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148 ATTO PRIMO

Fausto. Non signora, mi sono un poco trattenuto nell’anticamera con Argentina.

Violante. Già, anche quella scioccherella trattiene l’anticamera; la manderò via.

Fausto. Lasciatemi dire, signora; mi sono trattenuto, diceva, per non interrompere i complimenti di don Roberto e don Gismondo.

Violante. Non potete voi stare in conversazione con essi ancora?

Fausto. Sì, ci posso stare; ma non lo desidero.

Violante. Vi sarà il suo perchè.

Fausto. Voi mi dispenserete di dirlo.

Violante. Don Fausto, parlatemi con sincerità, siete un poco geloso, non è egli vero?

Fausto. Sapete voi di che son geloso? Del vostro buon nome, dell’onor vostro.

Violante. Di ciò vi son grata, e spero avrete occasione d’esser contento.

Fausto. Credetemi, donna Violante, che mi dà pena, quando sento parlar di certe cose...

Violante. Non occorre farsi meraviglia di niente. L’invidia è lo spirito dominatore degl’ignoranti.

Fausto. Io mi augurerei che foste oggetto d’invidia.

Violante. Oh, lo sono, ve l’assicuro. In oggi non è alla moda che le donne diansi allo studio; e se taluna, amando le lettere, si fa distinguere dalle altre, le si scatena contro l’invidia.

Fausto. L’invidia non sarebbe niente. Mi fa paura la derisone.

Violante. Sì, anche la derisione. Ma di chi? degl’ignoranti: di quelli che vergognandosi di non sapere, tentano di porre in ridicolo quelli che sanno.

Fausto. Voi dite benissimo; ma quelli che veramente sanno, si burlano degl’ignoranti, e si consolano coll’approvazione dei dotti.

Violante. Così faccio io.

Fausto. Cara donna Violante, non ci aduliamo.

Violante. Faccio così sicuramente. Io non abbado ai maligni. Mi contento di quelli che fanno applauso, non dirò alla mia virtù, ma alla mia inclinazione.