Letteratura romena/I. Letteratura popolare
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Capitolo I.
LETTERATURA POPOLARE
Allo stesso modo come è ormai dimostrato che alcuni strambotti siciliani moderni contenenti allusioni a fatti storici antichissimi ci conservano sostanzialmente i più antichi documenti poetici della letteratura italiana; è da ritenersi che anche la più antica letteratura romena non dovesse differir molto da quella popolare contemporanea. Sottoposta anch’essa, come la più antica letteratura scritta, ad influssi letterarii slavi e bizantini, ciò non ostante essa rappresenta — coi delicati ricami, i magnifici tappeti, le armoniose e ricche sculture in legno, le note appassionate e boscherecce della «doina»; l’anima del popolo che le dette i natali e perciò l’espressione più pura della razza: la «vera» letteratura romena, cui si riannoderà più tardi il movimento etnico-letterario del «Semănătorul» (Il Seminatore) promosso dal Iorga nella rivista dal medesimo titolo e si riannoda anche oggi la corrente più sana della letteratura contemporanea. Riteniamo perciò necessario incominciare questa rapida esposizione della letteratura romena dalla poesia popolare anche per ragioni cronologiche, in quanto una letteratura popolare, sostanzialmente identica all’attuale, dovè esistere in Romania assai prima del secolo XV, quando cominciano ad apparire i primi documenti di letteratura colta.
Lo stesso nome di «Cântece bătrânești» («Canti degli antenati») mostra come il popolo romeno sia cosciente dell’antichità della sua poesia popolare narrativa. Si tratta di canti che ci raccontano (in una forma melodica particolare) antiche leggende intorno ai Voivodi romeni, storici o leggendari, lotte contro i Tartari o i Turchi ovvero tra pastori romeni di diverse regioni, e soprattutto le gesta di quei simpatici e generosi briganti, vendicatori dei soprusi fatti al popolo dai «boieri» (signori) o dai «ciòcoi» (risaliti), che son gli «haidùci». Capolavori di questa specie di ballate epico-liriche, messe recentemente a profitto da Panait Istrati nella sua ben nota «Présentation des Haïdoucs» (Paris, Rieder, 1925), sono la delicatissima «Miorița» («Agnellina»), in cui la più affezionata delle pecore rivela al pastore la sua prossima morte per mano di tre rivali, che voglion derubarlo del gregge; e la drammatica «Legenda Mânăstirei Argeșului» (La leggenda del Monastero di Argeș), in cui un leggendario architetto, Maestro Manole, s’induce a murar viva nella nuova fabbrica la donna amata per romper l’incantesimo, che faceva crollar durante la notte quanto era stato faticosamente costruito durante il giorno.
«Miorița» è l’espressione più delicata ed autentica dell’anima popolare romena e non trova perciò alcun riscontro nella letteratura popolare degli altri popoli. La dolcezza pastorale del paesaggio, la serenità con cui è considerata la morte, la semplicità e la tenerezza degli affetti familiari che in essa si riflettono; fan di questa poesia un vero capolavoro di delicatezza e di profondità, che testimonia di un senso del bello molto progredito e raffinato.
Sentite la risposta del pastore alla pecorella che gli ha rivelata la sua prossima morte:
ch’io ascolti il latrato dei cani. |
(V. Alexandrì, Poezii populare ale Românilor.
București, «Minerva», 1908, p. 5. Trad. di
Ramiro Ortiz).
