Il bugiardo/Atto III
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Atto II | Appendice | ► |
ATTO TERZO.
SCENA PRIMA.
Strada.
Florindo di casa, Brighella l’incontra.
Brighella. Sior Fiorindo, giusto de ela andava in traccia.
Florindo. Di me! Cosa vuoi, il mio caro Brighella?
Brighella. Hala parlà? S’hala dichiarà colla siora Rosaura?
Florindo. Non ancora. Dopo il sonetto, non l’ho più veduta.
Brighella. Ho paura che nol sia più a tempo.
Florindo. Oh dio! Perchè?
Brighella. Perchè un certo impostor, busiaro e cabalon, l’è drio per levarghe la polpettina dal tondo1.
Florindo. Narrami: chi è costui? È forse il marchese di Castel d’Oro?
Brighella. Giusto quello. Ho trova el so servitor, che l’è un mio patrioto, e siccome l’è alquanto gnochetto, el me ha contà tutto.2 La sappia che costù s’ha finto con siora Rosaura autor della serenada, autor del sonetto, el gh’ha piantà centomille filastrocche, una pezo dell’altra. V. S. spende, e lu gode. V. S. sospira, e lu ride. V. S. tase, e lu parla. Lu goderà la macchina, e V. S. resterà a muso seccoa.
Florindo. Oh Brighella, tu mi narri delle gran cose!
Brighella. Qua bisogna resolver. O parlar subito, o perder ogni speranza.
Florindo. Parlerei volentieri, ma non ho coraggio di farlo.
Brighella. Ch’el parla con so padre.
Florindo. Mi dà soggezione.
Brighella. Ch’el trova qualche amigo.
Florindo. Non so di chi fidarmi.
Brighella. Parleria mi, ma a un servitor da livrea no convien sta sorte d’uffizi.
Florindo. Consigliami: che cosa ho da fare?
Brighella. Andemo in casa, e studieremo la maniera più facile e più adattada.
Florindo. Se perdo Rosaura, son disperato.
Brighella. Per no perderla, bisogna remediar subito.
Florindo. Sì, non perdiamo tempo. Caro Brighella, quanto ti sono obbligato! Se sposo Rosaura, riconoscerò dal tuo amore la mia maggiore felicità. (entra in casa
Brighella. Chi sa se po dopo el se recorderà più de mi? Ma pazienza, ghe vôi ben, e lo fazzo de cuor. (entra
SCENA II.
Pantalone con lettera in mano.
Mi, mi in persona, voggio andar a metter sta lettera alla posta de Napoli; no voggio ch’el servitor se la desmentega; no vôi mancar al mio debito col sior3 Policarpio. Ma gran matto, gran desgrazià che xe quel mio fio! El xe maridà, e el va a far l’amor, el va a metter susob la fia del Dottor! Questo vol dir averlo manda a Napoli. S’el fusse sta arlevà sotto i mii occhi, nol sarave cussì. Basta, siben che l’è grando e grosso, e maridà, el saverò castigar. El Dottor gh’ha rason, e bisogna che cerca de farghe dar qualche sodisfazion. Furbazzo!4 Marchese di Castel d’Oro, serenade, cene, lavarse la bocca contra la reputazion d’una casa! L’averà da far con mi. Voi destrigarme a portar sta lettera, e po col sior fio la discorreremo.
SCENA III.
Un Portalettere e detto.
Portaletterec. Sior Pantalon, una lettera. Trenta soldi.
Pantalone. Da dove?
Portalettere. La vien dalla posta de Roma.
Pantalone. La sarà da Napoli. Tolè trenta soldi. La xe molto grossa!
Portalettere. La me favorissa. Un tal sior Lelio Bisognosi chi xelo?
Pantalone. Mio fio.
Portalettere. Da quando in qua?
Pantalone. El xe vegnù da Napoli.
Portalettere. Gh’ho una lettera anca per elo.
Pantalone. Demela a mi, che son so pare.
Portalettere. La toga. Sette soldi.
Pantalone. Tiolè, sette soldi.
Portalettere. Strissima.5 (parte
SCENA IV6.
Pantalone solo.
Chi mai7 xe quello che scrive? Cossa mai ghe xe drento? Sto carattere mi no me par de cognosserlo. El sigillo gnanca. L’averzirò, e saverò. Solito vizio. Voler indivinar chi scrive, avanti de averzer la lettera. Signor mio riveritissimo. Chi elo questo che scrive? Masaniello Capezzali. Napoli, 24 Aprile 1750. No so chi el sia; sentimo. Avendo scritto due lettere per costì al signor Lelio di Lei figliuolo, e non avendo avuto risposta... Mio fio s’ha fermà a Roma, ste do lettere le sarà alla posta. Risolvo a scrivere la presente a V. S. mio signore, temendo ch’egli o non sia arrivato, o sia indisposto. Il signor Lelio, due giorni prima di partir da Napoli, ha raccomandato a me, suo buon amico, di fargli avere le fedi del suo stato libero, per potersi ammogliare in altre parti, occorrendo... Oh bella! S’el giera maridà! Niuno poteva servirlo meglio di me, mentre sino all’ultime ore della sua partenza sono stato quasi sempre al suo fianco, per legge di buona amicizia... Questo doveria saver8 tutto, anca del matrimonio. Onde unitamente al nostro comune amico Nicoluccio, abbiamo ottenute le fedi del suo stato libero, le quali acciò non si smarriscano, mando incluse a V. S., autentiche e legalizzate... Com’ela? Coss’è sto negozio? Le fede del stato libero? No l’è maridà? O le fede xe false, o el matrimonio xe un’invenzion. Andemo avanti. È un prodigio che il signor Lelio torni alla patria libero e non legato, dopo gl’infiniti pericoli ne’ quali si è ritrovato per il suo buon cuore; ma posso darmi io il vanto d’averlo per buona amicizia sottratto da mille scogli: ond’egli è partito da Napoli libero e sciolto, lo che renderà non poca consolazione a V. S., potendo procurargli costi un accasamento comodo e di suo piacere; e protestandomi sono. Cossa sentio? Lelio no xe maridà? Queste xe le fede del stato libero. (le spiega) Sì ben, fede autentiche e recognossue. False no le pol esser. Sto galantomo che scrive, per cossa s’averavelo da inventar una falsità? No pol esser, no ghe vedo rason. Ma perchè Lelio contarme sta filastrocca? No so in che modo la sia9. Sentimo se da sta lettera, diretta a èlo, se pol rilevar qualcossa. (vuole aprire la lettera
SCENA V10.
