
Da chi?
malcom
Da me, Macduffo. Il germe io chiudo
D’ ogni sozzo appetito, e, pur che dato
Ghi sia sbocciar, quel negro usurpatore
Candido si faria come la neve;
E la belva feroce un mite agnello
Comparata a Malcomo.
macduff.
Ed han le bolge
Dell’ inferno un dimon più mostruoso
Di Macbetto?
malcom
Crudel, sanguinolento,
Falso, voluttuoso, ingannatore,
Rapace, avaro quanto vuoi; sentina
Di tutti i vizj conosciuti; e pure
La libidine mia non ha confine,
Né si può saziar. Da questa febbre
Che mi divora non avria riparo
L’ onestà, l’ innocenza, e fino
Il sacro velo del chiostro; violenta e cieca
Soverchiar la vedresti argini e dighe.
No, no! Regni Macbetto anzi che un uomo
Di tal natura.
macduff.
È ver; la intemperanza
È tirannide anch’ essa, ed anzitempo
Molti re capovolse e molti troni.
Non vi storni però dal porre in capo
La paterna corona. Un vasto campo
V’ offrirà la grandezza, ove potrete
Largamente appagar questa sfrenata
Voluttà. Pur che tutto occulto e chiuso
Stia fra quattro pareti, e voi con senno
Governiate la Scozia, un dio le gento
Vi crederan.
malcom.
Fra tanti iniqui semi
Che germogliano in me, la cupidigia
Più d’ ogni altro mi rode; e quando io fossi
Pieno signore, diverrei la piaga
De’ vassalli, uccidendo o quello o questo
Per averne castella, oro, poderi,
Senza mai saziar le ingorde brame.
La mia stessa dovizia un argomento
Saria per irritarle; e false accuse
Macchinando verrei per dare a beni
Non miei di piglio.
macduff.
Più cupe e tenaci
Pianta la cupidigia in cor dell’ uomo
Le sue radici, cahe la vile e brutta
Lussuria. Il gel degli anni alfin la spegne;
Ma l’ avarizia per l’ età s’ accresce.
Questa furia impugnò lo scellerato
Ferro che uccise il nostro re. Ma bando,
Prence, al timor. La Scozia ò ricca, e paga
Vi farà l’ ingordigia; e se redento
Sia questo vizio da virtù sublimi,
Tollerarlo saprem.
malcom.
Virtù? Nessuna.
Di quelle doti che fan bello il trono,
Giustizia, verità, perseveranza,
Fermezza, ardir, munificenza, e core,
Clemente, umile, pio, non è pur ombra,
Macduffo, in me; ma tutti i vizi opposti
Messa v’ hanno la sede. Io, se potessi,
Spargerei di veleno il dolce latte
Della concordia, e bandirei da tutto
L’ orbe la pace.
macduff.
O Scozia infortunata!
malcom.
Vedi, se tale un uom saria capace
Di regnar!
macduff.
Di regnar? Sarebbe indegno
Di vivere un tal mostro. O patria mia.
Dal fiero scettro d’un ladrone oppressa!
Come, oh, come sperar men dolorosi
Giorni puoi tu, se il vero, il giusto erede
Della corona sé medesmo accusa
Di tali e tante iniquità, bruttando
La purissima fonte ond’ei procede?
Colui che vi fu padre era il migliore,
Era il santo dei re. La madre vostra
Stava più che sui piè sulle ginocchia;
E solea ciascun dì devotamente
Prepararsi alla morte. – Addio! Que’ vizj
Che non v’è grave confessar, cacciato
M’han dal loco natio! Mio cor, mio core!
Or sepolta, e per sempre, è la tua speme.
malcom.
Macduffo! Questo tuo nobile sdegno
Nato dal ver, fin l’ombra del sospetto
M’ha fugato dall’alma, e persuaso
Dell’onor tuo, della tua fede. Agguati
La perfidia infernal dell’oppressore
Troppi n’ha tesi, ond’io pieghi l’orecchio
Credulo ad ogni labbro. Or sia l’Eterno
Testimon fra noi due. Nelle tue mani,
D’oggi in poi mi confido; e ciò ch’io dissi
Simulando, rivoco. Il negro
Color di cui mi tinsi, e quale io sono
Tale io mi paleso. Ignora al tutto
Questi vizi il mio core; intemerat
Mi serbai l’innocenza; i beni altrui
Volto gli occhi io non ho. Che dico? I proprj
Lusingar non mi san. Reo di spergiuri,
Reo di frodi io non sono, e men del vero
Cara ho la vita. La prima menzogna
Dalle mie labbra proferita è quella
Che ritorsi pur or contro me stesso.
Quanto io son veramente e quanto io valgo
è tuo, Macduffo, e della patria. Il prode
Sivardo, anzi il tuo giungere, le mosse
Prendervi disponea con dieci mila
Ben agguerriti combattenti. A questi
Noi terrem dietro, e piaccia a dio che vinca
La buona causa!... Tu non parli?
macduff.
Un male
Che si muta in ben non si concilia,
Principe, così tosto.
malcom.
A lungo ancora
Ne parleremo. – Chi s’ accosta?
SCENA VII
I precedenti, ROSSE.
macduff.
Ancora
Che bene io nol distingua, un uomo, o prence,
Di nostra terra.
malcom.
Ben venuto, egregio
Signore!
macduff.
