L'elemento germanico nella lingua italiana/P
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P
Pacchebotto (neolog.), piccol battello da trasportar pacchi (Tramater). Immediatamente riproduco il fr. paquebot, e questo a sua volta non è che ing. packet-boat, vascello da portare pacchi [packet, pacco, boat, battello]. In Italia entrò probabilmente sulla fine del sec. scorso e sul principio di questo, chè prima non lo troviamo ricordato. In Francia noi lo troviamo mentovato primieramente all’anno 1686 presso il Dangeau. Il primo elemento, packet, è dimin. d’un nome spettante al ceppo stesso da cui deriva it. pacco, che però non è d’orig. ger. Il secondo elemento è schiettamente ger., ed appartiene alla rad. bat da cui it. battello.
Palandra, piccola nave da carica per navigare lungo le coste, per fiumi e canali (Segni, Storie). Voci sorelle sono: sp. port. balandra, fr. belandre, sard. belandra bl. palandra. accenna palandrie e palorin come sorta di nave. Secndo lo Spano il sard. balandra era nave fiamminga. Tutte queste voci risalgono al bl. binnenlander che letteralmente vale “fra paese, fra terra” [binnen, fra, e lander, paesi], ol. biilander. Lo Scheler crede che anche fr. balandre, sorta di bastimento da trasporto, abbia la medesima provenienza. È curioso che in Francia appaia scritto solo ai tempi del Simon, cioè posteriormente che in Italia. Palandréa, sorta di naviglio (Pulci, Ciriffo Calvaneo). Dev’essere una varietà del precedente.
Pecchero, sorta di bicchiere grande (Redi). Gli sono parallele parecchie voci dialettali, cioè: mant. peccar, pav. e regg. pècher, inoltre valac. pëhar, afr. pichier, fr. picher pichet [ing. pitcher], prov. pechier pichier sp. port. pichel. In una nota al suo Ditirambo il Redi spiegando la voce pecchero da lui usata in quel componimento la dice «vocabolo venuto in Toscana dalla Germania». Il Redi ebbe ragione se inteso accennare soltanto all’origine tedesca della parola: ma se intese invece dire che fosse venuta di fresco, crediamo s’ingannasse. Il fatto che essa s’incontra in alcuni dial. lombardi, e specialmente nel pavese mostra chiaramente ch’essa ci venne di Germania coi Longobardi; e ciò è confermato mirabilmente dalla fonologia. L’aat. ci presenta le forme pehhar pëchari pëchare, mat. pëcher che sono vicinissime all’it. con cui combinano anche per l’accentuazione. D’altra parte poco prima del tempo del Redi il vocab. ted. non aveva più per iniz. la labiale forte il p, bensì il b, bëchaere bëcher, as. biker, anrd. bikar, ol. beker, sv. bëgare, dan. bäger; sicchè ad ogni modo non ne sarebbe venuto un pecchero. Possiamo bensì ammettere che le frequenti comunicazioni della Corte Toscana con le corti tedesche nei sec. 16º e 17º abbiano contribuito a rinfrescare questo vocabolo e a fare credere al Redi che fosse entrato di recente dalla Germania, mentre in realtà era entrato da un pezzo, benchè non facesse parte della lingua viva it. Quanto alle voci sorelle, le dialettali it. mant. peccar e pav. pécher sono identiche alle forme dell’aat. e mat., alle quali è perfettamente uguale anche il valac. pëhar; ma le francesi e sp. sembrano piuttosto procedere da bl. picarium, anzichè direttamente dal ger. Questo bl. picarium era però anch’esso riproduzione del vocabolo aat. Il bl. lo troviamo già all’anno 1231 sotto la forma di pikarium in una carta di Federico duca d’Austria presso il Pez, sotto quella di picarium nel Necrol. F. F. Praed. tom. 2 Rer. Mogunt. p. 426, sotto quella di picherius all’ann. 1261 in charta Tabul S. Victor. Massil., di picheria negli Stat. Avig., di peccarium in Baldrico di Cambrai, ed in numerosi altri documenti belgi, francesi e tedeschi. Questo fatto che il bl. picarium appare quasi esclusivamente in paesi germanici o quasi germanici e quasi mai in Italia, è prova evidentissima ch’esso risale ad un’etim. ger., e non si può niente affatto ricondurre al l. baccar di Festo, come vorrebbero sostenere taluni. Tuttalpiù si potrebbe fare dipendere da quest’ultimo l’aat. pëhhar, benchè altri col Faulmann siano d’avviso opposto. V. del resto anche Bicchiere, che a mio avviso, ha per base ancor esso il voc. ger. già esaminato.
