Gli ultimi anni di Bona di Savoia duchessa di Milano

Gaudenzio Claretta

Indice:Archivio storico italiano, serie 3, volume 12 (1870).djvu Archivio storico italiano 1870/storia/Milano Gli ultimi anni di Bona di Savoia duchessa di Milano Intestazione 12 dicembre 2017 75% Da definire

Questo testo fa parte della rivista Archivio storico italiano, serie 3, volume 12 (1870)

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GLI ULTIMI ANNI


di


BONA DI SAVOIA DUCHESSA DI MILANO


illustrati con documenti inediti


PER GAUDENZIO CLARETTA




Le avventure di Bona figliuola del duca Ludovico di Savoia, sorella di Amedeo IX (il beato.) e consorte a Galeazzo Maria Sforza duca di Milano, già furono descritte da varii scrittori italiani, onde poco ne ridonderebbe all’istoria, ove novellamente esse si esaminassero in tutti i minuti loro particolari; laddove sarà più che sufficiente di qui porgerne un sommario, in cui raccogliendo i principali tratti di quell’inclita principessa, meno indifferente sia per riuscire ai leggitori quanto forma il soggetto di questa monografia.

Tre scrittori specialmente si proposero ad argomento delle loro investigazioni, questa duchessa di Milano uscita dal generoso lignaggio sabaudo: l’illustre conte Federigo Sclopis, che sino dal 1827 consegnava in una dotta e briosa lettera all’abate Costanzo Gazzera, accademico torinese, alcune notizie relative al matrimonio di Bona, da lui tolte da un codice inedito, comunicatogli; l’erudito marchese Felice di S. Tommaso nelle sue notizie [p. 63 modifica]sovra la vita di Bona, ed il cavalier Morbio nell’esposizione dei documenti ricavati dagli archivi Trivulziani.

Da questi pregevoli lavori veniva senza dubbio a ricevere molta illustrazione il i)unto d’istoria in discorso; ma sempre rimaneva ignorato il tempo ed il luogo della morte di Bona, quantunque non poco si fossero adopraii i due ultimi menzionati scrittori, per iscoprirli.

Sono per l’appunto i documenti, i quali io m’accingo a pubblicare,’ che ci svelano i particolari sin qui sconosciuti , e che tante indagini costarono specialmente al Morbio. Del resto vuol giustizia che si renda elogio agli indicati autori pel modo con cui maneggiarono l’argomento trattato; e se le ricerche tentate non furono coronate di prospero successo, nulla devesi loro ascrivere, poiché quanti hanno perizia d’archivi, ben sanno che d’ordinario dal solo caso muovono le nuove scoperte, e nissuno poi ignora che ne’ tempi trascorsi, quasi affatto venivano diniegati ai dotti que’ documenti che oggidì con minor riserbo vengono partecipati.

Di due specie sono i documenti che ci svelano il punto d’istoria sin qui rimasto celato, de’ quali gli uni ci somministrano prova indiretta, diretta gli altri. Appartengono a’ primi le lettere ritrovatesi negli archivi camerali di Torino, dalle quali risulta che Bona negli anni 1501, 1502 e 1503 abitava il castello di Fossano, terra allor fortiticata del meridional Piemonte. Spetta ai secondi il transunto dei conti della castellanìa di Possano, abilmente ricavato dal cavaliere Celestino Combetti, capo di divisione agli Archivi generali del regno in Torino, che dall’esame dell’indice dei protocolli ducali, avendo riconosciuto esistervi una processura intentata ad alcuni Fossanesi, accusati di depredazioni avvenute al tempo della morte di Bona, potè così rimanere chiarito su di un periodo essenziale della sua vita, ed ultimare con frutto le sue indagini, esaminando i conti della casteilanìa di quella terra.

[p. 64 modifica]E queste lettere da me trascritte, e questi estratti dal lodato cav. Combetti offerti alla R. Deputazione di Storia patria di Torino, io mi accingo ora a pubblicare, come notabile supplemento alla vita della seconda duchessa’ di Milano, della stirpe Sforzesca.




Spettava il dominio di Milano colla Lombardia ed altre nobili città italiane, sino dal 1450, a Francesco Sforza, figliuolo a quel Michele Attendolo da Cotignola, famoso condottiero, che, col vario cangiar di partito e di servitù, aiutato dal suo valore e dalla fortuna dell’armi, era, a sua volta, divenuto signore di alcune terre dell’Italia meridionale, ed avea lasciata la vita infelicemente nel fiume Pescara, mentre il quarto dì del 1424 volava in soccorso della regina Giovanna di Napoli. Francesco, che aveva sposata nel 1441 Bianca, figliuola naturale dell’ultimo duca di Milano della stirpe Viscontea, celebre guerriero egli pure non meno del padre suo, per mezzo di quella politica, che or chiamerebbesi mariuoleria, seppe, alla morte del suocero, dopo varie vicende, divenir duca di Milano; città che per la divisione de’ partiti e per le aspirazioni de’ vicini, non potè a lungo mantenere l’acquistata libertà, e così dovette sottomettersi a novella signoria.

Riconosciuto adunque duca, Francesco nel febbraio del 1450, non solamente seppe conservare il nuovo importante dominio, ma sippure aumentarlo coll’insigne acquisto di Genova, con patti però che non distruggevano affatto la libertà e le consuetudini di quell’inclita repubblica.

Fra’ tiranni fu de’ più mansueti; e se non si avesse fondato motivo di ascrivergli il tradimento del Piccinino, da lui sotto mentite forme spedito a Ferdinando di [p. 65 modifica]Napoli, che tosto consegnava al carnefice, maggior gloria meriterebbe dalla posterità. Breve fu il suo regno. Tolto da repentina morte nel sessagesimo quarto de’ suoi anni, all’otto di marzo del 1466, succedevagli, specialmente in grazia della prudenza della madre, Galeazzo Maria1 che allora trovavasi in Francia, colà mandato l’anno prima dal padre per assistere Luigi XI nelle turbolenze da cui era afflitto per la lega del ben pubblico.

Il nuovo duca di Milano era però fornito di tempra ben differente dal padre. Volubile nei suoi progetti, impetuoso, brutale e crudele: con questi gravi difetti non poteva rendere felici nè i popoli, ne il talamo domestico, e prima ad esperimentare la propria indole fu la madre, che nell’anno 1468 dovè abbandonare Milano e ritirarsi modestamente a Melegnano, ove moriva il 23 ottobre, non senza suspicione di veleno. Ma siccome fra’ principi non si vanno guari bilanciando le men buone qualità; così il sei di luglio di quell’anno egli aveva potuto impalmar la sua mano con quella di Bona, non ancor quadrilustre2, che trovavasi alla corte di Francia, colà trattenuta, perchè orfana, non senza però segrete mire di quell’astuto monarca, suo cognato3, a cui piaceva quel maritaggio per ricompensare la casa Sforza dei servigi prestatigli, e che aveva persino l’impudenza di disporre del dominio di Vercelli, concedendo al duca facoltà di conquistarlo coll’armi.

Era quello il momento in cui la nuova casa degli Sforza già toccava la cima della sua grandezza, acquistando oltre il parentado della generosa stirpe sabauda, quello pure del re di Francia cognato di Bona, siccome dissi; ma non oltre la quarta generazione, com’è noto, [p. 66 modifica]doveva conservarsi l’imperio in quella famiglia, poiché per ordine provvidenziale è decretato che pei delitti non si mantengono, ma si perdono gli stati, e colla scostumatezza, nè principi, nè privati possono lungamente tenere elevata la loro stirpe. Lo stesso Galeazzo Maria fu il principio della ruina di sua casa.