Lelio e detto.
Lelio. Signor padre, di voi appunto cercava.
Pantalone. Sior fio, vegnì giusto a tempo. Diseme, cognosseu11 a Napoli un certo sior Masaniello Capezzali?
Lelio. L’ho conosciuto benissimo. (Costui sa tutte le mie bizzarrie, non vorrei che mio padre gli scrivesse). (da sè
Pantalone. Elo un uomo de garbo? Un omo schietto e sincero?
Lelio. Era tale, ma ora non è più.
Pantalone. No? Mo perchè?
Lelio. Perchè il poverino è morto.
Pantalone. Da quando in qua xelo morto?
Lelio. Prima ch’io partissi da Napoli.
Pantalone. No xe tre mesi che sè partio da Napoli.
Lelio. Per l’appunto.
Pantalone. Ve voggio dar una consolazion; el vostro caro amigo sior Masaniello xe resussità.
Lelio. Eh! Barzellette!12
Pantalone. Vardè, questo xelo el so carattere?
Lelio. Oibò, non è suo carattere. Pur troppo è suo; che diavolo scrive?) (da sè
Pantalone. Seu seguro che noi sia el so carattere?
Lelio. Son sicurissimo... E poi, se è morto.
Pantalone. (O che ste fede xe false, o che mio fio xe el prencipe dei busiari. Ghe vol politica per scoverzer la verità). (da sè
Lelio. (Sarei curioso di sapere, che cosa contien quella lettera). (da sè Signor padre, lasciatemi osservar13 meglio, s’io conosco quel carattere.
Pantalone. Sior Masaniello no xelo morto?
Lelio. È morto senz’altro.
Pantalone. Co l’è morto, la xe fenia. Lassemo sto tomo da parte, e vegnimo a un altro. Cossa aveu fatto al dottor Balanzoni?
Lelio. A lui niente.
Pantalone. A lu gnente; ma a so fia?
Lelio. Ella ha fatto qualche cosa a me.
Pantalone. Ela a ti? Cosa diavolo te porla aver fatto?
Lelio. M’ha incantato, mi ha acciecato. Dubito che mi abbia stregato.
Pantalone. Contime mo, com’èla stada?
Lelio. Ieri, verso sera, andava per i fatti miei. Ella mi vide dalla finestra; bisogna dire che l’abbia innamorata quel certo non so che del mio viso, che innamora tutte le donne, e mi ha salutato con un sospiro. Io, che quando sento sospirar una femmina, casco morto, mi son fermato a guardarla. Figuratevi! I miei occhi si sono incontrati nei suoi. Io credo che in quei due occhi abbia due diavoli, mi ha rovinato subito, e non vi è stato rimedio.
Pantalone. Ti xe molto facile a andar zo col brenton14. Dimme, gh’astu fatto una serenada?
Lelio. Oh pensate! Passò accidentalmente una serenata. Io mi trovai a sentirla. La ragazza ha creduto che l’avessi fatta far io, ed io ho lasciato correre.
Pantalone. E ti t’ha inventà d’esser stà in casa dopo la serenata?
Lelio. Io non dico bugie. In casa ci sono stato.
Pantalone. E ti ha cenà con ela?
Lelio. Per dirvi la verità, sì signore, ho cenato con lei.
Pantalone. E no ti gh’ha riguardo a torte ste confidenze con una putta?
Lelio. Ella mi ha invitato, ed io sono andato.
Pantalone. Te par che un omo maridà abbia da far de ste cosse?
Lelio. È vero, ho fatto male: non lo farò più.
Pantalone. Maridà ti xe certo.
Lelio. Quando non fosse morta mia moglie.
Pantalone. Perchè hala da esser morta?
Lelio. Può morire di parto.
Pantalone. Se la xe in sie mesi.
Lelio. Può abortire.
Pantalone. Dimme un poco. Sastu chi sia quella siora Rosaura, colla qual ti ha parlà e ti xe stà in casa?
Lelio. È la figlia del dottor Balanzoni.
Pantalone. Benissimo: e la xe quella che stamattina t’aveva proposto de darte per muggier.
Lelio. Quella?
Pantalone. Sì, quella.
Lelio. M’avete detto la figlia d’un Bolognese.
Pantalone. Ben, el dottor Balanzoni xe bolognese.
Lelio. (Oh diavolo, ch’ho io fatto!) (da sè
Pantalone. Cossa distu? Se ti geri libero, l’averessistu tiolta volentiera?
Lelio. Volentierissima, con tutto il cuore. Deh, signor padre, non la licenziate; non abbandonate il trattato, pacificate il signor Dottore, teniamo in buona fede15 la figlia. Non posso vivere senza di lei.
Pantalone. Ma se ti xe maridà.
Lelio. Può essere che mia moglie sia morta.
Pantalone. Queste le xe speranze da matti. Abbi giudizio, tendi a far i fatti tói. Lassa star le putte. Siora Rosaura xè licenziada, e per dar una sodisfazion al Dottor, te tornerò a mandar a Napoli.
Lelio. No, per amor del cielo.
Pantalone. No ti va volentiera a veder to muggier?16
Lelio. Ah, voi mi volete veder morire!
Pantalone. Per cossa?
