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136 ATTO PRIMO


greci, come i latini, come i toscani, e come quelli di ogn’altra lingua, che già quando il Petrarca disse. (piega la carta) Via, parla: che cosa mi vuoi dire?

Argentina. Finite, finite, signora.

Violante. Ho finito. Parla.

Argentina. Mi pareva che non aveste terminato il senso.

Violante. Io finisco di leggere, quando è terminata la pagina.

Argentina. Quando io andava alla scuola, la maestra non m’insegnava così.

Violante. Don Pirolino, mio nipote, mi fa studiare quattro pagine al giorno; e non vuole ch’io passi oltre.

Argentina. Voleva dirvi, prima d’ogni altra cosa, aver io sentito che il signor Pantalone vuol dar marito alla signora donna Elvira, vostra cognata.

Violante. Non è suo zio, che si curi di maritarla. Ella è, che ha volontà di marito. Ma spero io ancora di passare alle seconde nozze, prima ch’ella si vegga coll’anello in dito.

Argentina. Permettetemi ch’io dica, che a quest’ora il nuovo sposo lo avereste ritrovato, se vi conteneste da vedova, come avete fatto da fanciulla e da maritata. Ma... compatitemi: avete mutato intieramente il modo di vivere. Vi siete data a tre o quattro cose, che sono poi anche fra di loro contrarie. Queste critiche le sento dire, e mi vengono i rossori sul viso per parte vostra. Non voleva dirvelo, ma mi reputerei una serva indegna, se non parlassi col cuor sulle labbra alla mia padrona.

Violante. Cara Argentina, invece di riprenderti, ti ammiro, ti lodo e dell’amor tuo ti son grata. Lascia però ch’io ti dica che hai poco spirito, e che sentendo parlar di me, non distingui la verità dall’invidia. Odimi, ti voglio ammettere all’ultima confidenza. Voglio svelarti il mio cuore in una maniera che a me medesima qualche volta ho soggezione di fare. Io mi sono maritata assai giovine; sono rimasta vedova in una età che non invidia niente quella di mia cognata. Tuttavolta quel primo fiore di gioventù, Argentina mia, se n’è ito; e il nome di vedova in qualunque età è sempre per la femmina