Il rapimento d'Elena e altre opere/Osservazioni al poema
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Traduzione dal greco di Angelo Teodoro Villa (1758)
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OSSERVAZIONI AL POEMA.
v. 1. Νύμφαι. Ninfe. Singolare è questa invocazion delle Ninfe Trojane in vece delle Muse. Quì è posta la voce in quel significato, in cui dice Eliano. Mῆνίς τε ἐδόκει καὶ Νυμφῶν δι´ ἀπορίαν ναμάτων.
Ξανθοῖο. Xanto. Omero fa, che il notro Xanto chiami il Simoenta, altro fiume fratello suo per la lor vicinanza. Basta dunque aver occhi in testa per vedere, che questo è il fiume di Troja, diverso da quel della Licia a cui Strabone dà il nome di Sirbes, nome, che tuttavia conserva.
γενέθλη. Schiatta. L’Abate dall’Aglio ha tradotto Figlie. Non ha dunque usato quel rigore, che in altri pretende .
V. 2. κρήδεμνα. Questi erano veli di capo, che che scendeano fino alle spalle, quasi δέμα τοῦ κάρου. Eustazio Ιλ. χ’.
v. 4 Ἰδαίῃσιν. d’Ida. Monte ombroso di Troja. a cui presedeva il Padre Giove, secondo che dice Omero, nominato così da una certà Regina Ida, come narra Carace, giusta la relazion di Svida. Lo Scoliaste antico di Sofocle: Ἰδαία τὸ πάλαι ἡ Τρόια ἐκαλεῖτο από τῆς Ἴδης τοῦ ὄρους.
v. 6 ἀπορνύμεναι κελάδοντος. Uscendo fuori del sonoro ec. L’Abate dall’Aglio perchè traduce risorte, e non piuttosto uscite? Quel rauco, ch’egli usa, nè risponde alla voce greca, significante sonoro, nè propriamente è un bell’Aggiunto d’un Fiume, comechè lo potesse elegantemente essere del suo mormorare. Onde Petr. Son. 238.
O roco mormorar di lucid’onde.
v. 9. ὀρίνῃ. agitasse. L’Abate dall’Aglio, risvegliasse. Non esprime la forza del Greco, e questo risvegliarsi della terra, e del mare merita fischiate.
v. 10. Βουκόλος, de’ buoi Custode. Coll’arte usata da’ migliori Epici tace Coluto in questa parte della Proposizione il nome proprio del Protagonista.
v. 12. νύμφης. Sposa. Qui parla d’Elena: ed è presa la voce in sentimento diverso da quel di sopra, giacchè non meno significa Sposa, che Ninfa.
v. 14. Φαλάκρης. Promontorio. Così l’intendono i buoni Interpreti. Φαλός pietra eminente, comechè per l’ordinario nel mare. ἄκρος, sommo, alto. L’Abate dall’Aglio risparmia la difficoltà, traducendo Falacra.
δικάρηνον. bifronte, voce usata anche da Omero nella Batrachomyomachia. Sapevamo anche noi, che la vera spiegazion letterale; sarebbe stata di due teste; ma per non servirci d’una parafrasi, che mirabilmente sminuisce la forza, abbiam tradotto bifronte, e crediamo, che vi sia la medesima idea. L’Abate dall’Aglio ha formato di nuovo la parola bicipe.
v. 15. καὶ χαρίτων κ. τ. λ. E di gioja esultar per la vittoria ec. L’Abate dall’Aglio traduce
- E Venere
- Regina giuliva delle Grazie.
Per questo solo, che le Ninfe Trojane abbiano weduto su i monti d’Ida la giuliva Venere non v’era motivo, per cui il Poeta le dovesse invitare al racconto delle cose avvenute. Prese dunque di pregarle occasione dall’esser elleno State a parte dell’allegrezza provata da Venere per la vittoria ottenuta. Questo abbiam noi espresso nella nostra Versione. Non così ha fatto l’Abate dall’Aglio. Venere fu dagli antichi stimata Regina delle Grazie, poichè pregevole appunto è quella bellezza, a cui le Grazie fan corte. Omero perciò misteriosamente nell’Odiss. lib. 18. racconta, che la Grazie lavarono Venere, e l’unsero d’olio immortale, e di vesti la copersero assai preziose .
