La tecnica della pittura/CAP. III.

CAP. III. L'affresco

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CAP. II. CAP. IV.
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CAPITOLO III



L'Affresco.


I.


L
A pittura murale, che si può ritenere antica quanto l'architettura, sembra per le modalità d'impiego dei colori provvenire da un unico centro di diffusione, tanto uniformi si mostrano i procedimenti tecnici rilevati dagli archeologhi sui più vetusti avanzi. Ben semplici d'altronde, perchè si possono restringere a due principali pratiche: stuccare le congiunzioni delle pietre. ed ogni irregolarità che potesse nuocere alla continuità delle tinte, quindi stendere un fondo regolare di calce per accogliere il disegno improvvisato sulla parete; o, come si notò ancora in qualche pittura egiziana, reticolato da un prefisso modello. Ma l'aridità che porta la natura assorbente delle pietre e della calce, aumentata infinitamente dal tempo, non lasciò verun segno delle sostanze che poterono unirsi ai colori e coadiuvarne la durata. [p. 54 modifica]

In Grecia alcuni frammenti di pittura murale tratti dagli scavi dell'isola di Thèra, mostrarono colori di una intensità ragguardevole al momento della scoperta, ma che il contatto dell'aria fece subito scomparire; però in una casa si rilevò che la preparazione del muro fu iniziata con stucco di terra battuta, coperto di calce pura, sul quale si scorgevano le leggère linee tracciate a punta che servirono a limitare il campo dei colori e presumibilmente il lavoro possibile in una giornata1. L'esame di frammenti di epoche posteriori affidati anche a scienziati illustri, come lo Chevreul, nulla aggiunse a questi dati, coi quali in genere si presentano le pitture murali più antiche, ond'è impossibile precisare il veicolo dei colori.

Le famose pitture del portico di Atene, detto il Pecile, pare non fossero una vera decorazione murale, ma un'accolta di tavole, a tempera o ad encausto, incastrate nel muro, se è vero quanto dice Plinio, che si dovesse a M. Ludio Elotta, pittore dei tempi di Augusto, il metodo di coprire interamente di pitture le pareti, onde per trovare avanzi completi di antiche pitture murali fa d'uopo trasportare l'attenzione sui dipinti di Pompei.

Interpellato Raffaello Mengs sulle pitture antiche dissotterrate nelle città di Pompei, Stabbia ed Ercolano, che egli aveva vedute varie volte, così concreta le sue osservazioni: « Queste pitture mi hanno messo in somma curiosità di sapere come fossero dipinte, cioè se a fresco, a guazzo, cioè con colla, oppure a tempera, che si fa coll'ovo: trovandole sempre meravigliose, in qualunque modo esse fossero fatte, mentre fra queste pitture se ne vedono diverse fatte con tale finitezza che parrebbe sorprendente si fos[p. 55 modifica]sero fatte a fresco; poichè questo genere di pittura non suole dar tempo per potervi impiegare gran diligenza. Altresì non mi pareva possibile che fossero fatte con colla, mentre questa stando sottoterra perde la forza e le pitture dovevano svanire o almeno oscurirsi moltissimo dandovi la vernice; nè poteva soffrire che vi si passasse col pennello sopra: e dippiù si vedono eseguite nello stesso modo quelle che stavano impiegate nell'aria aperta come quelle che stavano al coperto. Esaminando poi se potevano essere fatte colla tempera, considerai in primo luogo che la maggior parte di esse sono talmente impastate e cariche di colore, che non potrebbe farsi con la tempera, mentre in tal grossezza doveva screpolare il colore, oppure talvolta scrostarsi affatto e stando dei secoli sotto terra imputridirsi ed ammuffire. Conchiusi dunque, e per ragione del modo di dipingere, e per la loro conservazione, che esse non potevano essere fatte in altro modo che a buon fresco, ma bensì da pittori che avevano una singolare destrezza e prontissima pratica. — Con questa prevenzione le esaminai sempre più dappresso, e la prima volta osservai, in alcune pitture dell'antica Pompeia, di quelle che erano rimaste all'aria aperta, che si vedevano ancora i contorni si degli ornati, come delle figure sgraffite nella calce fresca, il che solo è praticabile nella pittura a fresco. Parvemi ancora vedere che i campi di colori semplici ed uniti sì dei rossi, gialli o neri fossero subito messi sull'intonaco fresco e poi bruniti, e eguagliati con la cucchiara, e resa così la superficie pulita e tersa, e che sopra questa preparazione vi fossero poi stati dipinti di seguito gli altri ornati e figure immediatamente, come si vede dal non avere le dita la stessa lisciatura come i fondi.