Piedestallo, pietra quadra con base e cornice che sostiene colonna o statua (Guinicelli, Burchiello). Il fr. è piedestal e lo sp. pedestal. Il Diez scorse in questo nome un composto ibrido di it. piede e di aat. stal, base, seggio: varrebbe quindi etimologicamente “riposatura del piede” e corrisponde esattamente a t. Fussgestel o Fusschemel. Il medesimo Diez crede che le forme fr. e sp. siano derivate dall’it., il che è reso verosimile anche dall’anteriorità dell’arte italiana rispetto alla francese e spagnuola. Tuttavia il Littrè trae il fr. direttamente da fr. pied e da estal d’orig. ger. Ma poichè il fr. appare solo nel sec. 15º, mentre l’it. è in uso già nel 13º, difficilmente si può accettare questa ipotesi del sommo lessicografo.
Piffero, strumento da fiato uguale al flauto; suonatore dello strumento (Ser Giov. Fior., Pecorone; Pulci). Corrispondono qui: fr. piffre, fifre, sp. pifaro, lad. fifa d’ug. sig. Procedette da mat. phîfaere pfîfer [venuto da aat. phîfâri, tm. Pfeifer, flautista. All’aat. e mat. sono paralleli ags. pîpere, isl. pipari. Questo nomen agentis ger. col vb. mat. phîfen pfîfen, tm. pfeifen, suonare il piffero, sono formazioni svoltesi in quel campo dal nome aat. phîfâ fîfâ pfîfa, mat. phîfe, pfîfe tm. Pfeife zampogna, fistola, afris. pîpe, nodo di canna, fris pîp, bt. pîpe, ags. pîpe, ing. pipe, ol. pyp, anrd. pîpa, canna, piffero. Ma questo nome a sua volta era d’origine lat., avendo esso a base l. pîpa, donde anche le voci rom.: sp. port. pipa, it. piva, afr. pipe, prov. pimpa, cornamusa rustica; it. trent. pipa e anche it. pipa, strumento da fumare. Secondo il Diez l. pipa sarebbe stato sost. verb. derivato da vb. pipare, e quest’ultimo sarebbe stato un’onomatopea del pipilare o pigolare degli uccelli; e il nome pipa sarebbe poscia stato applicato ad una sorta di strumento da fiato, perch’esso imita in certo modo il pigolìo degli uccelli. Ma checchessia dell’orig. prima di l. pipa, è certo che piffero si può chiamare un cavallo di ritorno, che però in Germania ha subito tale elaborazione da presentare una faccia affatto nuova. Quanto al tempo della introduzione, bisogna certamente escludere che ci venisse dalle invasioni barbariche; ma non è nemmen vero quel che dice il Tramater che fosse importato dagli Svizzeri, giacche questi comparvero in Italia solo nel sec. 15º, laddove il vocabolo s’incontra già nel Pecorone alla fine del 14º ed inoltre nel bl. piffarus della Thesaureria Urbis Bonon. all’ann. 1364, e nella Cronac. di Bergamo, 1386. Io credo piuttosto che entrasse fra noi nei secoli 12º o 13º e probabilmente coi soldati tedeschi che venivano cogl’Imperatori, ovvero cogli avventurieri. Certo lo strumento era molto in uso nel medio-evo in Germania e specialmente in Isvizzera, e ne è prova non ultima il fatto della frequenza con cui il cognome Pfeifer ricorreva e ricorre tuttora nel campo della lingua tedesca, massime fra gli Svizzeri; e fu senza dubbio la circostanza dei numerosi suonatori militari di piffero negli eserciti tedeschi e svizzeri che contribuì potentemente a rendere comune il nome in Italia e in Francia, quando essi nei sec. 15º e 16º vennero in questi due paesi. Onde il Davila in un passo delle sue storie dice «Un’ora innanzi giorno si sentirono i tromboni e pifferi degli Svizzeri». In Francia appare prima di tutto la forma pifre nel sec. 15º [Sully]; il che lascia capire che il fr. prese questa parola dal ted. in un tempo quando in quest’ultimo la labiale era stata quasi totalmente assorbita dalla spirante. Non è difficile supporre che storicamente la cosa succedesse nelle guerre tra gli Svizzeri e il Duca di Borgogna (1469-1477), ovvero ai tempi di Carlo VIII e Luigi XII, considerato specialmente la uguaglianza di svizz. pfîfer con fr. fifre. Il fr. pifre fa la sua comparsa nel sec. 15º, e si svolse da fifre, forse non senza qualche influsso di it. piffero. Dal signif. di “suonator di piffero” il fr. pifre ha svolto quello di “uomo dalle guance gonfiate”, e poi di “uomo grosso e tarchiato” ed infine quello di “ghiottone”, che è termine ingiurioso. Ora è notevole che anche il dial. moden. annetta al nome piffero lo stesso signif. del fr., cioè di “uomo grosso” ed anche di “pezzo grosso di checchessia”; signif. che non ci è presentato dall’it. scritto. Derivaz.: pifar-a-o; pifera-re-tore; pifer-ello-ina-one; spifferare.