V. 17 Αἰμονιήων. Tessali. Esichio Αἰμονία ἡ Θεσσαλία. Plin. lib. IV. cap. 7. Sequitur mutatis sæpe nominibus Aemonia. Eadem Pelasgicum Argos, Hellas, eadem Thessalia, & Dryopis semper a regibus cognominata. Che fosse chiamata Emonia da Emone figliuolo di Cloro, Nipote di Pelasgo, e Padre di Tessalo, dice Stefano Bizantino. Lo Scoliaste però d’Apollonio Rodio lib. II. v. 92. fa quest’Emone figliuolo di Marte. Fatto stà, che Pirra fu altresì dagli antichi chiamata, come dice Riano: per la qual ragione ha potuto nominar Pirrei questi monti l’Abate dall’Aglio.
V. 18. Νυμφιδίων ὑμεναίων; tra gl’Imenei. Ridevol cosa ne sembra, e da Pedantuzzo, per non lasciar parola del testo, tradurre alla foggia dell’Abate dall’Aglio l’immeneo nuzziale, ch’è quanto a dire a un di presso nozze nuzziali.
V. 19. Γανυμήδης. Ganimede. Fu figliuolo di Troe, o di Dardano, al dir di Luciano dial. charidem. Omero Iliad. 20. lo chiama divino, che bellissimo nacque fra tutti i mortali, etto per la sua avvenenza da’ Nuni a porgere il vino a Giove, acciocchè soggiornale tra gl’immortali Iddii. La favola poi, che fosse rapito dall’Aquila è troppo comune: e Luciano suppone, che Giove stesso si trasmutasse in Aquila e che facesse con Ganimede un bizzarro Dialogo, dopo d’averlo trasferito nel Cielo.
Τ. 21. αὐτοκασιγνήτων Ἀμφιτρίτης: Sorella d’Anfitrite. Di questa Anfitrite Ninfa del mare la Sorella fu Tetide, Madre d’Achille e figliuola di Nereo. Queste nozze con Peleo furono fatte malgrado di lei: onde lamentasi con Vulcano presso d’Omero Iliad. 18. perchè sola tra le Ninfe marine l’avesse Giove destinata a Peleo, vecchio, mortale e cagionevole, che mai non uscia di stanza. Non dovea però esser Peleo sì vecchio al tempo delle nozze, o bisogna, che avesse già un piede a Babboriveggoli, quando, prima che fosse divinizzato, come dice Euripide nell’Andromaca, liberò dalle mani di Menelao essa Andromaca, schiava di suo nipote Neottolemo. Comunque ciò sia, Giove fu, che stabilì queste nozze, dice Apollodoro,perchè aspirando alle medesime egli solo, e Nettuno, Tetide da Giunone educata rifiutò le nozze di Giove, ὅθεν ὀργισθέναι τὸν Δία θνατῷ συζεύξαν αὐτήν. La scaltra, e schizzinosa Donna per fuggire gli abbracciamenti, e le nozze del vecchio, in varie forme, a guisa di Proteo, si trasmutava, sinchè dal fitto meriggio quasi abbruciata, e però involontario sonno prendendo, legata fu per consiglio del medesimo Proteo e cadde in potere di Peleo. Così Ovidio lib. 2. Metam. Euripid. nell’Andromaca, e Tzetze. Chiliad. II. Περὶ Θέτιδος.
v. 22. Ζεύς. Giove, figliuolo di Saturno, e d’Opi, Nella divisione co’ Fratelli ad esso come al maggiore, toccarono il Cielo, la Terra, il Mare a Nettuno, ed a Plutone l’Inferno. Siccome stimiamo util fatica il dare qualche breve ragguaglio in queste nostre Osservazioni delle favole, che occorreranno; così crediamo ben fatto di non perderci dietro a notizie di quelle Deità, che cognite sono anche a que’del Contado. Pertanto nulla più diremo intorno a que’ Numi, che μεγάλοι son chiamati da’ Greci, se non se quello, che necessario ne sembrerà per maggiore intelligenza del nostro Poeta. Ecco il Catalogo di questi Dei, fatto da Ennio in due versi sulla scorta d’un greco Tetrastico, e serbatoci da Apulejo nel Dio di Socrate:
Juno, Vesta, Minerva, Ceres, Diana Venus, Mars,
Mercurius, Jovis, Neptunus, Vulcanus, Apollo,
Queste Deità erano le maggiori stimate non solamente da’ Romani, e da’ Greci ma eziandio dagli Egizi, come appare da Erodoto. Euterp. cap. IV. p. 91.
