La donna di testa debole/Atto I

Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Camera di ritiro di donna Violante, con un tavolino carico di libri e fogli e calamaio ecc.

Donna Violante sedendo al tavolino e leggendo, ed Argentina.

Argentina. Signora padrona.

Violante. Lasciami studiare.

Argentina. Vorrei dirvi una cosa.

Violante. Aspetta. Lasciami terminare questa facciata.

Argentina.(In verità, ho paura che la poverina voglia impazzire. In otto o nove mesi di vedovanza, ha fatte tante stravaganze ch’io non la so capire). (da sè)

Violante. (Legge forte) Perciocchè ella è voce generale, e dicendosi versi senz’altro specificazione, si possono intendere così [p. 136 modifica] greci, come i latini, come i toscani, e come quelli di ogn’altra lingua, che già quando il Petrarca disse. (piega la carta) Via, parla: che cosa mi vuoi dire?

Argentina. Finite, finite, signora.

Violante. Ho finito. Parla.

Argentina. Mi pareva che non aveste terminato il senso.

Violante. Io finisco di leggere, quando è terminata la pagina.

Argentina. Quando io andava alla scuola, la maestra non m’insegnava così.

Violante. Don Pirolino, mio nipote, mi fa studiare quattro pagine al giorno; e non vuole ch’io passi oltre.

Argentina. Voleva dirvi, prima d’ogni altra cosa, aver io sentito che il signor Pantalone vuol dar marito alla signora donna Elvira, vostra cognata.

Violante. Non è suo zio, che si curi di maritarla. Ella è, che ha volontà di marito. Ma spero io ancora di passare alle seconde nozze, prima ch’ella si vegga coll’anello in dito.

Argentina. Permettetemi ch’io dica, che a quest’ora il nuovo sposo lo avereste ritrovato, se vi conteneste da vedova, come avete fatto da fanciulla e da maritata. Ma... compatitemi: avete mutato intieramente il modo di vivere. Vi siete data a tre o quattro cose, che sono poi anche fra di loro contrarie. Queste critiche le sento dire, e mi vengono i rossori sul viso per parte vostra. Non voleva dirvelo, ma mi reputerei una serva indegna, se non parlassi col cuor sulle labbra alla mia padrona.

Violante. Cara Argentina, invece di riprenderti, ti ammiro, ti lodo e dell’amor tuo ti son grata. Lascia però ch’io ti dica che hai poco spirito, e che sentendo parlar di me, non distingui la verità dall’invidia. Odimi, ti voglio ammettere all’ultima confidenza. Voglio svelarti il mio cuore in una maniera che a me medesima qualche volta ho soggezione di fare. Io mi sono maritata assai giovine; sono rimasta vedova in una età che non invidia niente quella di mia cognata. Tuttavolta quel primo fiore di gioventù, Argentina mia, se n’è ito; e il nome di vedova in qualunque età è sempre per la femmina [p. 137 modifica] svantaggioso. La bellezza, se ve ne fosse, se ne va in pochissimi anni. La mia dote, tu lo sai, non arriva a seimila scudi. Li ventimila, che mi ha lasciati mio padre, mi sono acerrimamente contrastati da’ miei cugini; e la causa è pericolosa. In questo stato in cui mi ritrovo, la sola apprensione di restare in un canto sprezzata, o non curata, mi fa sudare qualunque volta ci penso. Ecco la ragione, per cui procuro essere fiancheggiata da quelle prerogative che mi possono mettere in maggior credito, in maggiore riputazione. Un poco di lettere, un poco di brio, un misto di serietà e di ridicolo per adattarsi ai caratteri delle persone; saper dire la barzelletta; saper dar la burla con grazia; stare all’occasione del tavolino e della bottiglia, sono cose che piacciono alla gente allegra. Parlar di istorie, dir qualche verso; entrare in materia di politica, di erudizione, sono qualità che innamorano i dotti, e sono cose che durano assai più d’un bel viso; sono meriti che si conservano nell’età più avanzata; e tante e tante volte una vecchietta graziosa e dotta fa disperare le più giovani e le più belle, perchè senza spirito e senza grazia.

Argentina. Voi parlate assai bene; voi avete delle massime buone. Ma, a buon conto, il maestro che avete scelto per erudirvi, è uno sciocco.

Violante. Non è vero. Mio nipote sa quanto basta; ed io mi prevalgo di lui, perchè ho della confidenza, nè voglio che si dica, prendendo un altro maestro, che principio oggi a studiare.

Argentina. Ma non vedete, signora mia, che perdete il tempo, e potreste a quest’ora essere rimaritata? In verità fate torto a voi stessa a credere d’aver bisogno di maggior merito per essere amata. Tutti quelli che frequentano la vostra conversazione, e non sono pochi, tutti bramerebbero di conseguirvi.

Violante. Ho timore che mi coltivino per la speranza della mia eredità e che, perduta questa, mi lascino.

Argentina. Il signor don Fausto, secondo me, vi ama più di tutti, e senza alcun interesse. Egli è un giovane che mi piace assaissimo, schietto, sincero... [p. 138 modifica]

Violante. Sincero un poco troppo. Anch’io, per dirti la verità, lo stimo e lo amo sopra d’ogni altro; ma ha un certo non so che di aspro qualche volta, e piccante, che incomoda infinitamente.

Argentina. Egli ha per voi il maggior rispetto che possa aversi.

Violante. Te lo giuro: don Fausto mi piace infinitamente.

Argentina. Piace anche a vostra cognata: e se voi lasciarete correre...

Violante. Come! Mia cognata ardirebbe di frammischiarsi nella mia conversazione? Se ardirà alzar gli occhi soltanto ad uno di quelli che hanno della parzialità per me, le farò quello che forse non le averà mai fatto sua madre.

SCENA II.

Cecchino e dette.

Cecchino. Signora.

Violante. Che cosa vuoi?

Cecchino. Due signori desiderano riverirla.