« Avendo dunque scoperto quei segni manifesti d'essere quelle pitture dipinte a buon fresco, guardai con maggior [p. 56 modifica]diligenza ancor quelle che si conservano nel Real Museo, e trovai pure in diverse di esse i contorni sgraffiti come nel quadro del Teseo col Minotauro, e nell'altro dell' Ercole, benchè per altro poco visibili per il grande impasto dei colori che li nasconde in parte. Più visibilmente si vedono nelle pitture di figure piccole, che rappresentano ballerine, Baccanti e Centauri, ove si vede chiaramente che l'artefice ha segnato con qualche stecca od osso l'insieme delle figure nella calce fresca, e poi con somma maestria e stile toccato e dipinto le figurine su quei campi oscuri.

« L'opinione di alcuni, che non potessero essere dipinte a fresco per avere vari strati di colore, è in sè falsissima, poichè il fresco riceve benissimo un colore sopra l'altro, eccettuati alcuni pochi che sono artefatti, o di natura troppo arenosa, purchè non vi passi troppo tempo, ma che si mettano quasi immediatamente un colore dopo l'altro.

« È notabile che in queste pitture non si scoprono, come nelle moderne, le connessure della calce posta in diversi giorni. Ma questo può derivare dal modo che usavano gli antichi, assai diverso dal nostro, secondo che descrive Vitruvio e lo mostrano egualmente i frammenti delle pitture antiche. In oggi si costuma mettere l'arricciatura, e dopo la colla di sufficiente grossezza, più o meno quasi di un dito, e si dipinge sopra questa. Vi è ancora chi mette la detta colla in due volte, ma l'ultima sempre bastantemente grossa. Questa stessa grossezza è causa che asciugandosi nel ritirarsi lascia visibile la divisione fra una parte e l'altra; così ancora poteva dare più tempo al pittore. Essendo sottile non formava così facilmente quella pellicola vitrigna che fa la calce quando è in copia. Questo è quanto ho osservato sul genere di quelle pitture e sul modo col quale sono fatte ».

Raffaello Mengs, che in Spagna condusse grandi pitture [p. 57 modifica]a fresco in concorrenza col Tiepolo e pure in Roma lasciò prove della sua profonda conoscenza di questo modo di dipingere, della quale è non dubbia conferma anche questa disamina della condotta meccanica delle pitture pompeiane, avvalora grandemente l'osservazione registrata dal Wiegmann che su quegli stessi colori esperimentò l'azione dell'acido nitrico ottenendo sempre l'effervescenza rivelatrice della calce, la cui presenza non si saprebbe spiegare se il processo di dipingere fosse stato a tempera.

Ma troppe le obbiezioni che potrebbero olle vare contro questo indizio su pitture corrose che lasciano al vivo il cemento calcare di fondo; talchè si potrebbe per tale riflesso dire addirittura infondato se a mantenere il dubbio che i dipinti pompeiani e di Roma non potessero comprendere l'affresco fra i molteplici processi che lasciano scorgere non fosse ancora da notare che Vitruvio nel prescrivere, pei muri « tre diritture di calce e sabbione e tre intonacature almeno di calce e polvere di marmo pesto », offre una singolare coincidenza di metodo colla preparazione degli intonachi pel buon fresco, ed altrove, avvertendo che quando i colori « sono indotti sopra le coperte non bene asciutte, per questo non ispuntano ma stanno fermi», dà una prova sicura che la proprietà singolare degli intonachi di calce bagnata di fissare i colori, era stata osservata, e sapevasi all'occasione trarne partito.

Travolta l'arte tra le rovine dell'Impero romano e l'infuriare degli iconoclasti la pittura murale riparò nelle catacombe, perdendovi ogni carattere tecnico. Poi fu la notte delle invasioni barbare, appena rischiarata per l'arte dal luccichio dei mosaici a fondo dorato.

Nel secolo XIII Teofilo descrive un metodo di fresco, accenno di più remote pratiche, che forse trova riscontro nella intralciata tecnica delle pitture pompeiane. Consisteva [p. 58 modifica]questo nel bagnare l'intonaco di calce e sabbia già secco e dipingervi poi mentre era così bagnato coi colori diluiti in acqua di calce, metodo che sir Eastlake diceva in uso ancora in Italia e a Monaco, che si poteva lavare ed era resistente quanto l'affresco e riescire più acconcio dell'affresco stesso nelle ornative dove è malagevole seguire fra le connessure dell'intonaco il giro intricato degli ornamenti.

Così si avviava per gradi la pittura murale al più completo sviluppo dell'affresco, del quale fu pure una sosta lo strano metodo dei Giotteschi di abbozzare sull'arricciato l'intero disegno dell'opera anzichè sul secondo intonaco che doveva essere dipinto.