v. 23. Ἐλικῶνος. Elicona, detto da’ moderni Eialia, monte della Beozia, vicino a Parnaso, Reggia del divino Apolline, e delle soavissime Muse. Pausania d’appresso vi mette altri monti, ciò sono Callidromo, Citerone ed Imetto.
V. 25. κασιγνήτη Διὸς Ἥρη. Giunon, Suora di Giove. Non Sorella solamente, ma fu anche poi Moglie, Certo, che i Greci a que’ tempi non ebbero troppo riguardo ne’ matrimonj a’ gradi d’affinità, e di consanguinità proibiti. Ma che lo Spondano al lib. VIII. dell’Odissea si faccia tanta maraviglia, perchè Alcinoo sposato siasi con una Figlia di suo Fratello, cosicchè abbia a dire nusquam alibi me præterquam in Homero legisse memini, assai stupore mi fa, per esservi di simili matrimonj fino a’ giorni nostri non pochi esempj.
ν. 26. βασίλεια καὶ Ἁρμονίης, κ. τ. λ. La stesσα d’Armonia Madre. L’aver noi trovato, che Venere fu Madre d’Armonia, ne ha mossi a sostituire la voce Madre, che manca nel Testo. Da Marte dunque, e da Venere nacquero due Dee una chiamata Paura e l’altra Armonia. Misteriose son tutte le favole e giudiziosamente da’ Poeti tessute. Venere, e Marte colti all’improvviso trovandosi nella rete preparata da Vulcano, il quale per vendicarsi dell’ingiuria recatagli, i Numi tutti a vedergli invitò, non che rossore, n’ebbero eziandio paura. Eccone adunque concepita una Dea. Questo medesimo congiungimento d’un Dio, tutto spirante severità, e d’una Dea, tutta grazia, ed amore, dopo le varie discordie che tra loro passate erano, diede alle genti occasione di favoleggiar sulla nascita dell’Armonia τοῦ παντὸς ἀσαλεύτως καὶ κατ’ ἐμμέλειαν ἁρμοσθέντος. Vedine Eraclide Pontico, Allegor. Homer., Pausan. lib. IX. cap. 5., Igino cap. CXLVIII. delle sue favole. Non fa uso di questa erudizione l’Abate dall’Aglio, e traduce così: Nè rifiutò già mo Venere stessa
Dell’Armonia Regina.
v. 27. δήθυνεν ritardò. Impropriamente l’Abate dall’Aglio rifiutò.
