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388 ATTO TERZO

Rosaura. Mi pareva impossibile, ch’ei fosse capace di una tal falsità.

Lelio. No, mia cara, non sono capace di mentire con voi, che v’amo tanto.

Rosaura. Però mi avete dette delle belle bugie.

Dottore. Animo, concludiamo. Lo vuoi per marito?

Rosaura. Se me lo date, lo prenderò.

SCENA XI1.

Pantalone e detti.

Pantalone. Sior Dottor, con vostra bona grazia. Cossa fa qua mio fio?

Dottore. Sapete cosa fa vostro figlio? Rende soddisfazione alla mia casa del torto e dell’affronto che voi mi avete fatto.

Pantalone. Mi? Cossa v’hoggio fatto?

Dottore. Mi avete dato ad intendere che era ammogliato, per disobbligarvi dell’impegno di dargli la mia figliuola.

Pantalone. Ho dito che el giera maridà, perchè lu el me lo ha dà da intender.

Lelio. Oh via, tutto è finito. Signor padre, questa è la mia sposa. Voi me l’avete destinata. Tutti sono contenti. Tacete, e non dite altro.

Pantalone. Che tasa? Tocco de desgrazià! Che tasa? Sior Dottor, sentì sta lettera, e vardè se sto matrimonio poi andar avanti. (dà al Dottore la lettera di Cleonice

Lelio. Quella lettera non viene a me2.

Dottore. Bravo, signor Lelio! Due mesi e più che siete in Venezia. Non avete impegno con nessuna donna. Siete libero, liberissimo. Rosaura, scostati da questo bugiardaccio. È stato a Roma tre mesi, ha promesso a Cleonice Anselmi. Non può

  1. Sc. X nell’ed. Bett.
  2. Segue nelle edd. Bett., Paper, ecc.: «Dott. legge piano. Lel. (Signor padre, che diavolo avete fatto? Sapete chi è quella Cleonice? È una donna pubblica. Non sono obbligato a sposarla, e voi mi Volete qui svergognare). Pant. Donna pubblica? Palandrana? (Perchè non me l’hastu dito avanti d’adesso?) piano a Lelio. Lel. (Perchè non mi è venuto in mente). da sè».