Lelio. Morirò, se mi private17 della signora Rosaura.
Pantalone. Ma quante muggier voressistu18 tior? Sette, co fa i Turchi?
Lelio. Una sola mi basta.
Pantalone. Ben, ti gh’ha siora Briseide.
Lelio. Oimè... Briseide...
Pantalone. Cossa gh’è?
Lelio. Signor padre, eccomi a’ vostri piedi. (s’inginocchi)
Pantalone. Via mo, cossa vorressi dir?
Lelio. Vi domando mille volte perdono.
Pantalone. Mo via, no me fe penar.
Lelio. Briseide è una favola, ed io non sono ammogliato.
Pantalone. Bravo, sior, bravo! Sta sorte de panchianed piantè a vostro pare? Leveve su, sier cabalon, sier busiaro;19 xela questa la bella scuola de Napoli? Vegnì a Venezia, e appena arrivà, avanti de veder vostro pare, ve tacchè con persone che no savè chi le sia. Dè da intender de esser napolitan, don Asdrubale de Castel d’Oro, ricco de milioni, nevodoe de prencipi, e poco manco che fradello de un re; inventè mille porcarie in pregiudizio de do putte oneste e civil. Sè arriva a segno d’ingannar el vostro povero pare. Ghe dè da intender che sè maridà a Napoli: tirè fuora la siora Briseide, sior Policarpio, el relogio de repetizion, la pistola; e permettè che butta via delle lagreme de consolazion per una niora imaginaria, per un nevodo inventà; e lassè che mi scriva una lettera a vostro missierf, che sarave stada fidecommisso perpetuo alla posta de Napoli. Come diavolo feu a insuniarve20 ste cosse? Dove diavolo troveu la materia de ste maledette invenzion? L’omo civil no se destingue dalla nascita, ma dalle azion. El credito del marcante consiste in dir sempre la verità. La fede xe el nostro mazor capital. Se no gh’avè fede, se no gh’avè reputazion, sarè sempre un omo sospetto, un cattivo marcante, indegno de sta piazza, indegno della mia casa, indegno de vantar l’onorato cognome dei Bisognosi.
Lelio. Ah, signor padre, voi mi fate arrossire. L’amore che ho concepito per la signora Rosaura, non sapendo esser quella che destinata mi avevate in isposa, mi ha fatto prorompere in tali e tante menzogne, contro la delicatezza dell’onor mio, contro il mio sincero costume.
Pantalone. Se fusse vero che fussi pentio, no sarave gnente. Ma ho paura che siè busiaro per natura e che fe pezo per l’avegnir.
Lelio. No certamente. Detesto le bugie e le aborrisco. Sarò sempre amante della verità. Giuro di non lasciarmi cader di bocca una sillaba nemmeno equivoca, non che falsa. Ma per pietà, non mi abbandonate. Procuratemi il perdono dalla mia cara Rosaura, altrimenti mi vedrete morire. Anche poc’anzi, assalito dall’eccessiva passione, ho gettato non poco sangue travasato dal petto.
Pantalone. (Poverazzo! El me fa peccà). (da sè Se me podesse fidar de ti, vorave anca procurar de consolarte: ma gh’ho paura.
Lelio. Se dico più una bugia, che il diavolo mi porti.
Pantalone. Donca a Napoli no ti xe maridà?
Lelio. No certamente.
Pantalone. Gh’astu nissun impegno con nissuna donna?
Lelio. Con donne non ho mai avuto verun impegno21.
Pantalone. Nè a Napoli, nè fora de Napoli?
Lelio. In nessun luogo.
Pantalone. Varda ben, veh!
Lelio. Non direi più una bugia per tutto l’oro del mondo.
Pantalone. Gh’astu le fede del stato libero?
Lelio. Non le ho, ma le aspetto a momenti.
Pantalone. Se le fusse vegnue, averessistu gusto?
Lelio. Il ciel volesse; spererei più presto conseguir la mia cara Rosaura.
Pantalone. Varda mo. Cossa xele queste? (dà le fedi a Lelio
Lelio. Oh me felice! Queste sono le mie fedi dello stato libero.
Pantalone. Me despiase che le sarà false.
Lelio. Perchè false? Non vedete l’autentica?
Pantalone. Le xe false, perchè le spedisse un morto.
Lelio. Un morto? Come?
Pantalone. Varda, le spedisse sior Masaniello Capezzali, el qual ti disi che l’è morto che xe tre mesi.
Lelio. Lasciate vedere; ora riconosco il carattere. Non è Masaniello, il vecchio, che scrive; è suo figlio, il mio caro amico. (ripone le fedi
Pantalone. E el fio se chiama Masaniello, come el pare?
Lelio. Sì, per ragione di una eredità, tutti si chiamano col medesimo nome.
Pantalone. L’è tanto to amigo, e no ti cognossevi el carattere?
Lelio. Siamo sempre stati insieme, non abbiamo avuto occasione di carteggiare.
Pantalone. E ti cognossevi el carattere de so pare?
Lelio. Quello lo conoscevo, perchè era banchiere e mi ha fatto delle lettere di cambio.
Pantalone. Ma xe morto so pare, e sto sior Masaniello no sigilla la lettera col bollin negro?
Lelio. Lo sapete pure: il bruno non si usa più.22
Pantalone. Lelio, non vorria che ti me contassi delle altre fandonie.
Lelio. Se dico più una bugia sola, possa morire.
Pantalone. Tasi là, frasconazzo. Donca ste fede le xe bone?
Lelio. Buonissime; mi posso ammogliar domani.
Pantalone. E do mesi e più che ti xe sta a Roma?
Lelio. Questo non si dice a nessuno. Si dà ad intendere che sono venuto a dirittura da Napoli a Venezia. Troveremo due testimoni che l’affermeranno.
Pantalone. Da resto po, no s’ha da dir altre busie.
Lelio. Questa non è bugia, è un facilitare la cosa.
