Il diavolo, novelle valdarnesi/Il libro del comando
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IL LIBRO DEL COMANDO
IL LIBRO DEL COMANDO
I.
Se ammazzeremo la lepre! Che domande? Rispose Paolaccio — in una mezz’ora piglio a trovarla; e poi in tutti i casi, ce ne ho due attaccate in cucina. Sicchè siamo intesi: domattina l’aspetto allo stradone.
— A che ora?
— A che ora vuole, ma giacchè si va, sarebbe meglio andar piuttosto prestino; le giornate ora sono raccortite a buono. Io alle cinque sarò allo stradone. Già anche prima: tanto ci dovrebbe essere il tempo di dormire con le nottate tanto lunghe! — Non mi par vero di vedere sbalugginare un po’ di giorno per iscappar dal letto.
— Va bene: domattina alle cinque.
All’ora fissata Paolaccio era al posto col suo lungo fucile ad una canna in ispalla. Accovacciato ai suoi piedi era un canino rosso, colla coda tagliata, una specie di quei pomeri, che tengono i barocciai.
— Buongiorno!
— Buongiorno; si è levata più presto di quel che non credevo, ancora non ce la facevo!
— E codesto canino?
— È il mio.
— Però non è da caccia?
— Ma la lepre la trova: me lo volle dare mio fratello Nando; lo presi così per fare; più per badare a casa che per altro. Io non ce lo volevo con me, perchè i cani sono sempre d’impiccio ed alle volte fanno entrar ne’ cimenti senza volere; specialmente io che sono tutti i giorni per le strade se qualcheduno me lo avesse toccato sarebbe stata questione finita. Sicchè le prime volte gli tiravo de’ sassi, così per fargli paura; lui abbassava le orecchie, metteva la sua coda fra le gambe, prendeva ratto ratto la via di casa, ed ogni tanto si voltava addietro come per vedere dove io andava: quando avevo fatto un altro po’ di strada, e non mi scorgeva più, via a carriera giù per i campi e per i balzi; mi passava avanti, e si metteva ad aspettarmi. Durai un pezzo a gridarlo e a rimandarlo addietro: fuggiva sempre, ma dopo un minuto o due me lo vedevo sempre riapparire dinanzi. Sicché in ultimo mi convenne lasciarlo fare, e ora non mi lascia più un minuto. Le bestie sono come i cristiani. Sta con quei ragazzi, che ne fanno alla palla; alle volte gli fanno anche male, ma non c’è pericolo che si rivolti mai. A lasciar la carne in tavola non la guarda neppure; una guardia poi come lui non c'è. La notte, se sente toccar l’uscio, benché sia piccino, non dubiti, fa svegliare. Non è un cane bello, lo so, anzi è brutto; eppure, benché io sia povero e abbia bisogno d’un centesimo, non lo darei per cento lire.
Intanto principiava a farsi giorno, e l’erta si faceva sentire.
— Che bella posizione è questa! Eh? Quassù tra pochi minuti c’è il sole, e laggiù guardi che nebbia! Ci par il mare!
Infatti si vedeva in fondo alla vallata dell’Arno una nebbia densa, come un gran lago bianchiccio e vaporoso.
— Non erano mica grulli i nostri antichi a fabbricar su queste montagne; si vede che avevano piacere di stare all’aria fine: l’ha a guardare che i paesi antichi son tutti sui poggi. Gli è il male che per noi l’aria fine non ci vorrebbe.
— Perchè?
— Perchè coll’aria fine ci sta l’appetito; del pane bisognerebbe averne di molto, e per di più ce n’è poco. Se sapesse quante libbre ce ne vogliono in capo alla settimana per campare in sette! La mattina quei bambini si levano:
— Babbo, datemi il pane.
Il giorno:
— Babbo, datemi il pane.
— La sera, la stessa musica: si dice bene, ma quando non ce n’è, quare conturbas me, dice il prete nella messa. Oh! A quel che mi ritrovai, anno di là, quando ebbi i dolori e stetti quattro mesi a letto senza potermi smovere! Credevo d’impazzire. La moglie non poteva far nulla, tra custodir me e badare a quei ragazzi; il mio Gigino, il mio bambino ultimo, l’aveva al petto. Alle volte mi si faceva buio agli occhi, mi pareva d’essere all’inferno; un po’ per il gran male che avevo nell’ossa (mi sentivo strappare i nervi, e mugghiavo come una bestia; dice che consumassi i lenzuoli dal gran rivoltarmi), un po’ a ritrovarmi tutti quei figliuoli lì d’intorno a piangere, a chiedere il pane e non avere da sdigiunarli. Anche ad avere il cuore di tigre bisognava sentirsi schiantare, e se non era il fattore facevo qualche pazzia. Che mi fa celia? Quattro mesi lì, inchiodato in un fondo di letto, senza sapere a chi mi raccomandare! Un giorno, due, tre, la si può rimediare, ma quattro mesi son troppo lunghi: verrebbe a noia anche a contare i giorni. E poi per maggior consolazione, il medico vedeva il caso brutto: ogni volta che ci veniva tentennava li capo, e diceva che, se guarivo, facevo un bel fare. Già anche loro, se l’azzeccano, l’azzeccano, e le più volte non ci dànno. Allora ero uno dei lavoranti della fattoria. La mia donna fece un cor risoluto, andò dal fattore, e gli disse:
— Quell’uomo è lì in quel letto, siamo alla disperazione; per l’amor di Dio, ce lo dia un sacco di grano da fare il pane! Se il mi’ Paolo guarisce, glielo sconterà in tante opere, e se non guarisce...... sarà quel che Dio vorrà! Il fattore ce lo dette il grano; e l’ho tenuto sempre a mente, perchè se non era lui si moriva tutti di fame. Eran tutti buoni a dire: Poverino qui, poverino là, ma nessuno ci dava nulla: Già i più non l’avevano per sè! A poco a poco mi ritornò un po’ di fiato, come Dio volle, ma stetti tanto tempo a strascicarmi carponi come una bestia! Mi strascicavo dal letto fino all’uscio, e lì mi mettevo a sedere a goder un po’ di sole, ma le più volte mi toccava a farmi riportare in casa, perchè non mi reggevo punto punto.
