Gli sposi promessi/Tomo III/Capitolo IX
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Cap. IX.
Dobbiamo ora far conoscere al lettore1 i personaggi coi quali si trovava Lucia.
Don2 Ferrante, capo di casa, ultimo rampollo d’una famiglia illustre che pur troppo terminava in lui, uomo tra la virilità e la vecchiezza,3 era di mediocre statura, e tendeva un pochetto al pingue; portava un cappello ornato di molte ricche piume, alcune delle quali,4 spezzate al mezzo,5 cadevano penzoloni,6 e d’altre non rimaneva che un torso; sotto a quel cappello7 si stendevano due folti sopraccigli, due occhi sempre in giro orizzontalmente, due guance pienotte per sé, e che si enfiavano8 ancor più di tratto in tratto,9 e si ricomponevano, mandando un soffio prolungato, come se avesse da raffreddare una minestra; sotto10 la faccia girava intorno al collo un’ampia11 lattuga12 di merletti finissimi di Fiandra, lacera in13 qualche parte e14 lorda da per
tutto: una cappa di... sfilacciata15 qua e là, gli cadeva dalle spalle, una spada16 col manico di argento17 mirabilmente cesellato, e col fodero spelato gli pendeva dalla cintura;18 due manichini della stessa materia, e nello stesso stato della gorgiera, uscivano dalle maniche strette dell’abito, e un ricco anello di diamanti19 sfolgorava talvolta, nell'una delle due sudicie sue mani:20 talvolta, perché quell'anello passava anche una gran parte della sua vita nello scrigno d’un usurajo; e in quegli intervalli, Don21 Ferrante gestiva alquanto meno del solito.
Questo contrasto nel suo abito esteriore nasceva da altri contrasti22 del suo carattere e delle sue circostanze. Don23 Ferrante, portato al fasto e alla trascuraggine, era anche24 ricco e povero. Già da molto tempo aveva egli divorato a furia di sfarzo, e lasciato divorare a furia di negligenza e d’imperizia il suo patrimonio libero; e sarebbe egli rimasto povero del tutto e per sempre, se un suo sapiente antenato non avesse anticipatamente provveduto a quel caso, istituendo un pingue fedecommesso. Don25 Ferrante quindi, benché nell’animo non fosse molto dissimile dal selvaggio di Montesquieu, non poteva,26 com’egli, abbatter l’albero per cogliere il frutto:27 e non poteva far altro che lanciar pietre al frutto, per farlo cadere acerbo e ammaccato.28
Viveva di prestiti: e per trovarne doveva ricorrere ai
più spietati usuraj;29 e subire le più rigide leggi, che essi sapessero inventare, e per supplire alla legge comune che non dava loro alcun mezzo di ricuperare il prestato, e per pagarsi del rischio.30 E siccome nelle idee di Don31 Ferrante le pompe e il fasto tenevano il primo luogo, così32
alle pompe e al fasto erano tosto consecrati i denari che
toccavano le sue mani; e il necessario pativa.33
In mezzo a queste cure incessanti Don34 Ferrante non aveva lasciato di coltivare il suo ingegno,35 e senza essere un dotto di mestiere, poteva passare per36 uno degli uomini cólti del suo tempo. Possedeva una libreria di varie materie, la quale per poco non aggiungeva ai cento volumi; e aveva37 impiegato su quelli38 abbastanza tempo e studio,
per avere una cognizione fondata nelle scienze più importanti e più in voga: teneva i principj,39 e quindi non era mai impacciato nelle applicazioni.40 L’astrologia era uno di quei rami dell’umano sapere, nei quali Don41 Ferrante era versato. Sapeva42 non solo i nomi e le qualità delle dodici
case del cielo, le influenze che hanno in ciascuna i diversi
pianeti;43 ma conosceva anche in parte la storia della scienza, la quale è44 parte45 della scienza stessa:46 ne conosceva i cominciamenti, il progresso: come era nata nell’Assiria, e ci doveva nascere: giacché essendo il cielo un gran libro, e il cielo dell’Assiria molto sereno, è naturale che ivi si cominci a leggere, dove i47 libri sono più chiari e intelligibili;48 sapeva a memoria un buon numero delle più stupende e clamorose predizioni che si sono avverate in varii tempi: e aveva in pronto gli argomenti49 principali che servivano a difendere la scienza contra50 i dubbj e le obiezioni51 dei cervelli balzani degli uomini superficiali e presuntuosi52 che ne
parlavano con poco rispetto; perché53 anche a quel tempo v'era degli uomini cosi fatti. Della magia aveva54 pure una cognizione più che mediocre, acquistata non già con la rea intenzione di esercitarla, ma per ornamento dell’ingegno, e per55 conoscere le arti56 così dannose dei maghi e delle streghe, e potere Cosi entrare a parte della guerra che tutti gli uomini57 probi e d'ingegno facevano a quei nemici del genere umano. Il suo58 maestro e il suo autore era quel gran Martino del Rio, il quale nelle sue disquisizioni magiche aveva trattata la materia a fondo,59 aveva sciolti tutti i dubbj, e stabiliti i principi, che per60 quasi due secoli divennero la norma61 della maggior parte dei62 letterati e dei tribunali: quel Martino del Rio, che con le sue dotte fatiche ha fatto ardere tante
streghe e tanti stregoni e63 che ha saputo col vigore dei suoi ragionamenti dominare tanto sulla opinione publica, che64 il metter dubbio su la esistenza delle streghe era diventato un indizio di stregheria. A un bisogno Don65 Ferrante sapeva parlare ordinatamente e anche luculentamente del maleficio amatorio, del maleficio ostile e del maleficio sonnifero, che sono i cardini della scienza; e conosceva i segreti66 dei congressi delle streghe, come se vi avesse assistito.67
Aveva più che una tintura della storia in grande, per aver letta più d’una volta68 quella eccellente storia universale del Bugatti; possedeva poi69 singolarmente quella70 del tempo dei paladini, che aveva studiata nei Reali di Francia.71 Per la politica positiva aveva egli principalmente rivolte le opere dell’immortale Botero;72 e conosceva assai bene la politica di Spagna, di Francia, dell'Impero, dei Veneziani e di tutti i principali stati73 Cristiani; e poteva pur dare una occhiatina anche nel Divano. Per la politica74 speculativa il suo uomo era stato per gran tempo il Segretario
Fiorentino; ma75 questi dovette scendere al secondo posto
nel concetto di D.76 Ferrante, e cedere il primo a quel gran
Valeriano Castiglione, che in quello stesso anno aveva dato
alla luce la sua77 opera dello «Statista Regnante,» dove tutti gli arcani i più profondi,78e i più reconditi precetti della ragione di stato sono trattati con un ordine nuovo e sublime.79 E bisogna confessare che il nostro D.80 Ferrante prevenne il gudizio del mondo sul merito del Castiglione: poco dopo, Urbano VIII lo onorò delle sue lodi, Luigi XIII, pr consiglio del cardinale di Richelieu, o chiamò in Francia per esservi istoriografo, Carlo Emmanuele di poi gli81 affidò lo stesso ufizio; il Card. Borghese e Pietro Toledo vicerè di Napoli, lo pregarono, invano però, di scrivere storie; e fu finalmente proclamato il primo Scrittore dei suoi tempi.
Quanto alla storia naturale non aveva a dir vero attinto alle fonti, e non tenev nella sua biblioteca, né Aristotele, né Plinio, né Dioscoride; giacché, come abbiam detto,82 D.83 Ferrante non era un professore, ma un uomo cólto semplicemente: sapeva però le cose più imporanti e le più84 degne di osservzione; e a tempo e luogo poteva fare una descrizione esatta85 dei draghi e delle sirene, e86 dire a proposito che la remora, quel pescerello, ferma una nave nell'alto;87 che l'unica fenice rinasce dalle sue ceneri; che la salamandra è incombustibile; che il cristallo non è altro che ghiaccio lentamente indurato.