«Legenda Mânăstirei Argeșului» rappresenta un canto epico-lirico ispirato alla leggenda formatasi attorno a quel meraviglioso monumento dell’arte bizantina ch’è il monastero di Argeș costruito da Neagoe-Vodă Basarab, ma la cui fondazione il popolo attribuisce al leggendario Radu-Vodă Negru. In forma diversa codesta leggenda si trova un po’ dappertutto nel folk-lore balcanico dove la troviamo riferita alla fortezza di Scutari (in Albania), al ponte di Arta (in Macedonia) e ad altre costruzioni colossali o sontuose che hanno impressionata la fantasia popolare in Grecia, Serbia e Bulgaria. Malgrado ciò, la delicatezza con cui anche in questa ballata sono trattati gli affetti familiari e la soavità di tocco usata dall’ignoto artista popolare nel tratteggiar la figura della donna sacrificata; son caratteristiche dell’anima romena. Eccone la scena centrale:
Manea si destò
35. I maestri grandi, |
45.— Sta ferma, amore mio, |
(V. Alexandrì, Poezii populare ale Românilor.
București, «Minerva», 1908. p. 122. Trad.
di Ramiro Ortiz.)
Un’altra forma di poesia epica popolare è il «Plugușor» (Aratrino) che si canta dai contadini la vigilia o la mattina dell’anno nuovo, quando vengono in città coi bovi e l’aratro tutto adorno di fiori (di carta, naturalmente, in quella stagione) per augurare un buon anno ai signori e ci descrive in strofe interrotte da allegri schiocchi di frusta, le diverse fasi per cui passa il pane, dall’aratura della terra fino alla cottura nel forno. In esso troviamo talvolta un personaggio misterioso che si chiama «Troian»:
E s’è avviato zio Basilio |
Il grano poi spuntava
E così lo miete, lo lega in covoni |
Treizeci Cântece Populare alese de Societatea
Compozitorilor Români. București, 1927,
p. 24, n. 10. Trad. di Ramiro Ortiz.)
Una terza forma dell’epica popolare romena è rappresentata dalle «basme» (leggende), o «povești» (racconti), che corrispondono in certo senso alle nostre novelline popolari ed i cui protagonisti obbligati sono lo «Zmeu» (specie di drago malefico), Făt-Frumos (il Reuccio) e Ileana Cozinzeană (la Reginotta) colla differenza che nelle «basme» non è necessario sian di sangue reale, ma rappresentano semplicemente il tipo del bel giovanotto e della bella ragazza di campagna idealizzati in una luce di leggenda. Diamo come esempio di «basm» il principio di quello intitolato «Giovinezza senza vecchiaia e vita senza morte»:
C’era una volta, al tempo dei tempi, che se non fosse vero non si racconterebbe, quando il pioppo portava le mele e il salice le violette, quando i lupi gittavan le braccia al collo delle pecore ed eran con loro come pane e cacio, sì che non facevan che baciarsi dalla mattina alla sera; quando si ferravan le pulci con novantanove libbre di ferro e ciò non ostante saltavano fino alle stelle, di dove ci portavano le leggende; quando le mosche scrivevan sulla parete: "Più bugiardo si scopra chi non ci crede”; c’era dunque una volta un Imperatore potente e una Imperatrice, belli e giovani l’uno e l’altra, che, volendo aver figlioli, avevan fatto più volte quel che bisogna fare per averne; poi erano andati dai maghi, dai filosofi e avevan pregato perfino gli astronomi di osservare bene le stelle per vedere se avrebbero o no avuto dei figlioli; ma indarno. Finalmente, vedendo che non c’era verso di saper nulla di chiaro, l’Imperatore e l’Imperatrice presero con sè alcuni boieri grandi, soldati e servi in quantità, e se n’andarono da un vecchietto che aveva fama d’indovino e lo trovarono a casa. Il vecchietto, come li vide di lontano, uscì loro incontro, dando loro il benvenuto:
— Ben arrivati e con salute! Ma perchè vi ostinate a voler sapere la verità? Il vostro desiderio, una volta realizzato, non vi frutterà che dolore!
— Io — rispose l’Imperatore — non son venuto per questo, ma solo a domandarti che, se tu sai un modo come noi possiamo far dei figlioli, tu ce lo dica.
— Ce l’ho — rispose il vecchietto — ma non avrete che un figlio solo. Egli sarà un vero
Principe Azzurro |
ma non potrete godercelo.