Or lo ravviso. A qualche buono
Angelo piaccia allontanar da noi
Quanto estranei ci rende.
malcom.
È questo il voto
Purdel mio core. – La misera Scozia
Afflitta è sempre come pria?
rosse.
Paese
Misero in ver, che trema e raccapriccia
Di sé; fin di se stesso! E nostra culla
Dirlo più non deggiam, ma tomba nostra.
Nessun fuor del bambino or vi sorride:
Ma sospiri, ma gemiti, ma grida
V’ empiono l’aria inavvertiti. Alcuno
Più non chiede al vicin per chi rintocca
La funerea campana; e più repente
De’ fiori, onde s’ adorna il suo cappello,
Passa la vita del miglior. Si muore
Colà pria d’ infermar.
macduff.
Fatale è questa
Ma verace pittura.
malcom.
E qual recente
Misfatto or vi si piange?
rosse.
Eventi antichi
Ridice, o signor mio, chi le sventure
Narra dell’ ora che passò; ne reca
Di nuove ogni momento.
macduff.
E la mia donna?
rosse.
Ora è tranquilla.
macduff.
I figli miei?
rosse.
Tranquilli.
macduff.
Né turbata fu lor da quel tiranno
La calma?
rosse.
No. Lasciai la madre e i figli
In pienissima pace.
macduff.
Oh, di parole
Tanto avaro non siate! È veramente
Così?
rosse.
Quand’ io mi mossi, apportatore
Di queste nove lagrimose, il grido
Correa che molti buoni avea Macbetto
Fatti pur dianzi trucidar. La cosa
Credibile, mi fe’ dire e redire
De’ satelliti suoi. – Propizio è il tempo,
Principe. Al venir vostro in ogni mano
Una spada vedrete. Ò stanca tanto
De’ suoi mali la Scozia, che le donne
Le donne istesse pugneran per voi.
malcom.
Il saper che l’ ajuto s’avvicina
Di conforto le sia. Ci dà soldati
La cortese Inghilterra, e condottiero
Il pro’ Sivaldo ne sarà, la prima
Spada cristiana.
rosse.
Oimè, perché m’ è tolto
Rispondere altrimenti a questa nuova
Consolatrice? È cosa immane tanto
Ciò che udrete da me, che la dovrebbe
Sperdere l’aere in un deserto, dove
Strazïar non potesse orecchio umano.
macduff.
È sventura comune? O n’ è percosso
Soltanto un capo?
rosse.
Non v’ è cor che tocco
Di pietà non ne sia, benchè lo strale
non ferisca che voi.
macduff.
Più lungamente
Non mi lasciate dolorar su questo
Letto di bronchi! Che seguì?
rosse.
Macduffo!
Non vi cada in orror la mia parola
Se vi manda il più misero de’ suoni
Che labbra d’ uomo proferir.
macduff.
Presago,
Aimè, ne son!
rosse.
Fu presa ed abbattuta
La vostra rôcca. I figlioletti vostri,
La vostra donna tucidati. Il dirvi
Come avvenne il misfatto aggiungerebbe
La vostra a tante morti.
malcom.
O Dio del cielo!
Macduffo! Ah, no! Non premere sugli occhi
Quel tuo feltro così!... Da’, da’ la parola
Al tuo dolor. L’angoscia che non parla
Mormora dentro e spezza il core.
macduff.
I figli?...
Anche i miei figli?
rosse.
E figli e madre e servi:
Quanti trovaro.
macduff.
Ed io non v’ era!....Uccisa
Anche la donna mia?
rosse.
Vel dissi: uccisa.
malcom.
Non lasciarti avvilire! A questa piaga
Mortal sia medicina una vendetta
Sanguinosa, inaudita.
macduff.
Ei non ha figli!...
Tutti? tutti i miei teneri angioletti?
Tutti? Tutti, avvoltojo dell’inferno! Madre
figli, tutti avvinghiati in una sola
Stretta d’artiglio!
malcom.
Il tuo dolor combatti
Con virile virtù.
macduff.
Sì, ma sentirlo
Voglio ancor virilmente. Io non oso
Pensar che visse la cosa più cara
Per me dell’universo. – E tu, gran Dio,
Tanto vedesti, né pietà ti vinse?...
E per me, miserabile ch’io sono,
Il martirio patir? Del mio delitto
Scontar quelle innocenti alme la pena?
O Dio, Dio, la tua pace a lor consenti!
malcom.
Cote sia la sventura alla tua spada.
Muta in ira il dolor; fa’ che t’ infiammi,
- Non ti ammollisca.
- macduff.
- Oh, lagrime io potrei
- macduff.
- Versar come una donna, e come un empio
- Bestemmiar! – Tronca, o Dio, tronca gli indugi!
- Trammi al Satanno della Scozia incontro.
- Quanto è lungo il mio ferro a me lo accosta,
- E se vivente dalla man mi sfugge
- Possa tu perdonargli!
- malcom.
- Or maschio è il suono
- malcom.
- Della tua lingua. Vieni! Al re n’ andremo.
- Ogni cosa è disposta, e non ci falla
- Che il suo commiato. Già maturo al taglio
- È lo stame vital di quel tiranno,
- E son le forci nella man di Dio.
- Vieni! Nell’ armi e nella pugna affoga
- L’ impeto del dolor. Se non sorgesse
- L’ albore, eterna si faria la notte.
- (Partono.)