Pantalone. Basta. Parlerò col Dottor e la discorreremo. Vardè sta lettera, che m’ha dà el portalettere.
Lelio. Viene a me?
Pantalone. A vu; gh’ho dà sette soldi. Bisogna che la vegna da Roma.
Lelio. Può essere. Datemela, che la leggerò.
Pantalone. Con vostra bona grazia, la voggio lezer mi. (l’apre bel bello
Lelio. Ma favoritemi... la lettera è mia.
Pantalone. E mi son vostro pare. La posso lezer.
Lelio. Come volete... (Non vorrei nascesse qualche nuovo imbroglio). (da sè
Pantalone. (Legge) Carissimo sposo. Carissimo sposo? (guardando Lelio
Lelio. Quella lettera non viene a me.
Pantalone. Questa xe la mansion. All’Illustriss. sign. sign. e padron colendiss. Il sign. Lelio Bisognosi. Venezia.
Lelio. Vedete che non viene a me.
Pantalone. No, perchè?
Lelio. Noi non siamo illustrissimi.
Pantalone. Eh, al dì d’ancuog i titoli i xe a bon marcà, e po ti ti te sorbiressi anca dell’altezza. Vardemo chi scrive: Vostra fedelissima sposa. Cleonice Anselmi.
Lelio. Sentite? La lettera non viene a me.
Pantalone. Mo perchè?
Lelio. Perchè io questa donna non la conosco.
Pantalone. Busie non ti ghe n’ha da dir più.
Lelio. Il cielo me ne liberi.
Pantalone. Ti ha fina zurà.
Lelio. Ho detto, possa morire.
Pantalone. A chi vustu che sia indrizzada sta lettera?
Lelio. Vi sarà qualcun altro che avrà il nome mio ed il cognome.
Pantalone. Mi gh’ho tanti anni sul cesto e non ho mai sentio che ghe sia nissun a Venezia de casa Bisognosi, altri che mi.
Lelio. A Napoli ed a Roma ve ne sono.
Pantalone. La lettera xe diretta a Venezia.
Lelio. E non vi può essere a Venezia qualche Lelio Bisognosi di Napoli o di Roma?
Pantalone. Se pol dar. Sentimo la lettera.
Lelio. Signor padre, perdonatemi, non è buona azione leggere i fatti degli altri. Quando si apre un lettera per errore, si torna a serrar senza leggerla.
Pantalone. Una lettera de mio fio la posso lezer.
Lelio. Ma se non viene a me.
Pantalone. Lo vederemo.
Lelio.(Senz’altro, Cleonice mi dà de’ rimproveri. Ma saprò schermirmi colle mie23 invenzioni). (da sè
Pantalone. La vostra partenza da Roma mi ha lasciata24 in una atroce malinconia, mentre mi avevate promesso di condurmi a Venezia con voi, e poi tutto in un tratto siete partito....
Lelio. Se lo dico, non viene a me.
Pantalone. Mo se la dise che l’è partio per Venezia.
Lelio. Bene: quel tale sarà a Venezia.
Pantalone. Ricordatevi che mi avete data la fede di sposo.
Lelio. Oh, assolutamente non viene a me.
Pantalone. Digo ben; vu no gh’avè impegno con nissuna.
Lelio. No certamente.25
Pantalone. Busie no ghe ne disè più.
Lelio. Mai più.
Pantalone. Andemo avanti.
Lelio. (Questa lettera vuol esser compagna del sonetto). (da sè
Pantalone. Se mai aveste intenzione d’ingannarmi, state certo che in qualunque luogo saprò farmi fare giustizia.
Lelio. Qualche povera diavola abbandonata.
Pantalone. Bisogna che sto Lelio Bisognosi sia un poco de bon.
Lelio. Mi dispiace che faccia torto al mio nome.
Pantalone. Vu sè un omo tanto sincero...
Lelio. Così mi vanto.
Pantalone. Sentimo el fin. Se voi non mi fate venire costì, e non risolvete sposarmi, farò scrivere da persona di autorità al signor Pantalone vostro padre... Olà! Pantalon?
Lelio. Oh bella! S’incontra anco il nome del padre.
Pantalone. So che il signor Pantalone è un onorato mercante veneziano. Meggio! E benchè siate stato allevato a Napoli da suo fratello. Via, che la vaga. Avrà dell’amore e della premura per voi, e non vorrà vedervi in una prigione26, mentre sarò obbligata manifestare quello che avete levato dalle mie mani, in conto di dote. Possio sentir de pezo?27
Lelio. Io gioco che questa è una burla d’un mio caro amico...
Pantalone. Una burla de un vostro amigo? Se vu la tiolè per burla, sentì cossa che mi ve digo dasseno. In casa mia no ghe mettè nè piè, nè passo. Ve darò la vostra legittima. Àndè a Roma a mantegnir la vostra parola.
Lelio. Come, signor padre...
Pantalone. Via de qua, busiaro infame, busiaro baron, muso duro, sfrontà, pezo d’una palandranah. (parte
Lelio. Forti, niente paura. Non mi perdo d’animo per queste cose. Per altro non voglio dir più bugie. Voglio procurare di dir sempre la verità. Ma se qualche volta il dir la verità non mi giovasse a seconda de’ miei disegni? L’uso delle bugie mi sarà sempre una gran tentazione. (parte
SCENA VI28.
Camera in casa del Dottore.
Dottore e Rosaura.
Dottore29. Ditemi un poco, la mia signora figlia, quant’è che non avete veduto il signor marchese Asdrubale di Castel d’Oro?
Rosaura. So benissimo ch’egli non è Marchese.
Dottore. Dunque saprete chi è.
Rosaura. Si signore, si chiama Ruggiero Pandolfi, mercante napolitano.
Dottore. Ruggiero Pandolfi?
Rosaura. Così mi disse.
Dottore. Mercante napolitano?