Piluccare, pluccare, spluccare, cogliere alcunchè colla punta delle dita. Il Diez fa di pluccare spluccare una cosa sola con piluccare, e trae quest’ultimo da l. pilus, pilare. Però il Mackel vede in fr. pluquer, norm. pluchotter, prov. peluccar, un deriv. da ags. plucchan, bt. plukken. Credo che anche le voci it. venissero di là; chè da una parte il concetto di “pelare” che logicamente deriva da pilus pilare è assai diverso da quello che scorgesi nei verb. it. messi in fronte a questo articolo; e dal l. del resto l’it. derivò i vb. pelare, spelare, spelacchiare che conservarono il senso preciso che aveva il l.; d’altra parte il gruppo gutturale it. cc di consueto rappresenta un uguale gruppo ger., e ad ogni modo è molto inverosimile che si svolgesse da pilare. Per tutto questo ritengo che qui siamo di fronte ad un’etim. ger.
Pió, piód, coltro, vomere ad un taglio (Biondelli). È voce dialettale dell’Alta Italia, e nella prima delle due forme ricorre nel bolog. parm. e mant., e nell’altra nel regg. Il tirol. presenta plof. Immediatamente riposa su bl. plovus plous ricorrente nella Lex Longob. lib. I, tit. 19, § 6. Rotar. 293 «Si quis ploum aut aratrum alienum iniquo animo capellaverit, componat solidos tres, et si furaverit reddat in ahtugild [risarcimento fatto mediante un valore otto volte maggiore]». Questo plous plovus era evidentemente la forma latinizzata del termine longobardo1 corrispondente ad aat. plôh, aratro, a cui sono parallele le forme: aat. phluog fluog fluoc phluoc pluag, e mat. phluoc pfluoc d’ug. sig., donde tm. Pflug, aratro. In quel campo abbiamo ancora: anrd. plôgr, ags. isl. sv. plog, dan. ploug, plov, afris. plôch, fris. ploge pluwge, a. ing. plow, ing. plough [pronunc. plò], n. ol. ploeg; più dialet. plôu plogu, tutte forme significanti “aratro”. Secondo il Grimm, Ges. d. d. Sp. 56 il vocab. ger. avrebbe avuto origine dallo slavo, dove troviamo: lit. pliúgas, russ. plugù, pol. plug, boem. pluh d’ug. sig. Ma il Grimm, Gramm. 3, 414 sostiene al contrario che il litoslavo proviene dal ger.; il che è assai più verosimile, attesa l’antichità di quest’ultimo, e il poco influsso ch’esercitò lo slavo nei tempi remoti sulle lingue limitrofe, ed in ispecie sul ger.; e questa è l’opinione anche del Kluge il quale poi, notato che i Germani avevano antichissimamente altre designazioni per l’aratro, aggiunge che essi contrassero la cognizione e l’uso dell’arnese nei loro viaggi, e che ad ogni modo il ceppo di questo vocab. ebbe assai per tempo una larga diffusione nel campo germ., come si scorge anche dalla moltiplicità delle forme dialettali. Il Faulmann trae il nome ger. da vb. aat. phluogen, arare, lavorare, risalente a rad. di vb. perduto phlagan, faticare, raschiare, stropicciare. Quest’ultimo infine risalirebbe a rad. phlag di vb. phlëgan coltivare, raschiare. Del resto il vocab. ger. non entró mica solo in Italia: lo troviamo anche nell’afr. sotto le forme di plojon ployon plajon; ma dopo il sec. 15º non comparve più. [V. Lacurne, Diction. Ancien Françoise, vol. 8, 344, 47]. Ricorre spessissimo nel bl. specie nell’Italia superiore, e nei derivati plogetum, terra arabilis. cart. dell’an. 1130, e plodius, misura agraria, e forsanche plobegum, genere di tributo, donde il dial. piòvego.