Nel 1469 essendo ad Abbiategrasso (terra e fortezza nell’atto di matrimonio assegnata a Bona per sua particolar residenza), nacquegli un figliuolo, che in memoria del primo duca di Milano, fu chiamato Giovanni Galeazzo; ed il penultimo di luglio dell’anno successivo n’ebbe un altro nel castello di Pavia, a cui il nome venne imposto di Ermes. Le gioie del talamo non distraevano però Galeazzo dal soddisfare alla libidine, e come sempre succede, la meno ad esserne informata era la duchessa, distratta per altro dalle festività e dalle adulazioni cortigianesche. Nel 1471 ella prese parte col duca ad uno splendido viaggio, degno dei tempi eroici, nella gentil capitale della Toscana dove recavasi Galeazzo, in seguito all’alleanza conchiusa assieme a’ Veneziani con quella Repubblica, che paventava non poco le mire d’ingrandimento di Sisto IV e di Ferdinando di Napoli. Bernardino Corio, erudito storico di Milano, sebbene per l’ufficio suo aulico, non guari sincero in quanto spetta a’ pregi e difetti de’ suoi principi, ci somministra i particolari di quel viaggio trionfale, in cui il duca, per isfoggiare la sua magnificenza, vi consumava somme immense di danaro. «Per la ducissa, egli scrive, havea deputato cinquanta chinee e tutte con le sue selle e fornimenti d’oro e d’argento sopra i suoi pagi richamente vestiti dodeci carette haveva e tutto con le coperte di drapi d’oro ed argento recamate alla ducale insegna, li matarasi dentro e piumazi erano di drapo rizo sopra rizo alcuni di argento et altri de raso cremesino, e fino alli fornimenti de cavalli erano coperti di seta»4.

[p. 67 modifica]Insomma in quello spreco inutile di danaro, si numerarono, oltre la comitiva di tutti quei nobili che servivano alla tirannide, due mila cavalli, duecento muli, cinquecento coppie di cani e persino un numero istraordinario di falconi e sparvieri, che tutti si fecero valicare l’Appennino.

Ma a fronte di tanto lusso e di tanta magnificenza, il duca di Milano rimaneva poi colà impassibile spettatore della lotta impegnatasi presso la Riccardina, quasi degenere del padre e dell’avo, ai quali solo un colpo d’archibugio avrebbe impresso tosto movimento ed azione.

Come nell’andata, così nel ritorno i governi de’ paesi per cui transitava la ducal coppia, gareggiarono nell’onoraria. A Lucca, Bona ebbe dalla Repubblica due chinee bianche e dieci mila ducati: a Genova (non ostante il disprezzo mostrato a quella repubblica da Galeazzo, che alle feste apparecchiate per riceverlo, affettò di dar un’aria di ridicolo, presentandosi con abito dimesso, e chiudendosi in castello, dove, dopo tre giorni, se n’andò come fuggitivo senz’annunziarlo) s’ebbe molti drappi di seta con alcuni apparati di camera.

Giunta a Milano, la duchessa sgravavasi il 5 aprile 1472 di un altro parto, ma questa volta era di femmina, che dal nome dell’ava chiamossi Bianca Maria5. Nel maggio del successivo anno Galeazzo infermossi piùttosto gravemente di vaiuolo, al punto che stimò di dover disporre delle cose sue, lasciando fra i tutori della prole Cicco Simonetta, che ebbe poi la prima parte nella breve reggenza di Bona, «homo, chiamato dal Corio, non solamente noto de lo imperio milanese, ma anche tra tutti li latini et externi»6. [p. 68 modifica]Altre feste, a cui prese parte Bona, celebraronsi a Milano nel 1474, in cui il due gennaio gli oratori di Filiberto duca di Savoia, succeduto ad Amedeo IX, sposarono a suo nome Bianca Maria, di due anni, e quando capitò a Milano il Re di Danimarca, reduce dal pellegrinaggio a S. Giacomo di Gallizia.

Ma frattanto si avvicinava a grandi passi il funesto momento, in cui Galeazzo doveva mietere quanto aveva seminato. I Milanesi ornai sentivano danno de’ suoi vizi, e come sovrano e come privato: la di lui dissolutezza aveva sconvolto tutte le famiglie, e la sua crudeltà eccitata dalla più leggiera resistenza non era soddisfatta che da spaventosi supplicii.

È inutile di riandar qui i particolari della deplorabile congiura già abbastanza conosciuti, e che concepitasi da Carlo Visconti, Gerolamo Olgiati e da Andrea Lampugnano milanesi, i quali avevano avuto particolarmente ragione di dolersi di Galeazzo, finì col togliergli la vita nella chiesa di S. Stefano, mentre erasi ivi recato alla messa il dì 26 dicembre 1476. E così finì colui a quo aqua terra coelum et mare contremiscere videbantur, come nel linguaggio d’allora si espresse un cronista contemporaneo7.

Narra poi il Corio tutti i presentimenti che aveva il duca; e l’atto di abbandono della sua famiglia con cui aveva celebrato il Natale tra feste e canti, è così commovente, che quasi quasi ci farebbe scordare i grandi difetti di quel principe. Egli adunque, ch’era uno de’ suoi paggi, e che fu presente alla scena, conchiude: «prima di andar alla messa si fece portare Gioanni Galeazzo e Hermes, e quegli da ambi li canti de la finestra dove era li pose più volte baciandoli e quasi parea che non sapesse, partirse »8.

[p. 69 modifica]Il corpo di Galeazzo, tolto di vita sui soli trentatrè anni, venne allora deposto nella canonica di quel tempio, vestito delle insegne ducali, avendo Bona mandato tre anelli ed un sigillo del valore di trecento ducati, con una veste di drappo bianco, con cui il duca aveva manifestato di voler essere abbigliato in caso di morte; e sulla sera poi venne sepolto nella maggior chiesa di Milano. E così nel giro appena di anni sessanta, il trono ducale di Milano veniva insanguinato con morte pressochè uguale del suo principe9.

Il figliuolo primogenito di Galeazzo non aveva ancor gli ott’anni, ma ciò nullameno senza difficoltà venne riconosciuto successore. Più non signoreggiavano i Milanesi quei sentimenti di libertà che i tre congiurati avevano creduto di far rivivere, ne s’ebbe a notare il più leggiero movimento per rovesciare un governo che difficilmente allora sarebbesi sostenuto. I deputati delle città andarono a complimentare la vedova duchessa Bona, ed offrirle la loro assistenza per mantenerla in un col figliuolo suo sul trono. Persino Sisto IV che all’udir la nuova della morte del duca aveva esclamato: Oggi la pace d’Italia è con lui perita10, mandò a Bona due cardinali incaricati di scomunicar coloro che in Milano s’arbitrassero di tentare qualche novità. Insomma la vedova duchessa fu senza ostacoli riconosciuta reggente. Ma sebbene ella fosse circondata e favorita de’ consigli di un buon politico, qual era Cicco Simonetta calabrese, segretario e consigliere di Francesco Sforza e ministro di suo figlio, fratello a quel Giovanni Simonetta che scrisse con eleganza e precisione la storia di Francesco Sforza, tuttavia non potè lottare coll’ambizione e colle mire dei [p. 70 modifica]fratelli del suo consorte, che durante la minorità del figliuolo, volevano partecipare alla reggenza. I primi quattro, Sforza Maria Sforza duca di Bari e conte di Valenza, Ludovico il Moro, divenuto poi così famoso nella storia, Ottaviano ed Ascanio che già avevano risvegliato la diffidenza di Galeazzo, il quale tenevali lontani da Milano, appena ebbero avviso della sua morte, si affrettarono di ritornare in patria. Ivi cercando di far rivivere l’antico spirito del partito ghibellino, dichiararonsi protettori di quella fazione, cui la casa Visconti andava debitrice del suo innalzamento, ed accusando Bona col suo ministro di parzialità pei guelfi, li costrinsero a gettarsi fra le loro braccia.

Nè valse a fermare la pace l’essersi a mediazione di Ludovico Gonzaga marchese di Mantova, stabilito che ogni anno Bona desse a ciascuno de’ cognati dodicimila cinquecento ducati sui redditi di Cremona, e lor si provvedesse un palazzo in Milano: ben altre aspirazioni avevano essi, ne per le animosità che fra gli uni e gli altri passavano, dovevasi sperare buon esito. Nel 1478 i fratelli superstiti (Ottaviano sol diciassettenne era morto nel guadar l’Adda) furono: il duca di Bari relegato nel suo ducato, il Moro a Pisa ed Ascanio a Perugia, incolpati di turbare il nuovo governo.

Bisogna però convenire che anche Bona aveva i suoi torti, ed a dispetto de’ consigli del fedele Simonetta, servì ella stessa co’ suoi modi a favorire i disegni dei cognati.

