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390 | ATTO TERZO |
l’abbozzo del mio sonetto. Signora Rosaura, vi supplico riscontrarli. (dà due carte a Rosaura
Brighella. Sior Dottor, se la me permette, dirò, per la verità, che son sta mi, che d’ordine del sior Fiorindo ho ordinà la serenada, e che me son trova presente, quando colle so man l’ha butta quel sonetto sul terrazzin.
Dottore. Che dice il signor Lelio?
Lelio. Ah, ah, rido come un pazzo. Non poteva io preparare alla signora Rosaura una commedia più graziosa di questa. Un giovinastro sciocco e senza spirito fa fare una serenata, e non si palesa autore di essa. Compone un sonetto, e lo getta sul terrazzino, e si nasconde, e tace; sono cose che fanno crepar di ridere. Ma io ho resa la scena ancor più ridicola, mentre colle mie spiritose invenzioni ho costretto lo stolido a discoprirsi. Signor incognito, che pretendete voi? Siete venuto a discoprirvi un poco tardi. La signora Rosaura è cosa mia; ella mi ama, il padre suo me l’accorda, e alla vostra presenza le darò la mano di sposo.
Pantalone. (Oh che muso! Oh che lengua!) (da sè
Dottore. Adagio un poco, signore dalle spiritose invenzioni. Dunque, signor Fiorindo, siete innamorato di Rosaura mia figlia?
Florindo. Signore, io non ardiva manifestare la mia passione.
Dottore. Che dite, Rosaura, il signor Florindo lo prendereste voi per marito?
Rosaura. Volesse il cielo che io conseguir lo potessi! Lelio è un bugiardo, non lo sposerei per tutto l’oro del mondo.
Pantalone. (E mi bisogna che soffra. Me vien voggia de scannarlo con le mie man).
Lelio. Come, signora Rosaura? Voi mi avete1 data la fede, voi avete da esser mia.
Dottore. Andate a sposar la Romana.
Lelio. Una donna di mercato non può obbligarmi a sposarla.
- ↑ Bett.: Signora Rosaura, mi avete ecc.