— E dove stavate allora?
— Dove si sta ora; a momenti la vedrà la nostra casa; passata questa selvettina di castagni ci siamo.
La casa era molto grande, scura, senza intonacare, fatta quasi tutta di mattoni, colle finestre piccole a sesto tondo, le più senza imposte.
— Non è un bel palazzo questo? — esclamò ridendo Paolaccio: — eppure chi lo direbbe? Ai tempi antichi c’era per fino il tribunale. Venga, venga: la passa in casa di poveri, gli è vero, non sono stanze come le sue, vino ce n’è poco, ma un bicchiere, diavolo, che non si debba trovare! Badi, alzi i piedi!
L’ingresso era vastissimo e scuro, l’impiantito di lastre e di ciottoli. A destra addossato alla parete uno strettoio in tocchi; per la stanza due tinelli, una botte sfasciata; una barca di paglia e di fieno ed una grande quantità di legna minute sparpagliate, fra le quali razzolava una chioccia con una ventina di pulcini intorno, che pigolavano in modo da assordire.
— Questa era l’entratura: qui c’era la scala antica con una colonnina giù da principio, tutta lavorata come ad intaglio, e con una palla sopra; di qua, dove ora ci teniamo le pecore, una sala; qui — facendomi entrare in un’altra stanza per una buca grandissima aperta nella parete, dov’era prima una porta, come si vedeva dall’arco di mattoni rimasto, — c’era la sala dell’udienza, perchè allora il C.... faceva comune, e ci stava il potestà, e da questa porticina si andava nelle prigioni.
Guardavo Paolaccio, ammiravo il suo parlare colorito ed il suo vivo modo di porgere, il talento naturale, col quale descriveva tutte quelle cose come se le avesse vedute, le persone come se le avesse tutte conosciute. Io non vedeva che muri stonacati, soffitti neri, stanze spiantite, sudicio e buio da per lutto.
— Le prigioni erano qui — seguitò Paolaccio, tirando il grosso chiavistello rugginoso, e col piede mandando in là l’uscio.
Non c’era niente. La porta dava adito in un fosso piuttosto profondo dietro casa.
— Lo stanzino, che era su queste mensole, veda, è caduto, saranno tre o quattro anni; si affacci, guardi: si vede sempre dove i muri erano attaccati. Lo ritrovarono a tempo del mio nonno; l’uscio l’avevano murato chi sa quando; un giorno il muratore picchiettando colla martella sentì che c’era vuoto; buttò giù un mattone e vide lo stanzino: nessuno fino allora ci aveva badato. Dentro ci trovarono della paglia marcita e le ossa di quattro persone, secondo me, morte lì murate. Chi lo sa quel che facevano a que’ tempi! Per le cantine ci trovarono un monte di ferracci, delle campanelle, dei pezzi di catena.... I ferri li hanno levati, ma la notte, ogni tanto, benchè non ci sian più, si sentono smovere medesimamente. Il mio povero babbo, buon’anima, sull’ultimo non ci andava mica più, solo, ad attingere il vino.
— Perchè?
— Perchè spesso spesso gli davano una tiratina alla giubba. E lui da prima si credeva che fossimo noi ragazzi, e diceva:
«La volete finire?.... Badate, se qualche volta vi piglio, vi voglio batter nel muro!»
— Eh! chi tirava la giubba non si faceva pigliar davvero!
— Che si sente anche qui?... In che maniera?
— Che vuol’ella sapere? Si sente per permission di Dio.... Chi sa?... Una volta nello scavare accosto alla cantina (questo è successo a tempo mio), si trovò un altro stanzino, fatto a volta reale: ora è bell’e ripieno: al muro c’erano certe campanelle,... in terra tutte ossa mezzo disfatte ed imporrate dall’acqua, ch'era tutta grassa, come sugnosa; chi lo sa? V’è da sapere quanti ce ne saranno morti! E tutte, certo, non saranno state persone per bene! Gli è vero che a quei tempi i più li condannavano ingiustamente, e che a levare uno dal mondo ci pensavan meno che a sputare in terra. C’è chi dice che siano anime confinate, che non possono uscir di lì; male non ne fanno a nessuno: non c'è altro che non lascian dormire. Possono anche essere anime che forse hanno bisogno di bene: sono cose che non si spiegano. In certi posti hanno detto delle messe, e non ci hanno sentito più. Ma qui ci hanno sentito sempre, anche su. Mi rammento che quando ero piccino tante volte si sentiva scendere come uno in ciantelle. La mia mamma, che lavorava di sarta, e che stava tutta la sera a cucire, specialmente d’inverno in quelle nottate lunghe, poiché aveva di molto lavoro, quando sentiva quel rumore, si rizzava, prendeva il lume e ci diceva:
«Ragazzi via, a letto!»