ἐς ἄλσεα Κενταυροῖο . a’ boschi di Chiron Centauro. Erano i boschi di Tessaglia, ove questa, che Pindaro Pyth. Od. 4 chiama fiera divina, più d’un illustre Personaggio saviamente aveva educati, e indirizzati sull’arduo sentiero d’una gloriosa virtù, tra’ quali Giasone, animoso Duce degli Argonauti, il forte Achille e’l saggio medico Esculapio Menippo presso Luciano dimanda a Chirone, perchè potendo essere immortale, abbia voluto non esserlo. Fu egli un de’ Centauri, i quali fama è, che ne’ monti Pelio, e Foloa abitassero, διφυεῖς di doppia natura uomini da’ fianchi in su, nel rimanente cavalli. Cosi Eraclito περὶ ἀπίστων cap. 5. a cui sembra impossibile, che differenti nature, se mai s’unisono, possano o vivere o alimentarsi. Palesato altresì al cap. 1. περὶ ἀπίστων il mistero ne spiega di questa favola. Se alcuno mai dice egli, fosse persuaso, che v’abbia avuto tal bestia, colui crederebbe impossibili cose. Poichè non v’ha proporzione tra la natura d’un cavallo e d’un uomo; non prendono eguale alimento, nè per la bocca, e per la gola d gli uomini può il cibo d’un cavallo passare. Che se tal forma vi fosse stata a que’ tempi, la medesima rimarrebbe oggidì. Racconta di poi, che a’ tempi d’Issione Re di Tessaglia tal quan tità di Tori spaziava nel monte Pelio, che la rovina erano di quel Paese. Fe’ noto Issione, che grossa somma di danaro sarebbesi data a colui, che avesse questi Tori destrutti. S’armarono gli spiritosi giovani, avvezzi dapprima ad esser tirati su cocchi. La necessità di salire su’ monti gli obbligò ad usare cavalli da sella. Montati sul dorio loro velocemente inseguirono i malefici Tori, e da ciò appunto il nome presero di Centauri, ὅτι τοὺς ταύρους κατεκένουν. Fatto stà, che in tal maniera apparendo su’ monti, vedevansi da coloro, che alle falde ne stavano, niente accostumati a tale spettacolo, colla figura d’un corpo solo avente per la metà sembianza di bestia, per l’altra d’uomo. Di quì è nata la favola raccontata anche da Eraclito, in ciò solamente diverso da Palefato, che questi nient’altro d’umano accordò a’ Centauri, che il puro capo. Al nostro Chirone intanto invidiava Cinico presso Luciano i piedi da cavallo.
v. 28. Πειθώ. Pito. Così piuttosto che colla voce Suada, usata dall’Abate dall’Aglio, abbiam noi voluto chiamar questa Dea; perciocchè non avendo Ella nome proprio nella volgar lingua, meglio n’è paruto di recare il nome originale, che un altro mendicato da altro idioma straniero. Dea dell’eloquenza era questa, invocata perciò dagli Oratori, siccome da’ Poeti le Muse. Cominciò dagli Egizj ad essere venerata, dopo l’uccision di Pitone. In memoria di che i fanciulli nelle feste d’Apollo andavano a Syrha e dentro il Tempio di questa Dea, l’insegne de’ Numi recavano. Cosi Pausania lib. II. cap. 7. da cui abbiamo altresì, che nessuna statua trovavasi nel di lei Tempio.
V. 31. γάμων ἀδίδακτος Ἀθήνη. Minerva non di nozze esperta. Vedi appresso Furnuto della Natura de’ Numi cap. 20. l’origine di tutte le favole intorno a Minerva; perchè fosle chiamata Ἀθηνᾶ e perchè rappresentata per Vergine.
v. 32. Ουδὲ κασιγνήτη κ. τ. λ. Nè le sprezzò, benchè più sia selvaggia ec. Diana fu figlia di Latona, e di Giove nata ad un parto con Apolline. Per l’amore, ch’ebbe sempre alla Verginità, selvaggia si rendè questa Dea e cacciatrice tra’ boschi, fuggendo la società pericolosa degli uomini. Agrotera fu perciò usualmente chiamata, anche senza il nome di Diana. L’Abate dall’Aglio non sa concedere, che Diana fosse cotanto selvaggia, chiamandola solamente alquanto agreste.
v. 34. οἷος δ᾽ οὗ κυνέην, κ. τ. λ. E qual si reca ec. Va Marte a Casa di Vulcano, tutto pieno d’amore per Venere Nessun bisogno ha dunque dell’elmo, o dell’asta. La voce κυνέην usata quì dal Poeta trovasi varie volte presso d’Omero; ed è chiamata così, dice Eustazio al III. dell’Iliade v. 336., quasi canino, perciocchè anticamente in vece del cappello usavano la pelle di cane fiumatico: δορᾷ κυνός κυνός ποταμίου σκέπουσα τας κεφαλάς τοῖς παλαιοῖς.
V. 37. έχόρευεν saltava. L’Abate dall’Aglio saltellava. Saltellare significa presso la Crusca saltare spessamente, e a piccioli salti. Bella comparsa avrà fatto quel ferreo Marte saltando in mezzo al convito alla maniera, che verbigrazia farebbe un fantoccio.