Si ritiene condotto il più antico buon fresco nel 1391 da Pietro d'Orvieto nel Camposanto di Pisa; nè l'usanza del prepararne il disegno sull'arricciato fu così presto abbandonata, tanta era la forza delle tradizioni scolastiche in quei tempi, e quanto dice il Vasari, nella vita di Simone e Lippo Memmi, di un fresco non finito di Lippo, che, in Assisi, mostrava il contorno segnato di rossaccio col pennello in sull'arricciato, ebbe poi a mostrarsi in guasti avvenuti nelle pitture del Camposanto di Pisa (quelle del portico settentrionale) di Benozzo, e in altre di Simone, di Laurati e di Spinello.

Nella Pisa illustrata nelle arti di A. da Morrona l'A. così descrive e commenta l'antico processo:

«Fa meraviglia come sotto l'intonaco nei pezzi scoperti dell'arricciato apparisca tutto il composto del quadro schizzato con pennello tinto di rosso; e ciò che in un tratto non si comprende si è il vedere i dintorni di sotto per lo più corrispondere con quei colorati eseguiti sopra un intonaco che tutto il lavoro sottoposto dovette oscurare.

« La ragione che porta il Vasari non è atta a persua[p. 59 modifica]dere, dicendo che quel modo di fare era il cartone che i nostri maestri vecchi facevano per lavorare in fresco per maggiore brevità.

« Discernasi dunque se io mi accosto alla più vera cagione congetturando, che quei vecchi pittori trattandosi di un'opera grande si davano a credere di più agevolmente operare col ritirare dal piccolo disegno la concepita idea come si rileva in alcune parti retate; e schizzata addirittura tutta la composizione sulla facciata rozza vedere l'effetto delle proporzioni ingrandite ed emendar gli errori. Il che fatto convien credere che dovessero calcare e forse dilucidare tutti quei dintorni espressamente segnati di tinta rossa con vari pezzi di cartone. Questi poi applicati sull' intonaco composto di calce e sabbia finissima e nella superficie levigato e netto, spiegano sufficientemente l'indicato confronto ».

Ma il Da Morrona si ingannava a partito. Sull'arricciato si preparava il vero cartone dell'affresco come affermava il Vasari. Lo conferma in modo esplicito Cennino Cennini al capitolo LXVII del « Libro dell'arte », che tratteggia con rara semplicità e chiarezza le pratiche fondamentali dell'affresco. « Quando vuoi lavorare in muro (che è il più dolce e il più vago lavorare che sia), prima abbi calcina e sabbione, tamigiata bene l'una e l'altra. E se la calcina è ben grassa e fresca, richiede le due parti sabbione, la terza parte calcina. E intridili bene assieme con acqua, e tanta ne intridi che ti duri quindici dì o venti. E lasciala riposare qualche di, tanto che n'esca il fuoco: chè quando è così focosa scoppia poi lo 'ntonaco che fai. Quando se' per ismaltare, spazza bene prima il muro, e bagnalo bene, chè non può essere troppo bagnato; e togli la calcina tua ben rimenata a cazzuola a cazzuola; e smalta prima una volta o due, tanto che venga piano lo 'ntonaco sopra il muro. [p. 60 modifica]Poi quando vuoi lavorare abbi prima a mente di far questo smalto bene arricciato, e un poco rasposo. Poi secondo la storia o la figura che de' fare, se lo intonaco è secco, togli carbone, e disegna e componi e cogli bene ogni tua misura battendo prima alcun filo, pigliando i mezzi degli spazi ».

E dopo descritto il modo di scompartire gli spazi del reticolato e battere i fili, quasi si potesse prendere equivoco sul senso di quel comporre la storia o la figura sull'arricciato, lo riprende da capo: « Poi componi col carbone come ho detto storie o figure e guida i tuoi spazi sempre gualivi o uguali. Poi piglia un pennello piccolo e pontio di setole con un poco d'ocria senza tempera, liquida come acqua, e va ritraendo e disegnando le tue figure, aombrando come avrai fatto con acquerella quando imparavi a disegnare ».

Merita particolare attenzione questa diligenza estrema nel condurre un disegno che si andava distruggendo poi ad ogni sovrapposizione dell'ultimo intonaco che doveva accogliere i colori.

Si crederebbe dalle meticolosità innumerevoli dei vecchi procedimenti che l' artefice finisse col restare inabile ad un'opera spedita di pennello quale fu vanto dei decoratori della decadenza e si stima ancora per taluni il colmo della virtù d'un artista e mezzo infallibile per destare interesse all'opera d'arte, ma considerando appunto la precisione del metodo e il numero e la mole di opere condotte dai maestri di quest'epoca, si perviene ad una convinzione perfettamente opposta. La speditezza della mano, la sicurezza del colpo d'occhio e la franchezza del tocco non poteva non essere il frutto diretto di un lavoro assiduo e intelligente: soltanto che non lo si erigeva a sistema, ricorrendovi soltanto quando si ritenesse indispensabile, come allorchè steso l'intonaco [p. 61 modifica]ultimo sull'arricciato coprendo il disegno di rossaccio per quello spazio che si riteneva dall'artefice potersi compiere nella giornata di lavoro, si trattava di rifare, sull'unica guida del reticolato, il disegno scomparso.