— Faceva per non farci prendere una paura. Allora non ci ponevo mente: quando siamo ragazzi non si considerano le cose; me ne avvidi dopo, quando principiai ad essere grandicello. La sera, per esempio, tante volte a salir le scale al buio, si vedeva nel muro un lumicino piccino piccino, e non chiaro; pareva dimolto lontano, una specie di questi bruchi, che stanno nelle macchie, e fanno lume come le lucciole. Smurarono lì dove si vedeva il lume e credevano che ci doveva essere il tesoro. Il pentolo lo trovarono, ma invece di quattrini indovini un po' di quel che era pieno? Di spilli. Si vede che c'era stato avanti uno più furbo. Dopo levato il pentolo il lume non si vide più.
Intanto all’uscio della scala si erano affacciati due o tre ragazzi in zucca, chi coi calzoni soli, chi colla camicia strappata, chi colla giubba in brandelli e colle toppe di tre o quattro colori.
— In casa, musi sudici!.... Si vuol accomodare?.... Passi.... case da poveri....
— Grazie.
— Senza complimenti un bicchier di vino dopo questa salita non farà male: tanto per degnare!
— Grazie, piuttosto seguitiamo; altrimenti facciamo troppo tardi, e poi mi pare che il tempo minacci....
— Per piovere, non piove certo, almeno per ora; deve dire piuttosto che se badiamo a trattenerci troppo qui, la lepre non si ammazza davvero.... Bozzolino! Via tu mangerai poi! ancora tu l’hai da guadagnare!
Uscimmo fuori.
— Sarà meglio pigliar di qua. In questi greppi a solatìo non è difficile di vederla a covo; intanto passo passo si va su verso il C.... Giusto che lei è tanto amante delle cose antiche, vedrà dove era la chiesa una volta.
Dicendo così andava avanti avanti; ad ogni passo batteva colla lunga canna del fucile su tutti i cespugli e su tutte le scope, che gli rimanevano vicine. Bozzolino appariva e spariva ad ogni momento; e Paolaccio diceva:
— O più su o più giù tu ci dovresti essere.
Ad un tratto Bozzoline mise un ghiatto; Paolaccio si fermò di botto e sparò quasi ai suoi piedi. La lepre era morta.
— Bravo!
— Lo dicevo io, che era poco lontano? Ce l’avrò ammazzata cento volte giù di qui. L’altro giorno ne ammazzai una proprio sotto le mura del C.... in un di quei cespugli, guardi; di qui si vede.
Eravamo a pochi passi dalla vetta del monte. Nel tempo che Paolaccio ricaricava il fucile e seguitava a frugare per le macchie, io salii sulla vetta. C’era una specie di piattaforma, molto grande, e per tutto mucchi di sassi, grosse pietre sbozzate, pezzi di cantonate e di larghi muri, che si alzavano poco da terra, framezzati da macchie di pruni e quasi coperti dall’erba. Nel mezzo a tutti quegli avanzi c’erano tre muri, più alti qualche metro degli altri.
— Questa era la chiesa antica, — disse Paolaccio: — veda, si conosce ancora la pittura.
Infatti c'era tuttavia qualche avanzo di colore sull’intonaco aderente a qualche sasso.
— Io mi rammento di quando ci fecero l’ ultima festa. Poi principiarono a farla a Q..... giù alla prioria, e la chiesa a poco per volta la disfecero. Il vecchio G..... portò via la mensa dell’altare. Un certo Piero prese un pezzo di soglia, e la mise alla stalla dei manzi. Dopo che vi ebbe messo quella soglia, le bestie non gli volevano star più ferme, e non si sapeva raccappezzare. Ogni volta che apriva l’uscio, salti e mugghi da far paura; la notte ci pareva l'inferno, ed ogni momento bisognava che fossero nella stalla; un vitellino lo trovarono strozzato; era sciolto, e al collo non aveva nè corda nè nulla. Non sentirono altro che un gran puzzo di serpi; guarda, guarda, ne trovarono una nidiata alla mangiatoia, proprio al capo della bestia; saranno state venti; tutte una matassa: ammazzate quelle, ce ne trovarono delle altre; levata la soglia, le serpi non le videro più, e le bestie stettero buone. Anche gli altri del vicinato fecero a chi più ruba, quando la disfecero la Chiesa; chi prese una cosa, chi un’altra, ma al pulito non la cavò nessuno: chi ammalò, chi morì, chi non ebbe più bene, chi andò sperso.
— E qui chi ci stava? Che cosa raccontano?