Ella adunque aveva dato eccessiva confidenza ad un tal Antonio Tassino ferrarese, già ivi mercante, poi dallo stesso Galeazzo Maria dato a Bona come cameriere e servente alla mensa, «giovane, secondo scrive il Corio testimonio oculare, che oltremodo si attendeva all’ornato del corpo in modo che dopo la morte di Galeazzo in tanto famosa reputatione divenne presso la ducissa che niuna cosa dil Stato si faceva da Bona che lui non fosse participevole, del che Cicho, come homo iusto, aborrendo tal [p. 71 modifica]cosa, se li era fatto nemico. Il perchè, anche con participazione di costui, Ludovico (il Moro) al septimo dil mese, lassato lo exercito in custodia del Sanseverino, venne a Milano e per la via del Giardino entrò in castello». E così il principal avversario del governo era di bel nuovo in casa, nè il vaticinio del Simonetta, che tosto disse a Bona: Io perderò il capo e voi lo stato, tardò ad avverarsi. L’11 di novembre venne egli arrestato col figlio Antonio, il fratello Giovanni ed altri suoi amici, che innalzati da lui nelle cariche, sempre l’avevano risguardato quale lor capo ed oracolo. Mandato a Pavia fu sul principio con riguardo trattenuto dal Moro, ma poi nell’ottobre 1480 dovette lasciare il capo sul palco, dietro ordine di quell’istessa duchessa ornai impotente a salvarlo. In tal modo, come acconciamente avverte il conte Sclopis, «Se ultimo premio al suo servire fu la morte procacciatagli per le arti inique di Lodovico il Moro e del condottiero Roberto (S. Severino) per essa almeno gli fu tolto il dolore di mirare atterrata la dominazione dei suoi principi, e l’Italia divenuta campo aperto alle ire di Francia e Spagna»11.

Ma intanto la sorte di Bona e de’ suoi aderenti precipitava a gran passi, nè il Tassino, che avea soppiantato il Simonetta, potè a lungo godere del suo trionfo. La sua famigliarità con Bona l’aveva reso insolente, e spesse volte, come scrive il Corio, «a la camera andandovi Ludovico il Moro con gli altri primati di Stato, supportava che spectassino infino che era pettenato».

Infine nel giorno stesso sette ottobre 1481, in cui Ludovico fece dichiarar maggiore il nipote Giovanni Maria Galeazzo, pretendendo (onde escludere affatto da ogni negozio la Bona) che, sebbene sol tredicenne dovesse governare, il Tassino col padre suo Gabriele consigliere ducale, venne chiuso nel castello di Porta Zobia, e quindi [p. 72 modifica]relegati dal ducato andarono poi a cercare rifugio presso il duca di Ferrara, a cui l’imprudente Bona li raccomandava caldamente, chiedendo nientemeno che presso la corte Estense potessero godere quegli stessi ufficii che già avevano avuto a Milano. Or ecco quanto il Corio soggiugne di Bona: «Per la partita di costui entrò in tanta furia che, dimenticato ogni suo honore, e dignitate ancor lei deliberò di absentarsi e passare oltre monti, e da questo pessimo proposito mai non se puotè revocare, ma scordandosi ogni filiale amore, in mano de Ludovico Sforza rinuntiò la tutela dei figlioli ed il stato, e ne fu celebrato publico instromento per Francesco Bolla e Candido Porro, causidici degnissimi, puoi, come demente, navicò ad Abbiategrasso con animo di passare in Francia, ma ivi fu ritenuta per commissione di Ludovico governatore»12. Osservo però che, a parte la predilezione mostrata pel Tassino, la risoluzione presa di ritirarsi dalla corte, cotanto imputata a Bona come madre, può trovare scusa negli avvenimenti succeduti in appresso, che svelarono palesemente a tutti l’indole del Moro, cui abbastanza conosceva la vedova duchessa.

Se si deve credere ad altro scrittore contemporaneo, in quei primi momenti d’indignazione, Bona pensò di rinchiudersi in un monistero di Abbiategrasso cum personis tantum duabus ut dicebatur13. Non era sicuramente spinta a quell’atto da predilezione per la vita claustrale e contemplativa, poichè un baleno di speranza ella aveva ancora di poter migliorare la propria sorte, e a dispetto della vigilanza del Moro, nell’ottobre del 1481 ebbe mezzo di rifugiarsi in Francia.

Quando poi fra le varie vicende che dovette subire la Lombardia a que’ giorni, il noto condottiero Roberto di S. Severino ribellossi allo Sforza, il nome della nostra [p. 73 modifica]Bona servì di protesto alla concepita rivoluzione; ma sventata. Roberto, d’accordo con un tal Luigi Beccheto, già segretario di Bona, allora esule a Torino, aveva scritte finte lettere a nome del duca, a Vercellino Visconti governatore del forte di Trezzo, con cui lo consigliava a non impedire ad esso Roberto il passo del fiume.

Così avvenne bensì il 15 luglio 1483, gridandosi dallo esercito: Bona Bona, duca duca; ma non tardò la frode a divenir palese, e la guerra fu dichiarata a’ complici veneziani.

Parimente, nel finir del gennaio dell’anno susseguente, altra congiura tentò di rovesciare Lodovico Sforza, ma essa pure finì col supplizio degli implicati. Fra Ugo Barettino osservante, confessore di Bona, Luigi Vimercati con altri avevano stabilito di uccidere Ludovico nella festività di S. Ambrogio. Osserva il Corio «che la causa di questa coniurazione principalmente era a contemplatione de la ducissa Bona». Non pare però che in quei nefandi progetti tenesse la menoma parte la duchessa, poichè da un passo di lettera pubblicato dal Morbio, si deduce che il sette dicembre 1483 dopo lunghi maneggi del re di Francia, ella otteneva di rientrar nel ducato, dove veniva onorevolmente accolta. 11 suo nome riscontrasi quindi tosto, in occasione di avvenimenti lieti succeduti nel gennaio del 1489, in cui conchiusesi il matrimonio d’Isabella di Aragona con Giovanni Galeazzo. Nel passaggio della sposa per Vigevano ed Abbiategrasso, Bona mosse a riceverla, ed a Milano assistette alle feste colà celebratesi nel febbraio.

Nel 1491, quantunque nuove convenzioni si fossero effettuate sino dal luglio precedente in Pontalbera fra Giovanni Galeazzo e la nostra duchessa, nello scopo di mantenere reciproca calma e quiete, ella nullameno volle ancora tentare tutti gli espedienti possibili per far ritorno in Francia; desiderio che novellamente le veniva [p. 74 modifica]contrariato dal Moro, il quale fece circondare di guardie lei colle sue damigelle, tra le quali noto una tal Beatrice piemontese.

Nel 1493 essendo stata non poco inferma, ebbe a dimorare alternativamente a Vigevano, Abbiategrasso e Milano, sempre però coll'accompagnamento di persone devotissime a Ludovico, e nell’anno successivo dovette esperimentare la più grave delle sciagure per una madre , essendo, dopo lenta malattia, morto il suo figliuolo Gian Galeazzo nel castello di Pavia, non senza sospetto di veleno. Fra i pochi che poterono assistere l’infelice principe, notasi Bona, a cui Ludovico aveva conceduto di compiere all’atto pietoso.

Spento il misero duca, Bona passò di nuovo in Francia , come rilevasi dai documenti pubblicati dal cav. De Rosmini nella sua istoria di Milano: il Morbio poi prova pure che il 21 gennaio 1499 l’oratore del duca in Torino scriveva a Ludovico, in nome del suo principe, per raccomandargli Bona che trovavasi a Lione, onde venisse assistita nel suo passaggio a Torino.

È da questo punto che partono le nostre indagini sugli ultimi anni e sulla morte di Bona, corroborate, come fu detto, dai nuovi documenti ritrovati.