Ἔριν δ´ ἀγέραστον La Dea Discordia ec. Per maggior comodo de’ Leggitori abbiam pensato d’indicarla per Dea, giacchè non pure fu come tale venerata da’ Greci, ma Tempio ebbe eziandio presso de’ Romani. Omero la chiama Sorella di Marte (Iliad. 4. v. 441.) Non fu solamente la Discordia, che restò senza invito, ma Galene stessa Ninfa del Mare racconta in Luciano a Panope altra delle Nereidi, che non era altramentè stata alle nozze, avendole comandato Nettuno, che sene stesse frattanto alla custodia del mare.
V. 39. χρυσείοις — πλοκάμοισι, su i capei dorati. Omero però fa di color nero i capegli di Bacco nell’Inno intitolato Bacco, o i Ladroni, così dicendo: καλαὶ δὲ περισσείοντο ἔθειραι κυάνεαι. L’Abate dall’Aglio ha voluto riferire l’aggiunto d’oro non alle chiome all’uve non ma avvertendo, che v’ha discordanza tra loro in genere, numero e caso.
ἑκάτερθε, in ogni parte. L’Abate dall’Aglio traducendo poscia mostra di non avere inteso il valore di questa voce.
V. 41. ποιήεντος erboso. Così doveva tradurre, e non verde anche l’Abate dall’Aglio, se voleva pregiarsi d’una maggior fedeltà.
ν. 43. φοινήεντι μίωπι βοῶν, κ. τ. λ. Dal sanguinoso agitator de’ buoi Estro. Noi siam di parere, che nient’altro abbia voluto significare il Poeta colla voce μύωπι, che quella mosca di color di bronzo (μυῖα ὑπόχαλκος), che nella State s’attacca a’ buoi, e fa, che restino agitati, come dice Svida. Questa altrimenti chiamasi da’ Greci, e da’ Latini Estro: onde per egual ragione così nominiamo altresì quell’agitazione, che provano i Poeti, allorchè hanno calda e piena del Nume la fantasia. Il celebre Vallisnieri ha tra le sue Opere un leggiadro discorso fu l’assillo, o sia Estro de’ Poeti e de’ buoi. L’Abate dall’Aglio, trovando su’ Lessici, che µύωψ ha il significato di cieco fa un verso assai singolare traslatando così:
- Agitator cieco de’ buoi:
E non importa poi nulla, che il verso non abbia alcun sentimento. Non sapeva, che Callimaco nell’Ecale l’aveva adoperato, come noi, chiamandolo appunto βούσσοος μύωψ. Non aveva letto mai Svida, che scrive μύωψ, ὁ τὰς βοῦς σοβῶν, καὶ διόκων; Estro, che agita le vacche, e le perseguita. Ed altrove μύωψ, μυῖά τις, ερεθίζουσα τὰς βοῦς.
v. 47. χειρὶ δὲ γαίης, κ. τ. λ. a terra stese la mano. Letteralmente si poteva tradurre: e la mano dal seno della terra non tenne lontana . Non incliniamo perciò all’interpretazio̟ne fattane dall’Abate dall’Aglio
Nè la mano
A terra e il sen trattenne.
Per trovar una pietra bastava, che la Discordia mettesse la mano per terra: non vi s’aveva a sdrajar boccone anche col seno. Ad ogni modo non concordando tra loro in caso le voci χειρί e κόλπον non possono essere in egual maniera diretti dal medesimo verbo .
v. 50. Ἐκ χθονίων τιτῆνας, κ. τ. λ. da le voragini terrestri Risvegliando i Giganti. Racconta Albrico Filosofo de Deorum imaginibus essere stata degli antichi opinione, che fosse la Terra, altrimenti detta Cibele, madre degli alti Dei, contro de’ quali un giorno, sdegnatasi partorisse i Titani, ch’eran Giganti co’ piè di serpe. Tutti furono da’Numi sconfitti, a riserva del Sole, che non avendo avuto animo di prendersela contro de’ Numi solo rimase nella sua Deità. Fu egli chiamato Titane, e questo è il nome dice lo Scoliaste di Stazio I. Tebaid. 717., con cui gli Ateniesi comunalmente chiamavanlo. Ma Titani, dice Servio al VI. dell’Eneide v. 580. furono così detti i Giganti ἀπὸ τῆς τίσεως dalla vendetta. Or dunque volea la Discordia presso Coluto risuscitar dalla Terra i Giganti, acciocchè prendessero le di lui vendette. Omero gli chiama appunto lunghissimi uomini nutriti dall’alma Terra; e nel XIV. dell’Iliade Numi sottotartarei.