Violante. Chi sono?

Cecchino. Il signor don Roberto ed il signor don Gismondo.

Violante. Vengo subito... Ma in questa camera non vi è uno specchio. Argentina, come ti pare ch’io stia?

Argentina. Voi avete buonissima ciera.

Violante. Non dico questo. Il capo mi par d’averlo male assettato.

Argentina. In verità, state benissimo.

Violante. Non è vero. Qui sento che li capelli sono arruffati.

Argentina. Ma no, vi dico.

Violante. Ma non me ne fido. Vammi a prendere uno specchio.

Argentina. E quei signori aspettano.

Violante. Presto, cara Argentina. Se non son quieta, perdo lo spirito.

Argentina. Non so che dire; vi contenterò. (Davvero, davvero ho paura ch’ella abbia perso il cervello). (da sè, parte) [p. 139 modifica]

SCENA III.

Donna Violante e Cecchino.

Cecchino. E quei signori passeggiano.

Violante. Non vorrei che mi tacciassero di malcreata... Prendi, reca loro questo pezzo di carta; di’ che si divertano, fintanto che da un piccolo affare sono obbligata a lasciarli soli.

Cecchino. Sarà qualche cosa di bello.

Violante. Portala a chi ti comando, e non pensar altro.

Cecchino. Sì, signora. (legge piano)

Violante. (Ammireranno intanto un primo parto della mia musa). (da sè)

Cecchino. (Leggendo piano, e camminando, si mette a ridere forte.)

Violante. Elà, perchè ridi?

Cecchino. Rido di quell’ignorante che ha fatta questa bella composizione.

Violante. Come! tu, asinaccio, giudicherai di quei versi?

Cecchino. Io non so de’ versi. So che vi è una sconcordanza in genere.

Violante. Cosa vuol dire questa sconcordanza in genere?

Cecchino. Vuol dire che il genere mascolino non accorda col femminino.

Violante. Via, impertinente. Ai ragazzi non tocca parlare di queste cose. Hai la bocca di latte e vuoi parlare del genere femminino?

Cecchino. Io m’intendo dire...

Violante. Via, via, non voglio sentir altro.

Cecchino. Dico che chi ha fatta questa composizione...

Violante. L’ho fatta io.

Cecchino. Oh, va bene; non parlo più. (Di’ Partenope nostro: Partenope mascolino! Meriterebbe un cavallo, ma come va!) (da sè, e parte) [p. 140 modifica]

SCENA IV.

Donna Violante, poi Argentina collo specchio.

Argentina. Compatitemi, signora: è venuta una visita alla signora vostra cognata, e ha toccato a me a riceverla ed introdurla.

Violante. Chi è questa visita?

Argentina. È la signora donna Aurelia.

Violante. Donna Aurelia va da mia cognata, e non viene prima da me? Bene, bene, la scarterò.

Argentina. Ha domandato anche di voi, signora...

Violante. Da’ qui lo specchio. (arrabbiala)

Argentina. Eccolo.

Violante. (Si va guardando nello specchio, e s’accomoda con un spillone.)

Argentina. Credo che dopo verrà da voi...

Violante. Da me dopo? Vada al diavolo. (con rabbia si concia)

Argentina. Voi avete paura di scomparire, e fate torto a voi stessa. Credetemi, signora padrona, avete assai migliorato da che siete vedova.

Violante. Gli occhi non mi pare che abbian patito. (guardandosi nello specchio)

Argentina. Per quello che avete pianto, non doverebbono aver patito certo.

Violante. Una volta mi pare che io era più rossa.

Argentina. Ah, in quanto al rosso poi, il più e il meno sta in vostra mano.

Violante. Sento gente. Chi viene?

Argentina. Parmi che sia...

Violante. Donna Aurelia? non la voglio ricevere.

Argentina. Ma io non saprei...

SCENA V.

Donna Aurelia e dette.

Aurelia. Amica, si può venire?

Violante. Si può. Quando si viene, si può.

Aurelia. Non vi prendete soggezione di me. Accomodatevi pure.

Violante. Potevate restare da mia cognata. [p. 141 modifica]

Aurelia. Cara amica, vi sono stata anche troppo. Mi ha veduta che smontavo dalla carrozza. Mi ha detto che mi voleva parlare, e non ho potuto esentarmi dall’ascoltarla. Ma la visita è vostra, e sono qui a rallegrarmi; ma a rallegrarmi di cuore.

Violante. Di che?

Aurelia. Per tutto si parla del vostro spirito.

Violante. Portatele da sedere. (ad Argentina)

Argentina. (Ora l’ha toccata sul vivo). (va per la sedia)

Aurelia. (A secondarla si ha dello spasso). (da sè)

Violante. Cara amica, dubitava quasi essere da voi abbandonata. Son vedova, ma sono ancora Violante.

Aurelia. Anzi siete più che mai adorabile. Mio marito mi ha detto le mille volte: se non avessi moglie! e lo dice con tanta passione, che quasi quasi...

Violante. Oh, non vi state a mettere in gelosia. Gli uomini maritati ve li dono quanti che sono.

Aurelia. In fatti voi avete una turba di adoratori, ognuno de’ quali vi potrebbe fare contenta.

Violante. Non dico per dire... ma ne ho parecchi.

Aurelia. Voi farete disperare tutte le fanciulle napolitane.

Violante. Se non ve n’è una, che vaglia un fico.

Aurelia. Lo dicevamo anche l’altro giorno. Val più lo spirito di donna Violante di tutte le più rare bellezze.

Violante. Quando poi lo spirito è accompagnato con un poco di buone carni, ha maggior merito.

Aurelia. Sì, in voi vi è l’uno e l’altro.

Violante. Ah, ah, ah. Mi burlate...

Argentina. No. Si vede...

Violante. Chi è quella? (ad Argentina, osservando tra le scene)

Aurelia. Vostra signora cognata.