L’Imperatore e l’Imperatrice presero le medicine date loro dal vecchietto e se ne tornano allegri e contenti al loro palazzo, e, dopo alcuni giorni, l’Imperatrice s’accorse di essere incinta. La corte e i dignitari si rallegrarono molto di questo avvenimento. Ma, prima ancora di nascere, il bambino cominciò a piangere nel ventre della madre e di un pianto così dirotto che nessun medico potè farlo cessare. Allora l’Imperatore per consolarlo cominciò a promettergli tutti i beni della terra, ma neppure con questo riuscì a farlo tacere.
— Taci, amore del tuo babbo — dice l’Imperatore — che ti darò il tale impero o il tal’altro; taci, figliolino bello, che ti darò in moglie la figlia del tale o del tal’altro Imperatore e molte altre cose di simil genere; ma, quando vide che non si chetava, gli disse: — Taci, figliol mio, che ti darò ”Gioventù senza vecchiaia e Vita senza morte!”.
Allora il bambino si chetò e venne alla luce; e i dignitari cominciarono a sonar cembali e tamburi e in tutto l’impero si fecero gran feste per tutta una settimana.....
E il bambino cresceva forte e bello, fu mandato a scuola dai più dotti filosofi, ed imparava con gran facilità; quello che gli altri bambini imparavano in un mese, egli l’imparava in un giorno e tutto l’impero era fiero del suo principe, che sperava divenisse col tempo un sovrano più sapiente di Salomone; ma, quando ebbe compiti i quindici anni, cadde in malinconia e non si sapeva che avesse. Un giorno che erano a tavola e l’Imperatore si rallegrava tra i suoi boieri, Principe-Azzurro si levò in piedi e disse: — Babbo, è venuto il momento di darmi ciò che mi hai promesso il giorno della mia nascita.
Udendo ciò, l’Imperatore si attristò assai e gli rispose:
— Andiamo, figliolo, come potrei darti quello che nessuno ha mai avuto? Se te l’ho promesso, è stato solo per non farti più piangere.
— Ebbene, babbo, se tu non puoi darmelo, io sarò costretto a girar tutto il mondo, fino a quando avrò realizzata la promessa fattami il giorno della mia nascita.
(P. Ispirescu, Legende sau basmele Românilor,
a cura di N. Cartojan, Craiova,
«Scrisul Românesc», 1932, p. 57. Trad. di Ramiro Ortiz).
A questo punto incominciano le molteplici avventure del Principe Azzurro, che finalmente riesce ad uccidere la Vecchiaia e la Morte e la novella termina con la formula rituale:
Ed io saltai a cavallo d’una sella |
La poesia lirica romena prende le forme della «doma» (poesie d’amore e di dolore, in cui si effonde quel particolar sentimento di rimpianto caratteristico dell’anima romena ch’è il «dor» e che non trova il suo riscontro se non in parte nella «Sehnsucht» tedesca e nella «saudade» portoghese); delle «hore» (canzoni a ballo), delle «strigături», specie di grida satiriche che si emettono durante la «hora» (danza nazionale), le «cântece de lume» (canti mondani), le «bócete» (nenie funebri), le «colinde» (canti di Natale), le «cântece de stea» (canti di stella) che si cantano anch’essi in occasione del Natale dai bambini che portano in giro una stella di carta con dentro un lumicino e nel mezzo alcune immagini di santi e le «snoave» (satire popolari soprattutto contro gli zingari e gli ebrei, ma anche contro i preti ubbriaconi, le autorità del villaggio che non fanno il loro dovere, i contadini pigri, le ragazze che pensano a dipingersi il viso, ma non hanno alcuna voglia di tessere).
Diamo qui qualche esempio di «doina» e delle altre principali forme della lirica popolare romena:
DOINE
I.
Vorrei lamentarmi e non ho con chi, |
Col bosco addolorato come me, |
(Tiberiu Brediceanu, Doine și Cântece populare românești, caietul VI, p. 4. Trad. di Ramiro Ortiz).
II.