Ed ecco come dal Cennini si procede alla continuazione del disegno e si inizia l'affresco propriamente detto:

« Poi togli un mazzo di penne e spazza bene il disegno del carbone.

« Poi togli un poco di sinopia senza tempera e col pennello pontlo sottile va tratteggiando nasi, occhi e capellature, e tutte l'estremità e intorni di figure: e fa che queste figure siano bene compartite con ogni misura perchè queste ti fanno conoscere e provvedere delle figure che hai a colorire. Poi fa prima i tuoi fregi o altre cose che voglia fare d'attorno, e come a te convien torre della calcina predetta, ben rimenata con zappa e con cazzuola, per ordine che paia unguento. Poi considera in te medesimo quanto il dì puoi lavorare: chè quello che smalti, ti convien finire in quel dì. È vero che alcuna volta di verno a tempo umido, lavorando in muro di pietra alcuna volta sostiene lo smalto fresco in nell'altro di. Ma se puoi, non t'indugiare; perchè il lavorare in fresco, cioè in quel dì, è la più forte tempera e 'l più dilettevole lavorare che si faccia. Adunque smalta un pezzo d'intonaco sottiletto (e non troppo) e ben piano bagnando prima lo 'ntonaco vecchio. Poi abbi il tuo pennello di setole grosse in mano, intingilo nell'acqua chiara; battilo e bagna sopra il tuo smalto; e al tondo, con un'assicella di larghezza di una palma di mano, va fregando su per lo 'ntonaco ben bagnato acciò che l'assicella predetta sia donna di levare dove fosse troppa calcina, o porre dove ne mancasse, e spianare bene il tuo smalto. Poi bagna il detto smalto col detto pennello, se bisogno n'ha; e colla punta della tua cazzuola, ben piana e ben pulita, la va fregando [p. 62 modifica]su per lo 'ntonaco. Poi batti le tuo' fila dell'ordine, e misura lo prima fatto allo 'ntonaco di sotto. E facciamo ragione che abbi a fare per di solo una testa di santa o di santo giovane, sì come è quella di Nostra Donna santissima. Come hai pulita così la calcina del tuo smalto, abbi uno vasellino invetriato, chè tutti i vaselli vogliono esserc invetriati, ritratti come il migliuolo o ver bicchiere, e vogliono aver buono e grave sedere di sotto acciò che riseggano bene che non si spandessero i colori. Togli quanto una fava d'ocria scura (che sono di due ragioni ocrie chiare e scure), e se non hai della scura togli dalla chiara macinata bene, mettila nel detto tuo vasellino, e togli un poco di nero, quanto fosse una lente, mescola colla detta ocria. Togli un poco di bianco sangiovanni quanto una terza fava: togli quanto una punta di coltellino di cinabrese chiara; mescola con li predetti i colori tutti insieme per ragioni e fa il detto colore corrente e liquido con acqua chiara, senza tempera. Fa un pennello sottile acuto di setole liquide e sottili che entrino su per un bucciuolo di penna d'oca: e con questo pennello atteggia il viso che vuoi fare (ricordandoti che divida il viso in tre parti, cioè la testa, il naso, il mento con la bocca) e dà col tuo pennello a poco a poco, squasi asciutto, di questo colore che si chiama a Firenze verdaccio, a Siena bazzèo. Quando hai dato la forma al tuo viso e ti paresse o in le misure o come si fosse, che non rispondesse secondo che a te paresse: col pennello grosso di setole, intinto nell'acqua, fregando su per lo detto 'ntonaco puoi guastarlo e rimendarlo ».

La lunga ed incomoda pratica di eseguire il cartone sull'arricciato fu sostituita dall'uso di disegnare la composizione su carta sostenuta e, bucati i contorni con spillo, passarla sull' intonaco tamponando leggermente con uno straccio contenente polvere di carbone — però tutte le fon[p. 63 modifica]damentali modalità del processo rimasero immutate quali sono ancora oggidì e quali le descrisse il Cennini nel citato Libro dell'arte, secondo le congetture del Milanesi, compilato verso il 1400.

Nei Veri precetti della pittura dell'Armenini, pubblicati in Ravenna nel 1587 ritroviamo quindi intatte le stesse pratiche che dal Cennini per tradizione scolastica risalivano a Giotto. L'arte aveva subite non poche evoluzioni di gusto dalle pitture delle arcate della Chiesa di San Francesco d'Assisi, che ricordano ancora la rigidezza bizantina, alle convulsive movenze di Daniele di Volterra — ma nella pittura a fresco è sempre la stessa scrupolosa attenzione che presiede tutti i preparativi del lavoro.


II.


