Il povero superbo/Atto I
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ATTO PRIMO.
SCENA PRIMA.
Stanza contigua alla cucina in casa di Pancrazio.
Lisetta e Scrocca che mangia.
E vi faccia buon prò: statevi allegro1,
Nè temete di nulla.
Scrocca. Generosa Lisetta,
Io vi sono obbligato:
Toccano il cuor questi bocconi al fresco
La mattina bonora2.
Lisetta. Mangiate, amico, pur, bevete ancora:
Volentieri lo do, questo è il mio genio,
Ed aiutar chi n’ha bisogno ho in uso.
Scrocca. Alla vostra salute. Oh benedetto! (beve
Alla vostra salute nuovamente.
Che balsamo, che nettare perfetto!
Lisetta. Ditemi un poco. Il Cavalier del Zero,
Vostro padron, come vi tratta?
Scrocca. Male.
Io servo per disgrazia un animale
Ch’è povero e superbo.
Lisetta. E pur io non credei
Che fosse in stato tal.
Scrocca. Quando discorre,
Par che sia ricco magno,
Ma però v’assicuro,
Che fa più d’un digiuno,
E che nella scarsella non ne ha uno.
Scrocca. Per nobiltà,
Da dare agli altri3 ei ne ha, chi sente lui4.
Lisetta. Questo è il costume
Di chi, ignobile e ricco,
Si vede corteggiato, e che credendo
Che mai debba finire,
Spende tutto, e poi fa questa comparsa.
Scrocca. La cassa è vuota, e la sua tasca è arsa.
Lisetta. Un povero superbo
È peggior della peste.
Scrocca. Un’altra volta,
Carissima Lisetta.
(Volendo bere, arriva il Cavaliere, ed egli spaventalo gli cade5 il gotto di mano.
SCENA II.
Il Cavaliere in abito di confidenza, bastone lungo6 da campagna, e detti.
Scrocca. (Oh poveretto me!) (con timore
Cavaliere. Tu che fai qui?
Scrocca. Se la comanda anch’ella... 7
Cavaliere. Parti di qua subitamente.
Lisetta. Almeno
Permettete, signor, ch’egli finisca.
Cavaliere. Via di qui, villanaccio,
Indiscreto ghiottone,
O che io ti farò andar con il bastone.
Scrocca. Lustrissimo, ha ragione:
Alla salute sua. (beve) Or me ne vo,
E quando chiamerà, ritornerò.
Che soffron certuni
Sbasiti, digiuni.
Danari non hanno,
Ma spender ben sanno
La lor nobiltà.
Ed esser credendo
Del ceppo d’Enea,
Ricuopron d’idea
L’antica viltà.
SCENA III.
Il Cavaliere e Lisetta.
Lisetta. Via, compatite.
Non sa cosa si dica.
Cavaliere. il mio bastone
Gli farà far ragione. Impertinente!
Non pensano costoro
Che a mangiar, divertirsi,
Nè di servir si curano il padrone.
Guardate se colui
Il suo padrone è nel servir attento;
S’alza dal letto, e fugge
Senza darmi neppur la cioccolata.
Lisetta. La cioccolata, eh? Di qual colore,
Lustrissimo signore?
Cavaliere. Come? come? non bevo
Forse la cioccolata ogni mattina?
Prenderla soglio appunto in su quest’ora;
Io non ceno la sera,
E se a prenderla tardo,
Ho lo stomaco mio meno gagliardo.
Cavaliere. Briccone! il fuoco forse
Acceso non avrà; tempo ci vuole,
Prima che fatta sia.
Lisetta. Se comanda, signor, gli do la mia.
Cavaliere. O via, giacche v’è pronta,
Di beverla da voi no non ricuso.
Lisetta. (Già lo sapevo). È scura di colore
La nostra cioccolata.
Cavaliere. Come a dire?
Lisetta. Io non vorrei ch’ella prendesse un fallo,
Credendo che l’avesse il color giallo.