Dóina, dóina, dolce canto, |
(V. Alexandrì, Poeziile populare ale Românilor. București. «Minerva», 1908, p. 152, Trad. di Ramiro Ortiz).
III.
Il prato grida, il prato piange |
Cuore, sii paziente |
(V. Alexandrì, Poeziile populare ale Românilor. București, «Minerva», 1908, p. 15. Trad. di Ramiro Ortiz).
IV.
Fronda verde, foglia stretta, |
(Folklor din Maramureș, cules de Gh. Reba in «Adevărul Literar» del 3 luglio 1938. Trad. di Ramiro Ortiz).
COLINDE
Su, levati, buon signore |
Piange il Bambino che ricchezze non ha, |
(Treizeci cântece populare alese de Societatea,
Compozitorilor Români. București, 1927,
II.
Rametto verde d’abete, rametto caro, |
BOCET
Destati, destati e lavati presto |
(Treizeci cântece populare alese de Societatea
Compozitorilor Români. București, 1927,
p. 24, n. 10. Trad. di Ramiro Ortiz).
DESCÂNTEC
Scongiuro contro il morso dei serpi velenosi
Sotto un cespuglio nel praticello, |
(M. Caster, Chrestomatie Româna. Leipzig
București, 1891, vol. II, 339. Trad. di
Ramiro Ortiz).
NANI-NANI
Fa’ la nanna, mio bambino, |
(Cântec de leagăn popular, cules de Constantin Brailoiu,
cântat de Evantia Costinescu; da
un disco «Columbia» [U H R 213] DV
1201. Trad. di Ramiro Ortiz).
STRIGATURI
I.
La mia bella è bianca e rossa, |
II.
La mia bella è tutta adorna |
III.
Il diavol ti porti, fanciulla, |
IV.
Hai venduto il gallo |
(Dalla rivista «Izvorașul». 1933-34. Trad. di Ramiro Ortiz).
SNOAVA
La confessione dello zingaro.
Lo zingaro andò, un giorno di quaresima, a confessarsi come ogni buon cristiano. Il prete si mise la stola, gli lesse i salmi penitenziali e la preghiera della confessione e poi cominciò a domandargli quali peccati avesse sulla coscienza:
— Coraggio, figlio, non avresti per caso rubato qualcosa a qualcuno?
— No, padre caro, non ho rubato nulla a nessuno. Come potete ritenermi capace di un simile peccataccio?
— Hai forse parlato male del prossimo?
— No, reverendo padre, non ho mai sparlato di nessuno.
— Hai giurato qualche volta il falso?
— Mai.
— Hai mangiato carne in giorno di digiuno?
— No, mai; e neppure i miei figliuoli. Solo il babbo una volta ne ha mangiato.
— Bestemmiare, hai bestemmiato mai?
— No, credetemi, no!
— Allora, figlio mio — disse il prete — sono proprio contento, tu sei un vero santo!
— Sì, padre, un santo!
— Allora — disse il prete — facciamo a te quello che si fa ai santi!
— Ed il prete s’affacciò alla porta della chiesa e chiamò il sagrestano:
— Nicola, Nicola!
— Eccomi, padre!
— Porta subito dei chiodi e un martello ed inchiodiamo questo zingaro tra le sacre icone!
Quando lo zingaro udì che lo si voleva inchiodare, cominciò a strillare:
— Pietà, pietà, reverendo padre, che non son santo un corno, e non ho finito di confessarmi! Testimoni mi sieno le oche del ”boiaro”, che un giorno se ne son venute con me fino a casa e non han voluto più tornare dal loro padrone per quanto io le scacciassi!
(Dalla rivista «Izvorașul», 1933-1934. Trad. di Ramiro Ortiz).