Pompeo Litta nelle sue Famiglie illustri italiane scriveva che Bona moriva intorno al 1494, nel che fu tosto contraddetto dal Rosmini; il quale coi documenti Trivulziani provò esser essa nel 1496 in Ambuosa, nè guari appagata del Cristianissimo. Questo scrittore confessa indi di più non conoscere i casi di Bona. Più fruttuose furono le ricerche del Morbio, che scoprì, nel 1499 essere ella a Lione, come fa osservato. Il nostro S. Tommaso poi, che già aveva formato obbietto delle sue ricerche questo punto, ripigliollo nel 1838, ed a guisa del Morbio opinava che, compiendosi simili ricerche nella Francia, si sarebbe avuto prospero successo. Dunque credevasi che Bona avesse chiuso i suoi giorni al di là dell’Alpi. Più rimarchevoli [p. 75 modifica]poi sono queste parole del S. Tommaso, che leggonsi in un’annotazione al peraltro pregevole suo lavoro su di Bona: «Se il ch. sig. Ercole Ricotti piemontese il quale in giovane età, onora già l’Italia con eccellenti opere letterarie, ed ha per la sua storia delle compagnie di ventura ottenuto il premio proposto dall’Accademia dolio scienze di Torino, non è ingannato dalla propria memoria, basterebbe a sapere il luogo e il tempo della morto di Bona l’aver la pazienza di leggere da un capo all’altro tutti i volumi del Glossario del Ducange, imperocchè il signor Ricotti mi ha affermato, che prima che io pubblicassi le mie notizie intorno a Bona, egli, ignorando affatto che io mi occupassi in ciò, lesse per caso nell’opera suddetta un passo di documento, il quale nota appunto il luogo ed il tempo della morte di Bona, ma che non gli sovviene sotto a qual vocabolo sia stampato. Ninna edizione del Glossario di Ducange avendo (ch’io sappia) indice nominativo, è indispensabile a chi voglia cercare la notizia suddetta, leggerlo tutto».

No, non è col mezzo del Ducange, che per la ragione addotta dal Comm. Ricotti nemmeno noi abbiamo consultato, ma sibbene con una prova diretta, che noi possiamo diradare le tenebre che sinora ci hanno velato tempo e luogo della morte di Bona, di cui l’ultima dimora e la morte ci è scoperta dalle lettere da me trascritte, e dagli estratti dell’accennato cavaliere Combetti.

Le lettere adunque anzitutto ci svelano che nel 1502 ella abitava il castello di Fossano, posto negli stati del suo nipote Filiberto di Savoia, che avevale assegnata per dimora quella terra fortificata del meridional Piemonte, coi redditi annessi, come dalle lettere date a Ginevra il 21 aprile 150014.

[p. 76 modifica]Il qual luogo accordatole dal duca di Savoia per sua dimora, ella tosto locava al nobile Giovanni Cambiano signore di Ruffia, borghese di Savigliano e castellano [p. 77 modifica]di Fossano15, in un coi redditi de’ fitti, censi, emolumenti e simili prestagioni, eccettuate le confische degli eretici e dei condannati a pena capitale, pel prezzo di fiorini 1700 picciol peso, da pagarsi annualmente, insieme a 700 sacchi di grano alla misura di Fossano. Rogavasi l’atto ad Antonio Maino di Poirino, e ratificavasi dal duca per lettera data da Ciamberì il 3 dicembre del 150216.

Ecco ora la prima delle accennate lettere da lei sottoscritta, e diretta ad un tal Gervasio, uomo confidente di Bona e che veniva da lei adoprato ne’ suoi negozii, de’ quali per l’appunto s’intrattiene lo scritto.

Gervaxo. Per dare expeditione a le facende nostre mandemo el presente exhibitore secretario nostro al quale per parte nostra havemo commisso se debia dire alcune cosse al quale daray quella fede che paressi a noy propria. Le faray senza tallire tuto quello che per luy in nome nostro ti sarà imposto et commisso in quanto desideri farci cossa grata.

Ex castro Foxani, xvii novembre 1502.

Bona duchesa de Milan17.           


La seconda lettera reca la stessa data della precedente, ed è diretta al gran mastro di Francia, signor [p. 78 modifica]di Chaumont luogotenente generale regio di qua da’ monti. Ancor questa concerne i suoi interessi, e ci somministra viva immagine delle umane vicende, lo scorgere colei, cui un giorno potea disporre di sterminate somme di danaro, e che a Firenze, ed a Mantova aveva sfoggiata la magnificenza possibile, ora scriver lettere per avere miserabili cinquemila lire tornesi che il re di Francia Luigi XII le aveva assegnato sul ducato di Milano. Anzi la povera duchessa aveva ancora a ripetere le annate del 1501 e 1502, per ottenere le quali implorava la mediazione di quel personaggio ond’essere in grado di satisfaire à mes premieres nècéssités


Monsieur mon cousin.


A vous de bien de ben coeur me recommande. Il a pleu au Roy tous les ans moy ordoniier sur l’estat de Millan cinq mille livres tournoises lesquelles m’est en tenu de payer le tresourier Turpin du quel ne puys avoir nul ben despeche. Mais suys traytée on estrange et de sorte que la poursuyte de la dite pension me couste tous les ans plus de cent escus que n’est pas cellon que je croi la voulunté du Roy dont mon cousin vous envoye par expres le present mon serviteur au quel si commise vous dire de ma part aulcunes choses le quel s’il vous plait croyres comme moy mesme. En vous priant de bon coeur que vostre playsir soyt par vostre auctorité charger le dit tresourier a moy payer tout ce que me doibt de la presente année a cause que puisse satisfaire a mes premieres necessitées vous advisant que encores ne suys esté payée d’unne partie de l’an 1502. En tant que je cognoys parfectement que si ne me donnes en cecy quelque ayde et faveur que le dit mon argent sera le dernier payé et le plus long que soyt ordonné sur le dit estat et si me feres ce service vous me feres chose tres agreable que ne sera pas oubliée quant pour vous pourray taire quelque chose la quelle vous promets de taire de bon vouloyr. En vous disant adieu qu’il vous dogne ce que desires.

[p. 79 modifica]Escript au chateau de Fossati le xvii iour do novembre 1502.

Bonne vice comes de Savoye duchese18.


La lettera del 28 gennaio 1503 è intitolata a Sebastiano Ferrero signor di Gallianico, regio consigliere, che, rinunziata nel dicembre 1495 la carica di generale di finanza da più anni onorevolmente sostenuta in Piemonte, con buona grazia del suo principe, era passato al servizio di Luigi XII, che gli conferì la carica di tesoriere generale delle Finanze regie in Italia. Ed a Milano egli era giunto ad acquistarsi tal credito ed aulorità, che pubblicamente dicevasi che «tra il signor Gio. Giacomo Trivulzio marchese di Vigevano ed il Ferrero maneggiavasi lo stato tutto, nonché la città di Milano»19.

A così potente personaggio dirigevasi per l’appunto la nostra Bona con lettera da Possano del 28 gennaio 1503 in cui lo ringraziava delle cure dimostrate a suo favore , cosa non nuova, dice la duchessa «perchè dove siamo stata sempre vi havemo cognosuto nostro vero e intrinseco amigo». Anche in questo suo scritto la povera principessa lagnasi delle difficoltà che conveniva superare per ottenere la pensione assegnatale, [p. 80 modifica]tornandole poi sensibilissimo di dover essere posposta a persone di vil nascimento.


Magnifice et generoae miles amiceque noster carissime.


Per le littere vostre he per quelle che ne ha per parte vostra dicto il secretario nostro presente portatore dil quale havemo receputo livre due mila he quatrocento che ne havete facto expedirci, havemo, inteyso cum quale amore he affecto vi sete adoperato in le facende nostre la quale non he stata a noi cossa nova perchè dove siamo stata sempre vi havemo cognosciuto nostro vero he intrinseco amico quali beneficii .serano appresso di noi di continua memoria. Siamo stata in dispiacere grande che Girvaxo servitore nostro senza participatione he consiglio vostro habia acceptato quella assignatione di Piasenza perchè questo he stato contra lo comandamento nostro pur se bisoguarà che per amore he respecto nostro siate reparatore de li errori per epso Gervaxo commissi come dil tutto in voi havemo fede he speranza.

Mandiamo per epso secretario nostro lo biancho signato he sigillato per lo anno 1502 del quale ne farete fare tale assignatione che in breve possiamo bavere li dinari nostri per satisfare a le necessitate nostre delle quali assay seti informato.