Ma la materia, nella quale D.88 Ferrante era profondo assolutamente, era la scienza cavalleresca,89 e bisognava sentirlo parlare di offese,90 di soddisfazioni, di paci, di mentite:91 Paris del Pozzo, l'Urrea, l'Albergato, il Muzio,92 la Gerusalemme Liberata93 e a conquistaata, e i dialoghi della nobiltà, e quello della paccce di Torquato Tasso, gli aveva a menadito; i Consigli e i Discorsi cavallereschi94 di Francesco Birago95 erano forse i libri più logori della sua biblioteca. Anzi D. Ferrante affermava, o faceva intendere spesso che quel grand’uomo non aveva sdegnato di consultarlo su certi96 casi più rematici;97 e, parlando talvolta di quelle opere98 con quella venerazione che meritavano, e che per verità99 ottenevano da tutti,100 D. Ferrante aggiungeva misteriosamente: «Basta, ho messo anch’io un zampino in quei libri.»101 Ma gli studj solidi non avevano talmente occupati gli
ozj di D. Ferrante, che non ne restasse qualche parte anche
alle lettere amene:102 e senza contare il Pastor fido, che al pari di tutti gli uomini cólti di quel tempo, egli aveva pressoché tutto a memoria,103 non gli erano ignoti né il Marino, né il Ciampoli, né il Cesarini, né il Testi; ma sopratutto aveva fatto uno studio particolare104 di quel libretto, che conteneva le rime di Claudio Achillini: libretto nel quale105 diceva D. Ferrante, tutto, tutto, fino alla protesta sulle parole Fato, Sorte, Destino e somiglianti era pensiero pellegrino, ed arguto. Aveva poi un tesoretto,106 una raccolta manoscritta
di alcune lettere107 dello stesso grand’uomo; e108 su quelle109
si studiava di modellare quelle, che gli occorrevano110 di scrivere per qualche negozio, o per isciogliere qualche111 ingegnoso quesito, che gli veniva proposto: e a dir vero
le lettere di D. Ferrante112 erano ricercate con qualche113 avidità, e giravano di mano in mano per la scelta e la copia dei concetti e delle immagini ardite, e sopra tutto pel modo sempre ingegnoso di porre la questione, e di guardare le cose; stavano però male di grammatica e di ortografia.114 Vi sarebbero molte altre cose da dire, chi volesse compire il ritratto di questo personaggio;115 ma per amore della
brevità, ce ne passeremo, tanto più che egli non ha quasi
parte attiva nella nostra storia. Veniamo dunque alla sua
signora Consorte.
Donna Prassede, per ciò che riguarda il sapere, era molto
al di sotto di116 suo marito. Il suo ingegno, a dir vero, non era niente straordinario, ed essa non si era mai117 data una gran briga di coltivarlo, almeno sui libri. Ma siccome la mente umana non può vivere senza idee, cosi Donna Prassede aveva le sue, e118 si governava con esse, come dicono che si dovrebbe fare cogli amici. Ne aveva poche, ma quelle poche le amava119 cordialmente, e si fidava in esse interamente, e non le avrebbe cangiate ad istigazione di nessuno. Avrebbe anche avuto, com’era giusto, una gran voglia di farle predominare in casa; e pare che il carattere straccurato di D.Ferrante avrebbe dovuto servire a maraviglia a questo desiderio della consorte; ma v’era120 un grande121 ostacolo.122 La più parte delle idee in questo mondo non possono esser messe ad esecuzione senza danari: ora D. Ferrante, poco o nulla curandosi del governo della casa, aveva però ritenuto
sempre presso di sé il ministero delle finanze; e a dir vero123 gli affari ne erano tanto complicati, che ormai nessun altro
che egli avrebbe potuto intendervi qualche cosa.124 Aveva Donna Prassede il suo spillatico, pattuito nel contratto nuziale, e allo spirare d’ogni termine dopo un po' di guerra, un po’ di schiamazzo,125 molte minacce di svergognare il marito in faccia ai parenti, veniva essa a capo di riscuotere la somma, che le era dovuta. Ma fuor di questo,
tutta l'eloquenza, tutta l’insistenza, tutte le arti di Da. Prassede non avrebbero potuto tirare un danaio dalla borsa di D. Ferrante. Le entrate, prima che si toccassero erano impegnate a pagar debiti urgenti, o destinate a soddisfare qualche genio fastoso di D. Ferrante.126 Non rimaneva dunque a Donna Prassede altro dominio che su la sua persona, sul modo d’impiegare il suo tempo,127 su le persone addette specialmente al suo servizio:128 cose tutte nelle quali D. Ferrante lasciava fare; poteva ella in somma dare tutti gli ordini l’esecuzione dei quali non portasse una spesa,129 o che non fossero in opposizione alle abitudini e alle volontà risolute di D. Ferrante. La sua gran voglia di comandare,
ristretta in questo picciol campo, vi si esercitava con una
energia singolare. Donna Prassede130 profondeva pareri e131 correzioni a quelli che132 volevano, e ancor più a quelli che dovevano sentirla: e per quanto dipendeva da lei non avrebbe
lasciato deviar nessuno d’un punto dalla via retta. Perché,133 a dire il vero, questa smania di dominio non nasceva in lei da alcuna vista interessata: era puro desiderio del bene; ma il bene ella lo intendeva a suo modo, lo discerneva istantaneamente in qualunque alternativa, in qualunque complicazione di casi le si fosse134 affacciata da135 esaminare: e, quando una volta aveva veduto e detto che quello era il bene, non era possibile ch’ella cangiasse di parere; e136 per farlo riuscire137 predicava ed operava fintanto che avesse ottenuto l’intento o la cosa fosse divenuta impossibile; nel qual caso non lasciava di predicare per convincere tutti che avrebbe dovuto riuscire.138 Sotto due padroni cosi diversi di inclinazioni e di occupazioni,139 la famiglia era come divisa in due classi,140 anzi
in due partiti, ognuno dei quali aveva141 nella famiglia stessa un capo;142 le due persone cioè che erano più innanzi nella
confidenza dell’uno e dell’altro padrone. Prospero, il maggiordomo di casa, e il favorito di D. Ferrante,143 faceto e rispettoso, disinvolto e composto, dotto a tutto fare e a tutto soffrire, abile144 a trattare gli affari, e a parlarne senza mai proferire le parole che potevano far sentire gl'impicci, o offendere la dignità del padrone, sapeva suggerir145 a proposito un invito da fare onore alla casa, trovare un cammeo prezioso, un quadro raro,146 ogni volta che una rata di pagamento147 stava per entrare nella cassa di D. Ferrante; e148 sapeva trovare un prestatore ogni volta che149 la cassa era
asciutta.150 L’antesignano dell’altro partito, la governatrice favorita di Da Prassede151era conosciuta per molti nomi. Quello che
le era stato imposto era Margherita. Il proprio </ref> era nominata molto variamente, il suo nome proprio era Margherita;152 ma dalla padrona153
era chiamata Ghita,154 dalle donne155 inferiori a lei,156 e dai paggi157 di Da Prassede Signora Ghitina;158 e dai servitori di D. Ferrante, quando parlavano159 fra di loro,160 non era mai menzionata altrimenti che la Signora161 Chitarra.162 Pretendevano costoro che il suo collo lungo163 la sua testa in fuori, le sue spalle164 schiacciate,165 la vita serrata dal busto, e le anche allargate166 la facessero somigliare alla forma di quello strumento; e che la sua voce acuta, scordata, e saltellante
imitasse appunto il suono, che esso dà, quando è strimpellato da una mano inesperta.167
Esercitava essa sotto gli ordini immediati della padrona
la più severa vigilanza sulle persone, che dipendevano da
questa, ed era ministra di tutto il bene ch’ella poteva fare
in casa e fuori. Ma quanto alla gente di D. Ferrante, essa