— Qui c’era un castello grande, con di molta gente; c’era una campana che avrà avuto mill’anni, e si sentiva da M..... Le mura erano dove ora è quel balzo. Lì era la porta; e la strada per venir quassù girava intorno intorno come a chiocciola. In dei punti si conosce ancora il massicciato, perchè nei tempi antichi tutte le strade della montagna erano così alla mulattiera. Dice che al tempo d’una guerra fu disfatto ogni cosa. Lo spesero bene il loro tempo quelli che murarono, a portar quassù tutti questi sassi!... E poi un po’ per volta l’hanno finito di buttar giù a forza di frugare per cercar il tesoro: queste son le puntate del palo di ferro per disfare il muro; guardi, oh! Come muravan sodo a quei tempi! Gigi dal Ponte raccontava d’aver sentito dire a’ suoi vecchi che sotto la torre della porta ci trovarono una stanza con tre campane, e che ci doveva essere un’altra stanza sotto terra con una chioccia d’oro con dodici pulcini. Alle volte la notte li hanno sentiti pigolare: e tutti a cercar questa chioccia. Io non dirò che ora ci sia più nulla, ma qualcosa ci devono aver trovato..... Per esempio, c’era un certo G.... che stava, guardi, a quella Casina che si vede laggiù, quella che fuma; era povero, rifinito anche più di me, tutto dire, e pativa la fame più d’un lupo. Ad un tratto andò via di lì, si rivestì tutto, comprò un monte di grano, tornò nelle montagne di sotto, ci comprò un podere, ed ora se la ripassa da signore. Vogliono dire che ci trovasse un massello d’oro. Non sarà vero, lo ridico, ma da nulla non vien nulla. Di questa chioccia domandi e intenda, è sparso per tutto. Anche un forestiero, che passò una volta di questi posti, e che aveva con sè certi libracci antichi, disse che aveva trovato scritto che qui, nella torre del C.... ci doveva essere il tesoro. E se le dicessi che mi ci sono messo anch’io a cercarlo, d’inverno, quando non avevo lavoro, tanto per riscaldarmi! Avanti di aver buttato all’aria un sasso mi ci voleva una giornata; ma sì.... non ho fatto altro che patir del freddo e pigliare il vento, che quassù ci sta di casa. E poi anche se c’è qualcosa, chi lo sa precisamente il posto?.... Tempo indietro si era fatta una società, in quattro; io ci venni, ma gli altri ci apparirono due o tre mattine, e poi non si videro più. Il priore di.... cerca sempre di qualcuno per accordarsi a fare scavare, ma non ha mai concluso nulla. E poi ce ne vorrebbe una delle opere a rismuovere tutti questi sassi! Oh! Giacchè siamo qui, voglio dare una frugata per queste macchie; lei passi di sopra, io passerò di sotto: ci potrebbe anche essere la compagna; alle volte vanno a coppia come le monache!....
Dopo qualche momento, un quarto d’ora forse, sentii una fucilata, e vidi in mezzo al fumo Paolaccio, che alzando il braccio mi mostrava una seconda lepre dicendo:
— Il paio!
— Ma bravo davvero!
— Ho visto Bozzolino frugacchiare e dimenare quel pezzetto di coda, che gli è rimasta. Ho detto subito fra me: Tu devi esser poco lontana. Difatti dopo due o tre passi l’ho vista in una ginestra, in uno di que’ balzi: e come se ne stava con quegli orecchioni schiacciati! Quando ho visto che principiava a gonfiare, io, serra!.... Gli ho tirato un po’ troppo da vicino; non c’era da stare a pensarla; l’ho un po’ sciupata, ci vorrà pazienza.... ma ora due, a portarle, danno un po’ troppa noia. Aspetti....
E dette un fischio formidabile.
— Ho chiamato la mia Gioconda... Senta!... ha bell’e risposto.
— Non ho sentito nulla.
— Eppure ha risposto. Le mando per lei in casa; intanto ci possiamo avviare verso la chiesa; quando arriva, si vede anche di lì.
La chiesa era piccola, bassa, imbiancata di fresco e colla porta gialla.
— Questa è la nostra cura; che chiesina piccola eh? Proporzionata al popolo; quassù le case son rade e la gente si conta sulle dita. Il prete s’affatica poco. Vero è che se lo chiamano per qualche ammalato, bisogna che dimeni la gamba bene e non male, perchè la casa più vicina è la mia: se vedesse, ce ne sono certe di là dalla montagna, che per andarci ci vuole una mezza giornata.
— O come mai c’è quello schianto tanto largo nella muraglia lassù vicino al tetto? Eppure mi pare che la chiesa sia restaurata di poco.
— Ora glie lo dico, ma non ci tratteniamo qui fermi a questo vento; c'è da pigliare una bell’imbeccata. Torniamo in là intanto che si aspetta la mia Gioconda.II.
— Pietro G.... era un possidentuccio, come sono quasi tutti quelli di queste parti, che aveva la casa poco sotto la prioria, lí dove si vede quel tetto uscir fuori dei castagni. Era un pezzo di giovanottaccio, di pelo rosso e col viso tutto bucherato dal vaiolo, un tartaglione sgloriato, senza garbo nè creanza, che aveva degli estri piuttosto matteschi: ma non era matto altro che quando gli faceva comodo; gli è che aveva il birbone addosso. Tutti l’avevano a noia: le donne poi non lo potevan soffrire; e quando lo vedevano da lontano, fuggivano via sperse. Questo Pietro si era piccato di voler andare a veglia di riffa in casa del contadino del priore, dove sapeva che non ce lo volevano; si trovò d’accordo con altri due giovanottacci pari suoi, e combinarono d’andarci insieme.
— M’ero dimenticato di dire che in questa casa c’erano tre ragazze accreditate e belloccie, le meglio del popolo. Per le prime sere lasciaron correre e non dissero niente per prudenza, ma vedendo che Pietro, oltre ad andare a veglia senza esserci chiamato, si azzardava anche a far qualche discorso, che non ci stava, ad una di quelle ragazze, principiarono tutte e tre d’accordo a fargli delle sgarbatezze, a voltargli le spalle, a non gli rispondere, o appena appena sì e no, e basta. Anche il capoccia fece qualche discorso in aria così per vedere se gli riusciva sviarli tutti e tre; ma non c’è peggior sordo di quello che non vuole intendere. A brutto muso non volle dir mai nulla, un po’ perchè questo capoccia era dimolto pauroso, e piuttosto che ritrovarsi a una questione avrebbe dato un occhio, un po’ perchè a giocare a carte scoperte con quei capacci c’era da ritrovarsi a qualche brutto tiro.
— Una sera quelle ragazze dissero al babbo:
«Sapete, babbo, questa storia ci principia a venire a noia; ogni bel giuoco dura poco: ce lo fate il piacere di dirglielo voi a Pietro che la sera non s’incomodi più a venire a veglia?»
«E quando s’è detto a Pietro? In ogni caso bisognerebbe dirlo a tutti e tre.»
