La chioma di Berenice (1803)/Discorso III
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DISCORSO TERZO
Di Conone, e della Costellazione Berenicea
I. Dalla metamorfosi della chioma di Berenice in costellazione, a noi giunta con tanti documenti storici1 dalla men remota antichità, acquista fondamento questa opinione: che i simboli fossero scrittura compendiosa della storia, la quale era trasferita dalla terra al cielo; onde più si conoscerebbe l’età del mondo chiamata favolosa2, se si potessero sapere tutti i simboli delle costellazioni. La quale lingua de’ simboli, usitata presso molte nazioni3, fu, inventati gli alfabeti, politicamente riserbata come eredità propria a’ sacerdoti ed a’ principi, i quali nascondevano al volgo la filosofia della storia4. Varranno queste sentenze a confermare ciò che diremo intorno alle deificazioni5.
Note
- ↑ Vedili citati nel Disc. III, cap. v.
- ↑ Varrone divide gli annali degli uomini in incerti, favolosi ed istorici.
- ↑ Hieronymus, in evangelio Matth., cap. 18. Pherecides (antichissimo autore), apud Clem. Alexand., lib. v.
- ↑ Diodoro siculo, lib. iii, cap. 3.
- ↑ Considerazioni al verso 54.
Trovo l’astronomia negli antichi tempi utile alla navigazione1 ed alla agricoltura2, Lascerò a’ professori di questa madre delle scienze il disputare se quello fosse più studio di stagioni e di meteore, che scienza di moti celesti. Affermo bensì che non senza disegno politico i savi ed i governi consegnavano all’ammirando e perpetuo corso degli astri la memoria delle gesta e delle arti più chiare. Onde non mai uomo mi persuaderà che per odio o invidia di cittadini o per incuria di sacerdoti siesi perduta la chioma dal tempio. Era ella cosa sì preziosa da far affrontare la vendetta de’ principi ed il sacrilegio contro gli dèi? E sì agevole al furto era il luogo del tempio, ove si consecrò una chioma regale e di meravigliosa bellezza? Il re la fece egli stesso rapire, per maggiormente persuadere alle suddite genti la divina origine della famiglia de’ Tolomei3 e la possanza in cielo della prima Berenice, diva associata a Venere; e si valse della mano sacerdotale, della fama di Conone e dell’ingegno di Callimaco.
II. Conone fu samio4, e celebre matematico5 dell’età sua, che viene a cadere verso l’olimpiade cxxx. Tolomeo Filadelfo lo ricettò con gli altri nobili ingegni, che con la scuola alessandrina restituirono all’Egitto l’astronomia; e da quel tempo questa scienza stese salde radici nella Grecia. Tranne Manctone, piuttosto astrologo, e Tolomeo, egiziani, tutti quasi gli astronomi illustri sono greci. Conone viaggiò in Italia6, ove fece le osservazioni su le fasi delle stelle fisse:
— Stellarum ortus comperit, atque obitus;
ed alludono i seguenti versi:
Flammeus ut rapidi nitor Solis obscuretur,
Ut cedant certis sidera temporibus
a’ documenti ch’egli raccolse di tutte le eclissi7 sino allora conservate nelle memorie degli egizi. De’ suoi studi matematici resta il teorema della coclea, dimostrato poi con mirabile costruzione (ed applicato a grandi effetti utili anche a’ dì nostri), da Archimede8, che altamente reputava Conone e lo pianse9 con la riconoscenza del dotto e con la pietà dell’amico. Dagli encomi di Callimaco appare che Conone fosse familiare a questo principe delle lettere, e che si giovassero scambievolmente de’ propri studi.
III. E questi encomi gli procacciarono nell’aureo secolo della latinità il canto di Properzio10 e di Virgilio11;
In medio duo signa, Conon: et quis fuit?... alter
descripsit radio totum qui gentibus orbem,
tempora quae messor, quae curvus arator haberet.
