|
capitolo ix - tomo iii |
577 |
non fossero in opposizione alle abitudini e alle volontà risolute di D. Ferrante. La sua gran voglia di comandare,
ristretta in questo picciol campo, vi si esercitava con una
energia singolare. Donna Prassede1 profondeva pareri e2 correzioni a quelli che3 volevano, e ancor più a quelli che dovevano sentirla: e per quanto dipendeva da lei non avrebbe
lasciato deviar nessuno d’un punto dalla via retta. Perché,4 a dire il vero, questa smania di dominio non nasceva in lei da alcuna vista interessata: era puro desiderio del bene; ma il bene ella lo intendeva a suo modo, lo discerneva istantaneamente in qualunque alternativa, in qualunque complicazione di casi le si fosse5 affacciata da6 esaminare: e, quando una volta aveva veduto e detto che quello era il bene, non era possibile ch’ella cangiasse di parere; e7 per farlo riuscire8 predicava ed operava fintanto che avesse ottenuto l’intento o la cosa fosse divenuta impossibile; nel qual caso non lasciava di predicare per convincere tutti che avrebbe dovuto riuscire.9
- ↑ dava par
- ↑ ammonizioni
- ↑ dovev
- ↑ abbiamo dimenticato di [accen] accennare ciò
- ↑ presentata
- ↑ considerar
- ↑ predicava ed operava
- ↑ [fino al) fintanto
- ↑ La Signorina Ersilia [o per meglio dire] anzi Silietta, giacché come amici di casa noi possiamo chiamarla col diminutivo famigliare che usavano i suoi parenti, Silietta era un personaggio non troppo facile da descriversi né da definirsi. Non era né bella né brutta. Le sue fattezze erano senza difetti e senza espressione: i suoi due grandi occhi grigj non si movevano che quando si moveva tutta la testa : [la bocca era] teneva la bocca sempre semiaperta, come se ad ogni momento sentisse una leggiera maraviglia: rideva spesso, e
sorrideva di rado; parlava lentamente, e placidamente, ma volentieri e a lungo tutte le volte che [i suoi par] alcuno dei suoi parenti non fosse presente a darle su la voce. Intendeva a stento, e talvolta a rovescio quel che altri dicesse; e quando ciò le accadeva con persona che ne mostrasse impazienza, Silietta si scusava con dire: «son corta d’ingegno»: cosa che [aveva i] s’era intesa dire spesso da D. Ferrante e da Donna Prassede, e dalle Suore che l’avevano avuta in cura. Era destinata al chiostro, per la ragione facile ad indovinarsi, che D. Ferrante non poteva certamente darle una dote conveniente proporzionata al partito che [le sarebbe] sarebbe convenuto alla sua nascita e al grado che teneva la casa. Su questa sua destinazione, non sapremmo [dire in ver] per verità dire quali fossero i suoi sentimenti.
Non vi aveva avversione, [in | in] inclinazione nemmeno; risguardava questa destinazione come una cosa a cui altri (doveva] aveva dovuto pensare, ed aveva pensato, [anzi come | quasi] e che per lei era indifferente, a un di presso come [il nome] l'esserle stato [posto un no] posto piuttosto un nome che un altro; anzi la risguardava quasi una conseguenza naturale [dell'esser ella nat | delle sue circost | dell’esser
ella nata femina in quelle circosianze di famiglia] del suo sesso e delle circostanze della sua famiglia; e ripeteva sovente ciò che le era stato detto nell'infanzia da una sua governante: «se fossi nata maschio, sarei un gran signore». Ma la cosa era fatta, e Silietta sapeva bene che non si nasce due volte.
Manzoni, Gli sposi promessi. |
|
37 |