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LA DONNA DI TESTA DEBOLE 147

Roberto. Signora, con vostra buona licenza.

Violante. Volete partire?

Roberto. Don Fausto, per dirvela, è un uomo melanconico, che non mi piace; non so come il vostro brio, il vostro spirito, lo sopporti.

Violante. È vero, è patetichino; ma è di buon cuore.

Gismondo. Il cuore delle persone, signora mia, non si conosce sì facilmente. Questi uomini tetri non hanno il cuore sincero.

Violante. Sinora non ho avuta occasione di diffidare di lui.

Gismondo. Lo proverete. Servitor divotissimo.

Violante. Anche voi mi lasciate?

Gismondo. Parto qui coll’amico.

Violante. Favoritemi quel pezzo di carta. (a don Roberto)

Roberto. Non volete lasciarmi una cosa così preziosa? Permettete ch’io ne possa estrarre una copia. Vi manderò questa per Traccagnino mio servitore.

Violante. Servitevi come vi aggrada. Già ho meco l’originale. Ma i miei versi non hanno merito.

Gismondo. Meritano di essere scritti a caratteri d’oro.

Violante. Voi mi burlate.

Gismondo. Vi parlo con il cuor sulle labbra. Permettetemi. (le bacia la mano)

Roberto. Oggi, oggi verremo da voi a far le quattr’ore di conversazione. Questi momenti non li contiamo.

Violante. Caro don Roberto, il vostro brio mi consola.

Roberto. Sono a’ vostri comandi, madama. (le bacia la mano)

Gismondo. Madama. (partono)

SCENA XI.

Donna Violante, poi don Fausto.

Violante. Son confusa da tante grazie, da tante lodi.

Fausto. È permesso che possa anch’io riverirvi?

Violante. Credeva che più non veniste. È mezz’ora che mi avete fatta far l’imbasciata. Dove siete stato? da donna Elvira?