non poteva fare altro che notare tutte le168 azioni disordinate che essi commettevano,169 disapprovare170 con qualche cenno, o171 al più con qualche frizzo, e riferire poi il tutto alla padrona; la quale pure non poteva fare altro che gemere con lei. Prospero, com’è naturale, era l’oggetto principale di avversione per Da Prassede, ma, inviolabile com’egli era, se ne burlava in cuore; non lasciando però di corrispondere con riverenze profonde agli sgarbi della padrona, che172 rendeva poi173 con usura in tutte le occasioni alla Signora Chitarra. Benché questi due capi col loro predominio fossero passabilmente incomodi ognuno alla parte della famiglia che dirigeva, pure174 l’una parte e l’altra aveva sposate le passioni e le animosità del suo capo:175 l’una faceva crocchio a mormorare dell’altra; quando si trovavano in presenza, si scambiavano visacci, e talvolta parolacce; cercavano scambievolmente di farsi scomparire e d’impacciarsi a vicenda nella esecuzione degli ordini ricevuti. D. Ferrante però176 aveva appena qualche sentore di questa guerra sorda, perché egli non osservava molto, e Prospero non si curava di parlargli di malinconie;177 e le querele della moglie, le
attribuiva D. Ferrante ad inquietudine di carattere, a giuoco
di fantasia, come le domande di quattrini.178
Lucia si trovava esclusivamente sotto l’autorità di D.a Prassede, la quale certamente non intendeva di lasciare questa autorità in ozio.179 Si proponeva ella a dir vero di farsi ben servire da Lucia nella parte che le aveva assegnata;180 ma oltre questo fine, che era semplicemente181 di giustizia, Da. Prassede ne aveva un altro di carità disinteressata a suo modo, che le stava a cuore ancor più del primo, ed era di far del bene a Lucia, o di Lucia, la quale le pareva averne gran bisogno.182 Perché tutto ciò che Da. Prassede183 nella sua villeggiatura aveva udito,184 per la voce pubblica, della innocenza di quella giovane, le affermazioni magnifiche ed energiche di Agnese, quando185 era venuta a proporle la figlia, il vólto, il contegno186 modesto, la condotta stessa cosi irreprensibile di Lucia non187 bastavano a produrre un pieno convincimento nella mente di Da. Prassede;188 e non poteva essa persuadersi che una giovane contadina avesse levato tanto romore di sé, fosse passata per tanti accidenti, senza averne cercato nessuno, senza essersi gittata un po’ all’acqua come si dice, senza una testa leggiera.
Da. Prassede teneva189 per regola generale che, a voler far del bene, bisogna pensar male: la sua voglia di dominare, di operare su gli altri, che anche190 ai suoi occhi proprj prendeva la maschera di carità disintressata, era come il ciarlatano, che non dice mai a chi viene a consultarlo: «voi state bene;» perché allora191 a che servirebbe l’orvietano? Oltracciò, l’aver ricoverata, sottratta al pericolo d’una infame persecuzione una povera giovane era192 un opera certamente
non senza gloria;193 però in questo Da. Prassede non era più che uno stromento quasi passivo, e la parte che le era toccata non domandava altro che un po’ di buona volontà,194 senza efficacia di azione, e senza esercizio di senno: era più un assenso che una impresa. Ma195 dopo aver ricoverata la povera giovane, emendare anche il suo cervello un po’ balzano, rimetterla sulla buona strada, questo sarebbe stato non
solo compire, ma rassettare l’opera del Cardinale Federigo;196 il quale era a dir vero un degno prelato, un uomo del197 Signore, dotto anche sui libri, ma quanto ad esperienza di mondo,198 a discernimento di persone, non ne aveva molto: questa insomma sarebbe stata gloria; e perché Da. Prassede potesse ottenerla, era necessario che Lucia avesse il cervello un po’ balzano, e avesse fatto almeno qualche passo su una cattiva strada. Per averne qualche prova199 positiva,200 Da. Prassede201 richiese qua e là202 informazioni intorno a quel Fermo, a
cui Lucia era stata promessa, e sulle avventure, sulla fuga del quale Da. Prassede aveva intese in villa203 voci204 confuse, discordi, ma tutte poco buone. Le informazioni furono quali
dovevano essere: che205 quel giovane era un facinoroso, venuto a Milano per metterlo sossopra, per fare il capopopolo, ch’era stato nelle mani dei birri, a un pelo della forca; e se ora respirava tuttavia in paese straniero, lo doveva alla sua audacia nel resistere alla giustizia, e alla celerità delle sue gambe.206 Questa notizia confermò il giudizio di Da. Prassede, e le diede materia per le sue operazioni. Dimmi con chi tratti e ti dirò chi sei: è un proverbio; e come207 tutti i proverbi, non solo è infallibile, ma ha anche la facoltà di rendere infallibile l’applicazione che ne fa208 chi lo cita. Lucia aveva dunque infallibilmente, non già tutti i vizj, ché sarebbe stato dir troppo, ma una inclinazione209 ai vizj di Fermo: questo fu il giudizio di Da. Prassede. E il bene da farsi era non solo
d’impedire che Lucia ricadesse mai nelle mani di Fermo,
ch’ella210 avesse con lui la menoma corrispondenza:211 bisognava andare alla radice, al più difficile, guarire Lucia, farle far
giudizio,212 togliere da quel cervellino213 l’attacco per colui: attacco che a dir vero era il solo vizio essenziale di Lucia. Questa allora sarebbe214 divenuta al tutto una buona creatura; e chi avrebbe avuto tutto il merito dell’impresa? Da. Prassede.
215La prima parte di questo disegno, la parte materiale,216 la vigilanza esteriore sopra Lucia era217 particolarmente affidata alle cure di Ghita. Doveva essa218 tenerle sempre gli occhi
addosso, accompagnarla alla Chiesa, spiare s’ella parlava a qualcheduno, se qualcheduno le faceva un cenno, osservare
attentamente che qualche messo nascosto non le si accostasse. Compresa e piena219 dell'uficio che le era imposto Ghita nella via andava sempre con gli occhi sbarrati, e sospettosi; e siccome il vólto di Lucia attraeva spesso e fermava gli sguardi, cosi la guardiana220 si trovava spesso nel caso di fare il viso dell’arme ai guardatori, o almeno221 di far loro
intendere ch’ella vegliava, e che la loro mira era sventata: e quando222 s’avvedeva che la sua aria di sospetto e di minaccia femminile, invece di stornare i tentativi, avrebbe
provocata l’insolenza,223 pericolo224 comunissimo a quei tempi, allora accelerava il passo, e lo faceva accelerare a Lucia. In Chiesa poi, se uno di quegli che si trovavano sui banchi vicini aveva guardato attentamente a Lucia, o aveva tossito, Ghita, continuando a mormorare le sue orazioni, non pensava più che a guardare il suo deposito.225 Aveva inoltre l’incarico
di frugare, quando lo poteva senza essere scoperta, nelle
tasche di Lucia, per vedere se mai226 ella ricevesse qualche
lettera. Questa precauzione avrebbe potuto sembrare inutile
giacché, (e qui dobbiamo apertamente confessare una cosa
che finora si è appena indicata e lasciata indovinare)227 la nostra eroina non sapeva leggere; ma228 Ghita pensava che le precauzioni non sono mai troppe. Quello poi che in229 questo procedere vi poteva essere d’indelicato,230 non231 riteneva Ghita per nulla: essa non232 vi sospettava nemmeno nulla
di simile: non conosceva né la parola né l’idea; anzi la
parola233 in questo senso non esiste neppure ai nostri giorni nella lingua pura, e noi adoperandola sappiamo234 d’essere incorsi in un brutto neologismo. Finalmente, doveva Ghita cercare di scovare nei discorsi di Lucia, se mai ella avesse qualche speranza, se qualche pratica fosse ordita, farla ciarlare artificiosamente su tutti quegli incidenti, che avevano dato a Ghita qualche sospetto.