Pioletto, piccola ascia (dial. com.). È un dimin. che ha per base, secondo il Diez, aat. pîhal, pîal, bîhal, bîal, mat. bîhel, bîl, ascia, scure, tm. Beil scure. Evidentemente esso non può, a cagione del suo signif., avere alcuna relazione con pialla.
Piorl, secchio (dial. lomb.). Anche questo vocab. dial. viene dal Diez riportato ad un ceppo ger. cioè ad aat. piral urna, sparito del tutto dal mat. e dal tm.
Pizza, pungiglione, becco. È voce che appare sotto diverse forme in parecchi dial. it. e il cui tema servì di fondamento a parole proprie anche dell’it. scritto. Abbiamo adunque: sard. pizzu, emil. pizza, becco; mil. pizz, sicil. pizzu, pungiglione; venez. pizzar, pungere. Il signif. fondamentale era dunque quello di “cosa appuntata e pungente” Le voci it. svoltesi da questo radicale sono pizzicare, pizzico-re col senso di “pungere leggermente”, pinzo, pungiglione, e pinzette, mollette da cose minute. Pinzo io credo siasi formato da pizzo per dissimilazione della prima z che s’è nasalizzata. Nel campo delle lingue neol. sorelle abbiamo: lad. pizza, pungiglione, sp. pinzas, fr. pincettes pinzette; sp. pizca, pizzico, vall. pizzî, valac. patzigâ, piscà, cat. prov. pezugar, sp. pizcar, pinchar, fr. pincer, épincer epinceler, pizzicare; port. piscar, stringere gli occhi. Ora tutte queste voci rom. sono dal Diez e da altri rimenate ad ol. pitzen, t. pfetzen d’ug. sig. Alcuni hanno invece proposto un l. “pictiare che sarebbesi formato da pingere in senso di “pungere”. Ma ci sono difficoltà gravi. Prima di tutto se la cosa stesse così, in it. pizzare sarebbe primitivo e pizza, pizzo derivato; mentre si verifica proprio il contrario. Inoltre è da notare che il signif. fondamentale in pizza è materiale, e vale “qualche cosa di appuntato”. Ora tutto questo e il fatto dell’esistenza della forma dial. spizza, ci conducono piuttosto a pensare ad aat. pizzi, mat. spitz, spitze, tm. Spitz, punta, da cui in it. sarebbe caduta l’iniz. s, benchè non sempre. Che se vorrassi ad ogni modo trarre il tema di pizzico, pizzicare da l. pictiare, converrà per lo meno separare da esso pizza, pizzo in senso di “pungolo, becco”, rimenando quest’ultimo al vocab. ger. sopra accennato.