Violante. Che cosa pretende nelle mie camere? (s’alza)

Aurelia. Non ce la volete?

Violante. Non ce la voglio. Andiamo in quest’altra camera, (ad Argentina) Compatitemi; se volete venire, siete padrona. (ad Aurelia, e parte) [p. 142 modifica]

SCENA VI.

Donna Aurelia e Argentina; poi di dentro donna Violante.

Aurelia. Argentina.

Argentina. Signora.

Aurelia. Ha un gran caldo la tua padrona.

Argentina. Effetti della vedovanza.

Aurelia. Patisce a stare senza marito?

Argentina. Non mi fate dire...

Aurelia. Raccontami qualche cosa.

Argentina. Se potessi...

Violante. Argentina. (di dentro)

Argentina. Verrò da voi, signora. Vi racconterò ogni cosa. (a donna Aurelia)

Aurelia. Tutto il giorno pazzie.

Argentina. Quelle del giorno non contan niente: bisogna veder quelle della notte.

Aurelia. Deve smaniare.

Argentina. Come una bestia.

Violante. Argentina. (di dentro)

Argentina. Vengo. Oh belle cose! son fanciulla, ma qualche cosa capisco. Vengo, vengo; vi narrerò. (parte)

SCENA VII.

Donna Aurelia, poi donna Elvira.

Aurelia. Eh! in oggi le fanciulle la sanno lunga. Ma dov’è donna Elvira, che ha fatto sparire donna Violante? Io non la vedo venire. (s’accosta all’uscio) Amica, che fate costì? Venite, ch’io son sola.

Elvira. Sento che la bile mi affoga.

Aurelia. Con chi l’avete?

Elvira. Con quella incivile di mia cognata.

Aurelia. E per lei vi scaldate il sangue? Mettetela in ridicolo, come fanno tanti, e non le badate. [p. 143 modifica]

Elvira. Quando mi ha veduta, è fuggita.

Aurelia. Dovreste aver piacere ch’ella avesse soggezione di voi; segno ch’ella vi crede più vezzosa e più bella.

Elvira. Credetemi, amica, che con lei non si può più vivere.

Aurelia. Perchè vostro zio non vi dà marito?

Elvira. Perchè colei mi attraversa tutti i migliori partiti. Quanti vengono in questa casa, dopo ch’ella è rimasta vedova, li vuole tutti per lei. Se vede che uno mi saluti in passando, ella subito gli fa le grazie e lo tira a sè. Son certa che non mi mariterò mai, fino ch’ella sta in questa casa.

Aurelia. Può essere ch’ella si rimariti.

Elvira. Chi volete voi che la pigli?

Aurelia. Fra tanti che la trattano, possibile cha non vi sia uno che dica davvero? Il signor don Fausto, fra gli altri, pare sia per lei appassionatissimo.

Elvira. Il signor don Fausto mi pare, se non m’inganno, che abbi qualche inclinazione per me.

Aurelia. Oh, l’averei pur caro! Starete con lui da regina; e se egli ha veramente quel buon senno che dimostra di avere, preferirà voi per cento titoli a donna Violante.

Elvira. Dote io ne ho più di lei.

Aurelia. Tanto più se perde la lite con i suoi cugini, come la perderà certamente.

Elvira. Di volto... non dico per dire...

Aurelia. Oh, non è nemmeno da paragonarsi.

Elvira. E poi... ella è vedova.

Aurelia. Sì, quel ch’è stato, è stato.

Elvira. Eppure, con tutto questo, sinora me l’ha fatta vedere.

Aurelia. Volete ch’io dica una parolina a don Fausto?

Elvira. Non sarebbe mal fatto che voi le diceste qualche cosa.

Aurelia. Lasciate fare a me. Voglio io buscarmi la senseria.

Elvira. Vi darò centomila baci.

Aurelia. Eh, no no, serbateli.

Elvira. Per chi?

Aurelia. Eh furba! [p. 144 modifica]

Elvira. Tenetene uno. (e le bacia in bocca)

Aurelia. (Sputa dopo il bacio.,)

Elvira. Come! sputate il bacio?

Aurelia. Compatitemi, amica. Ho un labbro così delicato, che tutto mi fa venire de’ bruscoli.

Elvira. Via via, non dubitate, che i miei baci non v’insudiceranno mai più.

Aurelia. Ve ne avete a male per questo?

Elvira. Che ora abbiamo? (sdegnosa)

Aurelia. Sarà il mezzogiorno vicino. (sostenuta)

Elvira. Bisognerebbe ch’io vedessi... Basta, non voglio lasciarvi sola.

Aurelia. Non v’incomodate per me. Già voleva partire.

Elvira. Se volete favorir di venire...

Aurelia. Vi ringrazio. Sono aspettata. Serva, donna Elvira.

Elvira. Serva divota. (Stomacosa!) (da sè)

Aurelia. (Sciocca! non sa altro che baciucchiare). (da sè, e parte)

Elvira. (Vada a farsi baciar dal diavolo). (parte)

SCENA VIII.

Camera d’udienza di donna Violante.

Don Roberto e don Gismondo.

Roberto. Donna Violante vuol perdere tutto il meritò con queste sue debolezze.

Gismondo. Stupisco che con tutta la sua serietà, si abbandoni a far dei versi cotanto sciocchi. (ha in mano un foglio)

Roberto. Lodo ch’ella si dia ad un vivere un po’ più allegro e faccia qualche pompa del suo talento, ma non vorrei ch’ella si facesse ridicola.

Gismondo. Io vi consiglierei che colla vostra franchezza le apriste gli occhi.

Roberto. Non vorrei disgustarla. Sapete, caro amico, che le donne amano di essere adulate. Per dirvela in confidenza, ho qualche [p. 145 modifica] buona speranza sulle sue nozze. Se me le rendo odioso correggendola, vi sarà qualcun altro che secondandola mi balzerà dal mio posto.

Gismondo. Oh, chi volete voi che si prenda la pena di lodarla in una cosa così cattiva?