Scrivemo a Gervaxo che circha le facende nostre non proceda senza participatione he ordine vostro, al quale farete fare la contro littera de la resta de l’anno 1501 aciò che se possiamo di quella adiutare verso la Maestà del re per la resta ciie ne debe dare lo thesorero. Ho per certo che con . . . la semplicità grande del dicto Gervaxo di havere . . . . . . . come l’ha facto.

Epso nostro secretario ne ha narrato come havito facto pagare al dicto Gervaxo le speyse per lui facte in Piasenza he lo modo che havemo a tenire per hauer expeditione de li danari nostri lo quale havemo deliberato di mandar a effecto seguendo lo stillo de le littere che per forma mi havite mandate he incontinenti ritrovato che sia da voy epso nostro secretario dil che di bon core vi ringratiamo pregandove per [p. 81 modifica]quanto a noi sia possibile che iuxta il solilo stillo vogliate procurare he dare modo che li dinari nostri siano de’ primi pagati he che non siamo poste a comparatione di Bregonzo Botta nè d’altra gente ville li quali avanti noi sono stati pagati, non havendo a noi rispecto, he cossi facendo ne lareti rossa gratissima he quando noi per voi in le vostre ocurrentie poteremo qualche cossa ce la farite intendere che la faremo de bon core come per vostro amico che sempre ne seti stato.

Ex castro Foxani, xxviii ianuarii 1503,

Bona duchesa de Milan.


Allo stesso signor di Gaglianico sono pure da Bona scritte due altre lettere datate da Fossano. Nella prima del 29 marzo 1503, ella ringrazia il Ferrero della sua mediazione interposta presso i duchi di Savoia suoi nipoti; nella seconda del 23 maggio gli manifesta la sua riconoscenza dolendole di non potergliela allora esprimere, che col mezzo di semplici complimenti.


Magnifice et generose miles amiceque noster carissime.


Havemo per il secretarlo nostro receputo le littere vostre cum le mille livre imperiali a noi mandate he per epso intenso la bona opera he exactissima diligentia facta per voy circha la pensione a noy ordinata di la quale me haveti facto grandissimo piacere he vi ringratiamo di bon core pregandove quanto a noy sia possibile per la intrinseca amicitia he Cede che ci mostrati vogliati ciicha quella he per la resta che ne deba lo thesoriero Turpino he havrete fare per modo che siamo satisfacta aciò possiamo satisfare in i)arte a le necessitate nostre de le quali sapemo voy assay esser informato.

Havemo facto intendere al duca he a la ducliessa nostri honoratissimi nepoti lo bon servitio che ne havevi facto he la solicitudine he fatiga, che haveti per amor nostro in le nostre faccende tollerate, le quali vi fanno risposta come per la littera loro che vi mandi.i.mo vederete. Ne ancor vi [p. 82 modifica]meravigliati se siamo stata tarda a dar recapito a epse littere perchè credendo da voy mandare il prelato secretaryo, lo quale siamo stata constrecta mandar in altri luoghi per altre nostre faccende non he stato possibile tuttavolta pel il presente exhibitore vi mandiamo come le presenti nostre epse ducali littere pregandovi a Carvi risposta he quando per voy mai poteremo cossa alcuna ne darite avviso che la faremo molto volentieri come per vero he precipuo amico che mi seti sempre stato.

Ex castro Foxani die 29 marcii 1503.

Bona vicecomes ducissa Sabaudie.


Magnifice et generose miles amiceque noster carissime.

Per le nostre solite faccende mandemo a Millano lo presente exhibitore secretarlo nostro lo quale per rispecto nostro et iuxta il vostro solito stillo haverete per ricomandato in farli expedire quelli dinari che mi sono stati assignati in su li conti Bollognini li quali secondo havemo inteyso doveriano esser mandati et incontinenti expedicti ma usque nunc di quelli non havemo possuto recuperare uno quattrino che se non fusse quelle mille livre che ultimamente per epso secretarlo ne mandasti vi faciamo certo che eramo in grandissima necessitate dil che sempre vi ringratiamo di bon core come vi havemo facto intendere per le littere che la excellentia del duca e di la duchessa nostri e ancora noi vi havemo scripto de la quale che dopoché lo presente exhibitore da voi e partito nulla mai di voy havemo habiuta risposta del che siamo stata in qualche pensiero he fantasia non intendendo dove questo proceda.

Intendemo veraciter che la magnificentia vostra da noi meriteria altro premio he satisfactione che quella ha habiuto per fin di qui de tanti prestati beneficii he tollerate per noi fatiche, ma per il presente voglia quello acceptare per facto la voluntate nostra la quale di continuo ha in memoria epsa vostra magnificentia per poterli far cossa che li sia grata.

A quella denuo sempre reccomandamo le faccende nostre pregandola affectuosamente voglia fare che habiamo li dinari piasentini he bollognini he per la resta di l’anno passato e presente ne sia facta tal le assignatione per Turpino [p. 83 modifica]thesoriero la quale havemo inteysi . . Millano che possiamo ricevere he adiutarsi de li dinari nostri . . . . senza grande dispendio. A voi ci racomandiamo per lo quale si ebbe mostrata la possibilità nostra ad ogni rossa grata.

Ex castro Foxani die 23 may 1503.

Bona vicecomes de Sabaudia ducissa.


Evvi finalmente ancora un'ultima lettera di Bona, scritta da Fossano il 12 novembre dello stesso anno, poco prima della sua morte, e diretta ad Antonio Turpino tesoriero generale di Milano e regio consigliere, in cui rinnova le lagnanze sui ritardi del venir soddisfatta, dolendosi di aver dovuto trattenere ancora a spese sue a Milano, messaggiere incaricato di esigere il fatto suo.


Tres cher et bon ami.

Pour la recouvre de ma pension aynsi qua vous votre commis scavez ey tenu continuelement uny et aulcune sorte d’eux de mes serviteurs a Millan a mes deppens qui m’est pas peu de cliagrin mais crois rien ne vaiilt car tous jours suys traytée de pyre sorte de quoy fort suys esbayé cognoisant la volonté du Roy estoit quil me soyt fait mon debuoyr et pour ce je vous renvoye expressement a cette cause le present pourteur mon secretayre pour recevoyr l’argent de cette presente année auquel y donne le blanc scelle pour vostre descharge et commis de ma part vous dire aulcune chose auquel donnerez moy comme a moy mesme en vous priant de bien bon coeur que vostre playsir soit sans differir audit mon secretayre fair.... despeche touchant la dite ma pension que mon argent me soyt pas demeuré au bout de l’année qui vient aynsi que avez accostumé et me ferez service tres aggreable en vous disant adieu qu’il vous doynne ce que desires.

Escripte au chateau de Fossan le xii de novembre 1503.

Bonne vicecomes de Savoie duchese.

Nell’indirizzo:

A Monsieur le tresourier General de Millan et conseiller du Roy meestre Anthoine Turpin mon bon ami.

[p. 84 modifica]Nel mentre che ritrovavansi queste lettere negli archivi camerali di Torino, veniva presentato alla R. Deputazione torinese di Storia patria il risultato delle ricerche, me insciente, fatte dal lodato cav. Combetti, a cui deggio esser grato delle risparmiatemi indagini ne’ conti della castellania di Fossano, a’ quali mi sarei rivolto per avere le necessarie ed ulteriori notizie su Bona.