Ma Servio, seguendo suo stile di gramatico, spiega Conone, illustre ateniese, di cui scrisse a’ posteri Cornelio Nepote. Dal testo e dalla universale voce degli interpreti è chiaro che Virgilio parlava dell’astronomo. Non posso però consentire che l’altro il quale descripsit orbem radio fosse Archimede come il Lacerda e tutta la schiera vorrebbero. Né gli espositori soltanto, ma Gioseffo Scaligero12 ed il Salmasio13, sebbene con diverse ragioni, sono nella stessa sentenza, seguita dal Pagnini14; e l’Heyne v’inclina15 ma più volentieri intenderebbe, con Servio, di Arato, che, col poema de’ fenomeni insegnava le stagioni quae messor, quae curvus arator haberet. Arato non determinò mai l’anno alle genti, che tanto suona orbis presso a Virgilio16; dizione, parmi, tratta fenomeni aratei riuscivano utili all’agricoltore appunto per la incertezza de’ calendari. Archimede non applicò sovranamente le matematiche che alla meccanica, né dalla sfera citata da Pappo alessandrino si può desumere come contende lo Scaligero ch’ei le avesse rivolte all’astrononomia. Eratostene, suo coetaneo, sommo ingegno17, aveva incominciato a stabilire l’anno con più felicità di Numa18, di Solone e de’ geometri della scuola platonica: ma al solo Ipparco, che fiorì forse un secolo innanzi Virgilio, avvenne di determinare19 primo, e con più esattezza, il giro ed il tempo dell’anno. Gli antichi aveano l’anno vago per la religione; l’anno civile per l’agricoltura20. Ora Virgilio né ad Archimede intese né ad Arato, né a Tolomeo, come farneticano gl’interpreti, ignari (e, fra costoro, Servio ivi ed altrove21), che questi visse sotto Marco Aurelio22; bensì ad Ipparco, che, fissando il giro dell’anno,
descripsit radio totum qui gentibus orbem,
tempora quae messor, quae curvus arator haberet.
Ma il poeta cortigiano, sebbene delle scienze e delle loro storie dottissimo, tacque il nome d’Ipparco, non perché la ragione del metro rifiutasse Archimede o tal altra voce23, ma perché l’adulazione del senato e l’orgoglio della casa cesarea ritorcessero quell’encomio, coperto sotto colore di semplicità pastorale, a Cesare, riformatore, con l’aiuto di Sosigene24, del calendario romano, di cui o per utilità o per timore si valeano tutte le genti soggette all’impero. Il radius era uno stromento de’ matematici25 e degli astronomi26, o una verghetta per delineare le figure ed i numeri; di che puoi vedere in Salmasio27 e nel trattato del medico Frisio. Meritavano Ipparco, Virgilio e l’alta fama de’ suoi commentatori questa annotazione.
IV. Cita Servio, Nell’Eneide28, un altro Conone, investigatore d’antichità italiche, non diverso forse da quello memorato autore di un libro sopra Eraclea dallo scoliaste antico d’Apollonio29. Anche Gioseffo30 attesta un Conone storico. Un Conone dedicò alcune narrazioni dell’età favolose ed eroiche31 ad Archelao Filopatore, alleato a Marco Antonio32. Questi libri, essendo di non diversa materia, e sotto uno stesso nome, e citati tutti da autori che vissero molto dopo il re Archelao, parmi che s’abbiano ad ascrivere ad uno stesso scrittore, posteriore all’astronomo di forse dugentotrenta anni. Tanto corre dall’olimpiade cxxx alla guerra d’Ottaviano e d’Antonio.
V. Ma il nostro Conone, con quella sua adulazione della chioma, spacciata quando le discipline astronomiche prevalevano, somministra argomento per indagare le storie antichissime. Ben più doveansi giovare di queste apoteosi e di questi simbolici monumenti i popoli, i quali, o fossero, siccome io penso, usciti appena della barbarie prodotta dal diluvio, dal foco e da siffatte universali rivoluzioni del globo, quando per la legge del perpetuo moto e cangiamento della natura, rapirono agli uomini le arti e le scienze, che, come oggi noi, essi allor possedevano; o fossero, secondo la comune tradizione, nella prima civiltà che l’umano genere abbia mai avuta dopo lo stato ferino; è certo che le loro fantasie, non ancora domate dall’esperienza e da’ vizi de’ popoli dotti, dovean essere percosse dalla meraviglia di que’ mondi celesti calcati dalle orme degli dèi, che dalla speranza e dal terrore sono posti nel cielo, donde ci benefica il sole e ci spaventano i fulmini. Questa ricerca delle costellazioni, ove fosse ostinata e d’uomo che alla dottrina di tutte le storie congiungesse sapienza politica ed altissima mente, potrebbe avverare le congetture del Vico sul ricorso de’ secoli e delle nazioni, e trarre dalla lunga notte le storie ignote del genere umano. E fu con grande ardimento e pari sapere tentata