Ebbene, signori miei, tutta questa gran macchina di235 cure e di operazioni, tutto questo lavorare sott’acqua non dava
quasi nessun incomodo a Lucia, o, per dir meglio, ella non
se ne avvedeva;236 e, benché non potesse a meno di non sentire qualche cosa di minuto e di pettegolo nella sollecitudine continua di Ghita, pure lo attribuiva alla237 indole di lei, e non mai ad un disegno238 profondo, e comandato.239 I pensieri di Lucia,240 quel pensiero ch’era divenuto lo scopo principale
della sua vita, la portava241 alla ritiratezza, ad astenersi da ogni comunicazione; e quindi ella non era avvertita dolorosamente di ciò che altri facesse per242 rivolgerla ad un punto, al quale ella tendeva naturalmente. In altri243 tempi quella situazione così nuova, così opposta alle sue abitudini, così
lontana dalle sue affezioni, le sarebbe stata penosissima; ma
la facilità ch’ella vi trovava di ottenere quel suo scopo
faceva ch’ella vi244 stesse con rassegnazione, e quasi vi riposasse, se non con piacere, almeno col desiderio di farsela piacere. E il suo scopo era tuttavia245 quello di cui abbiamo già parlato:246 scordarsi di Fermo.247 Si studiava ella quindi di rinchiudere tutte le sue idee nella casa dove era stata allogata, di ristringerla alle sue occupazioni, si metteva con grande intensione a tutte le cose che le erano comandate, si rallegrava tutte le volte che vedeva dinanzi a sé molti doveri che occupassero tutta le sua giornata, che non le dessero agio di correre con la mente a desiderj vani e colpevoli, di smarrirsi nelle memorie d’un passato irreparabile. Le memorie tornavano però sovente a tormentarla: l'immagine della madre era sempre la prima a presentarsi; e mentre Lucia si fermava a contemplarla con sicurezza, con248 una mesta affezione, l’immagine di Fermo, che le stava dietro nascosta, si mostrava. Lucia voleva rispingerla tosto; ma l'immagine, che non voleva andarsene,249 aveva250 un buon pretesto, ed era sempre lo stesso, per obbligare Lucia a251 trattenerla252 almeno un momento:253 le ricordava in aria trista e non senza rimprovero i pericoli, che Fermo aveva corsi,254 e quelli che forse gli soprastavano ancora; le rimostrava che quando anche un nuovo dovere può far rinunziare ad un affetto, già cosi lecito, già cosi caro,255 non deve, non vuol però togliere la pietà, la sollecitudine, la carità del prossimo. Lucia combatteva, rivolgeva la mente ad altre immagini; ma tutte erano tinte di quella prima, tutte la richiamavano.256 I luoghi, le persone: D. Abbondio avrebbe dovuto257 pronunziare quelle parole258 per cui ella sarebbe stata di Fermo; i consigli, le cure del Padre Cristoforo per chi erano? per Lucia e per Fermo; fino il monastero di Monza, fino il259 Castello del Conte, fino il cardinale Federigo, tutto si legava a Fermo; e molte volte Lucia,260 ripensando a tutto questo, si accorgeva261 ch’ella si era immaginata di raccontar tutto a Fermo. Con tutto ciò ella combatteva,262 e la guerra sarebbe stata,263 se non sempre vinta, pure meno aspra e meno dolorosa; Lucia avrebbe potuto,264 se non ottenere lo scopo, almeno265 andargli sempre da presso se questo scopo non fosse stato anche quello di Da.Prassede.
La brava signora per266 toglier Fermo dall’animo di Lucia, non aveva trovato mezzo migliore che di parlargliene spesso. La faceva chiamare a sé, e seduta sur una gran seggiola, con le mani267 posate e distese sui bracciuoli di qua e di là, dai quali pendevano le maniche della zimarra di dammasco rabescato a fiori, che era stato l’abito di moda nei bei giorni di Da.Prassede,268 nel tempo in cui v’era buona fede e semplicità, in cui tutti, fino i giovani, erano savj ed onesti, col vólto269 imprigionato tra un cappuccio di taffetà nero che copriva la fronte, e una enorme lattuga che girava intorno alla gola e sul mento. Da.Prassede ricominciava la
sua predica, per provare a Lucia ch’ella non doveva più
pensare a colui. 270 La povera Lucia protestava da principio con voce angosciosa, e timida, ch’ella non pensava a nessuno.
271Da.Prassede non272 voleva mai stare a questa ragione, e
ne aveva molte da opporre: «So come vanno le cose» diceva ella, «conosco il mondo:273 so come son fatte le giovani:274 se v’è un ribaldo,275 è sempre il più accetto. Fate per qualche276 accidente non possano sposare un galantuomo, un uomo di giudizio, si rassegnano tosto; ma se è uno scavezzacollo,277 non se lo possono cavar dal cuore. Eh figlia mia, non basta dire: — non penso a nessuno — : vogliono esser fatti, fatti e non parole.» Cosi, seguendo una sua idea,278 che è anche quella di molti altri, che per far passare in una testa ripugnante i proprj sentimenti, bisogna esprimerli con molta efficacia,279 adoperare i termini i più forti ed anche esagerati, Da. Prassede non risparmiava i titoli al povero assente: lo nominava come un oggetto d’orrore, di schifo, faceva sentire che280 sarebbe stata cosa281 inconcepibile, mostruosa, che alcuno potesse avere interessamento, e peggio inclinazione per colui. Così ella otteneva appunto l’intento opposto a quello, ch’ella si proponeva.282 Lucia283 cercava di dimenticar Fermo; ma, quando una parola sgraziata e nemica glielo voleva a forza rimettere nella mente in un aspetto odioso e spregievole, allora tutte le antiche memorie si risvegliavano ed accorrevano, per rispingere una immagine tanta diversa284 dalla immagine, in cui quella mente era stata avvezza a compiacersi. Il disprezzo, con che il nome di Fermo era proferito, faceva285 ricordare a Lucia286 la condotta, il contegno, il buon nome di Fermo, tutte le ragioni per cui ella lo aveva stimato; l’odio faceva risorgere più risoluto l’interesse; l’idea confusa dei pericoli ch’egli aveva287 corsi, anche dei falli ch’egli poteva aver forse commessi,288 pericoli e falli che Da. Prassede rinfacciava a Lucia con eguale amarezza come un egual motivo di avversione: suscitavano più viva e più profonda la pietà; e da tutti questi sentimenti rinasceva quell’amore, che Lucia si studiava tanto di estinguere. L’amore, acconsentito o combattuto che sia, dà a tutti i discorsi una forza e un vigore suo proprio. Lucia diventava coraggiosa, e stificava Fermo; e Da Prassede289 approfittava di quelle parole, come d’una confessione, per provare a Lucia che non era vero ch’ella non pensasse più a lui. E con questa prova in mano lavorava sempre più animosamente sull’animo di Lucia,290 facendole vedere chi era colui, ch’ella ardiva pure di difendere. E che doveva ringraziare il cielo che la cosa fosse finita a quel modo, altrimenti le sarebbe toccato un bel fiore di virtù. Buon per lui che le gambe lo avevano servito bene, altrimenti, avrebbe fatto una bella figura: avrebbe tenuta compagnia a quei quattro altri galantuomi... Quando la grossolana signora291 toccava tasti292 d’un suono cosi orribile, la povera Lucia non poteva più fare altro che prendere con la sinistra il grembiale, portarlo al vólto, per nasconderlo, e per ricevere le lagrime che le sgorgavano dirottamente.