Roberto. Voi colla vostra flemma potreste dirle la verità.

Gismondo. Io non ho poi certo impegno per lei; non vo’ prendere, come si suol dire, gatti a pelar per nessuno. (Preme anche a me la grazia di donna Violante). (da sè)

Roberto. Basta; se sarà mia moglie, la correggerò con un poco di autorità. Per ora io lascio correre.

Gismondo. (Spero che non sarà sua moglie, se valeranno le mie cautele). (da sè)

Roberto. Caro amico, aiutatemi.

Gismondo. Sì, lo farò volentieri. Ecco donna Violante.

Roberto. Date a me quella carta, (prende il foglio da don Gismondo)

SCENA IX.

Donna Violante e detti.

Violante. Scusatemi, signori, se vi ho fatto indiscretamente aspettare.

Roberto. No, madama, abbiamo impiegato il tempo benissimo, ammirando le belle produzioni del vostro spirito.

Violante. Compatitemi. Son principiante.

Roberto. Voi andate a gran passi per la strada dei letterati.

Violante. Troppo onore, signor don Roberto; e don Gismondo ha sofferto con bontà quel picciolo scherzo della mia musa?

Gismondo. Oh signora, io non posso decidere. Ma... per dirla... sono rimasto pieno di meraviglia. (con affettata umiltà)

Violante. Credete voi che col tempo potrò sperare di vedere impresso il mio nome?

Gismondo. Voi sarete un oggetto d’ammirazione e d’invidia.

Roberto. Ma, cara donna Violante, non sagrificate i più bei giorni alle lettere. Godete il mondo, finchè la bella età lo permette. [p. 146 modifica]

Violante. Sì, voglio goderlo. Il mio tempo lo so dividere perfettamente. Sentite se io ho fatta una buona distribuzione del giro delle ventiquattr’ore. Dodeci al letto, due alla tavoletta, due al pranzo, una alla cena, tre allo studio e quattro alla conversazione.

Roberto. È poco per la conversazione. Che dite, don Gismondo?

Gismondo. Sì, vorrebbono essere almeno sei.

Violante. Aspettate: leviamo due ore da qualche altra faccenda.

Roberto. Io le leverei dallo studio.

Violante. Oh no: lo studio è troppo necessario. Che dite, don Gismondo?

Gismondo. Sì, è necessarissimo. Farebbe torto al suo felice talento.

Roberto. Dalla tavoletta si potrebbe levar qualche cosa?

Violante. Due ore sono anche poche.

Roberto. Due di pranzo, una di cena?...

Violante. Si può far meno?

Gismondo. Anzi è difficile che colla tavola non s’intacchi.

Roberto. Per dirla, mi pare che delle dodeci del letto se ne potrebbe levare un paio almeno per la conversazione.

Violante. Ma sono avvezza così.

Gismondo. Si potrebbe conciliare una cosa coll’altra. Non è incompatibile letto e conversazione.

Violante. Sì, sì, per la cioccolata.

Roberto. Bravissima! la conversazione della cioccolata.

Gismondo. Grande spirito! gran prontezza ha madama!

SCENA X.

Paggio e detti.

Paggio. Signora.

Violante. Che vuoi?

Paggio. Il signor don Fausto vorrebbe riverirla.

Violante. Venga pure, è padrone.

Paggio. (A che serve ch’io faccia le ambasciate? Qui non si dice di no a nessuno). (da sè, e parte) [p. 147 modifica]

Roberto. Signora, con vostra buona licenza.

Violante. Volete partire?

Roberto. Don Fausto, per dirvela, è un uomo melanconico, che non mi piace; non so come il vostro brio, il vostro spirito, lo sopporti.

Violante. È vero, è patetichino; ma è di buon cuore.

Gismondo. Il cuore delle persone, signora mia, non si conosce sì facilmente. Questi uomini tetri non hanno il cuore sincero.

Violante. Sinora non ho avuta occasione di diffidare di lui.

Gismondo. Lo proverete. Servitor divotissimo.

Violante. Anche voi mi lasciate?

Gismondo. Parto qui coll’amico.

Violante. Favoritemi quel pezzo di carta. (a don Roberto)

Roberto. Non volete lasciarmi una cosa così preziosa? Permettete ch’io ne possa estrarre una copia. Vi manderò questa per Traccagnino mio servitore.

Violante. Servitevi come vi aggrada. Già ho meco l’originale. Ma i miei versi non hanno merito.

Gismondo. Meritano di essere scritti a caratteri d’oro.

Violante. Voi mi burlate.

Gismondo. Vi parlo con il cuor sulle labbra. Permettetemi. (le bacia la mano)

Roberto. Oggi, oggi verremo da voi a far le quattr’ore di conversazione. Questi momenti non li contiamo.

Violante. Caro don Roberto, il vostro brio mi consola.

Roberto. Sono a’ vostri comandi, madama. (le bacia la mano)

Gismondo. Madama. (partono)

SCENA XI.

Donna Violante, poi don Fausto.

Violante. Son confusa da tante grazie, da tante lodi.

Fausto. È permesso che possa anch’io riverirvi?

Violante. Credeva che più non veniste. È mezz’ora che mi avete fatta far l’imbasciata. Dove siete stato? da donna Elvira? [p. 148 modifica]

Fausto. Non signora, mi sono un poco trattenuto nell’anticamera con Argentina.

Violante. Già, anche quella scioccherella trattiene l’anticamera; la manderò via.

Fausto. Lasciatemi dire, signora; mi sono trattenuto, diceva, per non interrompere i complimenti di don Roberto e don Gismondo.

Violante. Non potete voi stare in conversazione con essi ancora?

Fausto. Sì, ci posso stare; ma non lo desidero.

Violante. Vi sarà il suo perchè.

Fausto. Voi mi dispenserete di dirlo.

Violante. Don Fausto, parlatemi con sincerità, siete un poco geloso, non è egli vero?