Rosaura. Napolitano.
Dottore. Pazza, stolida, senza giudizio; sai chi è colui?
Rosaura. Chi mai?
Dottore. Lelio, figlio di Pantalone.
Rosaura. Quello che mi avevate proposto voi per consorte?
Dottore. Quello, quella buona lana.
Rosaura. Dunque, s’è quello, la cosa è più facile ad accomodarsi.
Dottore. Senti, disgraziata, senti dove ti potea condurre il tuo poco giudizio, la facilità colla quale hai dato orecchio ad un forestiere. Lelio Bisognosi, che con nome finto ha cercato sedurti, a Napoli è maritato.
Rosaura. Lo sapete di certo? Difficilmente lo posso credere.
Dottore. Sì, lo so di certo. Me l’ha detto suo padre.
Rosaura. Oh me infelice! Oh traditore inumano! (piange
Dottore. Tu piangi, frasconcella? Impara a vivere con più giudizio, con più cautela. Io non posso abbadare a tutto. Mi conviene attendere alla mia professione. Ma giacchè non hai prudenza, ti porrò in un luogo dove non vi sarà pericolo che tu caschi in questa sorta di debolezze.
Rosaura. Avete ragione. Castigatemi, che ben lo merito. (Scellerato, impostore, il cielo ti punirà). (da sè, parte
SCENA VII.
Il Dottore, poi Ottavio.
Dottore. Da una parte la compatisco, e me ne dispiace; ma per la riputazione, la voglio porre in sicuro.
Ottavio30. Signor Dottore, la vostra cameriera di casa mi ha fatto intendere, che la signora Beatrice desiderava parlarmi. Io sono un uomo d’onore, non intendo trattar colla figlia senza l’intelligenza del padre.
Dottore. Bravo, siete un uomo di garbo. Ho sempre fatta stima di voi, ed ora mi cresce il concetto della vostra prudenza. Se siete disposto, avanti sera concluderemo il contratto con mia figliuola. (Non vedo l’ora di sbrattarla di casa). (da sè
Ottavio. Io per me son31 disposto.
Dottore. Ora chiameremo Beatrice, e sentiremo la di lei volontà.
SCENA VIII32.
Colombina e detti.
Colombina. Signor padrone, il signor Lelio Bisognosi, quondam marchese, gli vorrebbe dire una parola.
Ottavio. Costui me la pagherà certamente.
Dottore. Non dubitate, che si castigherà da se stesso. Sentiamo un poco che cosa sa dire. Fallo venire innanzi.
Colombina. Oh che bugiardo! E poi dicono di noi altre donne. (da sè
Ottavio. Avrà preparata qualche altra macchina.
Dottore. S’egli è maritato, ha finito di macchinar con Rosaura.
SCENA IX33
Lelio, Ottavio ed il Dottore.
Lelio. Signor Dottore, vengo pieno di rossore e di confusione a domandarvi perdono.
Dottore. Bugiardaccio!
Ottavio. Domani la discorreremo fra voi e me. (a Lelio
Lelio. Voi vi volete batter meco, voi mi volete nemico; ed io son qui ad implorare la vostra amichevole protezione, (ad Ottavio
Ottavio. Presso di chi?
Lelio. Presso il mio amatissimo signor Dottore.
Dottore. Che vuole dai fatti miei?
Lelio. La vostra figlia in consorte.
Dottore. Come! Mia figlia in consorte? E siete maritato?
Lelio. Io ammogliato? Non è vero. Sarei un temerario, un indegno, se a voi facessi una tale richiesta, quando ad altra donna avessi solamente promesso.
Dottore. Vorreste34 voi piantarmi un’altra carota?
Ottavio. Le vostre bugie hanno perduto il credito.
Lelio. Ma chi vi ha detto che io sono ammogliato?
Dottore. Vostro padre l’ha detto; m’ha detto che avete sposata la signora Briseide, figlia di don Policarpio.
Lelio. Ah, signor Dottore, mi dispiace dover smentire mio padre; ma il zelo della mia riputazione, e l’amore che ho concepito per la signora Rosaura, mi violentano35 a farlo. No, mio padre non dice il vero.
Dottore. Tacete; vergognatevi di favellare così. Vostro padre è un galantuomo: non è capace di mentire.
Ottavio. Quando cesserete d’imposturare? (a Lelio
Lelio. Osservate, se io dico il falso. Mirate quali sono le mie imposture. Ecco le mie fedi dello stato libero, fatte estrarre da Napoli. Voi, signor Ottavio, che siete pratico di quel paese, osservate, se sono legittime ed autenticate. (mostra ad Ottavio le fedi avute da Napoli
Ottavio. È vero; conosco i caratteri, mi sono noti i sigilli.
Dottore. Poter del mondo! Non siete voi maritato?
Lelio. No certamente.
Dottore. Ma per qual causa dunque il signor Pantalone mi ha dato intendere che lo siete?
Lelio. Ve lo dirò io il perchè.
Dottore. Non mi state a raccontar qualche favola.
Lelio. Mio padre si è pentito di aver dato a voi la parola per me di prendere vostra figlia.
Dottore. Per che causa?
Lelio. Perchè stamane in piazza un sensale, che ha saputo la mia venuta, gli ha offerto una dote di cinquantamila ducati.
Dottore. Il signor Pantalone mi fa questo aggravio?
Lelio. L’interesse accieca facilmente.
Ottavio. (Io resto maravigliato. Non so ancor cosa credere), (da sè
Dottore. Dunque, siete voi innamorato della mia figliuola?
Lelio. Sì signore, pur troppo.
Dottore. Come avete fatto ad innamorarvi sì presto?
Lelio. Sì presto? In due mesi, amor bambino si fa gigante.
Dottore. Come in due mesi, se siete arrivato ier sera?
Lelio. Signor Dottore, ora vi svelo tutta la verità.
