come scrittura di lui.1 Ma più tardi, quando lo stesso Legge prese a voltare in inglese «La Cronica di Lu», (1874) ebbe a ricredersi; non potendo più averla per opera del Filosofo. E in vero, anche senza studiar molto quel libro, la semplice lettura di qualche pagina mi pare che basterebbe a provare, che nessuno uomo di lettere, in particolare, vi abbia specialmente posto cura. Questa scrittura non è una storia, dove i fatti siano messi insieme con arte, e dove si veggano l’opera del letterato e il criterio del filosofo; è una congerie di brevissime notizie riguardanti più o meno direttamente la corte e lo Stato di Lu: semplici note giornaliere, raccolte senza altro scopo che di ricordarle, dai varii magistrati deputati a tale ufficio. I fatti sono registrati nudi e crudi: un atto eroico, un assassinio; la nascita, la morte o il matrimonio d’un sovrano; un terremoto, un eclissi, sono laconicamente notati per ordine cronologico in quello scheletro di storia, senza nemmeno una sillaba di più del bisogno per la memoria del fatto. Esso pare un libro, in cui il tempo abbia registrato come spese sè stesso, nella Cina, per 242 anni; a simiglianza d’una buona massaia che abbia appuntato le spese di casa nello scartafaccio di famiglia. E ci voleva davvero tutta l’entusiastica ammirazione dei primi missionari gesuiti, per chiamarlo «un livre ecrit de génie; ou notre Socrate (Confucio) y manie l’Histoire en homme d’Etat, en citoyen, en philosophe, en savant, et en moraliste».2 Del resto ne giudichi il lettore da sè; ecco il principio del primo capitolo, e faccia conto, come è in fatti, che il rimanente corra tutto sullo stesso tono.
- ↑ The Chinese Classics, t. i, p. 1.
- ↑ Mémoires concernant les Chinois; t. i, p. 47.