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70 | bona di savoia |
telli del suo consorte, che durante la minorità del figliuolo, volevano partecipare alla reggenza. I primi quattro, Sforza Maria Sforza duca di Bari e conte di Valenza, Ludovico il Moro, divenuto poi così famoso nella storia, Ottaviano ed Ascanio che già avevano risvegliato la diffidenza di Galeazzo, il quale tenevali lontani da Milano, appena ebbero avviso della sua morte, si affrettarono di ritornare in patria. Ivi cercando di far rivivere l’antico spirito del partito ghibellino, dichiararonsi protettori di quella fazione, cui la casa Visconti andava debitrice del suo innalzamento, ed accusando Bona col suo ministro di parzialità pei guelfi, li costrinsero a gettarsi fra le loro braccia.
Nè valse a fermare la pace l’essersi a mediazione di Ludovico Gonzaga marchese di Mantova, stabilito che ogni anno Bona desse a ciascuno de’ cognati dodicimila cinquecento ducati sui redditi di Cremona, e lor si provvedesse un palazzo in Milano: ben altre aspirazioni avevano essi, ne per le animosità che fra gli uni e gli altri passavano, dovevasi sperare buon esito. Nel 1478 i fratelli superstiti (Ottaviano sol diciassettenne era morto nel guadar l’Adda) furono: il duca di Bari relegato nel suo ducato, il Moro a Pisa ed Ascanio a Perugia, incolpati di turbare il nuovo governo.
Bisogna però convenire che anche Bona aveva i suoi torti, ed a dispetto de’ consigli del fedele Simonetta, servì ella stessa co’ suoi modi a favorire i disegni dei cognati.
Ella adunque aveva dato eccessiva confidenza ad un tal Antonio Tassino ferrarese, già ivi mercante, poi dallo stesso Galeazzo Maria dato a Bona come cameriere e servente alla mensa, «giovane, secondo scrive il Corio testimonio oculare, che oltremodo si attendeva all’ornato del corpo in modo che dopo la morte di Galeazzo in tanto famosa reputatione divenne presso la ducissa che niuna cosa dil Stato si faceva da Bona che lui non fosse participevole, del che Cicho, come homo iusto, aborrendo tal