Se Da Prassede avesse parlato così per un odio antico per fare vendetta di qualche affronto crudele,293 l’aspetto dei dolore che producevano le sue parole gliele avrebbero forse294 fatte morire in bocca o cangiare in parole più dolci; ma Da Prassede parlava per fare il bene, e non si lasciava
smuovere: a quel modo che un295 grido supplichevole, un gemito di terrore potrà ben fermare l’arme d’un nemico, ma non il ferro d’un chirurgo.296 Fatte ingojare a Lucia tutte le amare parole, ch’ella credeva necessarie pel297 bene di lei,
Da Prassede, che non era trista in fondo, la rimandava con qualche parola di conforto e di lode;298 e rimaneva sempre299 soddisfatta di avere acconciato un po’ il cuore di quella
giovane. Acconciato come una gala di mussolo, stirata da
un magnano. La povera Lucia,300 riconoscendo la buona intenzione, pregava però caldamente301 che queste prove d’interessamento le fossero risparmiate.
Da Prassede aveva nel fondo del suo cuore un302 altro disegno sopra Lucia, che sarebbe stato il compimento dell’opera. Silietta si compiaceva molto nella compagnia di quella giovane, che303 era la sola in casa che le desse retta, e la lasciasse parlare; e Da. Prassede pensava che si sarebbe fatto un304 gran benefizio a Silietta e a Lucia stessa, se si fosse potuto305 farle nascere la vocazione di andar conversa nel monastero, dove Silietta doveva esser monaca.
Quivi Lucia sarebbe stata fuori d’ogni pericolo per sempre,306 e la buona opera di Da. Prassede sarebbe stata più evidente, più conosciuta: Lucia307 sarebbe divenuta un monumento parlante della sapiente benevolenza della sua padrona. Non ne aveva però fatta la proposizione a Lucia,
ma, con quell’arte soppraffina che possedeva, cercava tutte
le occasioni per far nascere spontaneamente nel cuore di
Lucia questo desiderio.
A poco a poco queste insinuazioni divenivano più frequenti e più chiare; e Lucia,308 cominciava a comprenderle, ma però senza che le cominciasse la voglia di acconsentirvi. 309 V’era nulladimeno per essa un gran vantaggio, che310 Da. Prassede cadeva meno spesso, e con meno impeto311 su quel primo, più doloroso argomento, tanto più doloroso, perché Lucia non aveva con chi esilararsi312 della tristezza angosciosa che quei discorsacci le cagionavano. La nostra313 Agnese era lontana, a casa sua, dove pensava sempre a Lucia;314 e andava spesso alla villa di Da. Prassede, per saper le nuove di Lucia; e le nuove le erano sempre date ottime, coi saluti della figlia.315
La buona donna si struggeva di rivederla, ma andar fino
a Milano! In quei tempi, con quelle strade, con quella scarsezza di comunicazioni, coi bravi, coi boschi, quella era
quasi una impresa, di cavalleria errante; e Agnese si rassegnava all’idea di316 esser lontana da sua figlia, come ai
nostri giorni farebbe una madre della condizione di Agnese,
che avesse una figliata317 collocata in Inghilterra.* 1
318La povera donna aveva un’altra faccenda su le braccia:319 la corrispondenza con Fermo. Quantunque egli non320 trovasse bel paese quello dove non era Lucia,321 pure, sapendo che egli stava sui registri di Milano, non ardiva scostarsi dall'asilo. Faceva scrivere ad Agnese, per chiedergli nuove della figlia; dico faceva scrivere, perché i nostri eroi, simili in ciò a quelli d’Omero, non322 conoscevano l’uso dell’abbicì. Agnese si faceva323 leggere e interpretare le lettere, e incaricava pure altri della risposta. Chi ha avuto occasione di veder mai324 carteggi di questa specie, sa come son fatti325 e come intesi.326 Colui che fa scrivere, dà al segretario un tema ravviluppato, e confuso: questi parte frantende, parte vuol correggere, parte327 esagerare per ottener meglio l’intento, parte non lo esprimere come lo ha inteso;328 quegli a cui la lettera è indiritta, se la fa leggere: capisce poco; il lettore diventa allora interprete, e con le sue spiegazioni329 imbroglia anche
di più quel poco di filo, che l’altro330 aveva afferrato; di modo che le due parti finiscono a comprendersi fra loro, come due filosofi trascendentali. Il peggio è quando la situazione, della quale si vuol render conto, è complicata, e i disegni e le proposte, che si331 vogliono fare, sono contingenti e condizionate. Tale era il caso di Fermo.332
Il suo disegno era di stabilirsi a Bergamo, di viver quivi della sua professione, e333 di farsi con quella anche un po’ di scorta334 di preparare un buon tetto a Lucia, e che allora335 essa venisse a Bergamo con la madre, ed ivi si concludessero le nozze. Ma i tempi non erano propizj:336 l'amore che dipinge le cose facili,337 bastava bensì a persuadere a Fermo che338 il suo disegno si sarebbe potuto eseguire in seguito; ma non poteva nascondergli che per allora339 era ineseguibile. Bisognava adunque che Fermo facesse intendere ad Agnese questo miscuglio di speranze fondate, anzi certe, di impaccio340 attuale, di sì nell’avvenire e di no nel presente.341 Agnese342 ricevette la lettera dopo il ritorno da Monza,343 intese e fece rispondere come potè. Il ratto di Lucia fece tanto strepito, che la344 voce ne giunse a Fermo; ma per buona ventura insieme con quella della liberazione. Pure ognuno può immaginarsi quali fossero le sue angustie.345 Se Lucia fosse346 rimasta nel suo paese, Fermo certamente non si sarebbe tenuto dall’andarvi: di nascosto, di notte, travestito, per balze, per greppi, come che fosse, vi sarebbe andato. Ma egli347 seppe anche che Lucia era partita per Milano;348 e in tale circostanza349 non solo il pericolo diventava per Fermo incomparabilmente maggiore, ma il tentativo incomparabilmente più difficile, e l’evento quasi disperato. Dovette egli dunque contentarsi di chiedere schiarimenti ad Agnese. La buona donna trovò il mezzo di fargli avere per mezzo d’un mercante quei cento scudi che Lucia aveva destinati a lui, ed una lettera, nella quale v’era l’intenzione di350 metterlo al fatto di tutto l’accaduto. Ma351 questa lettera non isgombrò le inquietudini, e le ansietà di Fermo: anzi352 i cento scudi le accrebbero; — giacché, — pensava egli, — ora che Lucia353 per una ventura inaspettata possiede354 tanto che basta perché noi possiamo viver qui marito e moglie, perché non viene ella, e mi manda invece questi denari, come un dono, come una elemosina, come... - e qui Fermo si sentiva scoppiare — come un congedo? Voglio io denari da lei? E se ella non è mia,355 pensa ch’io possa da lei ricevere qualche cosa ? — 356Per quanto357 Agnese avesse cercato di fargli scriver chiaro: che Lucia dallo spavento in poi358 si trovava quale egli l’aveva lasciata, Fermo alla vista di quei denari, e359 dati a quel modo, era assalito360 da mille dubbi torbidi e strani.361 Le lettere, che egli faceva scrivere a Lucia, cadevano tutte in mano di Donna Prassede, la quale certo non le362 consegnava a cui erano indiritte; ma,363 pel meglio, le leggeva, e si regolava su le notizie che ne ricavava. Fermo sempre più inquieto chiedeva ad la spiegazione di quei dubbj364 e del silenzio di Lucia.365 Quand'anche Agnese avesse saputo scrivere, non366 avrebbe potuto soddisfare il poveretto, perché la cagione del silenzio le era ignota, ed essa pure non capiva bene il contegno di Lucia con Fermo. La spiegazione di tutto era nel vóto fatto da Lucia, e che essa non aveva confidato nè meno alla madre. La corrispondenza367 andava sempre più imbrogliandosi finché368 essa fu interrotta dagli avvenimenti, che racconteremo nel volume seguente.
