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138 ATTO PRIMO

Violante. Sincero un poco troppo. Anch’io, per dirti la verità, lo stimo e lo amo sopra d’ogni altro; ma ha un certo non so che di aspro qualche volta, e piccante, che incomoda infinitamente.

Argentina. Egli ha per voi il maggior rispetto che possa aversi.

Violante. Te lo giuro: don Fausto mi piace infinitamente.

Argentina. Piace anche a vostra cognata: e se voi lasciarete correre...

Violante. Come! Mia cognata ardirebbe di frammischiarsi nella mia conversazione? Se ardirà alzar gli occhi soltanto ad uno di quelli che hanno della parzialità per me, le farò quello che forse non le averà mai fatto sua madre.

SCENA II.

Cecchino e dette.

Cecchino. Signora.

Violante. Che cosa vuoi?

Cecchino. Due signori desiderano riverirla.

Violante. Chi sono?

Cecchino. Il signor don Roberto ed il signor don Gismondo.

Violante. Vengo subito... Ma in questa camera non vi è uno specchio. Argentina, come ti pare ch’io stia?

Argentina. Voi avete buonissima ciera.

Violante. Non dico questo. Il capo mi par d’averlo male assettato.

Argentina. In verità, state benissimo.

Violante. Non è vero. Qui sento che li capelli sono arruffati.

Argentina. Ma no, vi dico.

Violante. Ma non me ne fido. Vammi a prendere uno specchio.

Argentina. E quei signori aspettano.

Violante. Presto, cara Argentina. Se non son quieta, perdo lo spirito.

Argentina. Non so che dire; vi contenterò. (Davvero, davvero ho paura ch’ella abbia perso il cervello). (da sè, parte)