da un ingegno francese33, per provare, con troppo amor di sistema, l’origine di tutte le religioni: idea ch’egli (forse m’inganno) ricavò dalla Istoria universale di Francesco Bianchini34 Veronese, libro massimo, indegnamente dimenticato da noi, settatori di ciò che viene da lontani paesi ed incuriosi de’ nostri tesori. Assai per avventura ne’ libri e ne’ monumenti rapiti dai lunghi secoli anteriori a Mosé parlavasi delle costellazioni, da poi che della berenicea tante memorie ci restano35. Né fu senza influsso su le fortune mortali, ed a’ tempi de’ dodici Cesari un tiro de’ tali chiamavasi36 Berenice Εύπλόκαμος. Avremmo anche tradizioni teologiche, se quelle età non fossero state addottrinate, e se la barbarie, che le seguì, non fosse stata occupata da nuove e diverse religioni. Non potendo Conone collocarla fra i segni già celebrati del zodiaco, la pose nella parte del cielo più nobilitata per le costellazioni cantate più sovente da’ poeti. Ha la Vergine a mezzogiorno, all’oriente Boote, tocca all’occidente la coda del Leone. Nella fascia del zodiaco che cinge il globo mondano, preposta dal Vico alla Scienza nuova, compariscono in maestà i soli due segni del Lione, simbolo de’ tempi erculei nell’età del mondo eroico, e della Vergine, simbolo dell’aurea età di Saturno, la prima celebrata nelle storie poetiche. Anzi le stelle della Chioma, pria che Conone le adornasse di questo nome, eran parte della Vergine, vicino a cui pone Arato la Giustizia salita al cielo per l’abborrimento dell’umana schiatta37. La quale allegoria, sebbene abbia diversa applicazione da Dupuis, parmi una memoria di antichissime e generali rivoluzioni politiche, quando, per la sovversion di tutte le leggi, più crudelmente l’umano genere usava della reciproca inimicizia, istinto primo ed eterno della nostra natura. Così è allegoria della violazione d’ogni religione nella comune calamità degli Stati questa passionata sentenza di Teognide38; Tutti i numi, salendo all’Olimpo, gl’infelici mortali abbandonano; la Speranza sola rimane buona dea. Ma delle costellazioni che circondano la Chioma vedrai alle note. Gli antichi annoveravano nell’asterismo bereniceo sette stelle; ma Flamsteedio, il più perspicace astronomo del principio del secolo decimottavo, ne trovò 43; e 48 ne osservano le tavole dell’Accademia prussiana nell’anno 1776. Il catalogo di Bode, delle 17,240 stelle ridotte al primo anno di questo secolo, ne reca 216. Di quarta grandezza 6, di quinta 22, di sesta 31, di settima 45, di ottava 18, un gruppo, e 93 nuvolose. Le più di queste ultime, intentate dagli altri astronomi, furono osservate dall’illustre Herschel, mediante i suoi telescopi. Questo difetto d’istrumenti contese agli antichi di avverare più di sette stelle nella Chioma di Berenice; le sei di quarta grandezza, ed una forse più splendida fra le altre, o più veramente quel gruppo di stelle senza numero e nome. Più numero di quello di Bode osserverà forse Lalande nel suo catalogo di 50,000 stelle, ch’io non posso recare, perché l’opera sua non è compiuta, e perché le sue osservazioni hanno d’uopo di più maturi esperimenti. Abbandonando dunque i cataloghi compilati dopo le diverse osservazioni di diversi astronomi, ci atterremo alle tavole recenti della specola palermitana39. L’astronomo Piazzi, oltre le 43 del Flamsteedio, ne osserva 29, ommettendo le nuvolose e quelle di minima grandezza, perch’ei non curò di annoverare tutte le stelle dell’asterismo, alle quali non si può dare significazioni, bensì di accertare le più cospicue, e con ripetuti esperimenti assegnarne le posizioni, per cui erano in lite i professori di questa scienza. Il pianeta di Cerere scoperto nel principio del secolo da questo nobile astronomo, ed il pianeta di Pallade da Olbers, medico di Brema, nel marzo dell’anno 1802, sono dall’effemeridi della specola milanese, onore dell’astronomia italiana, notati nell’anno scorso vicino alla chioma Berenicea.
Note
- ↑ Dionisio il geografo, versi 232 e sg. Virg., georg., i, v. 137.
- ↑ Ovidio, all’età di Saturno, metam, lib. i, v. 136.
- ↑ Teocrito, idil. xvii, 16 e sg. Considerazioni nostre al verso 54 e seg.
- ↑ Pappo, collect. mathem., lib. iv. theor. 18.
- ↑ Archimede, in initio epistolae praefixae, lib. ii, de sphaera et cilindro.
- ↑ Ptolomaeus, de apparentiis inerrantium, in fine.
- ↑ Conon postea diligens et ipse inquisitor, defectiones quidem Solis servatas ab Aegyptiis collegit. Seneca, quaest. natural., lib. vii.
- ↑ Pappus Alex., Collectiones math., lib. iv, propos. 18.