Fine del tomo iii. * 2
Note
- ↑ la famiglia presso alla
- ↑ Valeriano
- ↑ portava un cappello
- ↑ rotte all
- ↑ lasciavano
- ↑ ad altre mancava assolutamente una parte, e ad
- ↑ comparivano
- ↑ di più ad ogni momento
- ↑ per mandare un soffio [lento | lento] sottile
- ↑ il mento
- ↑ goliglia
- ↑ [di tela increspata | a crespe] di tela finissima e sudicia, ornata
- ↑ varie parti, e
- ↑ sudicia
- ↑ spelata
- ↑ con l’elsa di
- ↑ 11
- ↑ e un ricco anello di diamanti
- ↑ brillava per una parte dell’anno sul quarto dito della (su | lorda mano] sudicia mano servi | da
- ↑ una d
- ↑ Valeriano benché
- ↑ che si trovano nel
- ↑ Valeriano
- ↑ nello stesso tempo
- ↑ Valeriano non poteva
- ↑ però
- ↑ [ma doveva contentarsi di | ma | ma] non gli restava
- ↑ Viveva di prestiti
- ↑ e subire le più rigorose [condizioni] leggi che essi sapessero inventare; [poiché la legge | non avendo essi | giacché la legge comune] e poiché la legge
- ↑ E come
- ↑ Valeriano lo splendore e l’apparenza
- ↑ a misura che
- ↑ Le sue idee erano a un dipresso nello stesso stato del suo vestiario (lacuna)
- ↑ Valeriano
- ↑ e poteva passare per uno
- ↑ un uomo
- ↑ sfiorato qua e là
- ↑ tanto tèmpo e tanto studio da prendere una cognizione se non [intera] estesa, almeno profonda nelle scienze più importanti
- ↑ [e il] e per conse
- ↑ Conosceva bastantemente l’Astrologia a segno
- ↑ Valeriano
- ↑ [non solo] non solo
- ↑ [conosceva in la] non era ignaro della storia della scienza, e dei varj casi e dei modi per cui gli antichi popoli erano pervenuti a scoprirla, e i moderni filosofi a perfezionarla ; [ripeteva molt | che era n | che era nata nell’Assiria perché] ma (lacuna)
- ↑ Variante ragione
- ↑ essenziale | era
- ↑ come questa
- ↑ il libro
- ↑ [aveva] sapeva a mente le
- ↑ che serviva
- ↑ le
- ↑ di colui
- ↑ d’allora
- ↑ v’era di questi
- ↑ più che una tintura: non
- ↑ conoscere le ar
- ↑ orrende
- ↑ d’ ingegno e bene in
- ↑ [libro e] maestro e il suo autore
- ↑ [aveva] ed era
- ↑ quasi
- ↑ della più parte dei tribunali e degli uom | e [dei] dei
- ↑ dotti
- ↑ ha saputo con tanto [forza) vigore di ragionamento sostenere e diffondere
- ↑ finché il suo libro fu in v | non era
- ↑ Valeriano [era invaso] parlava luculent
- ↑ del congresso
- ↑ [La storia la possedeva generalmente] Possedeva la storia universale
- ↑ la storia
- ↑ quella di alcune epoche parziali, come del tempo dei
- ↑ dell’epoca dei paladini
- ↑ e nei poemi cavallereschi e la varia
- ↑ [e se | aveva in quell | ed era al fatto dei | ed] non era quindi
- ↑ d’Europa, non senza aver fatto qualche escursione nel Divano
- ↑ pratica
- ↑ lo Statista Regnante del gran Valeriano Castiglione, uscito alla luce in quello stesso anno, dovette
- ↑ Valeriano Anche in seguito soltanto D.
- ↑ immortale
- ↑ ed alti della ragione di stato sono
- ↑ Opera immortale che diffuse tosto la fama del suo autore per tutta Europa [che | per la quale] che si gloriava di poter onorare il nome di quell'[opera] autore
- ↑ Valeriano
- ↑ conferì la ste
- ↑ non er
- ↑ Valeriano
- ↑ curi
- ↑ del
- ↑ spiegava come
- ↑ e come il ghiaccio s’induri in cristallo, e come l'
- ↑ Valeriano
- ↑ e i libri che ne trattavano
- ↑ e quando [si parlava] fosse questione di offese
- ↑ (era un piacere] bisognava sentirlo parlare D. Valeriano
- ↑ gli [aveva a] aveva a menadito
- ↑ e i Dialoghi del Tasso erano forse i libri più logori della sua Biblioteca
- ↑ di quel grand’uomo di Cesare
- ↑ gli aveva sovente in tasca. Anzi D. Valeriano
- ↑ pun
- ↑ [e gli accadeva spe] e spess
- ↑ con l
- ↑ nessuno
- ↑ aggiungeva D. Valeriano
- ↑ Oltre [gli] questi studj più solidi [aveva] aveva poi D. Valeriano qualche infarinata | aveva
- ↑ poi D. Valeriane dato qualche tempo alle lettere amene; e principalmente per esornarsi lo stile aveva letto più volte (lacuna)
- ↑ i ritratti | le poesie del Marino non erano
- ↑ delle poche rime, stampate [de) e di quelle poche prose [del] del discorso accademico, e delle poche lettere di Claudio Achillini, che gira (lacuna) rime di Claudio Achillini
- ↑ tutto, tutto, fino
- ↑ di
- ↑ manoscritte
- ↑ su quella
- ↑ modella
- ↑ Sic.