Le «Orațiile de nunta» («Parlate di nozze») son poesie che si cantano dai giovanotti che, a cavallo e vestiti cogli abiti da festa nel bel costume nazionale e condotti da un parente dello sposo, cui si dà il titolo nobiliare di «vornicel»5, vanno a chieder la mano di una ragazza. Esse comincian tutte colla descrizione di una caccia del «Voda», che, inseguendo una cerbiatta (lo stesso motivo troviamo nelle «Stanze per la Giostra» del Poliziano) apparsagli come in una visione di leggenda, l’ha vista rifugiarsi nell’aia del futuro suocero. — Eccone un esempio:
ORATIE DE NUNTĂ
(Parlata di nozze)
— Buon giorno a voi, giovani valorosi6, qual buon vento vi mena a noi?
visto che ci avete domandato
perchè, sarebbe a dire, siam venuti
e al vostro cancello ci siam fermati;
vi daremo la risposta,
ma tenete a freno la lingua
e tacete come pesci,
se volete ascoltar la nostra parola.
Perchè con tanta fretta
domandan lor signori
il perchè del nostro arrivo?
Che aspetta qui tutta questa gioventù?
Perchè tutta questa folla? |
che voleva tornarsene indietro; |
al fiore roseo. |
(Mostrano la borraccia del vino)
è scritto in buon latino |
E poi è bene che sappiate |
— Ma perchè non scendete da cavallo? (dice il padre della ragazza)
— Vogliamo ci diate prima la risposta!
Solo allora scenderemo da cavallo, |
(M. Gaster, Chrestomatie Română. Leipzig București, 1891, vol. II, 312-316. Trad. di Ramiro Ortiz).
Quando la «borraccia» e la «ciambella» sono accettati, il che equivale a un consenso alle nozze, gli ambasciatori ringraziano così:
Ringraziamo voi, signor fidanzato, |
e vi dia gran ricchezze |
come non si sazia l’inferno |
(M. Gaster, Chrestomatie Română. Leipzig București, 1891, vol. I-II, 316-319. Trad. di Ramiro Ortiz).
Il Vicleim (da Bethlem) detto anche Irozi (da Erode) corrisponde al nostro teatro popolare ed è molto vicino alla «Sacra Rappresentazione». I personaggi principali sono Erode e i Re Magi, un pastore, un ufficiale, soldati di Erode e qualche volta un bambino lattante.
Ne diamo qui due esempi, uno di forma ridotta, l’altro più largamente concepito:
I.
Erode — Chi siete voi e dove vi recate?
Melchiorre. — Io sono il Re Melchiorre d’Oriente. e, dalla stella ch’è nuovamente apparsa avendo appreso che è nato sulla terra un Imperator grande, vado a Betlemme per prosternarmi davanti a Lui.
Baldassarre. — Io sono il Re Baldassarre della Perside, che, dalla stella nuova ch’è apparsa e dai Profeti avendo appreso che è nato Cristo Imperatore, vado a prosternarmi davanti a Lui.
Gaspare. — Io sono il Re Gaspare d’Oriente e, vedendo la nuova stella ch’è apparsa, ho consultati i Profeti e le Sacre Scritture ed ho appreso esser nato Cristo, Baron dei Baroni, Re dei Re e Imperatore degli Imperatori, e vo a Betlemme a prosternarmi davanti a Lui. Ma tu che Grande Imperatore sei?
Erode:
Io sono Erode Imperatore, |
(M. Gaster, Chrestomatie Română. Leipzig București, 1891, vol. II, p. 332. Trad. di Ramiro Ortiz).
II.
PARTE I.