Fausto. Sapete voi di che son geloso? Del vostro buon nome, dell’onor vostro.

Violante. Di ciò vi son grata, e spero avrete occasione d’esser contento.

Fausto. Credetemi, donna Violante, che mi dà pena, quando sento parlar di certe cose...

Violante. Non occorre farsi meraviglia di niente. L’invidia è lo spirito dominatore degl’ignoranti.

Fausto. Io mi augurerei che foste oggetto d’invidia.

Violante. Oh, lo sono, ve l’assicuro. In oggi non è alla moda che le donne diansi allo studio; e se taluna, amando le lettere, si fa distinguere dalle altre, le si scatena contro l’invidia.

Fausto. L’invidia non sarebbe niente. Mi fa paura la derisone.

Violante. Sì, anche la derisione. Ma di chi? degl’ignoranti: di quelli che vergognandosi di non sapere, tentano di porre in ridicolo quelli che sanno.

Fausto. Voi dite benissimo; ma quelli che veramente sanno, si burlano degl’ignoranti, e si consolano coll’approvazione dei dotti.

Violante. Così faccio io.

Fausto. Cara donna Violante, non ci aduliamo.

Violante. Faccio così sicuramente. Io non abbado ai maligni. Mi contento di quelli che fanno applauso, non dirò alla mia virtù, ma alla mia inclinazione. [p. 149 modifica]

Fausto. E chi sono questi, signora?

Violante. Ve ne potrei numerar più di venti. Ma ora, più recentemente degli altri, don Roberto e don Gismondo. Non si saziavano di dirmi di quelle cose che in verità mi fanno arrossire.

Fausto. Li conoscete voi bene, signora, quei due valenti uomini che vi colmano di tante lodi?

Violante. Non volete ch’io li conosca? La vostra domanda sarà misteriosa.

Fausto. Voi non conoscete che i loro volti; ma io conosco il loro carattere.

Violante. Spiegatevi; non vi capisco.

Fausto. Sono adulatori.

Violante. Eh!... caro don Fausto! Sono vostri nemici.

Fausto. Miei nemici? perchè?

Violante. Voi non vorreste ch’io praticassi nessuno.

Fausto. Perdonatemi. Non ho queste pretensioni.

Violante. Perchè dunque perseguitate don Roberto e don Gismondo?

Fausto. Io dico questo fra voi e me, che nessuno ci sente. Guardatevi, donna Violante, perchè vi adulano.

Violante. Chi sente voi, io sono una sciocca che viene lodata per adulazione.

Fausto. Compatite la mia sincerità. Vostro nipote non vi può insegnar cosa buona.

Violante. No? perchè?

Fausto. Perchè non ne sa nemmeno per lui.

Violante. Eppure l’esperienza prova in contrario.

Fausto. Io di questa esperienza così vantaggiosa non sono inteso.

Violante. Appunto vi aspettava con ansietà, per comunicarvi un primo frutto delle nostre lezioni. (tira fuori un foglio

Fausto. È qualche cosa che vi abbiano lodata quei due signori che erano qui da voi?

Violante. Sì, per dire il vero, l’hanno ammirata.

Fausto. Questo non basta per poter dir che sia buona.

Violante. Ma siete bene ostinato, o per dir meglio, sono bene io sfortunata con voi. [p. 150 modifica]

Fausto. Signora, vi prego, non andate in collera.

Violante. Quando si tratta di me, posso sperare che tutti si contentino, fuori di voi.

Fausto. Eppure, credetemi, niuno più di me vi rispetta e vi ama.

Violante. Bell’amore! contraddirmi sempre.

Fausto. Questo è un effetto della mia sincerità...

Violante. E questa è un’insolenza che voi mi dite. Se mi contraddite per effetto di sincerità, dunque sono una bestia, che merita di essere contraddetta.

Fausto. Ma! pur troppo è così. Chi non sa fingere, non sa regnare.

Violante. Oh! con me chi finge regna per poco. Sono ignorantissima, caro don Fausto, ma ho talento che basta per distinguere il vero dal falso.

Fausto. Voi distinguerete dunque da quello degli altri il mio cuore.

Violante. Sì, lo conosco. Un cuore... così... un cuore fatto di carne.

Fausto. Ah! non avete poi coraggio di dirne male.

Violante. Nè voi potete dolervi di me. Non potrete dire ch’io non vi abbia sempre dati dei chiari segni della mia più tenera parzialità.

Fausto. Ma il vostro confidente non sono io.

Violante. Perchè non volete esserlo. (con alterezza

Fausto. Sarà come dite voi. Non voglio che il giustificarmi vi offenda.

Violante. Ecco qui. Io ho questa composizione che da tutti mi si vorrebbe rubare con ansietà dalle mani, e voi non vi curate nemmen di vederla.

Fausto. Non mi avete fatto l’onore di comunicarmela.

Violante. E che? ho da pregarvi che la leggiate?

Fausto. Se aveste piacere ch’io la leggessi, fareste con me quello che avete fatto cogli altri.

Violante. Se voi aveste caro di leggerla, me la chiedereste con un poco più di premura.

Fausto. Via, signora, favoritemela.

Violante. Oh caro! che bella grazia! Favoritemela. Pare che me la chieda per farmi una carità. [p. 151 modifica]

Fausto. No, ve la chiedo per grazia, per desiderio di leggerla, di goderla...

Violante. E di criticarla. (con caricatura

Fausto. Non permetterete ch’io vi dica il mio sentimento schietto e sincero?

Violante. Anzi; mi farete piacere.

Fausto. Favorite. Non mi fate penare d’avvantaggio.

Violante. È una piccola cosa, sapete? un primo parto di poeta novella.

Fausto. Sì, di poetessa novella. Son persuaso che abbia ad essere qualche cosarella che dia speranza in progresso.

Violante. Per altro chi l’ha sentita l’ha portata alle stelle.