- ↑ erudito qu
- ↑ giravano
- ↑ curiosità
- ↑ Non vorrei con tutto questo che alcuno pigliasse D. Ferrante per un uomo straordinario, perché avendo studiato un po’ tutta la sua vita, ed inclinando ora alla vecchiezza, fra gli autori [dei quali faceva certo] che teneva in stima particolare, contasse [dei] molti recenti, alcuni viventi, e alcuni perfino [più | molto] assai più giovani di lui. D. Ferrante era quello che doveva essere, quello che sono sempre stati, e saranno [sempre coloro i quali dopo aver ben] sempre gli uomini provetti i quali già da gran tempo hanno veduto dove stia la perfezione del sapere, hanno adottato [il solo sistem] un sistema, e chiuso il numero delle loro idee. [Il lor] La loro avversione, (il) i loro sospetti, le loro ire non sono già contra gli uomini nuovi, ma contra le idee nuove: anzi se fra i giovani sorge [alc] taluno che ricevendo con molta venerazione [il corpo di dottrina che] le dottrine che trova trionfanti, [le colt | stud] le studia, vi si affonda dentro, e le estende, e dà loro un nuovo lume, i provetti [lo esaltano] riconoscono il suo merito, e lo esaltano con ammirabile imparzialità. Oh! se al tempo di D. Ferrante [vi fossero) fossero venuti oltre giovani che avessero ardito di [riesam] riesaminare quelle idee che dovevano [riev| soltanto ricevere ed applicare, giovani [che avessero frugato in tutte quelle massime) che avessero frugato in tutti questi assiomi, di quegli che invece di dire: «capisco» [avessero detto | dicessero] dicono: «perché?» [avreste) avreste veduto, come D. Ferrante gli avrebbe pettinati: ma per buona sorte non ve n'era uno.. Vi sarebbero molte altre cose da dire intorno a lui; ma a questo personaggio (lacuna)
- ↑ [ma noi corre ❘ passeremo | ma già forse lo sbozzo occupa troppo spazio | ma certamente il lettore troverà che anche questo] ma noi ce ne passeremo per brevità, am
- ↑ Variante del
- ↑ curata
- ↑ trattava con e
- ↑ con una costanza invincibile
- ↑ una
- ↑ difficoltà
- ↑ D. Ferrante voleva bensì negligentare le faccende di casa
- ↑ era questo ba
- ↑ Quindi Donna Prassede libera nei suoi progetti, [padrona di veder di giudicare e di proporre, non poteva però] non aveva però i mezzi di eseguirne nessuno, [e doveva] senza ricorrere a D. Ferrante, [ma qui era il guaj] ma quivi era il guaio. Le entrate [erano tutte impegnate] molto prima che si toccassero erano tutte impegnate a pagar debiti urgenti, o destinate a [spese fastose] soddisfare qualche genio fastoso di D. Ferrante: questi sentiva le ragioni della moglie, le discuteva, le ribatteva, [e le trovava | giuste, ma talvolta non tutto finiva in parole giuste, ma talvolta le dava ragione, ma [quattrini non mai] i danari non uscivano dalle mani di D. Ferrante che per quegli usi che [quali gli aveva | quali fossero ] a lui parevano i più convenienti. Quindi dopo d’aver talvolta perorato gran tempo invano per ottenere alcune camicie (che a dir vero la guardaroba di Donna Prassede era in uno stato che faceva pietà) [riceveva all'improvviso ❘ improvvisamente il d | si vedeva all’improvviso] riceveva essa all' improvviso il dono di un abito [sfarzoso] ricchissimo e di una carrozza sfarzosa. Non restava dunque altro dominio a Donna Prassede che [su quelle cose le quali] su la sua persona, e sul modo d’impiegare il suo tempo, e sull’uso di quelle cose che si trovavano già in casa, [per | insomma] sulle persone di servizio [insommai su quelle cose che non importavano una nuova spesa [dava insomma] poteva dare insomma tutti quegli ordini che [non port | importavano | per essere eseguiti non] si potevano eseguire senza danari. [Salvo questo punto, Donna Prassede.] In tutto il resto, Donna Prassede poteva fare e comandare quello che le fosse piaciuto: [mai] D. Ferrante non [le] avrebbe nemmeno sognato di prescriverle, | impiegare il suo tempo come avesse stimato.
- ↑ quel
- ↑ Non rimaneva [dunque] quindi [ad] a Donna Prassede altro dominio che su la sua persona, sul modo d'impiegare il suo tempo [sull’uso delle cose che | sulla | e da] sulla condotta delle persone di servizio: cose tutte delle quali D. Ferrante non s'impacciava
- ↑ sulla condotta delle figliuole, sulla
- ↑ cose delle quali D. Ferrante non s’impacciava : cose nelle quali D. Ferrante lasciava fare assolutamente. Aveva poi un’ampia facoltà di dar pareri, e ammonizioni, e ne usava [come in tutto] come in tutt
- ↑ Aveva poi un’ampia facoltà di dar pareri. [Nel resto per supplire alla] Nel resto non potendo far camminare le cose come avrebbe voluto ingannava alla meglio [il su] il desiderio di comandare col dare [avvisi] pareri, ammonizioni a tutti quelli che volevano o dovevano sentirla parlare, e e col regolare la condotta delle (lacuna) Donna Prassede esercitava in questo (picciol] campo ristretto la sua gran voglia
- ↑ dava par
- ↑ ammonizioni
- ↑ dovev
- ↑ abbiamo dimenticato di [accen] accennare ciò
- ↑ presentata
- ↑ considerar
- ↑ predicava ed operava
- ↑ [fino al) fintanto
- ↑ La Signorina Ersilia [o per meglio dire] anzi Silietta, giacché come amici di casa noi possiamo chiamarla col diminutivo famigliare che usavano i suoi parenti, Silietta era un personaggio non troppo facile da descriversi né da definirsi. Non era né bella né brutta. Le sue fattezze erano senza difetti e senza espressione: i suoi due grandi occhi grigj non si movevano che quando si moveva tutta la testa : [la bocca era] teneva la bocca sempre semiaperta, come se ad ogni momento sentisse una leggiera maraviglia: rideva spesso, e sorrideva di rado; parlava lentamente, e placidamente, ma volentieri e a lungo tutte le volte che [i suoi par] alcuno dei suoi parenti non fosse presente a darle su la voce. Intendeva a stento, e talvolta a rovescio quel che altri dicesse; e quando ciò le accadeva con persona che ne mostrasse impazienza, Silietta si scusava con dire: «son corta d’ingegno»: cosa che [aveva i] s’era intesa dire spesso da D. Ferrante e da Donna Prassede, e dalle Suore che l’avevano avuta in cura. Era destinata al chiostro, per la ragione facile ad indovinarsi, che D. Ferrante non poteva certamente darle una dote conveniente proporzionata al partito che [le sarebbe] sarebbe convenuto alla sua nascita e al grado che teneva la casa. Su questa sua destinazione, non sapremmo [dire in ver] per verità dire quali fossero i suoi sentimenti. Non vi aveva avversione, [in | in] inclinazione nemmeno; risguardava questa destinazione come una cosa a cui altri (doveva] aveva dovuto pensare, ed aveva pensato, [anzi come | quasi] e che per lei era indifferente, a un di presso come [il nome] l'esserle stato [posto un no] posto piuttosto un nome che un altro; anzi la risguardava quasi una conseguenza naturale [dell'esser ella nat | delle sue circost | dell’esser ella nata femina in quelle circosianze di famiglia] del suo sesso e delle circostanze della sua famiglia; e ripeteva sovente ciò che le era stato detto nell'infanzia da una sua governante: «se fossi nata maschio, sarei un gran signore». Ma la cosa era fatta, e Silietta sapeva bene che non si nasce due volte.
- ↑ (giacché Silietta e per l’ordine naturale delle cose, e per indole non si contava come padrona)
- ↑ gnuna delle quali era presidiata e governata da un capo
- ↑ alla testa la persona
- ↑ la persona
- ↑ lindo e faceto
- ↑ a parlar d’affari senza
- ↑ sempre
- ↑ tutte le
- ↑ doveva
- ↑ trovava un sovventore
- ↑ la si trovava asciutta Prospero con queste abilità era inviolabile
- ↑ Il capo dell
- ↑ Anche in seguito soltanto Da
- ↑ ma la
- ↑ la chiamava
- ↑ le
- ↑ poste sotto la
- ↑ e i
- ↑ delia Marchesa la chiamavano la
- ↑ e la gente di D. Ferrante e i
- ↑ di lei
- ↑ la chiamavano
- ↑ Ghitarra
- ↑ Es | perché
- ↑ e colla
- ↑ grosse
- ↑ e larghe
- ↑ le dessero
- ↑ Era essa ministra (lacuna)
- ↑ cose
- ↑ mor
- ↑ al più
- ↑ con qualche
- ↑ restituiva con un
- ↑ ad usura
- ↑ le due parti
- ↑ e si | si | ognuna | l’una mormorava dell
- ↑ non
- ↑ e i lam
- ↑ Silietta senza prender parte attiva secondava coi vóti, e quando le era permesso con le parole il partito della Signora Ghitina.