Cavaliere. Vi piace di scherzar? Voi vi credete
Che non sappia che sia la cioccolata?
Lisetta. Oh, so ch’ella lo sa.
Lo so ch’è dilettante,
E so che in quante case ella conosce,
Suole andarla assaggiando.
Cavaliere. E quando io dico
Che sia buona, ella è tale.
Lisetta. In conoscerla so che non ha eguale.
Vado a servirla, e torno in un momento;
Può trattenersi qui, s’ella è contento. (parte
SCENA IV.
Il Cavaliere solo.
Che vien da quel salame! Ah, mi rapisce
A forza il cuor dal petto.
Mi viene l’acqua in bocca: oh benedetto!
Mi piaceria provarlo,
Ma mi vergogno. E di chi avrò vergogna,
Che qui non v’é nessuno? Presto, presto:
Ber di vin, non sconviene a un cavaliere.
Oh fame, oh fame! oh dolorata fame!
Oh buono! ancora il meglio (mangia
Io mangiato non ho, ma le vivande
Condisce l’appetito.
Proviamo questo vino. Oh saporito, (mangia e beve
Oh prezioso, oh caro...
SCENA V.
Lisetta e detto.
Cavaliere. Oh maledetta tosse!
Se la tosse mi prende,
Non bevendo m’affogo.
Lisetta. Vi piace questo vino?
Cavaliere. Oibò, è cattivo.
Lisetta. E pure è del migliore
Che si trovi in cantina del padrone.
Cavaliere. Assai meglio si trova
Nella cantina mia.
Lisetta. Con permissione:
Mi vien detto che il suo
Abbia un difetto grande.
Cavaliere. E qual difetto?
Lisetta. Che troppo asciutto sia, m’è stato detto.
Cavaliere. Date la cioccolata.
Lisetta. Eccola presto.
La sua sarà più buona.
Cavaliere. È troppo dolce.
Lisetta. Per esser perfetta
Sarà forse la sua anco amaretta.
Cavaliere. Siete di questa villa?
Son allevata.
Cavaliere. Dunque
Allevata in Milano?
Lisetta. Per l’appunto.
Cavaliere. Oh, questa è la ragion che siete astuta.
Lisetta. Eppur sono innocente, come l’acqua.
Cavaliere. Come l’acqua però de’ maccheroni.
Lisetta. Oh giusto, come l’acqua
Con cui suol vossustrissima
Lavarsi l’illustrissima sua faccia.
Cavaliere. Voi troppo v’avanzate.
Lisetta. Oh compatisca:
In questo ell’ha ragione;
Desidero, signor, sua protezione.
Cavaliere. Via, buona. Son chi sono;
Se vi portate bene, io vi perdono.
Cara, fo pace,
La mano toccate
Al vostro signor.
Quel viso mi piace;
Voi tutto sperate
Da un buon protettor.
SCENA VI.
Lisetta ed il Conte.
Gran bestia originale! È dalla fame
Mezzo morto e stordito;
E pur di nobiltà sente il prurito.
Conte. Lisetta!
Lisetta. Che comanda?
Conte. Ov’è Dorisbe?
Conte. Lisetta, se vi piace, andate a lei;
Ditele che l’attendo in questo luoco.
Lisetta. Vi servo in un istante.
(Questo per la padrona è un buon amante). (parte
SCENA VII.
Il Conte solo.
Di chi ben ama! Ogni momento è lungo,
E prova ogni momento
Per un poco di speme aspro tormento.
Dorisbe è l’idol mio,
Ma non so che sperar dal padre suo.
Ah, guidi amor benigno
I nostri cuori al sospirato porto,
E sia la speme ad ambedue conforto.
Belle del mio tesoro,
Belle pupille care,
Dove ad amare) appresi,
Se per voi sol m’accesi.
Voi sole adorerò.
Nel vostro almo splendore
Sempre ripieno il cuore,
Ogni periglio acerbo
Costante incontrerò. (parte
SCENA VIII.
Sala in casa di Pancrazio.