Fausto. La sentirò ancor io volontieri.

Violante. Eccola. Ma già non vi piacerà.

Fausto. Parliamoci chiaro. Volete ch’io ve la lodi, o volete che vi dica la verità, come nell’animo mio l’intendo?

Violante. Se mi lodaste per complimento, tradireste voi stesso e la mia confidenza.

Fausto. Oh bene, da vostra pari. Leggiamo dunque, e sentiamo. (legge

Se il nuovo stil risuonante. (stringe i denti e si contorce

Violante. Che c’è? vi vengono le convulsioni?

Fausto. Niente signora, andiamo innanzi.

Di Partenope nostro

Partenope nostro? Partenope mascolino?

Violante. In verità, don Fausto, ne sapete quanto ne sa il mio paggio. Ora capisco che cosa voleva dire quello sciocco, quando si maravigliava del mascolino.

Fausto. Ma il vostro paggio ne sa più assai di chi vi ha insegnato finora.

Violante. Oh, quest’è bella! Partenope non vuol dir Napoli? e Napoli sarà femminino?

Fausto. Anche Napoli istesso vogliono i buoni autori che si accordi col femminino; Partenope molto più.

Violante. Tutti sono ignoranti, fuori di voi. (con disprezzo [p. 152 modifica]

Fausto. Tutti vi adulano, fuori di me.

Violante. Dunque l’ignorantaccia sono io sola.

Fausto. Compatitemi, non dico questo...

Violante. Di peggio non si può dire di quello che avete detto.

Fausto. Mi avete pur comandato di dire la verità.

Violante. Bisogna vedere se questa verità voi la conoscete.

Fausto. Se poi non mi credete atto ad intendere, è superfluo che mi facciate1 leggere le cose vostre.

Violante. Date qui, insolente. (gli strappa di mano, la carta

Fausto. Vi prego di perdonarmi...

Violante. In casa mia farete bene a non ci venire.

Fausto. Pazienza. Io mi merito peggio.

Violante. Uomo incivile! Sì, ignorante. (parte

SCENA XII.

Don Fausto solo.

Ecco quello che si guadagna a dire la verità. Io non sono buono da secondare, da adulare, e vedo pur troppo che le signore donne, che non sono adulate, non credono essere amate. Se tutti trattassero donna Violante come la tratto io, non si darebbe pascolo alla sua debolezza; ma una povera donna che concepisca un grado solo di qualche pazzia, è forzata moltiplicarlo in infinito, per causa dei ridicoli adulatori.

SCENA XIII.

Donna Elvira e detto.

Elvira. (Ecco don Fausto. Vo’ mandarlo da donna Aurelia; giacchè ella colla sua imbasciata mostra d’esser pentita d’avermi quasi affrontata). (da sè) Don Fausto, mi dispiace della vostra disgrazia.

Fausto. Di che, signora? [p. 153 modifica]

Elvira. Donna Violante ha parlato di voi nell’anticamera con poca stima.

Fausto. Ed io non cesserò mai di parlare con della stima di lei.

Elvira. Le vostre attenzioni sono troppo male impiegate.

Fausto. Non merito maggior fortuna.

Elvira. Troppa umiltà, don Fausto. Voi meritate assaissimo, ed avete delle persone che vi amano.

Fausto. Chi mai sarà di sì poco spirito, che voglia perdere meco il tempo?

Elvira. Siete amico di donna Aurelia?

Fausto. Le son buon servitore.

Elvira. Ella forse ve lo dirà.

Fausto. Attenderò l’incontro di saperlo da lei.

Elvira. Sarebbe necessario che andaste voi medesimo a ritrovarla.

Fausto. Non sono solito a frequentar la sua casa.

Elvira. Potete dirle ch’io vi ho dato l’eccitamento d’andarvi.

Fausto. Ella dunque saprà che a voi è noto l’arcano.

Elvira. Sì, ella ed io lo sappiamo.

Fausto. Dunque, se avessi della curiosità di saperlo, potreste voi compiacermi, senza dare incomodo a donna Aurelia.

Elvira. È vero che a me non conviene dir tutto quello ch’ella potrebbe dirvi; ma se poi aveste veramente curiosità di saperlo...

Fausto. Signora, il punto sta che questa curiosità io non la ho veramente, sul riflesso che sarebbe inutile ch’io l’avessi.

Elvira. Perchè inutile?

Fausto. Non solo inutile, ma dispiacevole anzi mi sarebbe il saperlo.

Elvira. Vi torno a domandare il perchè.

Fausto. Perchè non essendo in grado di corrispondere a chi che sia, non ho nemmen desiderio di essere amato.

Elvira. Come? non siete in grado di corrispondere?

Fausto. Lo dico sinceramente: amo donna Violante.

Elvira. Una donna che vi disprezza?

Fausto. Il suo disprezzo non è ancora giunto a segno di far che io la odii. [p. 154 modifica]

Elvira. Vi giungerà.

Fausto. E allora principierò a dar orecchio a qualche altro amore.

Elvira. Bisognerà vedere se sarete più in tempo.

Fausto. Diamine! ha da essere per me finito il mondo sì presto?

Elvira. Quella che oggi vi ama, non sarà sempre in libertà di amarvi.

Fausto. Ve ne sarà qualcun’altra.

Elvira. Ma non sarà come quella.

Fausto. Voi la conoscete questa mia amante?

Elvira. Sì, la conosco.

Fausto. Favoritemi dirle una coserella per parte mia.

Elvira. Lo farò volentieri.

Fausto. Ditele che la ringrazio della bontà che ha per me, che troppo mi onora coll’amor suo; ma che non la consiglio a scoprirsi, per evitare il rammarico di non essere corrisposta. Amo donna Violante e l’amerò fin ch’io viva. Ditele il mio sentimento sincero, e per non recarvi tedio maggiore, vi riverisco umilmente e vi levo l’incomodo. (parte

SCENA XIV.