- ↑ e anzi
- ↑ [ma il suo fine] il che era troppo giusto
- ↑ giusto per sé e ragionevole
- ↑ Perché, tutto [ciò] quello che la voce pubblica affermava dell’innocenza di Lucia, di quella giovane la | del paese di Lucia resta
- ↑ [qu] nella sua campagna prima di v
- ↑ in campagna
- ↑ venne
- ↑ la condotta
- ↑ avevano ba
- ↑ ed ella
- ↑ generalmente che
- ↑ a lei stessa pren
- ↑ come dargli po
- ↑ certamente
- ↑ ma
- ↑ per acconsentire ad una buona proposta
- ↑ se la povera giovane
- ↑ questa sarebbe stata
- ↑ Signore
- ↑ [a cognizi] a discernimento
- ↑ Per aver
- ↑ Da. Prassede [e nello] e per trovare nello stesso tempo la materia del bene che voleva fare
- ↑ domandò
- ↑ notizie
- ↑ campagna
- ↑ varie
- ↑ quell’uomo
- ↑ [Con queste notizie] Avute queste notizie Da. Prassede si
- ↑ proverbio,
- ↑ colui
- ↑ a tutti i
- ↑ non potesse
- ↑ ma anche qualche cosa
- ↑ togliere
- ↑ ogni memoria d’affetto
- ↑ stata una
- ↑ Le cure dirette al primo (lacuna)
- ↑ quella cioè di impedire ogni
- ↑ affidata al
- ↑ aver
- ↑ della sua
- ↑ si trovava | doveva sovente accelerare il passo, e farlo accelerare e Lucia, talvolta faceva il viso dll’armi ai guardatori, talvolta
- ↑ di farli accorti
- ↑ s’avvedeva | il che accadeva spesso a quei tempi e in quei costumi
- ↑ cosa comu
- ↑ comune semp
- ↑ In casa poi
- ↑ qualche lettera
- ↑ che
- ↑ in certe materie
- ↑ questa precauzione
- ↑ non ❘ Ghita
- ↑ tratteneva
- ↑ ve lo sos
- ↑ delicata e
- ↑ d’avere | de
- ↑ raggiri
- ↑ nemmeno
- ↑ sua
- ↑ continuo
- ↑ In altri casi
- ↑ la portavano a | e lo
- ↑ naturalmente
- ↑ tenerla
- ↑ tempi
- ↑ si allogasse
- ↑ come
- ↑ di dimenticare
- ↑ Si metteva ella quindi con grande intensione a tutte le cose che le erano comandate
- ↑ affezione, e con
- ↑ cercava il pre
- ↑ sempre
- ↑ fermarsi
- ↑ qual
- ↑ mettendo, ricordandole con tenerezza
- ↑ e dai
- ↑ la pietà
- ↑ e più d’ogni altra quella del buon padre Cristoforo
- ↑ pronunziare qu
- ↑ che
- ↑ Conte del S
- ↑ pensa
- ↑ ch'ella vi aveva pensato come se facesse l
- ↑ a poco a poco si ❘ e avrebbe se non sempre vinto, almeno sostenuta la guerra con più
- ↑ men
- ↑ ottener tempo sostenere la guerra con ol
- ↑ stargli | se
- ↑ far
- ↑ appoggiate
- ↑ in quel
- ↑ mezzo nascosto
- ↑ che doveva esser ben contenta che la cosa fosse finita
- ↑ Al che Da.Prassede replicava sempre che volevano esser fatti, fatti e non parole, [E cominci | e ricominciava ad enumerare tutte le ragioni] E ricominciava
- ↑ la v
- ↑ [so] se v’è uno scavezzacollo [uno] so che cosa
- ↑ [so] se v’è uno scav
- ↑ [e sem] colui
- ↑ motivo
- ↑ dive
- ↑ che è anche quella di molti altri
- ↑ tro
- ↑ era cosa
- ↑ [mostruo] stupenda
- ↑ Il disprezzo con che il nome di Fermo era
- ↑ vo
- ↑ da quella
- ↑ rinascere nel cuore di Lucia il sentimento
- ↑ le ragioni tutta
- ↑ corsi, di quegli che [in cui fo | che gli sopra] che potevano
- ↑ e che
- ↑ gli provava allora
- ↑ facendole vedere chi era [quel galantuomo] colui che ella voleva far passare per un galantuomo (lacuna)
- ↑ toccav
- ↑ così
- ↑ l'accoramento di Lucia l’avrebbe forse disarmata
- ↑ chiu
- ↑ gemito
- ↑ Dopo aver però dette
- ↑ suo
- ↑ e cond
- ↑ contenta
- ↑ pregava caldamente il Signore
- ↑ di non averne di nuove
- ↑ dise
- ↑ la lasciava parlare
- ↑ serviz
- ↑ del
- ↑ e poi
- ↑ diveniva
- ↑ le intendeva
- ↑ [V’era però] Aveva però guadagnato che E a margine, cancellato la Signora le Non cancellato la Signora le aveva lasciata una impressione confusa, una spiacevole ecc.
- ↑ quei discorsacci sopra
- ↑ sull'argomento di Fermo, e
- ↑ e sfog
- ↑ buona
- ↑ ma [non sapeva nuove di lei | sapeva] poteva saper nuova di lei
- ↑ Ma | Desiderava
- ↑ esser priva d | non poter abbracciare
- ↑ Sic; ma chiara la spiegazione nella finale della parola seguente.
- ↑ Agnese aveva un altro
- ↑ quella di
- ↑ si sentisse
- ↑ pure non ardiva scostarsi dall’asilo, né pur
- ↑ sapevano
- ↑ spiegare le lettere
- ↑ di questi
- ↑ ed i
- ↑ Quegli che dà il tema della lettera comunica al segretario
- ↑ per esagge
- ↑ [e sopratutto parte] quegli che riceve la lettera se
- ↑ confonde
- ↑ avrebbe
- ↑ fanno
- ↑ [Egli si ❘ Il suo disegno e la sua speranza era che Lucia venisse ❘ venisse con la madre a Bergamo, che dov’egli confidava di potere stabilirsi, e viver bene del suo lavoro] Il suo castello in aria era di (lacuna)
- ↑ di avvantaggiare con quella
- ↑ tanto
- ↑ Lucia
- ↑ e se
- ↑ [bastava a | poteva | far credere] persuadeva bensì
- ↑ [ciò poteva | questo disegno] ciò poteva venire in seguito, non poteva però fare ch’egli non
- ↑ non
- ↑ prese
- ↑ e Agnese intendeva come (lacuna)
- ↑ rispose a Fermo
- ↑ [e rispose] intese e rispose come potè
- ↑ fam
- ↑ e con
- ↑ stata nel suo
- ↑ rise
- ↑ in compagnia di gran signori, [dopo e il] e in qu
- ↑ il pericolo non solo diventava
- ↑ fargli
- ↑ Fermo
- ↑ un
- ↑ possiede i mezzi per
- ↑ i mezzi
- ↑ non ricever
- ↑ [Era] E per qu
- ↑ avesse
- ↑ era
- ↑ alla
- ↑ da mille strani e torbidi [pensieri] dubbj [Agnese nella] dei quali cercava ad Agnese la soluzione
- ↑ Scriveva egli
- ↑ comunicava
- ↑ per maggior ben
- ↑ e di qu
- ↑ D.
- ↑ po
- ↑ andò se
- ↑ giunsero
- ↑ In mezzo alla colonna, cancellati Fine del tomo iii | 11 marzo 1823 e tra le due indicazioni Segue. E il seguito è: parte nella seconda metà del foglio 58/, (cioè tomo IV,) la cui indicazione ha accanto un 111/3 (ossia il numero progressivo necessario), parte in alt n, due. Quel che contiene la prima metà del foglio 58 è un brano, ricopiato poi, del capitolo V, tomo IV: brano che comincia Fatte le parti e finisce porsi in salvo. Altrove, come è scritto nella Prefazione, le differenze ricavabili dal confronto.
- ↑ Subito sotto, in mezzo alla colonna