Lo stesso Armenini trattando dei colori per l'affresco raccomanda che tutti si abbiano in sua specie per quanto si può belli, purissimi e scelti e con questo essergli intorno poi molto netto e delicato acciò si conservino schietti e distinti, imperocchè per ogni poca altra mistione che vi vada dentro, che le più volte è polvere con altri colori diversi, si turbano e se li leva gran parte della sua purezza e vivacità; e nell'usarli a fresco ci vuol pratica congiunta con diligenza. Ma nell'usarli a fresco tengasi a mente, come si è detto, il muro non brama altro colore che il naturale, che nasce dalla terra, che sono terre di più sorta di colori delle quali io credo che ne sia per ogni banda d'Italia abbastanza per essere conosciute — queste si macinano sottilmente con acqua pura eccettuandosi gli smalti con altri simili azzurri ».

Della calce preoccupazione costante del pittore d'affreschi, perchè oltre l'importanza che ha negli intonachi è pure l'u[p. 64 modifica]nico bianco per i fumi ed i miscugli cogli altri colori — essendo sempre carbonato di calce i gusci d'ovo e d'ostriche pesti che si trovano consigliati nei vecchi trattati come eccellenti per i bianchi nell'affresco — dà l'Armenini i modi diversi di prepararla:

« Ma pel bianco che qui si adopera come si sa, si piglia il fior della calce bianchissima com'è comunemente quella di Genova, di Milano e di Ravenna, la quale prima che si adoperi va ben purgata, e questo purgamento si fa dai pittori in più modi, onde ce ne sono alcuni che prima la fanno bollire al fuoco ben forte con volerle tenere ben levata la schiuma; e il che si fa per levarle quella salsedine e diminuirle quella forza di riaversi troppo, data che ella è sul muro, quando poi si secca: onde quella poi raffreddata all'aria, e levatole l'acqua la mettono sui mattoni cotti di nuovo al sole, la quale poi asciutta su quelli, quanto è più leggera tanto è meglio purgata.

« Ci sono ancora che la sotterrano dopo che l'hanno così purgata, e ce la tengono molti anni innanzi che l'adoprino; ed altri fanno il medesimo sopra i letti al discoperto; ci sono di quelli che la compongono per la metà col marmo, il quale è prima pesto da loro sottilmente; si è veduto ancora che posta allo scoperto in un gran vaso e buttatovi dentro dell'acqua bollita, con mescolarla tuttavia con un bastone, e il di seguente metterla al sole essersi bastevolmente purgata, ed adoperata per fare le mestiche il giorno appresso ma non già per colorire gl'ignudi perchè difficilmente resterebbono, senza essere offesi ai termini loro ».

L'Armenini che nella sua vita nomade da l'un estremo all'altro d'Italia ebbe campo di raccogliere i suoi precetti vedendo operare tutti i più grandi maestri suoi coetanei, bene riflette come non si potesse fidare della calce spenta così rapidamente, essendo nullo l'effetto dell'acqua bollente. [p. 65 modifica]

Il calore ritarda l'azione dissolvente che l'acqua produce sulla calce viva o caustica.

Si è notato come nell'acqua a 15 gradi la solubilità della calce sia di , a 54 gradi di ed a 100 di e la lunga immersione nell'acqua abbia appunto per scopo di rendere idrata ogni minima parte della calce, tanto per toglierle il potere caustico che decolora le tinte quanto per assicurare l'intonaco da quei parziali distacchi che le parti di calce rimaste prima insolute e poscia gonfiatesi per il lento assorbimento dell'umidità atmosferica verrebbero a causare con danno del dipinto.

Lo sbiadimento delle tinte mescolate alla calce per cui sino Teofilo fece seguire alla sua norma del fresco secco il ritocco con colori a tempera innalzò questa promiscuità di processo tecnico a complemento quasi inseparabile del buon fresco.

All'epoca del Cennini quella pratica del rinnovare il disegno dell'arricciato sull'ultimo smalto diminuiva il tempo utile della giornata pel lavoro dei colori, e la necessità del ritocco si dovette sentire assai più che non quando sostituitisi i cartoni si venne a semplificare molto i preliminari del colorire, onde si spiega come il Cennini non potesse riguardare il ritocco come una causalità talvolta evitabile del dipingere a fresco, ma esplicitamente scriva a proposito delle tempere per dipingere a secco sul muro: «Nota che ogni cosa che lavori in fresco vuol essere tratta a fine e ritoccata a secco con tempera». Gli affreschi del Pinturicchio fatti a Siena nel 1503 sono finiti a tempera come si vede dalla lacca e da certi altri colori2 i quali colla calce non si potrebbero mescolare. Ed il Vasari racconta di alcune opere di Gerolamo da Cotignola in San Michele [p. 66 modifica]in Bosco lavorate in secco: e di certi dipinti di Ercole da Ferrara in una cappella a Bologna scrive: Dicono che Ercole mise nel lavoro di quest'opera dodici anni, sette nel condurla a fresco e cinque in ritoccarla a secco ».