Dorisbe e Pancrazio.
Di Montebello il conte,
Negarlo all’amor mio. Ma qui s’appressa
Il caro genitor. Scoprir qual sia
Vuò la sua volontà.
Pancrazio. Figliola mia,
Ben trovata, che fai?
(Pancrazio vien camminando, e nel passare vede la Figlia
Dorisbe. Padre diletto.
Come vi ritrovate in questo giorno?
Pancrazio. Sto bene, e son venuto... (pensa
A che far?... Non lo so.
Dorisbe. Oh che bella memoria!
Pancrazio. Non mi sturbate; or or ci penserò...
Affé, che mi sovviene:
Io venni... Ma a che far?
Dorisbe. Così va bene.
(Vuò parlargli, e impegnarlo a mio favore).
Amato genitore,
Poss’io sperar dall’amor vostro un pegno?
Pancrazio. Parla, figliola mia, tutto otterrai.
Dorisbe. Ah, caro genitor...
Pancrazio. Mi ricordai
Il perchè venni qui.
Dorisbe. Siamo da capo.
Pancrazio. Ma parla.
Dorisbe. Se m’udite,
Io tutto vi dirò.
Pancrazio. Parla, t’ascolto.
SCENA IX.
Madama, Dorisbe e detti.
Vi ho fatto pur la burla.
Dorisbe. Brava, brava.
Burlata vi sarete.
Madama. E perchè mai?
Pancrazio. Perchè mal voi starete.
Madama. Eh, son contenta.
Avete ancor bevuto il cioccolato?
Pancrazio. L’ho bevuto, ma pur, se comandate...
Madama. Se lo fate portar, piacer mi fate,
Con quattro o cinque biscottini almeno;
Il viaggio m’ha fatto venir fame.
Pancrazio. Lisetta.
SCENA X.
Lisetta e detti.
Pancrazio. Porta il cioccolato a questa dama8.
Lisetta. Or vi servo, madama.
Madama. Porta de’ savoiardi.
Lisetta. (Oh maledetta!
Che cosa è questo porta?)
Parlate voi con me? (a Madama
Madama. Sì, cara, io dico a te.
Lisetta. Te, te, perduto avete
Il vostro cagnolino?
Madama. Oh, perdonate
Se v’ho dato del tu; son così avvezza
Colla mia cameriera.
Lisetta. E il tu le date?
Ed essa lo comporta?
Dorisbe. Orsù, Lisetta,
Madama è stanca, e il cioccolato aspetta.
Conoscer le farò che donna io sia).
Madama, or ora
La cioccolata
Vo a preparar.
(Noi altre femmine
Siamo assai perfide
Per la vendetta;
Tempo s’aspetta,
Purchè sia facile
I nostri affronti
Di vendicar.
Così con questa
Penso di far).
Madama, or ora
La cioccolata
Vo a preparar. (parte
SCENA XI.
Pancrazio, Madama, Dorisbe e poi Scrocca.
La vostra cameriera.
Pancrazio. È spiritosa.
Dorisbe. Credo che così presto
Da noi non partirete.
Madama. Io qui mi tratterrò quanto vorrete.
Scrocca. Oh di casa! Si può...
Dorisbe. Chi è di là?
Pancrazio. Venga avanti, e lo vedrò.
Scrocca. Servitore umilissimo
Del signor illustrissimo.
Pancrazio. Buon giorno a voi.
Scrocca. Padrona mia illustrissima,
Le faccio riverenza profondissima. (a Dorisbe
Madama. A me nulla?
Scrocca. Ancora a lei
Ossequioso faccio i doveri miei9.
Lustrissimo padron, che bella ciera,
Che siate benedetto!
Quando vi veggo, il cuor mi brilla in petto.
Pancrazio. Grazie, amico, vi do, cosa v’occorre?
Scrocca. Un’ambasciata sola io devo esporre.
A voi mi manda il cavalier dal Zero 10
L’illustrissimo mio signor padrone.
