insegnano, che ogni Stato cinese aveva un istoriografo, il cui ufficio era tra’ principali delle corti; e inoltre s’è veduto, ch’era usanza d’incaricare, per fine politico, un magistrato di far raccolta di canzoni popolari; le quali venivano lette e studiate da’ sovrani e da’ ministri, perchè la cosa pubblica procedesse secondo l’indole e i bisogni della nazione. Gli archivi di Stato dovevano dunque essere ricchi di documenti storici, lasciati di mano in mano dai vari istoriografi di corte; e abbondar pure di collezioni poetiche, fatte in varie occasioni, e diverse secondo i paesi dove furon raccolte. Sse Ma-tsien pretende infatti che il numero di tali composizioni poetiche, a’ tempi di Confucio, fosse di tremila.1
Per la qual cosa Confucio, amantissimo, come egli si confessa, delle memorie dell’antichità, aveva modo di soddisfare ampiamente a quell’ardente desiderio di conoscerla e d’investigarla in molte parti. E che egli abbia quindi preso a studiare le storie del suo paese nativo, e gli avvenimenti successi al cominciar della civiltà cinese; che egli abbia ricercato, scelto e imparato a memoria gran numero di quelle canzoni, che rammentavano le virtù dei savii antichi, le quali facevano quasi rivivere i tempi passati, oggetto de’ suoi più cari pensieri, è cosa tanto naturale, che non è mestieri spendervi parole; ma non credo che sia egualmente naturale il supporre, ch’egli sia proprio l’autore o il compilatore di tutte quelle scritture. Egli molto si adoperò a conservarle e a tramandarle a’ posteri: la Cina è obbligata a lui se oggi le possiede. E Confucio infatti, come altre volte s’è detto, e come fa giudiziosamente notare il critico cinese menzio-
- ↑ Sse-ki, lib. 46, cit. in Legge, Chinese Classics, t. iv, parte i, proleg. p. 1.