Alla condizione imperiosa di approfittare nell' intonaco di calce del momento in cui si forma la vetrificazione che fissa i colori si può quindi attribuire l'invariabilità di questo processo di dipingere in tutte le epoche trascorse ed è solo per la maggior fretta di condurre a termine l'opere che si deve l'opacità generale degli affreschi moderni in confronto di quelli antichi, nei quali la diligente e lunga condotta del pennello che si otteneva limitando il pezzo da compiere in una giornata, serviva come di ultima triturazione al colore, rendendo così più fina e levigata tutta la superficie del dipinto.

Tutto il processo dell'affresco si compenetra nell'usufrutto della proprietà della calce di dare luogo in unione alla sabbia e l'acqua ad un cemento nel cui strato superficiale trasparente come un vetro, all'atto dell'essiccazione, può restare imprigionato il colore e rimanervi consolidato e resistente all'acqua ed agli agenti atmosferici.

Come procedimento per dipingere non è dei più difficili, non avendosi che da sciogliere i colori coll'acqua; nè richiedendo speciale maneggio di pennello, salvo l'evitare le grossezze eccessive da colore, e non adoperare che velature man mano che la giornata di lavoro volge al finire.

Ma l'intonaco non sarà mai abbastanza studiato dal pittore per farsi un'idea giusta del cambiamento che avverrà nei colori nel passaggio dal bagnato all'asciutto e per l'addestramento dell'occhio a cogliere il momento d'abbandonare il colore a corpo e sostituire la velatura, in che consiste veramente la pratica del frescante e il pregio, dal lato tecnico, del buon fresco. [p. 67 modifica]La calce si ricava, come è noto, dal portare ad una elevatissima temperatura del marmo (carbonato di calce) o della pietra calcare. Per l'effetto del grande calore l'acido carbonico si separa e si ha per risultato la calce viva.

La calce viva si distingue in grassa e magra.

La calce grassa è pressochè pura. Posta a contatto coll'acqua si scalda, si fende, aumenta molto di volume e forma una pasta che non si discioglie così facilmente come quella di calce magra. Invece la calce magra è mescolata in proporzione varia a del carbonato di magnesia che ne diminuisce la forza di coesione, rendendola più facilmente solubile nell'acqua.

La calce viva, grassa o magra, ridotta per l'aggiunta dell'acqua in pasta molle dicesi calce spenta. Questa mescolata intimamente con sabbia quarzosa (silice) forma l'intonaco comune dei muri, e la durezza che esso prende, secondo il chimico Thénard, non è dovuta ad un'unione della calce colla silice, ma proviene dalla conversione successiva della calce in carbonato che a misura che si forma si precipita sulla sabbia aderendovi fortemente.

Perchè ciò avvenga, sempre secondo il celebre chimico che tanto si occupò dei colori, occorrono però alcune condizioni, vale a dire che l'intonaco si asciughi lentamente, perchè essendo troppo rapidò l'asciugarsi, il carbonato di calce formatosi irregolarmente lascierebbe abbandonate molte parti di silice togliendo consistenza così al cemento; mentre conservandosi molto tempo umido il cemento esposto all'aria, l'acido carbonico dell'atmosfera agisce continuamente sulla calce ed il carbonato si deposita in forma cristallina gradatamente sulla silice con grandissima solidità dell' intonaco.

Secondo studi più recenti nel prodotto cristallino entrerebbe una combinazione della calce colla silice o silicato di [p. 68 modifica]calce, composto che pare strano sia sfuggito al Thénard che fu il primo a scoprire l'acido silicico; ma in ogni modo dal lato pittorico basta sapere che è questa cristallizzazione che trattiene saldamente i colori sull'intonaco di calce proteggendoli colla sua insolubilità all'acqua.

Nell'intonaco per la pittura a fresco si unisce della polvere di marmo, che agevola il fenomeno chimico per la presenza di un corpo contenente del carbonio, e adatto per rendere, secondo l'intenzione di chi ne fa uso, più duro e levigato l'intonaco; però il Cennini del marmo pesto non fa cenno, nè per tale ingrediente si vedono gli affreschi moderni pareggiare il bel smalto degli antichi affreschi condotti col semplice intonaco di due parti di calcina grassa ed una di sabbia.