Il lavoro del Combetti adunque fu coronato di prospero successo, poichè egli appunto ritrovava il tempo preciso della morte di Bona da queste espressioni che si leggono nell’atto di accensamento della castellania «quorum omnium vigore computat hic de dicta firma seti censu a die quinta mensis iulii inclusive anno Domini millesimo quingentesimo secundo usque ad diem quintam mensis ianuarii exclusive anno Domini millesimo quingentesimo quarto videlicet de uno anno integro viginti sex septimanis et uno die integro quo die propier obitum ipsius illustrissimae dominae Bonae ducissae Mediolani predictae fuit ipsum accensamentum interruptum »20, parrebbe che essa morisse il 5 gennaio 1504, ma nella nota della pagina seguente, si indica la seconda metà del novembre 1503 avendo ella anni cinquantatrè e qualche mese. E quel triste fato che d’alcuni anni accompagnava la misera principessa vivente, non l’abbandonò persino dopo morte, poichè quell’avvenimento ignoravasi quasi dai contemporanei nè nelle cronache, nè negli scrittori del tempo, di esso ritrovasi alcuna menzione21. Che più: i particolari della sepoltura stessa di Bona, ci attestano la miseria ond’era circondata: due sole faci collocatesi presso l’esanime suo [p. 85 modifica]corpo tennero luogo di quella così detta cappella ardente che, specialmente allora, il ceremoniale prescriveva per onorare le esanimi spoglie dei principi, onde serbare appunto quel prestigio che vivendo s’avea tanta cura d’imprimere nelle menti. E quasi questo non bastasse ancora, due altre sole faci s’adopravano per accompagnarne alla sepoltura il corpo, nè essendovi un solo strato funereo per coprirne il feretro, lo si doveva far venire nientemeno che da Carignano22. Ed in tal modo finiva [p. 86 modifica]colei, che sul trono ducale di Milano aveva sfoggiata tutta quella magnificenza per cui allora distinguevasi sugli altri antichi principi d’Italia la nuova casa degli Sforza, col merito, col valore e coll’astuzia divenuta al rango delle famiglie sovrane della penisola.

A fronte però di questi documenti un punto ancor rimane involto nell’oscurità, ed è quello che risguarda il luogo della sepoltura di Bona. E se nell’or enunziata parcella delle spese accennasi ad una chiesa di S. Giuliano, a cui di notte venne portato il corpo dell’estinta principessa, non sarebbe agevole di propriamente indicare quale fra le varie chiese di tal nome che allora esistevano, fosse quella in cui Bona ricevette sepoltura.

In quanto a me inclinerei a credere che si dovesse ritenere quella antichissima spettante all’insigne abbazia di S. Pietro di Savigliano, esistente ancor oggidì presso quella città, alla sola distanza di cinque miglia e mezzo da Fossano e dove hannosi lapidi ed iscrizioni, parte leggibili parte no; del resto, auguro miglior fortuna in proposito a qualche altro diligente indagatore23.

A segnalare poi la miseria di quei tempi, miseria morale e miseria reale, non mancarono fatti, che uno storico non deve lasciare sfuggire. Ne’ citati conti, della castellanìa di Fossano si hanno lettere di Carlo III, date da Ciaraberì il 20 gennaio 1524, con cui venivano ammessi a far difesa i nobili Sebastiano ed Antonio Bava, borghesi di Fossano, che erano stati carcerati, per l’accusa di essersi appropriati beni spettanti alla duchessa Bona, secondo l’indizio della voce pubblica [p. 87 modifica]che aveva divulgato, o veramente o falsamente, essersi il patrimonio di costoro, di non poco aumentato24.

[p. 88 modifica]Anche da queste lettere ducali rimane segnalata la tristizia dei tempi, poichè Sebastiano Bava, imprigionato nel castello di Torino, in seguito a sole prove [p. 89 modifica]testimomiali doveva soffrire persino la tortura, e pell’avanzata età diveniva malaticcio. Nè valevano a liberarlo dai sofferti disagi le lettere che venti e più anni dopo emanava Carlo III, e con cui il 20 gennaio 1524 ingiungeva agli avvocati e procuratori fiscali, ed al vicario di Fossano di rilasciare gli accusati in discorso, imponendo silenzio e cessazione di ogni ulteriore procedimento. Del resto a quell’atto di tarda giustizia addivenivasi colla solita panacea atta a guarire molti mali, voglio dire il danaro, e la grazia appunto era l’effetto in buona parto di due mila scudi che i Bava dovettero consegnare all’erario ducale, se amarono di conseguire la libertà25.

[p. 90 modifica]Più amica sorrise la fortuna ad un semplice servitore della duchessa, la qual sorta di gente d’ordinario in- contra buona ventura nelle corti, dove spesse volte sono premiati piuttosto questi umili servigi, che non altre nobili fatiche. Il favorito dal duca Filiberto [p. 91 modifica]adunque era un Taddeo da Settimo, il quale, con lettera data a Fossano il 27 gennaio 1504, veniva nominato custode del castello di Fossano, nel qual geloso ufficio aveva da lungo tempo già servita la stessa principessa estinta, come dalle citate lettere, ove il duca conferivagli l’impiego «actendentes ad longaeva et gratuita servicia per dilectum nostrum Thadaeum de Septimo illustrissimae quondam dominae aviae nostrae honorandissimae dominae Bonae de Sabaudia ducissae Mediolani usque ad sui decessus diem continue impensa»26.

Ed ecco in brevi termini svolto co’ documenti sinora sconosciuti, questo punto della vita della rinomata duchessa di Milano, le cui vicende potrebbero agevolmente somministrare a qualche romanziere, materia sufficiente per intrattenere coloro che rifuggendo dalla lettura di scritti più gravi, si dilettano per contro di quelli improntati da piacevoli e men serie considerazioni.



Note

  1. Nato in Fermo il 24 gennaio 1444.
  2. Era nata ad Avigliana nell’agosto 1449 da Ludovico di Savoia ed Anna di Cipro.
  3. Carlotta di Savoia aveva sposato in marzo 1461 Luigi, ancor Delfino.
  4. Storia di Milano, prima edizione.
  5. Questa sposò Massimiliano I imperatore, con mira del Moro di agevolarsi la strada al ducato. Oltre gli accennati figli, da Bona ebbe ancora Galeazzo, Alessandro, Anna, che nel 1491 sposò Alfonso d’Este, Carlo che tolse Bianca figlia di Angelo Simonetta, Clara unitasi al conte Pietro Del Verme. Non mancarono al duca i figli naturali: il Litta ne novera tre.
  6. Luogo citato.
  7. Antonio De Ripalta. Annales piacentini,
  8. Luogo citato.
  9. Conosce il lettore la morte toccata il 16 maggio del 1412 a Giovanni Maria Visconti duca di Milano pugnalato mentre udiva la messa nella chiesa di S. Gottardo per essere divenuto odioso al popolo non tanto per le imposte gravezze, quanto per la sua crudeltà inaudita.
  10. Ripamontii, Rerum patriae.
  11. Lettera all’abate Cazzera, pag. 24.
  12. Luogo citato.
  13. Athonii de Ripalta, Annales placentini.
  14. Philibertus dux Sabaudiae Chablasii et Augustae sacri Romani Imperii princeps vicariusque perpetuus marchio in Italia princeps Pedemontium, comes Gebennensii, Baugiaci et Rotondi montis Baro Vuaudi Gay et Foucigniaci patriarumque Breyssie Nyciae et Vercellarum etc dominus.

    Universis facimus manifestum quod nos considerantes viduitatem et consansanguneitatem illustrissimae aviae nostrae honorandissimae dominae dominae Bona ducissae Mediolani, volontes itaque de aliquo ex castris nostris infra quod residentiam suam facere possit eidem providere ex nostra certa scientia consilliariorumque et procerum nostrorum subscriptorum super hiis deliberacione prehabita eidem illustrissimae dominae dominae aviae nostrae honorandissimae dominae dominae Bonae donamus largimur et remictimus castrum nostrum Fossani pro sua mansione fienda una cum omnibus redditibus et preysiis ad causam ipsius castri villae et mandamenti et districtus Fossani nobis annualiter debitis et hoc quamdiu vita potietur humana et nostrae fuerit voluntatis. Mandantes propterea consiliis nobiscum Thaurini et Camberiaci residentibus praesidenti et magistris camerae computorum nostrorum thesaurario Sabaudiae generali receptori ultramontano castellano clavarie ac caeteris officiariis et subditis nostris dicti loci et mandamentis Fossani seu ipsorum officiariorum locatenentibus et cuilibet ipsorum sub pena centum librarum forcium pro quolibet dictis consiliis et de camera inferiore quatenus huiusmodi donacionis et remissionis licteras nostras prelibate illustrissimae dominae aviae nostrae iuxta ipsarum formam et tenorem teneant actendant et inviolabiliter observent. Verum ipsi castellanus clavarius et caeteri officiarii dicti loci Fossani preyssias ipsorum castri villae et mandamenti in aliis manibus quam dictae illustrissimae aviae nostrae aut ab eadem deputandorum solvere habeant et in nullo contraveniant quomodolibet vel opponant. Dantes ulterius in mandatis prefatis prendenti et magistris camerae computorum nostrorum thesaurario generali et receptori ultramontano quod eosdem castellanum clavarium et receptorem preyssiarum predictarum castri villae et mandamenti ad quicquam nobis solvendum non compellant quibuscumque oppositionibus exceptionibus mandatis licteris cuipiam alteri sub quavis verborum forma forsitan inadvertenter concessis regulis stilis et consuetudinibus dictae camerae ac aliis contrariantibus non obstantibus. Quibus omnibus quoad hec ex dieta nostra certa scientia derogamus.