- ↑ Epistola ad librium de quadratura parabolae: Caro a noi viveva Conone... Eravamo soliti di scrivere assai sovente a Conone ... Abbiam perduto quell’uomo, grande geometra... Morì; e mi lasciò amarissimo desiderio di se; ch’egli era amico mio, e d’intelletto negli studi ammirabile.
- ↑ Lib. iv, eleg. i, v. 77.
- ↑ Eglog. ii, v. 40.
- ↑ De emendatione temporum, lib. i, in periodo syracusana.
- ↑ Exercitationes plinianae, cap. xl.
- ↑ Annotazioni a Virg. loco citato.
- ↑ In egloga iii, v. 40.
- ↑ Æneid., I, v. 273.
- ↑ Geminus, Elementa Astronomiae, cap. vi de mensibus.
- ↑ Livio, lib. i, cap. 19 — Plutarco, in Romolo e Numa — Ovidio, fast., I, v. 27; iii, v. 883 — Macrob., Saturnal., i, cap. 14.
- ↑ Ptolomaeus, Almagest., lib. iii, cap. 2 — Bouilliaud, Astron. filol., p. 73 — Servius Æneid., v, v. 49.
- ↑ Vettius Valens, Antrolog’., lib. i.
- ↑ Aeneid., v. 49.
- ↑ Suida, in Ptolomaeo.
- ↑ Salmasio, loco citat.
- ↑ Plinio, lib. xviii, cap. 25 — Sosigene ebbe Ipparco per guida. Vedi Montucla, parte i, lib. iv, cap. 10.
- ↑ Humilem humunculum [Archimedem] a pulvere et radio excitabo. Cicer., Tuscul., lib. v.
- ↑ Aeneid., vi, v. 851.
- ↑ Plinianae exercit, cap. xl; Gemmae Frisii, De radio astronomico et geometrico libellum.
- ↑ Aeneid., vii, v. 738.
- ↑ Lib. I.
- ↑ Contro Appione, lib. I, cap. 23.
- ↑ Photius, cap. 186, 189.
- ↑ Vossius, De historicis graecis, lib. I, cap. ultimo.
- ↑ Dupuis, Origine de tous les cultes.
- ↑ Grand’uomo, astronomo ed antiquario, onorato altamente da’ re e dalle università dell’Europa. Nacque nel 1669, e morì d’anni 67. Vedi Maffei, Verona illustrata, verso la fine. Si dirà forse, contro al mio sospetto, che il Bianchini non è conosciuto in Francia per la sua storia. Credat Iudaeus... non ego. Egli fu uno dell’Accademia delle scienze invece di Bernouilli, morto negli ultimi mesi del 1795 (vedi anche Fontenelle, Elogio del Bianchini ); e la seconda edizione dell’Istoria universale fu dedicata a Luigi decimoquinto. Ma moltissimi de’ nostri in Francia non si conoscono, molti non si vogliono conoscere; pari a’ benefattori temuti da’ beneficati. Ab uno disce multos. Delille, nella prefazione di certo suo poema georgico, L’homme des champs, espressamente asserisce (p. iv) che les Géorgiques, et le poème de Lucrèce chez les anciens, sont les seuls monumens du second genre [il didattico]... Parmi les modernes nous ne connaissons guéres que les deux poèmes des Saisons (anglais et français), l’Art poétique de Boileau. et l’admirable Essai sur l’homme de Pope, qui aient obtenu et conservé une place distinguie parmi les ouvrages de poésie. Ed Esiodo, Teognide, Focillide, Oppiano, Manilio, per non dir di tant’altri antichi? E La sifilide del Fracastoro, La scaccheide e La poetica del Vida, La coltivazione dell’Alamanni, scritta e stampata in Francia e dedicata a Francesco 2, Le api del Rucellai, Il riso dello Spolverini, Le filosofie di monsignor Stay, dove domò con versi virgiliani il rigor matematico (taccio i minori), non hanno fama fra’ poemi didattici? Delille è il sommo verseggiatore fra i viventi francesi! Questo merito del guercio fra’ ciechi gli permette forse di giudicare di quel ch’ei non sa, o, se pur ha
- ↑ Eratostene, in Catasterismo Leonis, cap. 12; Igino, Astronom. poet., lib. ii, cap. 24, in Leone; Achille Tazio, Isagoges in Arati Phaenom., p. 134; Esterno; Teone (scoliaste arateo). Ad Phaenom., v. 146; lo scoliaste di Germanico, in Leone; Proclo, De sphera, cap. ult.; ed altri forse, a me ignoti.
- ↑ Meursio, De ludis Graecorum.
- ↑ In Catasteremo Virginis.
- ↑ Verso 317.
- ↑ Praecipuarum stellarum inerrantium positiones mediae ineunte saeculo XIX, Panormi, 1803.