Che venir brama alla conversazione.
Io ho (atto l’ambasciata mia brevissima
E sono servitor di vusustrissima.
Pancrazio. Ma amico mio, con tanti
Stirati complimenti
Fate serrare il cuor, stringere i denti11,
Dunque il marchese vuol...
Dorisbe. No, il cavaliere.
Pancrazio. Venire a visitarmi?
Scrocca. Sì, illustrìssimo.
Pancrazio. Che venga pure, è mio padron carissimo.
Scrocca. Io vado a riferir 12 le grazie vostre
All’illustre, illustrìssimo padrone.
(Ei con tale occasione
Procurerà bel bello
Il danaro che aver cerca a livello), (da sè, e parte
SCENA XII.
Pancrazio, Madama e Dorisbe.
Dorisbe. Con vostra buona grazia, io vado un poco
Se vuol, venga madama a favorirmi.
Madama. Resto un poco a parlare
Col caro sior13 Pancrazio.
Dorisbe. Ebben, restate:
Gradita certo compagnia gli fate.
Al garrir de’ lieti augelli,
Al soffiar de’ venticelli
E dell’onde al mormorio,
La sua pace il petto mio
Forse forse troverà.
Il mio dolce amato bene,
Di vedermi colla speme,
Tra le piante e tra i fioretti
Dolci affetti porterà. (parte
SCENA XIII.
Pancrazio e Madama.
E questi pochi instanti
Perder noi non dobbiamo.
Il nostro matrimonio discorriamo.
Pancrazio. Come volete.
Madama. Or ben, nel vostro cuore
Vi sentite d’amor il pizzicore?
Pancrazio. Assai.
Madama. Caro, bramate esser voi mio?
Pancrazio. D’esser vostro, madama, io penserò.
Madama. Nè risolvete ancor?
Pancrazio. Risolverò14.
Madama. Ma se tempo abbiam noi...
Pancrazio. Si penserà.
Voi beffe vi farete?
Pancrazio. Di che meco parlate, e che volete?
Madama. Eh Pancrazio crudele,
Vedo che non mi amate,
Vedo che voi scherzate,
E pur spero che un dì
Voi mi direte: madamina, sì.
Pancrazio. Io non so nulla, e se il mio ben vi piace,
Lasciatemi, madama, un poco in pace.
Cara padrona bella,
Non vi capisco, no.
Forse sarete quella,
Ma ben ci penserò.
Vorreste burlarmi eh!
Non è così facile,
Non son così tondo;
Cospetto del mondo,
Ben ben penserò.
Son troppo vecchio, e voglio
Serbarmi in libertà.
Oh dolce libertà!
Con voi, non dubitate,
Giammai la perderò. (parte
SCENA XIV.
Madama sola.
M’ha detto i fatti suoi. Questo mi basta.
Or convien con giudicio
Usar ogni artifizio, acciò quel scimunito
Diventi a suo dispetto mio marito.
Un uomo smemoriato
È un buon medicamento,
Quando lo sa girare a suo talento.
Se siamo fanciulle,
Abbiamo cento occhi,
Perchè non ci tocchi
Ardito amator.
Se vedove siamo,
Cent’occhi troviamo
Disposti a osservare
Gli affetti del cuor.
Ma questa ricetta
È sempre perfetta,
Legarsi ad un vecchio
Già stanco d’amor.
A letto va presto,
Ne sorte ben tardi,
E lascia frattanto
A noi libertà.
D’un vecchio legame
Piacere più bello
Inver non si dà. (parte
SCENA XV.
Stanze vicino alla cucina.
Il Cavaliere con alcuni fogli in mano, e Scrocca.
Questi son tre saluti
Che col mezzo de’ lor procuratori
V’hanno mandato i vostri creditori.
Cavaliere. Indegni disgraziati,
Se vado alla città,
Voglio lor insegnar la civiltà.
A farvi rispettar da vostro pari?
Cavaliere. Di’ che ho da far.
Scrocca. Dategli i lor danari.