v. 58. Ἐσπερίδων χρυσίων — μήλων; de gli aurei pomi - d’Esperia. Nota è la favola di questi pomi. Raccontasi, che v’ebbero certe Donne d’Esperia, nel di cui Orto le piante miravansi cariche di pomi d’oro. Alla custodia di questi vegliava minaccioso Dragone. Ercole di là passando i pomi rapi, uccisone prima il guardiano. La favola è narrata da Stazio nella Tebaide II. Ma la verità è questa, dice Palefato περὶ ἀπίστων cap. 19. Fu Espero un uom di Mileto, che nella Caria abitava, ed ebbe due figlie, chiamate Esperidi, le quali si dilettavano di tener certe pecore belle, e feconde, quali anche oggidì si veggono in Mileto, e perciocchè bellissime erano, dimandavansi pecore d’oro, essendo l’oro bellissimo. Per conferma di ciò noi possiamo citar Luciano nel Dialogo Caridemo ove dice, che Venere più d’ogn’altra cosa pregiavasi d’essere nominata col titolo d’aurea per questo solo, che nell’oro medesimo v’è l’idea della Beltà. Ora, prosiegue Palefato, collo stesso nome μῆλα vengon chiamate le pecore, e i pomi. Dracone era di questa greggia il Pastore, la quale veduta essendo da Ercole, se ne invaghi, e in casa il Pastore cacciato, pose sulla nave le pecore, e len andò. Solino però diversamente ne spiega il mistero (polyhist. cap. 37.)
V. 63. ἀγαλλομένη superba. L’Abate dall’Aglio traduce privilegiata. Nuovo è questo significato.
v. 64. ἵστατο θαμβήσασα. Ammirando lo stava. Non ha tal forza la versione del nostro dall’Aglio il qual traduce attenta stava.
ν. 65. Μῆλον ἔχειν ἐπόθησεν aver volea quel pomo. Vedi Luciano dial. Caridem. ove racconta il medesimo.
v. 66. Quì pare, che avrebbe dovuto il Poeta far, ch’entrasse nella contesa anche Pallade, giacchè avea ragionato di Giunone, e di Venere.
ν. 67. καλέσσας — Ἑρμάωνα, chiamato Mercurio. Era appunto Mercurio ministro delle ambasciate di Giove. Διακόνος Διός ministro di Giove è chiamato da Pausania nell’Arcadia cap. 32. Orazio nell’Oda Mercuri facunde &c. lo dice magni Jovis, et Deorum Nuntium. Presso Virgilio finalmente nel IV. dell’Eneide v. 237 Giove comanda a Mercurio nostri nuncius esto ed egli patris magni parere parabat — Imperio, et primum pedibus talaria nectit — Aurea. Onde perchè fosse più pronto a recar l’ambasciate fingevasi coll’ale a’ piedi.
V. 71. βουκολέοντα. Pastor di buoi. Fulgenzio Mythologicon lib. II. cap. 1. dopo avere l’allegoria spiegata del giudizio di Paride così dice: Bene Pastor quia non ut sagitta certus, et jaculo bonus, e vultu decorus, e ingenio sagacissimus.
v. 74. ἡ δὲ διακρινθεῖσα κ. τ. λ. A quella poi ec. Nel pomo stesso, secondo Luciano, e Furnuto, era scritte, che alla più bella si desse ή καλή λαβήτω.