Poltro, poltrone, ozioso, pigro, dappoco, vile (Jacopone, Dante). Voci parallele sono: sp. poltron, port. potro, fr. poltron (venuto dall’it.). Il fr. nel dial. sciamp. conserva la forma pleutre rispondente all’it. primitivo poltro. Il Diez respinge l’etim. del Salmasio da l. pollice truncus (allusiva al costume di quelli che recidevansi il pollice per non andare alla guerra), perchè contenente, come avvertì già il Ménage, un accorciamento troppo duro, e respinge altresì quella proposta da quest’ultimo da l. pullitrus, animale giovine, per non essere giustificato il trapasso dei sensi da “timido” a “pigro, vile” proposto dal Ménage. Difatti contro di lui il Diez osserva che le bestie giovani saranno timide sì, ma niente affatto pigre e vili. Si può inoltre soggiungere che pullitrus diè polledro, poltruccio, poltracchio, i quali nomi non presentano alcuna relazione ideologica con poltro, poltrone. Perciò il Diez cava poltrone dal sost. poltro che, a detta del Landino, del Vellutello e del Minucci, significava “letto”; onde poltroni varrebbe quanto “dormiglioni”: la quale affinità di concetto fra “letto” e “poltrone” appare anche nel fr. lodier che significa ad un tempo “coperta da letto” e “ozioso”. Di più il famoso spoltre di Dante (Inf. 24, 46) vale evidentemente “uscire dalle piume”, e mostra che vb. poltrire, spoltrire è formazione dal sost. poltro, a cui sono sorelle le forme: mil. polter, romag. pultar, venez. poltrona, letto da riposo. Onde s’avrebbe questa scala di idee: “letto-dormiglione-pigro-dappoco-vile”. Posta questa connessione fra poltrone e il sost. poltro “letto”, il Diez trae quest’ultimo da sost. aat. polstar, bolstar, cuscino, guanciale, piumaccio, che è indubbiamente indigeno nel campo ger. e che non uscì dall’aat. per entrare nel mat. e fcm., e nota che se la caduta della s non è comune nelle parole ger. penetranti in it., è però spiegabile in questo caso, data la durezza del gruppo lst insoffribile alle bocche ed orecchie degl’Italiani. Si vuole inoltre considerare che l’it. offre anche la parola boldrone “vello, coperta di lana”, che al dire del Veneroni, presenta la variante boldra. Ora da una parte essa è vicina alle forme dell’aat.; e d’altro canto la doppia iniz. di p in poltrone, e b in boldra, boldrone, è una prova di più per l’orig. ger., giacchè in quel campo s’aveva polstar e bolstar; e del resto è noto che non sono rari i casi di parole che in it. presentano queste due iniz. appunto perchè l’avevano anche nel germ., dove al b del basso ted. l’alto tedesco sostituisce il p (ad es. balco-palco; balla-palla; banco-panca; bicchiere-pecchero ecc.). Infine lo Scheler osserva che il doppio sonso di it. poltrire “abbandonarsi al sonno” e “alla pigrizia” milita anch’esso a favore di aat. polstar; al quale proposito allega l’espressione ted Bärenhäuter che vale letteralmente “dalla pelle dell’orso”, e designa scherzosamente e spregiativamente “il guerriero che in luogo di combattere resta oziosamente avvolto in una pelle d’orso”. Quindi l’etim. ger. in questo caso, tenuto specialmente conto delle voci dialettali suaccennate, è probabilissima. Deriv.: poltron-a-cione-ggiare; poltrire; spoltrire; spoltronirsi.