Ottavio. (Qualche altra macchina). (da sè
Lelio. Sapete voi quanto tempo sia, ch’io sono partito da Napoli?
Dottore. Vostro padre mi ha detto, che saranno tre mesi in circa.
Lelio. Ebbene, dove sono stato io questi tre mesi?
Dottore. Mi ha detto che siete stato in Roma.
Lelio. Questo è quello che non è vero. Mi fermai a Roma tre o quattro giorni, e venni a dirittura a Venezia.
Dottore. E il signor Pantalone non l’ha saputo?
Lelio. Non l’ha saputo, perchè, quando giunsi, egli era al solito al suo casino alla Mira.
Dottore. Ma perchè non vi siete fatto vedere da lui? Perchè non siete andato a ritrovarlo in campagna?
Lelio. Perchè, veduto il volto della signora Rosaura, non ho più potuto staccarmi da lei.
Ottavio. Signor Lelio, voi le infilzate sempre più grosse. Sono due mesi ch’io alloggio alla locanda dell’Aquila, e solo ieri voi ci siete arrivato.
Lelio. Il mio alloggio sinora è stato lo Scudo di Francia36, e per vagheggiare più facilmente la signora Rosaura, sono venuto all’Aquila ieri sera.
Dottore. Perchè, se eravate innamorato di mia figlia, inventare la serenata e la cena in casa?
Lelio. Della serenata è vero, l’ho fatta far io.
Dottore. E della cena?
Lelio. Ho detto di aver fatto quello che avrei desiderato di fare.
Ottavio. E la mattina, che avete condotto le due sorelle alla malvagia?
Lelio. Oh via! Ho detto delle facezie, son pentito, non ne dirò mai più. Venghiamo alla conclusione. Signor Dottore, io son figlio di Pantalone de’ Bisognosi, e questo lo crederete.
Dottore. Può esser anche che non sia vero.
Lelio. Io son libero, ed ecco gli attestati della mia libertà.
Dottore. Basta che siano veri.
Lelio. Il signor Ottavio li riconosce.
Ottavio. Certamente; mi paion veri37.
Lelio. Il matrimonio fra la signora Rosaura e me è stato trattato fra voi e mio padre.
Dottore. Mi dispiace che il signor Pantalone, colla lusinga dei cinquantamila ducati, manca a me di parola.
Lelio. Vi dirò. La dote dei cinquantamila ducati è andata in fumo, e mio padre è pentito d’aver inventato la favola del matrimonio.
Dottore. Perchè non viene egli a parlarmi?
Ottavio. Non ardisce di farlo. Ha mandato me in vece sua.
Dottore. Eh! Mi pare un imbroglio.
Lelio. Ve lo giuro sulla mia fede.
Dottore. Orsù, sia come esser si voglia, ve la darò. Perchè, se il signor Pantalone è contento, avrà piacere; e se non fosse contento, mi ricatterei dell’affronto ch’egli voleva farmi. Che dice il signor Ottavio?
Ottavio. Voi pensate benissimo. Finalmente, quando sarà maritata, non vi sarà da dir altro.
Dottore. Date a me quelle fedi di stato libero.
Lelio. Eccole.
Dottore. Ma in questi tre mesi potreste esser obbligato.
Lelio. Se sono stato sempre in Venezia.
Dottore. Ve l’ho da credere?
Lelio. Non direi una bugia per diventare monarca.
Dottore. Ora chiamerò mia figlia; se ella è contenta, si concluderà. (parte
SCENA X.
Lelio, Ottavio; poi il Dottore e Rosaura.
Lelio.(Il colpo è fatto. Se mi marito, cadono a terra tutte le pretensioni della Romana). (da sè
Ottavio. Signor Lelio, voi siete fortunato nelle vostre imposture..
Lelio. Amico, domani non mi potrò venire a batter con voi.
Ottavio. Perchè?
Lelio. Perchè spero di fare un altro duello.
Dottore38. Ecco qua il signor Lelio. Egli si esibisce di essere tuo marito; che cosa dici? Sei tu contenta? (a Rosaura
Rosaura. Ma non mi avete detto che era ammogliato?
Dottore. Credevo che avesse moglie, ma è libero ancora.
Rosaura. Mi pareva impossibile, ch’ei fosse capace di una tal falsità.
Lelio. No, mia cara, non sono capace di mentire con voi, che v’amo tanto.
Rosaura. Però mi avete dette delle belle bugie.
Dottore. Animo, concludiamo. Lo vuoi per marito?
Rosaura. Se me lo date, lo prenderò.
SCENA XI39.
Pantalone e detti.
Pantalone. Sior Dottor, con vostra bona grazia. Cossa fa qua mio fio?
Dottore. Sapete cosa fa vostro figlio? Rende soddisfazione alla mia casa del torto e dell’affronto che voi mi avete fatto.
Pantalone. Mi? Cossa v’hoggio fatto?
Dottore. Mi avete dato ad intendere che era ammogliato, per disobbligarvi dell’impegno di dargli la mia figliuola.
Pantalone. Ho dito che el giera maridà, perchè lu el me lo ha dà da intender.
Lelio. Oh via, tutto è finito. Signor padre, questa è la mia sposa. Voi me l’avete destinata. Tutti sono contenti. Tacete, e non dite altro.
Pantalone. Che tasa? Tocco de desgrazià! Che tasa? Sior Dottor, sentì sta lettera, e vardè se sto matrimonio poi andar avanti. (dà al Dottore la lettera di Cleonice
Lelio. Quella lettera non viene a me40.
Dottore. Bravo, signor Lelio! Due mesi e più che siete in Venezia. Non avete impegno con nessuna donna. Siete libero, liberissimo. Rosaura, scostati da questo bugiardaccio. È stato a Roma tre mesi, ha promesso a Cleonice Anselmi. Non può sposare altra femmina. Impostore, menzognero, sfacciatissimo, temerario!