Donna Elvira, poi Pantalone.

Elvira. Signora donna Elvira, le porterò i complimenti del signor don Fausto. Indegnissimo! Crediamo ch’egli se ne sia avveduto e mi abbia così gentilmente derisa? Se me ne potessi assicurare, vorrei che se ne pentisse. Ma no; forse, se gli avessi manifestato esser io quella, forse forse non avrebbe detto così.

Pantalone. Siora nezza, cossa feu in ste camere? No saveu che qua no gh’avè da vegnir? Quante volte voleu che ve lo diga?

Elvira. Già una minima libertà ch’io mi prenda, subito si critica e si mette sulla bilancia della delicatezza; e alla vedovella garbata si passano tutte le pazzie, tutte le frascherie, e anche di quelle cose che rendono poco buon odore alla casa.

Pantalone. A vu, siora, no ve tocca parlar cussì. Mi son el paron in sta casa, e mi conosso i desordini, e me tocca a mi [p. 155 modifica] a remediarghe. Credeu che no veda? credeu che no sappia? Siora sì, vedo, e so; e provvederò a tutto. Sta vedova l’anderà via. Ma se posso far de manco, no voggio che una che xe stada muggier de un mio nevodo, se vaga a far nasar per el mondo. Vôi piuttosto sopportar mi fin che posso qualcossa in casa, che mandarla fora de casa a precipitar.

Elvira. Se aspettate ch’ella trovi marito, volete aspettare un pezzo.

Pantalone. Fra tanti che ficca, che no ghe sia uno che sorba?

Elvira. Dote ne ha poca.

Pantalone. La ghe n’averà più de vu.

Elvira. Io finalmente sono fanciulla.

Pantalone. Qualchedun gh’averà più gusto che la sia vedova.

Elvira. Signor zio, mi pare che a voi dovrebbe premere di collocar prima me.

Pantalone. Voleu che vaga mi a recercarve el mario colla candeletta?

Elvira. A me non è lecito di procurarlo.

Pantalone. Vedo per altro che ve inzegnè.

Elvira. Io? come, signore?

Pantalone. No so gnente. Ve vedo qua troppo spesso. Quando un pescaor se butta dove che ghe xe del pesce, qualcossa el chiappa seguro.

Elvira. Voi buttate la cosa in barzelletta.

Pantalone. E vu vorressi che se fasse dasseno!

Elvira. Mi pare che sarebbe ora.

Pantalone. Com’èla? Ve par che el bossolo scomenza andar verso tramontana?

Elvira. Per donna sono assai giovine, ma per fanciulla...

Pantalone. Per putta, ah? sarave ora de andar al spaghetto.

Elvira. M’aspetto ancor di vedere donna Violante rimaritata prima ch’io sia sposa.

Pantalone. No sarave miga gran maraveggia! Chi ha voga in regata, trova paron più presto.

Elvira. Ma io mi darò alla disperazione.

Pantalone. Eh via! [p. 156 modifica]

Elvira. Se fosse vivo mio padre, in questa casa non ci sarei.

Pantalone. Pol esser che fussi a suspirar in t’un’altra.

Elvira. Siete troppo crudele.

Pantalone. La me la conta ben granda!

Elvira. Ma se voi non ci pensarete... Signor zio, non mi mettete alla disperazione. (parte)

SCENA XV.

Pantalone, poi donna Violante.

Pantalone. Sta mia nezza gh’ha una voggia de mario, che la butta fuogo. Le fa cussì ste putte: no le vede l’ora de maridarse, e po, co la xe maridae, le fa come i marineri in borrasca, le se augura un cantoncin del fogher. Anca donna Violante la se vorria maridar; e quella, per dir la verità, no vedo l’ora anca mi che la se marida. Prego el cielo che la vadagna sta lite, son interessà in sta cossa, come se trattasse de una mia fia, perchè finalmente la xe stada muggier de un mio nevodo e la considero del mio sangue. Siemile ducati la gh’ha de dota. Vintimile importa la eredità contenziosa. Con vintisiemile ducati la doveria trovar qualcossa de bon.

Violante. Signor zio, appunto desiderava vedervi.

Pantalone. E mi giusto vegniva in cerca de vu.

Violante. Datemi qualche notizia della mia causa. Posso sperare di guadagnarla? La sentenza l’avremo noi presto? Per amor del cielo, signor zio, non mi abbandonate. Non ho altri che mi voglia bene che voi.

Pantalone. Sì, fia, ve voggio ben e ve ne vorave anca de più, se ve contegnissi con un puoco più de prudenza.

Violante. Signore, che cosa faccio io che vi rassembri mal fatto?

Pantalone. Troppe conversazion, troppe chiaccole, troppi reziri; e po cossa xe sto mattezzo che ve xe saltà in te la testa de voler deventar dottoressa? Tutto el zorno coi libri in man. Se li intendessi, pazenzia. Se gh’avessi una bona disposizion, se a bonora i v’avesse fatto studiar, ve loderia, ve compatiria; [p. 157 modifica] ma a scomenzar adesso, xe tardi. El studio delle donne no l’ha da esser nè la grammatica, nè la poesia, ma l’economia della casa, l’educazion dei fioli, co ghe ne xe; farse ben voler dal marìo, farse respettar dalla servitù, acquistarse un bon nome, saver trattar con giudizio, conversar con prudenza e devertirse con moderazion. Questo xe el studio delle femene che gh’ha giudizio. Questa xe la dota, che più de tutto ha da premer a un bon marìo. I vintimile ducati spero che i gh’averè. Ancuo se darà la sentenza, e spero che sarè consolada. Se anca la se perdesse, no ve stè a desperar. Fideve de mi, no ve dubitè gnente; abbiè prudenza, regoleve da donna savia, e no ve abbandonerò mai. Se la vostra dota no ve basta per remaridarve, son qua, son galantomo, son vostro barba. Se troverè un partìo che me piasa, vederè cossa che farò.