    Datas, Gebennii die vicesima mensis aprilis anno Domini millesimo quingentesimo. Per dominiiin presentibus domino illustri Rainerio naturali Sabaudiae comite de Villariis locumtenente Sabaudiae generali, reverendo Aymone de Montefalcono episcopo Lausannae, reverendo Lodovico de Gorrevod episcopo Mauriannae, Iohanne de Challes gubernatore Breyssiae, Anthonio de Gingino domino Dyvone preside, Angellino Provana patrimoniali preside, Angustino de Azelio et Francisco Provana, Deffendente de Pectenatis advocato fiscali, Romagnano de Romagnano magistro hospicii, Bencdicto Tortelleti magistro requestarum. - Conto del Cambiano citato, estratto dal lodato Cav. Combetti.
  15. Della nobilissima Famiglia dei Signori di Ruffia, che nel secolo XIV produsse il Beato Pietro; nel susseguente, Giulio, autore di cronache interessanti, e nel decimosesto, Giuseppe, gran priore di Malta ed autore dei Discorsi Storia su fatti avvenuti in Piemonte a’ suoi giorni.
  16. Conto di G. Cambiano, castellano di Fossano, negli anni 1502, 3, 4 e 5, estratto dal cav. Combetti.
  17. Archivi camerali.
  18. Archivio camerale
  19. Oltre la metà dei due feudi Boriana e Beatino ereditati dai padre suo Besso, morto nel 1474, acquistò quelli di Gaglianico, Benna, Candelo, Mongrande Sandigliano, Verrone, Birolo, Nermes, Zumaglia, Castelletto, Montecavallo, Quoregna, Serravalle, Borgnato, Vintobbio, Pozzuolo Leceno, Casalbroglio di Cossato, Casalvallone, Villata, Ponzana e l’isola di Brisaso sul Lago Maggiore. Aveva sposata nel 1466 Tomena Avogadro di Corrione, e de’ vari figli che da essa ottenne, il primogenito Besso sposò Francesca di Ludovico Chailland, che lo fece padre ili Filiberto, il quale dopo la morte del padre, venne adottato da Ludovico Fieschi coll’obbligo di aggiugnere al nome del suo casato ed al proprio stemma, quello dei Fieschi. Sebastiano morì in Gaglianico, secondo il Tenivelli, tra il 30 luglio e 23 novembre 1520, e fu sepolto in S. Domenico di Biella,
  20. Archivi camerali, conto del nobile Giovanni Cambiano di Ruffia.
  21. Il Lanfranchi autore di una storia Ms. di Fossano, che conservasi nella real biblioteca di Torino, avverte che il Caramelli, il quale trascrisse molti documenti relativi a Fossano nota essere Bona morta a Fossano, avendolo ricavato dalla nota delle speso fattesi pe’ suoi funerali ch’esisteva negli archivi della cattedrale.
  22. Parcella expensarum factarum ad causam mortis quondam illustrissimae Bonae de Sabaudia ducissae Mediolani.

    Et primo pro labore et expensis nuncii qui accessit equester ad civitatem Taurini pro notificando infirmitatem quondam illustrissimae dominae dominae Bonae de anno millesimo quingentesimo tertio et die prima mensis octobris et vacavit tribus diebus - iii floren.

    Item soluti nuncio equestri mandato ad notificandum mortem praelibatae illustrissimae Bonae tam pro expensis quam pro mercede eiusdem qui vacavit per spacium trium dierum - iii floren.

    Item dati Zanella Francisco, Montiforti Anthonio, Tansi Francisco, Ferrerli Constancio, Piellae et Magdalenae Charamsonni qui steterunt tam in castro quam ad portam eiusdem castri ne (expillarentur) bona quondam illustrissimae dominae Bonae et ibidem steterunt diebus septem et septem noctibus inclusis expensis eisdem et cuilibet ipsorum factarum de dicto anno millesimo quingentesimo tertio et die decimo septimo novembris et ibidem steterunt usque ad diem vicesimam quartam mensis novembris ad racionem de grossis quatraginta duobus pro quolibet - xviii floren.

    Item in torchiis quatuor positis videlicet duabus ad corpus quondam illustrissimae dominae dominae Bonae adhuc existens in castro, et aliis duabus pro portando corpus eiusdem quondam illustrissimae Bonae de noete portatura ad ecclesiam Sancti Iulliani in qua dictum corpus sepelliverunt ponderantibus libris duabus cum dimidio pro quolibet - iv fior., gross. ii.

    Item eodem anno et die vigesima quinta mensis novembris dati Roxaterio qui portavit copertam a viis ad locum Cargnani quam portaverunt pro sepoltura eiusdem quondam illustrissimae Bonae. i fior., iv gross.

    Item ea die dati pro piancha castri de novo facta inclusis travetis partibus et manufactura magistrorum que plancha ruinavit in tempore in quo flebat sepultura eiusdem quondam illustrissimae dominae Bonae.- ii fior., iii gross. - Conto del nobile Giovanni Cambiano per gli anni 1502, 3, 4, e 5; Archivi camerali.
  23. Devo qui render grazie al chiar. sig. avv. Niccolò Borsarelli sostituto della Regia Procura a Mondovì amatore delle cose patrie, il quale secondando le mie istanze fece non poche ricerche presso alcuni eruditi in Fossano nello scopo di scoprire questo punto.
  24. Litterae cum supplicatione admissionis ad defensionem extra carceres ad opus nobilium Sebastiani et Anthonii de Bavis. Illustrissime princeps. Exponitur parte nobilium Sebastiani et Anthonii de Bavis burgensium Fossani quod ad falsas suggestiones et informationes sumptas ab eorum inimicis et emulis contra eos solicitantibus varia dampna fuerint intitulati per dominum procuratorem Fiscalem excellentiae vestrae de expilata quadam hereditate quondam dominae Bonae relictae quondam illustrissimi domini Iohannis Galeaz Sforciae ducis Mediolani nullo dato denuncis actore seu accusatore sed ex solo officio fuerintque eo pretextu arrestati detenti pluribus mensibus et diebus et per varios commissarios excellentiae vestrae examinati interrogati et multipliciter repetiti et tot ac tantis et diversis molestiis affecti quod et in personis ac bonis eorum gravia dampna supportarunt et supportant infirmitatesque perniciosas incurrerunt ex quibus nisi benignitas et excellentia vestra oculos pietatis sue ad eos divertisset dubium est quod mortem gustassent. Et quamvis non diffidant in eorum deffensionibus sed confìdant in eis etsi cum parte aliqua privata agere haberent sese de facili victores evasuros et eorum innocentiam in publicum edocturos.Tamen quia sunt iara experti supradicta dampna et pericula et etiam perorescunt et molestum habent litigare cum eadem excellentia vestra etiam cum eorum bono iure et etiam per varia impedimenta belli quod lit in partibus Lombardiae ubi habent testes quamplures ad eorum innocentiae iustificationem examinare facere quos habere erit eis durum et laboriosum et quasi impossibile stantibus exercitibus armorum in partibus illis et viarum discriminibus ac quamplurium testium propter bellum fuga et ocultatione, humiliter supplicatur premissis attentis etiam cum causa huiusmodi intitulationis non foret nec esset criminali iudicio tractanda sed civiliter in iudicio civili et ex aliis pluribus respectibus ex certa seientia commictere et mandare magnifico Consilio Thaurini residente ut in ea procedat et iustitiam faciat decidat deffiniat absque ullo pretextu ipsius causae seu dependentium ex ea seu ex informacionibus sumptis vel probacionibus factis sumendis supervenientibus aut flendis seu ex aliquibus submissionibus per eos factis aut cautionibus prestitis arrestatione detentione vel personarum eorum ulteriori molestia in procedendo ita quod dicantur admissi ad eorum faciendum deffensiones extra carceres detentiones arrestationes personales et quod alias dilaciones eis necessarias ad probandas et faciendas huiusmodi deffensiones concedat seu concessas proroget ex quo pretextu predictorum impedimentorum et infirmitatis fuerunt impediti eorum examina perficere et adhuc impediuntur ne deffectu temporis intercipiantur prout credunt sese obtenturos ab eadem excellentia vestra quam conservet Deus.