Lelio. Giacchè mio padre mi vuol far arrossire, sono obbligato a dire essere colei una trista femmina, colla quale mi sono ritrovato casualmente all’albergo in Roma tre soli giorni, che colà ho dimorato. Una sera, oppresso dal vino, mi ha tirato nella rete e mi ha fatto promettere, senza saper quel ch’io41 facessi; avrò i testimoni, ch’ero fuori di me quando parlai, quando scrissi.
Dottore. Per mettere in chiaro questa verità, vi vuol tempo; intanto favorisca di andar fuori di questa casa.
Lelio. Voi mi volete veder morire. Come potrò resistere lontano dalla mia cara Rosaura?
Dottore. Sempre più vado scoprendo il vostro carattere, e credo, sebben fingete di morir per mia figlia, che non ve ne importi un fico.
Lelio. Non me ne importa? Chiedetelo a lei, se mi preme l’amor suo, la sua grazia. Dite, signora Rosaura, con quanta attenzione ho procurato io in poche ore di contentarvi. Narrate voi la magnifica serenata che ieri sera vi ho fatta, e la sincerità colla quale mi son fatto a voi conoscere con un sonetto.
SCENA XII42.
Florindo, Brighella e detti.
Florindo. Signor Dottore, signora Rosaura, con vostra buona licenza, permettetemi che io vi sveli un arcano, finora tenuto con tanta gelosia custodito. Un impostore tenta usurpare il merito alle mie attenzioni, onde forzato sono a levarmi la maschera e manifestare la verità. Sappiate, signori miei, che io ho fatto fare la serenata, e del sonetto io sono stato l’autore.
Lelio. Siete bugiardo. Non è vero.
Florindo. Questa è la canzonetta da me composta, e questo è l’abbozzo del mio sonetto. Signora Rosaura, vi supplico riscontrarli. (dà due carte a Rosaura
Brighella. Sior Dottor, se la me permette, dirò, per la verità, che son sta mi, che d’ordine del sior Fiorindo ho ordinà la serenada, e che me son trova presente, quando colle so man l’ha butta quel sonetto sul terrazzin.
Dottore. Che dice il signor Lelio?
Lelio. Ah, ah, rido come un pazzo. Non poteva io preparare alla signora Rosaura una commedia più graziosa di questa. Un giovinastro sciocco e senza spirito fa fare una serenata, e non si palesa autore di essa. Compone un sonetto, e lo getta sul terrazzino, e si nasconde, e tace; sono cose che fanno crepar di ridere. Ma io ho resa la scena ancor più ridicola, mentre colle mie spiritose invenzioni ho costretto lo stolido a discoprirsi. Signor incognito, che pretendete voi? Siete venuto a discoprirvi un poco tardi. La signora Rosaura è cosa mia; ella mi ama, il padre suo me l’accorda, e alla vostra presenza le darò la mano di sposo.
Pantalone. (Oh che muso! Oh che lengua!) (da sè
Dottore. Adagio un poco, signore dalle spiritose invenzioni. Dunque, signor Fiorindo, siete innamorato di Rosaura mia figlia?
Florindo. Signore, io non ardiva manifestare la mia passione.
Dottore. Che dite, Rosaura, il signor Florindo lo prendereste voi per marito?
Rosaura. Volesse il cielo che io conseguir lo potessi! Lelio è un bugiardo, non lo sposerei per tutto l’oro del mondo.
Pantalone. (E mi bisogna che soffra. Me vien voggia de scannarlo con le mie man).
Lelio. Come, signora Rosaura? Voi mi avete43 data la fede, voi avete da esser mia.
Dottore. Andate a sposar la Romana.
Lelio. Una donna di mercato non può obbligarmi a sposarla.
SCENA XIII44.
Arlecchino e detti.
Arlecchino. Sior patron,45 salveve. (a Lelio
Lelio. Che c’è?
Pantalone. Dimme a mi, coss’è sta?
Arlecchino. No gh’è più tempo de dir busie. La Romana l’è vegnuda a Venezia. (a Lelio
Dottore. Chi è questa Romana?
Arlecchino. Siora Cleonice Anselmi.
Dottore. È una femmina prostituita?
Arlecchino. Via, tasi là. L’è fiola d’un dei primi mercanti de Roma.
Lelio. Non è vero, costui mentisce. Non sarà quella, sono un galantuomo. Io non dico bugie.
Ottavio. Voi galantuomo? Avete prostituito l’onor vostro, la vostra fede, con falsi giuramenti, con testimoni mendaci.46
Dottore. Via di questa casa.
Pantalone. Cussì scazzè un mio fio? (al Dottore)
Dottore. Un figlio47, che deturpa l’onorato carattere di suo padre.
Pantalone. Pur troppo disè la verità. Un fio scellerato, un fio traditor, che a forza de busie mette sottosora la casa, e me fa comparir un babbuin anca mi. Fio indegno, fio desgrazià. Va, che no te voggio più veder; vame lontan dai occhi, come te scazzo lontan dal cuor. (parte
Lelio. Scellerate bugie,48 vi abomino, vi maledico. Lingua mendace, se più ne dici, ti taglio.
Rosaura. Colombina. (chiama
SCENA ULTIMA49
Colombina e detti.
Colombina. Signora.
Rosaura. (Le parla all’orecchio.
Colombina. Subito.
Dottore. Vergognatevi di esser così bugiardo.
Lelio. Se mi sentite più dire una bugia, riputatemi per uomo infame.
Ottavio. Cambiate costume, se volete vivere fra gente onesta.
Lelio. Se più dico bugie, possa essere villanamente trattato50.
Colombina51. (Colla scatola con i pizzi) Eccola. (la dà a Rosaura)
Rosaura. Tenete, signor impostore. Questi sono i pizzi, che mi avete voi regalati. Non voglio nulla del vostro. (offre a Lelio la scatola con i pizzi
Florindo. Come! Quei pizzi li ho fatti comprar io.
