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sero fatte a fresco; poichè questo genere di pittura non suole dar tempo per potervi impiegare gran diligenza. Altresì non mi pareva possibile che fossero fatte con colla, mentre questa stando sottoterra perde la forza e le pitture dovevano svanire o almeno oscurirsi moltissimo dandovi la vernice; nè poteva soffrire che vi si passasse col pennello sopra: e dippiù si vedono eseguite nello stesso modo quelle che stavano impiegate nell'aria aperta come quelle che stavano al coperto. Esaminando poi se potevano essere fatte colla tempera, considerai in primo luogo che la maggior parte di esse sono talmente impastate e cariche di colore, che non potrebbe farsi con la tempera, mentre in tal grossezza doveva screpolare il colore, oppure talvolta scrostarsi affatto e stando dei secoli sotto terra imputridirsi ed ammuffire. Conchiusi dunque, e per ragione del modo di dipingere, e per la loro conservazione, che esse non potevano essere fatte in altro modo che a buon fresco, ma bensì da pittori che avevano una singolare destrezza e prontissima pratica. — Con questa prevenzione le esaminai sempre più dappresso, e la prima volta osservai, in alcune pitture dell'antica Pompeia, di quelle che erano rimaste all'aria aperta, che si vedevano ancora i contorni si degli ornati, come delle figure sgraffite nella calce fresca, il che solo è praticabile nella pittura a fresco. Parvemi ancora vedere che i campi di colori semplici ed uniti sì dei rossi, gialli o neri fossero subito messi sull'intonaco fresco e poi bruniti, e eguagliati con la cucchiara, e resa così la superficie pulita e tersa, e che sopra questa preparazione vi fossero poi stati dipinti di seguito gli altri ornati e figure immediatamente, come si vede dal non avere le dita la stessa lisciatura come i fondi.

« Avendo dunque scoperto quei segni manifesti d'essere quelle pitture dipinte a buon fresco, guardai con maggior