Violante. Signore, io mi getterò nelle vostre braccia.

Pantalone. Se no fussi stada muggier de mio nevodo, gh’averia ancora brazzi e gambe da sustentarve. La conclusion xe questa. Più presto che ve mariderè, me farè più servizio; e se l’occasion no capita, fe cussì: fe metter i bollettini sulle cantonae: Possession da vender con tutte le so abenzie e pertinenzie, usi, servitù e comodi, e chi la volesse, vada a parlar a domino Pantalon dei Bisognosi. Fe che i vegna da mi, e no ve dubitè gnente. (parte)

SCENA XVI.

Donna Violante, poi don Pirolino.

Violante. Non vorrebbe ch’io coltivassi le lettere. Sarà difficile ch’io le abbandoni. Ci ho preso gusto, e vedo che ci profitto moltissimo. Ma ecco qui don Pirolino: ecco il mio erudito maestro: quello che mi fa comparire, che mi fa invidiare. Don Fausto non lo stima; ma don Fausto non conosce il merito.

Pirolino. Salve, domina zia.

Violante. Bravissimo. Che cosa vuol dire?

Pirolino. Vuol dire saluto la signora zia. [p. 158 modifica]

Violante. Salve, domina zia: eccellente. Che linguaggio è?

Pirolino. Latino.

Violante. Latino?

Pirolino. Io parlo sempre latino. Anche colla serva.

Violante. Ma la serva non v’intenderà.

Pirolino. Che importa a me che m’intenda? Per esempio... Anche il mio maestro parlerà talvolta un’ora meco, senza ch’io intenda parola.

Violante. Nipote mio, siamo in un grand’impegno.

Pirolino. Lo sosterremo, basta che non sia colla spada, lo sosterremo.

Violante. I nostri versi sono stati barbaramente criticati.

Pirolino. Ho gusto. È segno che sono belli.

Violante. Pretendono che Partenope abbia da essere femminino.

Pirolino. Vi hanno detto il perchè?

Violante. Non me l’hanno detto.

Pirolino. Quando vi diranno il perchè, daremo loro la risposta.

Violante. Ditemi intanto voi il perchè lo crediate essere mascolino.

Pirolino. Il mio perchè è fondato sulla ragione.

Violante. Bravissimo. Qual è la ragione?

Pirolino. Eccola: colla dottrina alla mano. Tutti i nomi sono o mascolini, o femminini, o neutri. Questo non è nè femminino, nè neutro, dunque sarà mascolino.

Violante. Chi può rispondere a una ragione sì chiara? Quanto pagherei che ci fosse don Fausto.

Pirolino. Don Fausto dunque è stato il satirico criticante?

Violante. Sì, egli è stato il criticante.

Pirolino. Criticoneremo, satiriconeremo anche lui.

Violante. Perchè non avete detto criticheremo, satiricheremo?

Pirolino. Perchè criticonare e satiriconare sono verbi superlativi.

Violante. Oh, se ci fosse don Fausto!

Pirolino. Ma lasciamo ora da una parte la teorica, e veniamo alla pratica.

Violante. Che cosa vuol dire in questo senso la pratica? [p. 159 modifica]

Pirolino. Vuol dire, signora zia, ch’io sono innamorato come una bestia.

Violante. Caro don Pirolino, non vorrei che l’amore vi facesse perdere l’attenzione allo studio. Sarebbe un peccato che si perdesse un uomo della vostra sorta; un uomo che sa perfino i superlativi dei versi.

Pirolino. Tant’è, signora zia, fra l’amore e lo studio divengo sempre più magro.

Violante. Ma chi è l’oggetto dei vostri amori?

Pirolino. Indovinatelo.

Violante. Non mi avete ancora insegnata l’astrologia.

Pirolino. Ve la insegnerò. Ma voi mi avete a fare un altro servizio.

Violante. Comandate, nipote mio; per voi cosa non farei?

Pirolino. Che sono innamorato già ve l’ho detto.

Violante. Sì, l’ho inteso.

Pirolino. Cavatene la conseguenza.

Violante. Se non mi dite altro, non capisco.

Pirolino. Torniamo alla grammatica.

Violante. Oh, quanto pagherei di saper la grammatica!

Pirolino. Facciamo un latino della prima regola degli attivi. Ego amo iuvenem.

Violante. Amate un giovane?

Pirolino. No, diavolo! una giovane. Questa parola giovane può essere maschio e femmina.

Violante. Sì, sì, come Partenope. Quando verrà don Fausto! Voi amate una giovane.

Pirolino. Maxime.

Violante. Che dite?

Pirolino. Maxime vuol dir di sì.

Violante. Bravissimo. Anche questa l’ho imparata. E la giovane come si chiama?

Pirolino. Vocatur.

Violante. Vocatur?

Pirolino. Vocatur vuol dir si chiama. Non intendete? [p. 160 modifica]

Violante. Maxime.

Pirolino. Vocatur ergo.

Violante. Ergo?

Pirolino. Vocatur ergo: si chiama dunque; vocatur ergo: Elvira.

Violante. Mia cognata?

Pirolino. Ella di questo core ha il chiavistello.

Violante. Ma voi sputate perle. Parlerò col signor Pantalone.

Pirolino. Sì, fate ch’egli sia il mezzo termine per la conclusione.

Violante. Vado subito dal signor zio. Farò tutto per voi. V’attendo allo studio. Caro nipote, mi preme di smentire don Fausto. Quell’ergo, quel maxime, sono termini che lo faranno avvilire. (parte)

Pirolino. Qui bisogna che venghino quei bricconi de’ miei compagni, che nelle scuole mi burlano. Qui dico le belle cose, sputo sentenze e faccio latini a rotta di collo. Ciascuno ha il suo clima più favorevole. Gli altri compariscono nelle scuole, ed io nelle camere. (parte)

Fine dell’Atto Primo.


Note

  1. Pitteri, Pasquali e altri: fate.