Ponga, gozzo degli uccelli; esca. È voce di parecchi dial. ital.: venez. e nap. nel primo senso; piacent. e lomb. nel secondo. Il Diez trasse il ponga del ven. e nap. dal got. puggs, “borsa”, il quale ultimo signif. si riscontra tuttavia nel valac. punge. Il trapasso logico dal senso di “borsa” a quello di “gozzo d’uccello” è spontaneo, e ne abbiamo un esempio analogo, benchè inverso, nella parola maghetto (V. Magone). A got. puggs pugg sono paralleli: aat. pfung fung, ags. pung, anrd. pûngr, sv. dan. pung, borsa, bt. pung, punge, pungel, borsa, piccol sacco, pacchettino, vb. pungen pungeln, impacchettare (Bremisch Wörterb., 3, 377; Dähnert, Plattdeutsches Wörterb. 364; Hennig, Preussisches Wörterb. 197). La gran diffusione di questo vocab. nel campo ger. non lascia evidentemente alcun dubbio sull’orig. ger. immediata del nome dial. ital., e delle forme punga, puncha del bl. che vedremo più sotto; e ciò è confermato dalla priorità di tempo nel ger. rispetto agli altri campi. Difatti il got. puggs e aat. pfung è certamente anteriore al bl. punga, bisaccia, ricorrente presso S. Audoeno nella vita di S. Eligio e in Angilberto Abbate presso Ariulfo; a bl. puncha Statuto Massil. an. 1276, a bl. pochia, Process. de Vita B. Mariae de Maillac. an. 1361 presso il Rymer. È ben vero che lo troviamo anche nel basso greco sotto le forme di πούγγη πουγγίον di Leone il Filosofo († 911) nei suoi Τακτικά, e nel n. greco πούγγι; ma il greco non può certo essere stato la fonte del got. e delle forme ger. occidentali che sono troppo chiaramente state la fonte diretta delle bassolatine. S’aggiunge a questo che fr. poche [dial. poque, pouque] tasca, risale ad ags. pocca, nd. poki, da cui ing. pok, poke, pouk, la cui rad. poc, a detta dello Scheler, mediante nasalizzazione, diè anche aat. pfunc, fung, mat. pfunc, sv. dan. punc, base immediata della parola in questione. Secondo lo stesso Scheler il signif. fondamentale di questa rad. è quello di “cosa scavata, cosa gonfiata”; ed a questo signif. si possono facilmente rimenare i sensi antichi e attuali di “sacco, borsa, falso plico, tumore, pustola”. Questa osservazione dello Scheler vale anche pei signif. di it. ponga “borsa, gozzo, esca”. Lo Schade pag. 688 raffronta qui lit. pungulýs, fascio, pacchetto, pungulùkas, pacchettino, pungulèlis, fascettino, Kurschat 1, 268, 1, 103; inoltre a. sl. pagva, pagy, corimbo; Miklosich 764 poi si chiede se il ger. non proceda dallo sl. A noi ciò pare molto inverosimile, oltre che per le ragioni accennate più sopra, anche per la notevole differenza del senso, poichè quello di “fascio” messo come fondamentale non si presta troppo bene a svolgere i signif. che vediamo nel got. e negli altri rami del ger. Ma checchessia dell’orig. prima, a noi basta porre in rilievo la deriv. immediata delle forme it. dalle ger., le quali io credo s’introducessero mediante i Goti, cioè quando la iniz. era ancora la tenue p, e non era ancora stata resa spirante mediante la Verschiebung dell’altotedesco.
Potassa (neol.), sale alcalino ricavato dalle ceneri di piante. Immediatamente riproduce fr. potasse che in quella lingua compare primieramente nel Thenard, Traité de chimie, 1813. Il fr. poi con ginev. potache ha per base tm. Pottasche, sv. pottaska, ing. potash d’ug. sig.; ma che letteralmente varrebbe “cenere di vaso”, essendo composto di Pott vaso, pentola, e Asche cenere. Deriv.: potassio.
Predella, arnese di legno su cui si tengono i piedi; parte del freno; sorta di vaso; scaglione, imbasamento. [Dante, S. Greg.]. Gli corrisponde milan. brella d’ug. sig. e prov. bredola. Questa voce non riscontrandosi che nel campo ital., dovette entrare mediante i Longobardi, benchè non ricorra nei loro documenti. Risale certamente ad aat. prët prëta brët, superficie piana, asse, tavola, donde mat. brëd, tm. Brett d’ug. sig. L’ags. è brëd, got. * brid. Il mat. presenta un brëtel, assicella, che lascia ci supporre un dim. aat. prëtel, che sarebbe la base immediata delle forme it. prov. e milan. Secondo il Faulmann aat. brëta prëta si formò da vb. brëttan, tirare, stendere, affine a brîten, intrecciare, e ad aat. preitton, allargare; da cui anche breit, largo. Il Kluge rannoda aat. bret ad idg. bhrédhos, ind. bradhas. Da questo idg. bhrédhos l’antico ger. per la metatesi di re in or formò i due ceppi brédo e bordo; il primo generatore di bret pret, e l’altro di bort. (V. Bordo). Deriv.: predell-etta-etto-ino-one-uccia.