«A buon intenditore poche parole; detto che l’avete a lui, intendono anche gli altri, non dubitate.»
— Il capoccia promise di dirglielo. Passa una sera, ne passano due, e Pietro seguitava come se nulla fosse. Batteva l’un’ora, ed entrava in casa; pareva il padrone lui. Le figliole domandavano al babbo:
«O non glielo avete detto ancora?»
— Ma, o non aveva avuto tempo, o non lo aveva veduto; insomma c’era stato sempre qualche intoppo. E Pietro intanto sotto sotto se la rideva.
— Le ragazze principiarono a stizzirsi e la maggiore, che era la più risoluta, una sera disse al capoccia:
«Sentite, babbo, dobbiamo far pochi discorsi; o quelli astori non vengon più a veglia, o si va a letto quando i polli.»
«Ma....»
«C’è poco da dir ma: il perchè ve l’ho detto prima d’ora. Se sapeste le proposizioni che ci fanno que’ tre ignoranti, allora forse forse....»
«Stasera, stasera....»
«Sì, sì, siamo sempre alle solite!»
— Quella sera Pietro fu anche più sfacciato. La sera dopo, appena sentirono picchiare, le ragazze, che si erano bell’intese fra loro, non stettero a far discorsi, presero il lume, se ne andarono in camera, e si chiusero dentro.
«O dove diavolo sono entrate queste ragazze stasera? — domandò Pietro al capoccia e alla massaia. — In che maniera non si fanno vedere?»
— E sentendole passeggiare in camera e ridere fra di loro, nel l’andar via si accostò all’uscio e disse ridendo anche lui.
«Ci si vedrà domani sera, eh? Assuntina?»
«Chi lo sa? Di qui a domani sera ci è tanto tempo!... — rispose forte l’Assunta: poi alle sorelle:
«Sentite, a quel che vedo, babbo non cava le mani di nulla, e se aspettiamo che lo mandi via lui stiamo fresche! C’è anche quest’altr’anno! Ora, ora....»
— E rientrarono in cucina; lì nacque un litigio, il capoccia si stizzì, le figliole più di lui, e il giorno dopo non si parlarono nemmeno a desinare. L’Assunta andò con le sue sorelle a far le legna, e quando fu nel bosco disse:
«Qui bisogna far un cor risoluto e trovarci tutte e tre d’accordo, come si fissò ier sera, per levarci di torno questi cosi.»
«Come?»
«Lasciate fare a me; vedrete che fra due o tre sere non ci torna più nessuno. Sta a vedere che fra poco non saremo più padroni di non voler uno in casa nostra! O sentite, domattina lo dico a Santi.»
«E quando c’è venuto Santi, che si fa? E poi sei tu sicura che ci venga?... Dacchè vide che tu non gli davi retta non si è più visto.»
«Non ci devi pensare.... non lo puoi sapere.... basta che domani sera ci sia lui....»
«E chi?...»
«Lasciami finire; lui e altri due, fegati come lui. Vedrete che quando Pietro troverà il posto preso, capirà l’antifona alla prima.»
— Detto fatto. Batte l’un’ora ed eccoti Pietro con gli altri due; entrano in cucina e ci trovano nel canto del fuoco Santi e i suoi compagni: rimasero male, sfido io; la cosa era chiara come l’acqua. Si avvidero subito che era un combinato. In casa d’altri a quel modo, c’era da far poco alto là: presero le seggiole, si misero a sedere li in conversazione, come se nulla fosse stato, a dire delle grullerie ed a ridere; ma non era riso di quello buono. Pietro era diventato verde dalla bile. Arrivata l’ora, si alzò e andò via coi compagni; ma avanti dette un’occhiata tòrta a Santi e gli disse:
«A buon rivederci; chi la fa l’aspetti.»
— Per tre o quattro sere non si vide nessuno, e pareva affar finito. Il capoccia per altro badava a dire:
«Ora c’è da aspettarsi qualche vendetta; quello non è uomo da lasciarsele fare.»
«Quanta paura avete voi, — gli rispondeva l’Assunta; — a buon conto ancora non c’è tornato.»
— Una sera era un tempaccio indiavolato, pioveva a ciel rotto, il vento mugghiava fra i castagni, e pareva volesse sbarbare la casa da’ fondamenti. Erano tutti li intorno al fuoco a far le bruciate, discorrendo del più e del meno; l’Assunta diceva:
«Non abbiate paura, non ci si vede più. Non vi sarebbe altro che venisse stasera!»
«Tira troppo vento!»
— In questo mentre abbaiò il cane.
«Volete scommettere che è lui? — esclamò il capoccia.
— Era Pietro davvero! C’è da figurarsi come rimasero tutti. E il bello fu che se lo videro apparire in cucina senza che nessuno fosse andato ad aprire. Era solo; appena fu entrato in casa, l’Assunta tutta impaurita disse a Santi:
«E ora?»
«Stai buona, lascia fare a me — rispose Santi.
— Andò incontro a Pietro, e lo prese per un braccio:
«Pietro, fatemi il piacere, venite qua, ho bisogno di parlarvi una parola.»
«Due — rispose Pietro come in aria di canzonatura.
Andarono in un canto, e Santi, che era un fegataccio, gli disse sul muso: — «Senti, non c’è bisogno di stare a fare tanti discorsi; da ora in là dovresti aver capito che qui non è più aria per te; l’è anche un po’ d’ignoranza di volere andare e star di riffa nelle case dove non ti ci vogliono; sarebbe tempo di farla finita.»
«Come c’entri tu?»
«C’entro per l’appunto, e se nessuno non ti ha insegnato a star nel mondo, te l’insegno io.»
