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duchessa di milano | 69 |
Il corpo di Galeazzo, tolto di vita sui soli trentatrè anni, venne allora deposto nella canonica di quel tempio, vestito delle insegne ducali, avendo Bona mandato tre anelli ed un sigillo del valore di trecento ducati, con una veste di drappo bianco, con cui il duca aveva manifestato di voler essere abbigliato in caso di morte; e sulla sera poi venne sepolto nella maggior chiesa di Milano. E così nel giro appena di anni sessanta, il trono ducale di Milano veniva insanguinato con morte pressochè uguale del suo principe1.
Il figliuolo primogenito di Galeazzo non aveva ancor gli ott’anni, ma ciò nullameno senza difficoltà venne riconosciuto successore. Più non signoreggiavano i Milanesi quei sentimenti di libertà che i tre congiurati avevano creduto di far rivivere, ne s’ebbe a notare il più leggiero movimento per rovesciare un governo che difficilmente allora sarebbesi sostenuto. I deputati delle città andarono a complimentare la vedova duchessa Bona, ed offrirle la loro assistenza per mantenerla in un col figliuolo suo sul trono. Persino Sisto IV che all’udir la nuova della morte del duca aveva esclamato: Oggi la pace d’Italia è con lui perita2, mandò a Bona due cardinali incaricati di scomunicar coloro che in Milano s’arbitrassero di tentare qualche novità. Insomma la vedova duchessa fu senza ostacoli riconosciuta reggente. Ma sebbene ella fosse circondata e favorita de’ consigli di un buon politico, qual era Cicco Simonetta calabrese, segretario e consigliere di Francesco Sforza e ministro di suo figlio, fratello a quel Giovanni Simonetta che scrisse con eleganza e precisione la storia di Francesco Sforza, tuttavia non potè lottare coll’ambizione e colle mire dei fra-
- ↑ Conosce il lettore la morte toccata il 16 maggio del 1412 a Giovanni Maria Visconti duca di Milano pugnalato mentre udiva la messa nella chiesa di S. Gottardo per essere divenuto odioso al popolo non tanto per le imposte gravezze, quanto per la sua crudeltà inaudita.
- ↑ Ripamontii, Rerum patriae.