Brighella. Sior sì, mi ho pagà i trenta zecchini all’insegna del Gatto, e li ho mandadi alla signora Rosaura per el zovene della bottega, senza dir chi ghe li mandasse52.
Rosaura. Ora intendo: Fiorindo mi ha regalata, e l’impostore s’è fatto merito.53 (li prende
Lelio. Il silenzio del signor Fiorindo mi ha stimolato a prevalermi dell’occasione, per farmi merito con due bellezze. Per sostenere la favola, ho principiato a dire qualche bugia, e le bugie sono per natura così feconde, che una ne suole partorir cento. Ora mi converrà sposar la Romana. Signor Dottore, signora Rosaura, vi chiedo umilmente perdono, e prometto che bugie non ne voglio dire mai più. (parte
Arlecchino. Sta canzonetta l’ho imparada a memoria. Busie mai più, ma qualche volta, qualche spiritosa invenzion.
Dottore. Orsù, andiamo. Rosaura sposerà il signor Fiorindo, e il signor Ottavio darà la mano a Beatrice.
Ottavio. Saremo quattro persone felici, e goderemo il frutto de’ nostri sinceri affetti. Ameremo noi sempre la bellissima verità, apprendendo dal nostro Bugiardo, che le bugie rendono l’uomo ridicolo, infedele, odiato da tutti; e che per non esser bugiardi, conviene parlar poco, apprezzare il vero, e pensare al fine.
Fine della Commedia.
- Note dell'autore
- Note dell'editore
- ↑ Bett.: la polpetta zo del taggier.
- ↑ Segue nell’ed. Bett.: So chi l’è. L’è fiol del sior Pantalon dei Bisognosi. So tutto e ghe conterò tutto. La sappia ecc.
- ↑ Bett.: sior don.
- ↑ Segue nell’ed. Bett.: Voio destrigarme ecc.
- ↑ Modo di dire: Servo di Vossustrissima.
- ↑ Nell’ed. Bett. è unita alla scena preced.
- ↑ Bett.: Lustreme le tavarnelle. Chi mai ecc.
- ↑ Bett., Pap. ecc.: Questo saverà
- ↑ Bett.: che sia.
- ↑ Nell’ed. Bett. è sc. IV.
- ↑ Bett.: aveu cognossù.
- ↑ Bett.: Barzellettate voi.
- ↑ Bett.: Veder.
- ↑ Proverbio veneziano, vuol dire esser facile a far qualche cosa
- ↑ Bett.: in speranza.
- ↑ Segue nell’ed. Bett.: «Lel. Mia moglie puoi esser morta. Pant. E tocca via co sta morte. Se la sarà morta, ti tornerà a Venezia».
- ↑ Bett.: Perchè mi private.
- ↑ Bett. e Pap.: voravistu.
- ↑ Segue nell’ed. Bett.: Xela questa la bella educazion che avè buo dal povero mio fradello?
- ↑ Bett.: inventarve.
- ↑ Bett.: Con nessunissima.
- ↑ Bett.: il bruno, che qui in Venezia si chiama il corrotto, non si usa più.
- ↑ Bett., Pap. ecc: mie spiritose.
- ↑ Bett.: lasciata immersa.
- ↑ Bett.: Con nessunissima.
- ↑ Bett. aggiunge: e forse forse in una galera.
- ↑ Bett.: De più?
- ↑ Nell’ed. Bett. è sc. V.
- ↑ Nell’ed. Bettinelli il Dottore parla, come nella recita, in dialetto. Per questa scena e per quelle che seguono, vedasi Appendice.
- ↑ Qui comincia nell’ed. Bett. la sc. VI.
- ↑ Bett. e Pap.: son sempre.
- ↑ Sc. VII nell’ed. Bett.
- ↑ Sc. VIII nell’ed. Bett.
- ↑ Pap.: Come? Vorreste ecc.
- ↑ Bett.: m’inducono.
- ↑ Famoso albergo veneziano, sul Canal Grande, ricordato dai viaggiatori anche nell’ Ottocento.
- ↑ Bett.: Certamente sono verissimi.
- ↑ Qui comincia in Bett. la sc. IX.
- ↑ Sc. X nell’ed. Bett.
- ↑ Segue nelle edd. Bett., Paper, ecc.: «Dott. legge piano. Lel. (Signor padre, che diavolo avete fatto? Sapete chi è quella Cleonice? È una donna pubblica. Non sono obbligato a sposarla, e voi mi Volete qui svergognare). Pant. Donna pubblica? Palandrana? (Perchè non me l’hastu dito avanti d’adesso?) piano a Lelio. Lel. (Perchè non mi è venuto in mente). da sè».
- ↑ Bett.: senza sapere cosa.
- ↑ Sc. XI nell’ed. Bett.
- ↑ Bett.: Signora Rosaura, mi avete ecc.
- ↑ SC. XII nell’ed. Bett.
- ↑ Bett.: Sior padron, prest.
- ↑ Segue nell’ed. Bett.: Siete indegno di trattare colle persone onorate. L’uomo bugiardo è il più detestabile carattere che sia nel mondo, perchè occultando egli scelleratamente il vero sotto il manto della bugia, inganna, tradisce, rendesi pericoloso e molesto. Guardatevi di ritrovarvi in luoghi dove io vi vegga. Perchè, se voi colle vostre bugie tentate d’imposturare, io che amo la Verità, scoprirò in ogni luogo le vostre scellerate imposture.
- ↑ Pap.: Un figlio indegno.
- ↑ Bett. aggiunge: vi detesto.
- ↑ Sc. XIII nell’ed. Bett.
- ↑ Bett. e Pap.: scacciato.
- ↑ Qui comincia la sc. XIV nell’ed. Bett.
- ↑ Bett.: chi li manda.
- ↑ Ciò che segue nelle edd. Bettinelli, Paperini e altre, vedasi in Appendice.