Costì principiarono a riscaldarsi: si sa, una parola tira l’altra. Santi gli andò col dito nel muso, e Pietro si frugò in tasca, ma visto che Santi aveva preso il matterello della polenda e uno di quegli altri s’era rizzato con un pezzo di querciolo in mano, scese la scala dicendo:
«Vigliacconi! che belle prodezze!... venite fuori, se avete coraggio.»
«Aspettami, ora piove troppo!»
«Gli è che tu ha’ paura!... Già, tu potresti infreddare, si sta meglio al caldo. »
— E così di seguito. Santi tornava verso il fuoco, quando sentì delle parole ardite per sè e per l’Assunta, colla quale ci aveva caldo per davvero: perse il lume degli occhi, e si slanciò a capo basso giù per la scala col mattero in mano.
«Vieni qui! non ti compromettere!...»
— Ma era bell’e uscito.
«Madonna mia! ora s’ammazzano, — urlò l’Assunta correndo alla finestra. — Babbo! Beppe! per l’amor di Dio! andate voi — Santi! Santi!...»
— Ma dalla finestra non si vedeva nulla; non si sentiva che l’acqua scrosciare. Il vento spense il lume.
«Andate qualcuno!... avete visto, cercava il coltello!...»
— Con quel buio e con quell’acqua era un brutto vedere e un brutto cercare; nonostante Beppe, uno di quei giovani, disse:
«Anderò io.»
— Staccò il fucile dalla cappa del cammino, e uscì fuori. Dopo una diecina di minuti rientrò in casa: non aveva visto nulla, non aveva sentito nulla: aveva chiamato, e nessuno aveva risposto. Chi lo sa dove erano andati? Santi era vivo od era morto? Le ragazze piangevano. Si affacciarono di nuovo alla finestra, e chiamarono. Ma non si sentiva che l’acqua venire a rovescio e il vento fischiare fra i castagni. E il capoccia intanto badava a ripetere:
«Lo dicevo io, che doveva andar a finir così!»
«Zitto! hanno picchiato!»
«Non ho sentito! È stato il vento che ha fatto ribatter l’uscio.»
— Picchiarono di nuovo e più forte.
«Lo dicevo io che avevano picchiato!»
«Non aprite! Non aprite! — esclamarono quelle ragazze impaurite. — Domandate chi è! Che non fosse lui.... »
«Aprite! sono io!»
«Chi?»
«Santi.»
— Duravano fatica a riconoscerlo alla voce, tanto l’aveva mutata in pochi momenti: pareva che uscisse di sotto terra. Era tutto fradicio, senza cappello, col viso bianco come un morto; pareva che non avesse da far altro che render l’anima a Dio.
«Che è stato? Che è successo?»
— E tutti in cerchio intorno a lui. E quello non aveva fiato di rispondere. Si provava, diceva due o tre parole, poi la voce gli rimaneva in gola, come se lo strozzassero.
«Un po’ di vino... Bevete.»
«Bevi.»
— Ma non lo poteva buttar giù, e il bicchiere gli tremava nelle mani.
«Ma che cosa è stato?»
«Nulla.... Nulla.... — badava a ripetere.
«Ma come nulla?»
— Quando potè discorrere, raccontò che appena fuori di casa vide al barlume, che usciva dalla cucina, Pietro fuggir per l’aia, e che accecato dalla rabbia gli aveva dato dietro fino al muro del cimitero; che lì era sdrucciolato sulle lastre fradicie e caduto colla faccia avanti, proprio quando gli era addosso e che gli pareva di doverlo troncare con una legnata. Nel mentre che si alzava, l’aveva visto sparire dalla strada e gli era parso, cioè per meglio dire aveva proprio visto lui scolpito, vestito di bianco, saltare come un gatto sul muro del cimitero, e crescere e diventare sempre più alto, sempre più alto.... cogli occhi rossi come il fuoco.... si era sentito levare il bastone di mano e nel tempo stesso dare una legnata sulla testa da sbalordir un bue.... si era voltato per tornare verso casa, e quell’ombra bianca lo aveva rincorso sempre ridendo... come il riso di un pazzo....
— A sentir quella storia nessuno ebbe coraggio di rimettere il naso fuor dell’uscio: e Santi e gli altri due stettero a dormire tutti li per quella notte.
— La mattina il fatto si sparse per tutto, e ci fu un gran dicerìo, perchè la cosa non era punto naturale. E Santi, che passava per uno dei ragazzi più coraggiosi di queste parti, da quella sera in poi non si riconosceva: non andò mica a ricercar di Pietro; e lo sfuggì sempre come il diavolo la croce. Quelle ragazze poi non ebbero più bene. Appena lontane cento braccia da casa erano sicure d’ incontrarlo, Pietro; e dice anche.... ma, lasciamo andare. Forse quelle saranno state chiacchiere, e tutte non bisogna crederle.... ci vorrebbe altro... benché... Fatto sta che, appena battevano le ventiquattro, si chiudevano in casa e stangavano l'uscio, e nessuno avrebbe messo il capo fuori neppure a bastonarlo. —
Intanto passo passo eravamo tornati alle rovine del castello.
— Sicché, stia a sentire, questo fu il principio: ora viene il bello. Tante volte Pietro, quando trovava le guardiane sole e lontane dalle case, su per la montagna, le rincorreva finchè avevan fiato; quando le aveva raggiunte, si metteva a farle confondere, e dopo se ne vantava e ci rideva come di una bella prodezza. Se le guardiane poi principiavano a urlare, diceva: « Ora ora vi pagherò io....»