Cavaliere. Sono trecento scudi.
Qualche volta ne ho, che me ne avanzano;
Qualche volta mi mancano.
Ed ora, per esempio...
Scrocca. Già non ci sente alcuno15;
Or, per esempio, non ne avete uno.
Cavaliere. Scrocca, porgimi aiuto.
Se un caso tal si sa,
Perde la nobiltà del suo decoro.
Fanno trecento scudi il mio martore.
Scrocca. Osservate, signore,
Chi vi potrà aiutar quando il volesse.
Cavaliere. Chi? Lisetta?
Scrocca. Ella appunto.
Ella, che del padrone
Maneggia il cuor, non che l’argento e l’oro,
Che un picciolo tesoro
Sotto le chiavi sue tien custodito,
Ella vi può aiutar presto e pulito16.
Cavaliere. Come li chiederò?
Scrocca. Vi vuol cervello:
Si chiedono a livello,
Si esibisce di dare il sei per cento.
Si fa un bell’istromento;
Si nascondon i guai,
E il capitale non si paga mai.
Eccola qui, vi lascio.
Sono trecento scudi, e rammentate
Che anderete in prigion, se non pagate. (parte
SCENA XVI.
Il Cavaliere, poi Lisetta.
A chiedere e pregare?
Come potrò a costei
Dir le miserie ed i bisogni miei17?
Lisetta. Che fa 18 qui il cavalier? (Mi par turbato).
Serva sua, mio signor.
Cavaliere. Schiavo obbligato.
Lisetta. Troppo gentil.
Cavaliere. Le donne
Tratto con civiltà.
Voi meritate assai.
Lisetta. Troppa bontà.
Cavaliere. (Come principierò?)
Lisetta. Che ha, mio signore?
Par di cattivo umore.
Cavaliere. Vi dirò.
Tra me pensando vo
A una compra de’ beni,
Che deggio far per quattromille scudi.
Oggi dee stipularsi l’istromento,
E mi mancano ancor scudi trecento.
Lisetta. (Ho capito che basta). (da sè
Cavaliere. I miei fattori
Sono lontani assai.
Lisetta. E quando preme, non arrivan mai.
Cavaliere. È ver; se si potesse
Trovar questo danaro...
Lisetta. E perchè no?
Cavaliere. Lo trovereste voi?
Cavaliere. So che il vostro padrone
È un uom ricco, riccone.
Lisetta. È vero, e il padron20 mio
£ solito di far quel che vogl’io.
Cavaliere. Tanto meglio; per voi
La mancia vi sarà generosissima:
Vi darò dieci scudi.
Lisetta. Obbligatissima.
Cavaliere. D’una cosa vi prego, in confidenza:
Non fate che si sappia
Questa richiesta mia;
Non ne state a parlar con chi si sia.
Lisetta. Non dubitate, or vado
A chiamar il padrone.
(Se tu speri il danar, sei ben minchione), (parte
SCENA XVII.
Il Cavaliere, poi Scrocca.
Scrocca. Signor, son qui.
Cavaliere. Ho parlato.
Scrocca. Che ha detto?
Cavaliere. Ha detto sì.
Scrocca. Me ne rallegro.
Cavaliere. Ora verrà il danaro.
Sono tutto contento.
Scrocca. Affé, l’ho caro.
SCENA XVIII.
Lisetta, Pancrazio e detti.
La vuol21 pregare il signor cavaliero.
Cavaliere. Non prega alcuno il cavalier dal Zero.
Scrocca. (Un poco d’umiltà). (piano al Cavaliere
Pancrazio. Se non comanda,
Dunque me ne anderò.
Cavaliere. Ascoltate, Pancrazio.
Pancrazio. Ascolterò.
Scrocca. (Siate un poco più dolce
In grazia del bisogno). (piano al Cavaliere
Cavaliere. (Ho da chieder danari? Ah, mi vergogno).
Signor, mi conoscete:
Son nobile, il sapete.
