poltro. Il Diez respinge l’etim. del Salmasio da l. pollice truncus (allusiva al costume di quelli che recidevansi il pollice per non andare alla guerra), perchè contenente, come avvertì già il Ménage, un accorciamento troppo duro, e respinge altresì quella proposta da quest’ultimo da l. pullitrus, animale giovine, per non essere giustificato il trapasso dei sensi da “timido” a “pigro, vile” proposto dal Ménage. Difatti contro di lui il Diez osserva che le bestie giovani saranno timide sì, ma niente affatto pigre e vili. Si può inoltre soggiungere che pullitrus diè polledro, poltruccio, poltracchio, i quali nomi non presentano alcuna relazione ideologica con poltro, poltrone. Perciò il Diez cava poltrone dal sost. poltro che, a detta del Landino, del Vellutello e del Minucci, significava “letto”; onde poltroni varrebbe quanto “dormiglioni”: la quale affinità di concetto fra “letto” e “poltrone” appare anche nel fr. lodier che significa ad un tempo “coperta da letto” e “ozioso”. Di più il famoso spoltre di Dante (Inf. 24, 46) vale evidentemente “uscire dalle piume”, e mostra che vb. poltrire, spoltrire è formazione dal sost. poltro, a cui sono sorelle le forme: mil. polter, romag. pultar, venez. poltrona, letto da riposo. Onde s’avrebbe questa scala di idee: “letto-dormiglione-pigro-dappoco-vile”. Posta questa connessione fra poltrone e il sost. poltro “letto”, il Diez trae quest’ultimo da sost. aat. polstar, bolstar, cuscino, guanciale, piumaccio, che è indubbiamente indigeno nel campo ger. e che non uscì dall’aat. per entrare nel mat. e fcm., e nota che se la caduta della s non è comune nelle parole ger. penetranti in it., è però spiegabile in questo caso, data la durezza del gruppo lst insoffribile alle bocche ed orecchie degl’Italiani. Si vuole inoltre considerare che l’it. offre anche la parola boldrone “vello, coperta di lana”, che al dire del Veneroni, presenta la variante boldra. Ora da una parte essa è vicina alle forme dell’aat.; e d’altro canto la doppia iniz. di p in poltrone, e b in boldra, boldrone,