— E ad un tratto queste guardiane perdevano tutte le pecore senza sapere dove fossero entrate; proprio come se le avesse portate via una folata di vento. Cerca, cerca, poi le ritrovavano, ma dopo di molto tempo, abbrancate, in qualche luogo riposto. Dice che bisognava vederle quelle bambinette come si davano a fuggire, quando vedevano Pietro da lontano! Come se avessero visto il lupo. Pietro poi, quando conduceva a pascolare le sue bestie, ed arrivava ad un meriggio, si metteva sdraioni a mangiare e bere, dopo si addormentava e non c’era pericolo che le sue pecore si allontanassero, più di quel tanto, da lui. Gli stavano tutte intorno, come se fossero chiuse in un cerchio. Se Pietro si moveva, si movevano anche loro; se si fermava, si fermavano: invece di parer pecore sembravano tanti cani ammaestrati. Se aveva da alzare un peso grosso, per esempio un sasso, una trave, non chiamava mai nessuno che l’aiutasse; aspettava di non esser visto, e faceva da sè. Come facesse, e chi l’aiutasse lo sapeva solamente lui. Tante volte sapevano che era solo in casa, eppure se ci passavano da vicino, lo sentivano discorrere e contrastare. Stavano attenti per vedere se fosse uscito qualcuno: ma sì, ne avevan voglia di stare ad aspettare! E di tutto questo lavoro nessuno si sapeva raccapezzare. Tutti dicevano che certe cose senz’arte di diavolo non si potevan fare, e che qualcosa ci doveva esser sotto. Qualcosa c’era sicuro!
— Una sera Pietro va per la montagna, e s’imbatte in una guardiana che piangeva; si ferma, si prova a racchettarla, e non ci riesce. Le domanda quel che ha, e dopo tanto dire gli risponde che aveva perso le pecore, che aveva fatto tardi e che non le riusciva di ritrovarle.
«Sta zitta, bambina mia, te le farò ritrovare io.»
«È tanto che ne cerco, e, se torno a casa senza le pecore, il mio babbo mi bastona! A momenti non ci si vede più.»
«Aspetta — le disse Pietro.
— Si voltò un momento in là, e tirò fuori di tasca un libretto, lesse tre o quattro parole e poi....
«Le pecore sono al praticino.»
«Se ci sono stata ora!»
«Tante volte chi più guarda meno vede; ti dico che ci sono.»
— C’erano davvero. A casa domandarono alla bambina in che maniera quella sera aveva fatto tanto tardi. Dapprima non lo voleva dire d’aver perso le pecore, ma poi da ultimo l’ebbe a dire.
« E come hai fatto a ritrovarle? — domandò il capoccia.
«Io piangevo. È arrivato Pietro, e mi ha detto:
« — Non piangere, te le farò ritrovar io.
«Si è voltato in là, ha preso di tasca un libro, l’ha aperto, ha letto tre o quattro parole, e poi mi ha detto che le pecore erano al praticino.
«C'ero stata allora e gli ho risposto che avevo guardato per tutto e che non c’era nulla.
« — Eppure ci sono! — mi ha risposto — tornaci e guarda meglio.»
«Sono andata là e c’erano davvero, tutte un branchettino, ferme ferme e tutte col muso per aria.»
— Se non l’avesse raccontato una bambina in quel modo, nessuno ci avrebbe creduto. Dopo qualche giorno tutti sapevano di questo libretto di Pietro, e naturalmente la cosa andò anche alle orecchie del priore. Un bel giorno s’imbatte in Pietro, e dopo aver discorso del più e del meno gli dice, così senza parere:
«So che tu hai un libro tanto bello: me lo devi far vedere.»
«Io non ho libri.»
«Tu l’hai, tu l’hai, me lo hanno detto.»
«Chi gliel’ha detto ha sbagliato.... e poi secondo lei, che ne dovrei far del libro, se non so leggere? Eppure l’avrebbe a sapere!»
— Il prete, che era un omo fine e che sapeva quale strumento fosse Pietro, vide subito che per quel verso non c’era da levargli nulla di sotto, lasciò andare, e mutò subito discorso. Ma dopo aver parlato un altro poco fece questa domanda:
«L’altro giorno non so chi mi disse che tu cercavi delle assi di castagno; io ce ne ho certe che feci anno di là, e che ora com’ora darei via volentieri anche per poco, perchè a dirla in confidenza, ho la nipote sposa, e son rimasto corto a quattrini. Se le vuoi comprare, fra me e te ci si accomoda.»
«Qualche volta ch’i’ passi di lì, me le farà vedere, — rispose Pietro; — ora è troppo tardi.»
«Vieni quando vuoi, ma non indugiar tanto, perchè te l’ho detta la ragione; se non avessi bisogno di quattrini non le venderei...»
«Ci verrò domani.»
— E ci andò. Mi ero scordato di dire che questo Pietro trafficava in legname di castagno, in assi, in doghe e in fondi da tini e da botti. Il priore lo fece passare in canonica, gli dette mangiare e gli messe davanti un bel fiasco di vino, di quello che arrivava presto. E ogni momento mesci, ogni momento mesci: il bicchiere era sempre colmo; e quello tirava giù, tirava giù come se fosse stata acqua del borro: per farla corta gli fece pigliare una sbornia di quelle proprio solenni. Quando uno è ubriaco, non sa più nè quel che si fa, nè quel che si dice. Basta domandare, per sapere. Pietro sciolse la lingua, non potette star più zitto, raccontò ogni cosa del libro, e ne disse anche di più di quel che voleva sapere il prete. Ma benchè ubriaco, il libro non glielo voleva far vedere.
«Fammelo vedere!»