Bisogno non avrei,
Se avessi i beni miei...
Parlate voi per me. (a Lisetta
Scrocca. (Superbia maledetta). (da sè
Pancrazio. Che mi vuoi22 dir, Lisetta?
Lisetta. Padron, badate a me.
Questo signor mio caro
Bisogno ha di danaro.
Cavaliere. Il cavalier dal Zero
Misero mai non fu.
Pancrazio. Dunque, se non è vero,
Non ne parliamo più.
Scrocca. (Uh maledetto,
Lo scannerei23).
Pancrazio. Signori miei,
Buon servitor.
Cavaliere. No, non andate.
Lisetta. Questo signore
Vi vuol pregar.
Cavaliere. Vuò domandare,
Non vuò pregare;
Non chiedo in dono,
lo son chi sono.
State in cervello,
Voglio a livello
Scudi trecento,
E il sei per cento
Vi pagherò.
Che risolvete?
Pancrazio. Io non ne ho.
Lisetta. Padron mio caro.
Pancrazio. Non ho danaro.
Scrocca. Padron mio bello.
Pancrazio. Non do a livello,
Non vuò impicciarmi
Con chi trattarmi
Meglio non sa.
Cavaliere. Signor Pancrazio,
Per cortesia.
Pancrazio.
Vossignoria.
Scrocca. Signor Pancrazio,
Vi prego anch’io.
Pancrazio. Schiavo divoto,
Padrone mio.
Lisetta. Lisetta vostra,
Padron gentile,
Vi prego 24 umile
Per carità.
Eccoli qua.
Scrocca. Vengono.
Cavaliere. Vengono affé.
Pancrazio. Ma sicurezza25.
Lisetta. Dateli a me.
Signor, la quaglia canta: (al Cavaliere
Qua, qua, qua, qua, qua, qua.
(facendo cantare la bocca
Cavaliere. Contatemi il danaro.
Lisetta. Or or si conterà.
Scrocca. L’abbiamo per contato,
Cori si prenderà.
Pancrazio. Lisetta, sicurezza.
Lisetta. Or or ce la darà.
Signor mio caro, (al Cavaliere
Questo danaro
Vuol sigurtà.
Cavaliere. I miei poderi.
Lisetta. Non ci son più.
Scrocca. Il suo palazzo.
Pancrazio. Vuol cascar giù.
Cavaliere. I miei giardini.
Lisetta. Pochi quattrini.
Scrocca. L’argenteria 26.
Pancrazio. È andata via.
Scrocca. Dunque, che fate?
Qua, qua, qua, qua.
Cavaliere. Son disperato,
Non c’è pietà.
Fine dell’Atto Primo.
- ↑ In questo verso manca nel testo la punteggiatura.
- ↑ Forma dialettale: a bon’ora.
- ↑ Nel testo: agl’altri.
- ↑ Nel testo: chi sente a lui.
- ↑ Così l’unico testo, molto scorretto.
- ↑ Nel testo: longo.
- ↑ Nel testo c’è l’interrogativo.
- ↑ Il verso zoppica così nel testo.
- ↑ Anche questo bel verso è nel testo.
- ↑ Nel testo è qui stampato: del Zero.
- ↑ Nel testo: rifferir.
- ↑ Nel testo: stringere denti.
- ↑ Voce dialettale veneziana.
- ↑ Nel testo: rissolvete e rlssolverò.
- ↑ Nel testo: Già non si sente alcuno.
- ↑ Per bene, appuntino: voce dialettale.
- ↑ Nel testo: Dir le miserie mie, ed i bisogni miei.
- ↑ Nel testo: E che fa.
- ↑ Nel testo trovareste e trovarò, forme dialettali.
- ↑ Nel testo: patrone e patron.
- ↑ Testo: voi.
- ↑ Testo: voi.
- ↑ Testo: scannarei, forme dialettale.
- ↑ Così nel testo.
- ↑ Nel testo: Ma? sicurezza.
- ↑ Testo: argentaria, dialettale.