L'intonaco di calce fresca che fissa i colori in maniera tanto diversa dal modo di adesione dei colori nel dipinto ad olio e negli altri processi di dipingere, induce a qualche riflessione sulla maniera più acconcia di favorire il processo di cristallizzazione che avviene fra la silice e la calce bagnata in un col colore sovrapposto, giacchè se è indubitabile quanto si vide affermare da Raffaello Mengs nelle sue osservazioni sulle pitture pompeiane, che, cioè, l'affresco comporta anche degli strati di colore di certa grossezza, non è meno contrario al principio su cui poggia l'indurimento della calce il frapporre soverchi ostacoli fra la calce e la sabbia; ed i colori che si dispongono sull'intonaco di calce si devono considerare come un vero ostacolo al regolare procedere del fenomeno, perchè lo strato dei colori non può attingere tutto il liquido che gli necessita a sua volta per cristallizzarvisi se non a spese della calce e sabbia sottostante. Quindi se la pratica dimostra che si possono consolidare anche degli strati di colore di certa grossezza, non rimane però meno attendibile che saranno [p. 69 modifica]veramente sicuri soltanto quei colori che per la parsimonia dell'applicazione potranno dar luogo al sovrapporsi del liquido di cristallizzazione. Il quale fenomeno si facilita ancora meglio coll'atto del pennello nel modellare il colore, cioè sempre tratteggiando e impastando, che ponendolo a tocchi piatti e disgiunti come fosse un mosaico.

Avverrà per tal modo che sul sopranuotante liquido si possano, senza tema, applicare altri e più leggeri strati di colore, vale a dire quelle velature che appunto si devono impiegare per condurre a fine il lavoro prefisso da compiere nella giornata.

Nell'affresco osservate queste precauzioni la sua durabilità dipende tutta dalla preventiva scelta del materiale. Bisogna che delle cause meccaniche come il lungo attrito delle pioggie sbattute dal vento o delle frequenti lavature con spugne o cenci troppo rudi abbiano strappato il colore perchè questo si distacchi, oppure che il salnitro sviluppatosi nel muro od anche delle muffe che alterino chimicamente i colori, ne produćano la caduta in forma quasi polverosa: tutte circostanze ed effetti che sono estranei alla opera del pittore.

Altri possibili guasti sono quelli procurati dagli accennati pezzetti di calce viva, rimasti nell'intonaco ultimo per incuria di preparazione, i quali per l'umidità assorbita dall'aria si gonfiano staccando piccole parti d'intonaco e di colore.

Ma i danni maggiori per l'affresco vengono dall'alterarsi dell'arricciato, come è facile concepire, perchè a raggiungerlo per ricercarne le cause o per qualche opportuno rimedio bisogna sempre attraversare il dipinto, nè le cause, per solito, si tolgono od arrestano così facilmente.

L'arricciato si regge sui mattoni o pietre del muro per la semplice aderenza o presa naturale del cemento di calce e sabbia, che non è tale, nè fu mai, da offrire dappertutto [p. 70 modifica]garanzia di sfidare i secoli. Ma tale riflesso pare non abbia in ogni epoca preoccupato troppo lo spirito dei committenti gli affreschi e degli artisti che vi affidarono l'opera loro, vedendosi dalle località prescelte per un gran numero di pitture di tale genere essersi seguito piuttosto il capriccio di avere dei dipinti a buon fresco che non pensato ai riguardi richiesti da così pericoloso piano d'appoggio dei colori.

L'ubicazione del muro, la condotta delle acque del tetto e del suolo, la qualità dei materiali di costruzione del muro si ripercuotono tutte sull'intonaco ultimo e sui colori che sostiene, ai quali possono nuocere tanto lo stato permanente di umidità quanto una eccessiva secchezza circostante. Per ciò non è da dirsi come sia più logico e facile accertare dapprima le condizioni sfavorevoli per una pittura ad affresco che il procedere poi a difese sempre ipotetiche quando non rispondano all'unico concetto che questo genere di dipinto esige tutte le cautele che impone la conservazione di qualsiasi pittura. L'artista può contribuire, una volta manifestatesi le conseguenze della cattiva esposizione di un affresco, ad arrestarne il progresso e scongiurarne qualche altro danno imminente, ma ciò non entra nelle attribuzioni vere del pittore nè importa molto a quel criterio tecnico che non si rafforza dalle occasioni del restauro ma dalla cognizione delle cause che nell'esercizio dell'arte conducono ad evitarlo.

Non si potrebbe dire di avere esaminate tutte le circostanze dalle quali dipende la riescita durevole di un dipinto a fresco, lasciando in disparte il ritocco che tanto spesso si rende necessario anche quando dall'artista si sia ottemperato ai dettami del più stringato raziocinio e proceduto alla più rigorosa scelta del materiale d'uso, e alle inesauribili risorse di una pratica consumata del dipingere a fresco. [p. 71 modifica]

Il ritocco che raramente apporta effetti soddisfacenti e durevoli nei processi che impediscono di compenetrare il ritocco fatto col colore bagnato sul sottostante colore asciutto, come sarebbero appunto l'affresco e la pittura ad olio, trova nell'affresco la sua eccezione per le ragioni che si verrà esponendo, non potendosi accettare in via assoluta il disdegno del Vasari che sembra escluderlo affatto, nè il parere del Cennini il quale vuole che il ritocco a secco faccia parte integrante di questo processo e si debba coprirne tutto il dipinto avvertendo che ogni cosa che lavori in fresco vuole essere tratto a fine e ritoccato in secco a tempera», quasi negando la possibilità di finire cosa alcuna col fresco — ciò che non si può ragionevolmente sostenere.