    Carolus dux Sabaudiae. Dilecto Consilio nostro Thaurini ordinario residenti salutem. Visa supplicatione subannexa nec non informationibus et expletis inibi mentionatis et omni tenore considerato informati itaque de huiusmodi supplicatorum materia, igitur his et aliis bonis moti respectibus ex nostra certa scientia vobis per has expresse commictimus et mandamus quatenus supplicantes ad suas faciendum deffensiones extra carceres ratione in eos intitulatorum de quibus supplicatur et dependentium ex eis admictatis quos nos ex eadem nostra certa scientia admictimus sibique remictimus et quietamus quascumque poenas per eosdem et eorum quemlibet ea occasione quomodolibet commissas vel incursas cassamus etiam et annullamus quascumque submissiones et cautiones per eos respective factas et prestitas vobis alterius commictendo quod huiusmodi supplicatorum materia cum suis dependentibus universis vocatis advocatis et procuratoribus nostris fiscalibus audiatis examinatis cognoscatis difiniatis decidatis et partibus iustitiam ministratis expeditam. Interea vero et vestra huiusmodi agnitione pendente adversus eosdem supplicantes ipsorum supplicationem ac ex eis dependentium occasione observatis eisdem dictis defensionihus extra carceres in persona vel bonis coniunctim vel divisim nihil novi fieri et minus eosdem capi arrestare et detineri volumus et id ne fiat procuratoribus nostris fiscalibus et ceteris quibus expedierit sub pena centum librarum fortium pro quolibet expresso prohibemus oppositionibus exceptionibus litteris mandatis et aliis contrariantibus quibuscumque non obstantibus.

    Datum Gebennis die vigesima mensis ianuarii millesimo quingentesimo vigesimo quarto. Per dominum presentibus dominis reverendo Claudio de Stavyaco episcopo Bellicensi cancellario ordinis – Iohanne Comite Gruyerie ex militibus ordinis Claudio de Balleysone barone Sancti Germani Petro Gorreti Philippo de Ducibus collaterali consilii Chamberiaci. – Hugone de Balma domino Tyreti magistro hospicii. - Estratto dal cav. Combetti dal protocollo originale del segretario ducale Valliet, N. 23.
  25. Indulgentia nobilium Sebastiani et Anthonii de Bavis de Fossano.

    Carolus dux Sabandiae etc. Dilectis consiliis nobiscum et Thaurini residentibus advocatis et procuratoribus nostris fiscalibus vicario et clavario Fossani ac ceteris univorsis et singulis officiariis et commissariis nostris ad hoc specialiter deputatis salutem. Cum per procuratores nostros fiscales molestarentnr et processibus involverentur Sebastianus et Anthonius de Bavis de loco Fossani in et super eo quod dicerentur bona hereditaria illustrissimae quondam dominae Bonae de Sabaudia olim ducissae Mediolani in castro dicti loci Fossani defunctae expilasse et seu ab expilatoribus receptasse dictaque bona ad eos pervenisse ex quibus mirum in modum eorum facultates excreverunt ita ut publica vox et fama foret quod ex dictis bonis ditati sunt et ob id fuerit detentus personaliter in castro nostro Thaurini dictus Sebastianus per quem specialiter fuit per nos destinatus spectabilis benedilectus noster Mamertus de Costis locumtenens Breyssiae commissarius in hac parte specialiter deputatus qui ad multiplices actus processit contra eosdem de Bavis et praesertim dictura Sebastianum nec non Franciscum Mussi quod diceretur examinatu falsum deposuisse aut saltem celasse tunc verum. Et in dictis suis dolore variasse in favorem dictorum de Bavis quorum alter sibi ex genere et propterea dictum Sebastianum fuisse torturis suppositum ut veritas haberetur ab eius ore et ipsos ambos dicturaque Franciscum respective puniri secundum quod deliquisse comperientur et latius prout in expletis de et super hiis confectius latius continetur ad quae relatio opportuna habeatur. Ex adverso autem parte ipsorum intelectatorum exciperetur et allegaretur in vim suarum deffensionum quod fuerunt et sunt innocentes de praemissis in quibus et circa quae nihil egerunt dolo malo propter quas pretendant se se posse de iure purgare in personis vel bonis coniunctim vel divisim uberiores tamen lites cum Fisco nostro vitare volentes et citra animum confitendi aliquod debitum nobis bumiliter supplicarunt ut dignaremur de et super premissis opportune providere compatire longissimae detentioni dicti Sebastiani ac senio et infirmitati dicti Francisci qui ubi in aliquo variaverit potius id egit ex oblivione quae senes concomitatur quam per dolum bonum bonae gratiae nostrae se submittendo. Hinc est quod nos visi et per consilium nobiscum residens; de nostro mandato visitatis processibus informacionibus et expletis de et super processibus omnibus ot singulis sumptis et confectis et ipsius ac commissarii per nos destinati predicta relacione intellecta ac de omnibus piene informati mature procerum et consiliariorum nostrorum infrascriptorum deliberacione praehabita vobis et vestrum cuilibet in solidum quantum unicuique spectabit et suo suberit officio committimus et mandamus sub pena centum librarum fortium pro quolibet dictis consiliis inferrere quathenus eosdem Sebastianum Anthonium et Franciscum eorumque servitores de premissis quomodolibet intitulatos coniunctim et divisim in personis vel rebus pretextu premissorum dependentiumque emergentium et connexorum nullo modo molestetis turbetis aut alias quomodolibet inquietetis. Ideo fieri faciatis patiamini vel permictatis quin imo quoscumque processus cautiones submissiones poenas mulctas et alla quavis expleta adversus eosdem alterumve ipsorum coniunctim vel divisim propterea sumptas formatas declaratas et facta cancelletis deleatis et aboleatis quos quas et quae harum serie cancellamus delemus annullamus et abolemus ipsosque intitulato et servitores a premissis in eos obiectis et intitulatos absolvimus liberamus et quietamus quietatosque absolutos et liberos prorsus esse volumus. Et insuper si et quathenus ex expletis iam factis vel flendis in praemissis et circa conscii quoquomodo comperiantur eisdem remictimus et quictamus quascumque penas et mulctas tam in lego quam ab homine impositas etiam conventionales qùibus occasione premissorum puniri possent quomodolibet vel affligi perpetuum silentium fisco nostro de et super praemissis imponendo harum nostrarum serie ad quarum interinationem nullomodo teneantur nec eis potiantur et si interinatae forent ad formam statuti per nos editi de graciis interinandis cui quoad haec ex nostra certa scientia derogamus et derogatum esse volumus per presentes. Quibuscumque oppositionibus exceptionibus litteris mandatis et aliis in contrarium allegandis non obstantibus. Et hoc etiam agimus tam liberaliter et de gratia speciali quam pro et mediantibus duobus mille scutis a sole per nos habitis et receptis manibus nostris propriis et quos habuisse et recepisse confitemur has in testimonium concedentes.
    Datum Gebennis die vigesima ianuarii 1524.
    Estratto dal cav. Combetti, dal protocollo del segretario ducale Valliet, N. 23.
  26. Conto citato di Giovanni Cambiano. Erano presenti a quell’alto «illustri Carolo de Sabaudia ac Francisco de Lucemburgo vicecomite Marticii Lodovico barone Myollant comite Montismaioris marescallo Sabaudiae. Anthonio de Gingino domino Dyvone praeside, Angellino de Provanis praeside patrimoniali Deffendente advocalo fiscali et Stephano de Capriis thesaurario Sabaudie generali.