«E poi non me lo rende!»
«Che vuoi che io ne faccia? Ti dico che te lo rendo.»
«O me lo giuri.»
«Parola di sacerdote.»
— Pietro si frugò la tasca ladra, e tirò fuori il libro. Il prete non stette a dir che c’è, andò al fuoco, dove aveva un tegame di catrame per sigillare un caratello, e fingendo di leggere il libro gl’impeciò tutte le pagine, e glielo rese. Pietro lo rimise in tasca, ma il libro non lo lesse più. Le bestemmie, l’eresie quando poi a casa si avvide del giochetto del prete! Lo lascio considerare a lei!!
— Questo fu uno degli ultimi libri del comando. A tempo antico ce n’erano molti: ora non se ne sente più parlare; si chiamano del comando perchè, appena aperto, si presenta un animale che dice:
«Che comandi?»
— E quel che uno vuole, subito l’ha, cioè quel che uno vuole no, dico male, si può aver tutto fuorchè quattrini. Di quelli non c’è da averne. E questa bestia non la vede e non la sente altro che quello, che ha il libro aperto in mano. Dice che tante volte a Pietro invece della bestia gli si presentava un uomo. E quando lo chiamava, non si faceva aspettare, no! Basta che fosse in un luogo solitario e che nessuno sentisse. Lì si metteva a discorrere con lui, ed ogni tanto gli domandava:
«O che ne fai di codesta croce al collo? Levatela! Buttala via cotesta medaglia!»
— E tante volte gli si accostava adagio adagio e gli diceva:
«Vieni qua ti vo’ fare un segno.»
— Ma Pietro non se lo volle mai far fare il segno, e la medaglia dal collo non ebbe mai core di levarsela. Eh! Se arrivava a toccarlo era bell’e fatta, e di Pietro non se ne sarebbe più discorso: l’avrebbe portato via in corpo e in anima.
— Una volta che Pietro guardava il suo libro impeciato, eccoti senza chiamarlo il solito servitore, e principiò a rimproverarlo, perchè s’era lasciato mettere in mezzo dal prete e fu lì lì per mettergli le mani addosso. Pietro si ritirò, buttò via il libro, e trattò male il diavolo. E lui dette in uno scoscio di risa, disse tre volte una parola, e poi lo prese e lo scaricò in un salcio, proprio nell’inforcatura. Quando fu lassù, Pietro voleva chiamare, ma non poteva, vedeva passar la gente, e non poteva farsi sentire. Non deve essere stata poca disperazione quella! Alla fine, quando proprio non ne poteva più dalla fame, passò di lì per combinazione quella guardiana, alla quale aveva fatto ritrovar le pecore, e lo vide.
«O che fate costassù, Pietro? — gli domandò.
— E quello gesticolava senza rispondere.
«O che fate?»
— E quello seguitava a gesticolare e ad aprir bocca senza dir nulla. La guardiana andò a casa, e principiò a dire:
«Venite via, venite via, s’è preso male a Pietro.»
«Ma dov’è?»
«Là, sul salcio della Gora.»
— Si credeva da principio che la bambina facesse celia: poi ci andarono, e lo videro lassù. Lo chiamavano, gli domandavano se si sentiva male, ma Pietro apriva bocca, stralunava gli occhi, ma non rispondeva.
— Provarono a salir sul salcio per vedere di farlo scendere, ma ci pareva impeciato. Allora dissero:
«Qui non ci si può far nulla. Bisogna chiamare il priore.»
— E lo chiamarono. Il priore venne, gli dette la benedizione coll’acqua benedetta, lo scongiurò. Scongiura, scongiura, Pietro principiò a dire, ma colla voce fioca, che appena s’intendeva:
«Non posso scendere! Non posso scendere!»
— E il prete a scongiurarlo da capo, a ribenedirlo e a ordinargli di scendere. E quello sempre:
«Non posso! Non posso!»
— Senta come disse alla fine il priore:
«A me non basta l’animo di cavarlo di lassù. Provate a chiamar qualcun altro.»
— Chiamarono altri due preti, ma fu lo stesso; e allora dissero:
«Che si pensa di fare? Non si può lasciar quest’uomo lassù: bisogna vedere di levarlo in tutte le maniere.»
— Pensa e ripensa come potevano fare, alla fine si risolverono di legare il salcio, di segarlo e così di tirar Pietro in terra: e così fecero: ma quando poi fu in terra, non potevano staccarlo dal salcio. Il priore andò a casa, prese il libro, la cotta e tutto quel che ci voleva, e fai, fai, a forza d’acqua benedetta gli riuscì a spiccicarlo. Poi bisognava ricondurlo in chiesa per ribenedirlo. Diceva di volerci andare, arrivava fino all’uscio, ma non poteva passare; si sarà provato cento volte. Alla fine il priore gli posò la stola sulla spalla e con quella lo tirò in chiesa e lo ribenedisse. Questo successe, quando raccomodavano la chiesa, e il priore fece murare il libro nel muro di fianco, proprio all’uscio di sagrestia. Dacchè ci fu murato il libro, la cantonata non è più voluta star ferma; più la ristuccano, e più lo spacco riapparisce. Lo volevano levare il libro, ma il priore non ha mai voluto. Eccole detto perchè lì c’è quello spacco.
— E Pietro?
— Pietro anche dopo la benedizione rimase come prima.
— E che cosa ne è stato?
— Eh! Ora è al suo posto. È andato a vedere dove li stampano quei libri! Sarà la bellezza di vent’anni che è morto: senza prete nè nulla.
Io guardavo Paolaccio, ritto su quelle macìe, col suo lungo fucile in ispalla.