περίπυστον famosa. Nobile non è ben tradotto dall’Abate dall’Aglio
V. 80. καλύπτρην, il vel del capo. Giulio Polluce lib. III. part. 37 nomina anche questo tra gli altri ornamenti del capo donnesco, e nel lib. IV. part. 116. lo mette pure tra gli ornamenti de’ Tragici, e Comici. Καλύπτω, che n’è la radice, significa velare, coprire.
v. 87. Ἥρην μὲν Χαρίτων — τιθήνην. Madre de le Grazie — Giunone. Noi abbiam tradotto Madre piuttosto, che Nutrice, sebbene il contrario abbia fatto l’Abate dall’Aglio Che delle Grazie fosse Madre Giunone fu parere di molti; e che perciò fosser elleno nobilissime fra le Dee. Furnuto della Natura degli Dei cap. 15. ne assicura di ciò: τὴν δ´ Ἥραν ἄλλοι διδόασιν αὐταῖς μητέρα, καθ᾿ ὃ εὐγενέσταται τῶν θεῶν εἰσι. Altri però altra Madre assegnano loro; Euridomene alcuni, alcuni Eurinome, ed altri Eurimedose, chi Evante, e chi Aglaja. Fu Giove senza contraddizione il Padre.
ν.88. Φασὶ δὲ κοιρανίην μεθέπειν, κ. τ. λ. Dicon, che regge impero, e che ha gli scettri. Era ben giusto, che la superba Giunone presedesse a’ regni, come Sposa del sommo Giove, Re chiamato degli uomini e degli Dei. Fu perciò collo scettro dipinta dagl’ingannati Gentili; e nel Museo Fiorentino se ne vede la Statua, avente nella sinistra lo scettro, e nella destra una tazza. Pagina:AA. VV. - Il rapimento d'Elena e altre opere.djvu/114 Pagina:AA. VV. - Il rapimento d'Elena e altre opere.djvu/115 Pagina:AA. VV. - Il rapimento d'Elena e altre opere.djvu/116 Pagina:AA. VV. - Il rapimento d'Elena e altre opere.djvu/117 Pagina:AA. VV. - Il rapimento d'Elena e altre opere.djvu/118 Pagina:AA. VV. - Il rapimento d'Elena e altre opere.djvu/119 Pagina:AA. VV. - Il rapimento d'Elena e altre opere.djvu/120 Pagina:AA. VV. - Il rapimento d'Elena e altre opere.djvu/121 Pagina:AA. VV. - Il rapimento d'Elena e altre opere.djvu/122 Pagina:AA. VV. - Il rapimento d'Elena e altre opere.djvu/123 Pagina:AA. VV. - Il rapimento d'Elena e altre opere.djvu/124 Pagina:AA. VV. - Il rapimento d'Elena e altre opere.djvu/125 o( XCIV )ó landò di Serie racconta, che paffiato avendo ti fiume Uflo inaridito, per molte greche Città fin andò, Maronia, Die e a, e Abdera, e /e te d’appreffiò famofe paludi; l’Ilmarica giacente tra Maronia, e Strirna ec. Ifmaro è poi la Città, chiamata ora Maronia, fecondo il vino di cui è nominato da Archiloco predo Ateneo lib. i. in due verlì recati dal medefimo Svida lotto la voce Crropax*, e tradotti in_. latino così da Dionifio: Maza mihi bafiatoprabetur, Baccbus in IJmaricus: dum me fu bafla, bibo. V. 208. Qpntufoto (ttndpei* TI<*yy<tiou: del Pangeo di Tracia le cime. Quel Plutarco, chiunque egli è, che fetide»*el vowpa?, e trovali nel VoMI. dell’Opera intitolata: Geographice veteris Scriptores Greci minores. Oxonia 1703., così dice di quello Pangeo al cap; ifipot. V’icino al fiume Ebro trovafì il monte Pangeo, ch’ebbe in guifa la fua denominazione. Pangeo, figlio di Marte, e di Critobule effiendofi ignorantemente congiunto la propria figliuola, e perciò dal dolore fo trovandoli fuggì nel monte Carmanio; quindi per V’tncredibil triflezza, che ne concepì, fguainando la fpada, violentemente s’uccifi. V’onero i Numi poi, che foffi quel luogo cognominato Pangeo. Più abbado racconta, che^ in quello monte nafee un* erba chiamata ci* tara le ne dà la ragione.. * y, aéy. tMOdlm «WfcMtm *, r, vide
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