I Re Magi (cantando in coro):
O Erode Imperatore |
Gaspare a Erode:
Grande onore abbiamo |
- Erode:
O voi, fantasmi terrestri, |
- Gaspare:
A te, Signore glorioso, |
- Erode:
Intanto ve la passeggiate per Gerusalemme; |
- Gaspare:
Siam tre Re Magi viaggiatori, |
- Erode:
Vi ringrazierei come fratelli |
- Melchiorre:
Io sono il Re Melchiorre |
- Erode (tra sè):
Va’ va’ dal tuo Imperatore, |
- Baldassarre:
Io sono il Re Baldassarre, |
- Erode (tra sè):
Va’ va’ da quel disgraziato, |
- Gaspare:
O Erode Imperatore, |
- Erode:
Senza dubbio, anche da te! |
- Gaspare:
Se mi tratti con villania, |
- Erode:
Si faccia dunque come desideri. |
- Gaspare:
Son più di quarantanni |
- Erode:
Di monarchi e imperatori? |
- Gaspare:
Geremia ci ha mandati, |
- Erode:
Scritture e Profeti |
- Gaspare:
Della stirpe di Balaam, |
- Erode:
E che dici che avverrà? |
- Gaspare:
Ciò ch’è scritto avverrà, |
- Erode:
Ma chi oserà |
- Gaspare:
Lui, il Baron dei Baroni, |
- Erode:
Sì, proprio come tu dici; |
- Gaspare:
Io reggo il freno del regno |
(mette mano alla spada).
- Erode (sguainando anche lui la spada):
Brutti barbari dell’Oriente, |
- Melchiorre:
O astronomo Baldassarre, |
- Baldassarre:
Tutti i Magi si prosternano |
- Erode:
Crudeli e barbari dissennali, |
- Gaspare:
O Erode famosissimo, |
- Erode:
Ufficiale! |
- Ufficiale:
Ai tuoi ordini, eccelso Imperatore! |
- Erode:
Prendi questi Re Magi, |
PARTE II
L’ufficiale porta ai piedi del trono un bambino lattante, che s’inginocchia davanti a Erode, coprendosi il petto colle mani.
- Erode (al Bambino):
O tu, bambino innocente, |
da qualsiasi menzogna, |
- Bambino:
Molto so e d’ogni cosa, |
- Erode:
Da chi nascerà? |
- Bambino:
Da Maria Vergine! |
- Erode:
Quanto tempo vivrà su questa terra? |
- Bambino:
Trentatrè anni; |
- Erode:
Avrà chi lo amerà? |
- Bambino:
Avrà! |
- Erode:
Chi saranno? |
- Bambino:
I quattro evangelisti. |
- Erode:
Potresti dirmi come si chiameranno? |
- Bambino:
Matteo e Marco |
- Erode:
Nemici ne avrà? |
- Bambino:
Ne avrà! |
- Erode:
Chi saranno? |
- Bambino:
Prima di tutti, tu, |
- Erode:
Dunque io sono uno di loro! |
- Bambino:
Lo accuseranno a Cesare, |
- Erode:
E molto tempo resterà sulla croce |
- Bambino:
Nient’affatto, che Dio Padre |
- Erode:
E molto tempo starà |
- Bambino:
Il terzo giorno risusciterà, |
- Erode:
L’avrà, l’avrà! |
- Bambino:
Non l’avrà! |
- Erode:
L’avrà, ti dico! |
- Bambino:
Non l’avrà! |
- Erode (uccidendolo):
Portatelo via ch’io non lo vegga |
- Coro (cantando):
O Erode Imperatore, |
(G. Dem. Theodorescu, Poezii populare române.
București, 1885, pp. 103-108. Trad. di
Ramiro Ortiz).
La letteratura popolare didattica è rappresentata soprattutto dai proverbi («proverbe») e dagli indovinelli («ghicitoare» o «cimilituri»).
Eccone qualche esempio:
PROVERBE
1. - Dov’è troppa filosofia, è anche un grano di follia.
2. - Chi è figlio di gatto, mangia topi.
3. - Colla coda del gatto non puoi far reticelle di seta.
4. - Insieme coll’albero secco, brucia anche quello verde.
5. - Non tutto ciò che vola, è buon da mangiare.
6. - I cani abbaiano, e la carovana passa.
7. - La parola è come il vento: non puoi raggiungerla nè con un cavallo corridore nè con un levriere.
8. - Ogni uccello muore per colpa della sua lingua.
9. - Chi sa leggere, ha quattr’occhi.
10. - Il ricco mangia quando ha fame, il povero quando ne trova.