Prillo, giro fatto in tondo; trottola. Il Tommasèo la registra come voce dialettale, laddove dà prillare come voce della lingua. Corrispondono: tirol. pirlo col deriv. pirlar, lomb. birlo, birlà, march. brillar, girare. Lo Schneller trasse le voci lomb. e tirol. da mat. twirl, trottola, oggetto rotondo, a cui sono affini vb. agr. twirl, girare, donde ing. twirl, giravolta, ed in ciò fu seguito dal Caix. Io ammettendo l’orig. ger., credo che non dal mat. siano venute immediatamente queste voci, dacchè il mat. rarissimamente influì sull’it. e specialmente sui dialetti, bensì dal vocab. ger. che stava a base del mat., quantunque esso non appaja documentato. La varietà lomb. curlo spetterebbe a ted. quirlo, e suffragherebbe la derivazione dello Schneller. Prillo poi sarebbe una metatesi di pirlo, e march. brillare di pirlare; ed a questo ceppo il Caix riduce anche priroletta, giro fatto in tondo colla persona, mediante un pirletta, benchè questo possa anche essere riproduzione e modificazione di fr. pirouette d’ug. sig. Deriv: prillare.
Proda, sponda, ripa, orlo od estremità d’alcuna cosa (Dante, Buti, Boccaccio). Secondo il Diez il vocab. it. in questo senso è d’orig. ger., ed ha per base aat. proth prort, brort, orlo, margine d’una cosa, labbro, corona. L’ags. è brerd, briord, breard, labbro, spiaggia, brord, stimolo, punta, anrd. broddr, saetta, prima ed ultima parte d’una cosa. Si rannodano qui: vb. prortôn, brorten, brortian, brortôn, pitturare, listare, ags. bryrden, compungere, stimolare, anrd. brydda, aguzzare, agg. bryddr, munito di stimoli. L’aat. prort valeva anche “prora” o parte anteriore della nave”; ma il Diez crede che it. proda, prua in questo senso proceda da lat. prora, gr. πρώρα, da cui anche sp. port. prov. proua e fr. proue. Si può peraltro muovere un’obbiezione. Se si ammette che aat. prort, prora sia originariamente la stessa parola che prort, orlo, margine, perchè l’it. proda in senso di “sponda” ripa, orlo” non potrebbe essere identico a proda in signif. di “prora”? e il primo de’ due concetti non potrebbe essere una specializzazione svoltasi dal secondo precisamente come nel campo ger.? In questo caso è chiaro che per il proda “ripa, orlo” non ci sarebbe bisogno di pensare ad un etim ger., ma basterebbe il l. prora, come per proda, parte anteriore della nave. Questo dico nell’ipotesi dell’unità primitiva di aat. prort “Vorderschiff”, e di aat. prort “Rand”: in caso diverso l’obbiezione perde il suo valore.
Puleggia, sorta di girella da taglie e da carrucole (Baldinucci). Gli corrispondono: afr. e fr. poulie d’ug. sig., da cui provennero sp. polea, port. polé, ing. pulley. Il ginev. presenta la forma polie. Il bl. ci offre polea o polegia in due docum. del 1305 e del 1352 e sul territorio francese, (V. Du Cange) e su questo bl. riposa immediatamente la forma it. che nello scritto appare solo nel sec. 16º. Il fr. poulie fa la sua comparsa sin dal sec. 13º, secondo il Littré, e dopo il 16º non è più usato. Il Diez e lo Scheler fanno di fr. poulie un sost. vb. derivato da vb. poulier, e questo rimenano al vb. ags. pullian, tirare, guindare, strappare, remare, donde ing. to pull d’ug. sig., e nome ing. pull tirata, strappata, sforzo e pullër, svellitore. Come s’è visto, ing. pulley è riproduzione del fr. Il Caix fu quegli che riconobbe l’affinità della voce it. colla fr. e per conseguenza la sua orig. ger. Ad ogni modo credo che in it. questa voce sia penetrata non direttamente dal ger. ma mediante il francese: e probabilmente anche in fr. entrò posteriormente alla Völkerwanderung, forse per opera dei Normanni, trattandosi di termine ch’era in origine marinaresco. Deriv.: puleggina.