Il ritocco a secco sull'affresco finito, non assolutamente necessario se l'abilità del frescante è grande, non è per quanto si vide operare dagli antichi quello sconcio così indecoroso come parrebbe risultare dalla esclusione assoluta che se ne impone e da istituzioni artistiche e da committenti particolari.

Le ragioni dell'arte sono superiori ad ogni considerazione quando i riguardi presi pel trionfo dell'arte si possono conciliare colla durabilità dell'opera.

Gli affreschi non si fanno per il puro compiacimento di potervi passare delle spugnature d'acqua e verificare sempre che nessuna parte dei colori vi si scioglie.

Nessuno ardirebbe sottomettere a tale prova tutti gli affreschi antichi e la prima avvertenza nell'assaggio di una pittura murale è di non adoperare solvente alcuno tranne che per quella pericolosa operazione del trasporto su altro fondo di sostegno, perchè allora bisogna sapere se vi siano delle parti solubili coi mezzi necessari al trasporto stesso.

Il ritocco negli affreschi eseguiti in luoghi interni riparati dalle pioggie e dalle grandi umidità è un comple[p. 72 modifica]mento così necessario che solo un'imposizione assoluta come quella che può essere fatta da chi ordina il lavoro può trattenere l'artista amante della propria arte dal ritoccare occorrendo qualche parte della propria opera.

Gli antichi, oltrecchè d'arte maestri altresì del rispetto e degli obblighi che impone l'arte, non si peritarono di addivenire al ritocco in queste condizioni, tanto più che il ritocco a tempera per la difficoltà di accesso ai luoghi altissimi dove di consueto si conducono tali dipinti offre garanzia di durabilità quanto l'affresco stesso. In ogni modo, dipendendo troppo la convenienza del ritocco dall'esito dell'affresco intrapreso, il ritocco non deve essere un sotterfugio dell'artista per apparire più abile di quello che effettivamente gli sia riescito in un dato affresco, nè una sorpresa per chi in buona fede credendo di possedere un affresco assolutamente immune da ritocco si dovesse poi trovare deluso.

Secondochè dunque il ritocco sia concesso all'artista o egli sia libero di farlo, il suo miglior esito sarà sempre dipendente dal rifuggire dalle tinte a corpo, sebbene la distanza le mascheri affatto. L'esperienza ha dimostrato che le velature sino a parecchi giorni dopo l'esecuzione del fresco, in condizioni favorevoli, dove cioè la mite temperatura contribuisca all'essiccare progressivo dell'intonaco e non a minacciare le muffe, conseguenza immancabile di una umidità troppo prolungata, le velature possono ancora fare corpo col dipinto apparentemente asciutto.

L'esercizio continuato e la speciale attitudine per un genere d'arte influiscono in modo straordinario sul carattere esteriore delle opere. Ed un divario immenso fra decorazioni minute od eseguite da un sistematico e paziente processo di invisibili pennellate, quali porterebbe il condensare in piccoli spazi gran numero di figure, deve correre [p. 73 modifica]se da queste opere si passa a considerare delle pitture gigantesche eseguite colla irruente fantasia e prestezza di mano quali possedettero il Cambiasi, che, dice l'Armenini, lavorava con tutte e due le mani armate di pennello, ed il Tintoretto e Luca Giordano ed il Tiepolo, miracoloso e mai più superato esempio di abilità in questo genere di pittura.

Onde non ostante la vastità degli spazi compresi fra le commettiture che separano ogni ripresa di lavoro una pittura si può ritenere condotta a fresco, come osservava Raffaello Mengs, non decidendo questa circostanza in modo definitivo il processo seguitosi in una pittura murale.

Le condizioni della temperatura portata dalla stagione, lo stato igrometrico dell'aria, l'orientazione e spessore del muro, la qualità delle pietre, la grossezza dell'arricciato e del secondo intonaco e la frequenza delle bagnature col progredire del lavoro, sempre più assottigliando le tinte sino alle più tenui velature, possono permettere di condurre di un sol getto un pezzo di affresco senza abbandonarlo per tre o quattro giorni. Lavoro pieno di rischio da non erigersi a sistema, ma che in casi eccezionali può essere tentato con successo, dipendendo da intuiti che non si possono misurare alla stregua delle attitudini mediocri per l'arte.



  1. Girard, op. cit., pag. 95.
  2. Eastlake, op. cit., pag. 147.