11. - Chi beve a credito, s’ubbriaca due volte.
12. - Due poponi in una mano non si posson tenere.
13. - Un uomo non deve essere nè assai-assai, nè troppo-troppo.
14. - Non tutto come dice il prete, nè come dice il medico.
15. - Mettiti davanti il tuo berretto e giudicati da te.
16. - Lo zingaro, quando lo fecero Imperatore, il primo che fece impiccare fu suo padre.
17. - Ogni zingaro loda il suo martello.
18. - Finché sei incudine, soffri; finché sei martello, batti.
19. - Cinque dita sono in una mano, e nessuno somiglia all’altro.
(Iuliu Zanne, Proverbele Românilor. București,
1901, vol. V, passim.
Trad. di Ramiro Ortiz).
GHICITOARE
I.
Mille volte annodata, |
(La rete)
II
Nel capo, è uccello, |
(Il gallo)
III.
Nel bosco son nato, |
(Il bastone)
IV.
Cervello non ha, |
(L’orologio)
(M. Gaster, Chrestomatie Română. Leipzig București,
1891, vol. II, pp. 373 sgg. Trad.
di Ramiro Ortiz).
Note
- ↑ Vrânceano: pastore della regione della «Vrâncea» nella parte montuosa della Moldavia (giudicato di «Putna»).
- ↑ Ungureano: pastore rumeno di Transilvania, per tanto tempo soggetta agli Ungheresi. Anche oggi molte località abitate da romeni di Transilvania emigrati nella Romania propriamente detta si chiamano Ungureni. Una circoscrizione intera composta di otto villaggi e chiamata con questo nome si trova nel giudicato di Tecuciu. Un altro villaggio detto Ungureni-Ciulei esiste nel giudicato di Botoșani. Donne «Ungurence» (romene, cioè originarie di Transilvania) ho visto nel loro superbo costume nazionale nero a ricami d’oro ad una «hora» nei pressi di «Tismana» nel giudicato di Gorj.
- ↑ Perchè insieme coi compagni di lavoro aveva giurato di murar viva nel maro della nuova costruzione la prima persona che sarebbe venuta a portar loro da mangiare.
- ↑ Badea è appellativo affettuoso e insieme rispettoso. Si potrebbe tradurre: «fratellino maggiore».
- ↑ Da «Vornic» psl. «Dvoriniku» (da dvor=porta), titolo di nobiltà («boiero grande di divano») corrispondente a «custode delle porte di una città fortificata» («Vornic de Suceava», fortezza di Bucovina, in cui, in tempi difficili, si rifugiava il Voda colla corte e parte della popolazione) e quindi Castellano, custode della fortezza). Il «vornicel» dei cortei di nozze è considerato come un piccolo «vornic», giovane cioè di buona famiglia scelto dallo sposo e dalla sposa per accogliere il corteo dei giovanotti che recan l’ambasciata, invitar gli ospiti a entrare in casa, condurre le danze, dirigere il pranzo nuziale, dare il segnale dei brindisi e stabilirne l’ordine, condurre gli sposi in chiesa e riaccompagnarli a casa.
- ↑ «Voinici» da «voinic» psl. vojnikŭ=coraggioso, valoroso, eroe, soldato, giovanotto; ma era anche una specie di titolo di nobiltà che il «Voda» concedeva dopo una battaglia ai giovani soldati che avevan fatto più prove di coraggio. Poi che in questo significato, non è registrato nè dal Candrea, nè dal Gaster, nè dal Damè, diamo un esempio: «Acolo fărù Stefan - Vodă ospăt mare Mitropoliților și Episcopilor și Boierilor săi și la toata oastea sa și multi viteji a făcut atunci și dărui multe...». («Ivi fece Stefan-Voda gran banchetto ai suoi Metropoliti, Vescovi e Baroni e a tutta la sua oste, e molti "valorosi” creò e molti doni distribuì...»). Bogdan, Cronici inedite, p. 38