Frammenti letterari e filosofici/Note

Note

../Le profezie e le facezie/Le facezie ../Sommarii e riferimenti IncludiIntestazione 6 dicembre 2024 75% Da definire

Le profezie e le facezie - Le facezie Sommarii e riferimenti

[p. 397 modifica]

NOTE.


1 Si veda: Qui incomincia el Tesoro di Brunetto Latino di Firense, e parla del nascimento e della natura di tutte le cose. Treviso, 1474. Lib. IV, cap. 4. (Ed. di Venezia, 1841. Vol. I, pag. 202), dalla quale opera Leonardo attinge la materia di questa favola.

2 La leggenda qui narrata da Leonardo non ha nessun fondamento storico, e si deve far risalire probabilmente al Tractato de le piu maravigliose cosse e piu notabile che si trovano in le parte del mondo, redute e collecte sotto brevità in el presente compendio dal strenuissimo cavalieri speron doro Johanne de Mandavilla. Milano, 1480. Folio g, 3 v°, opera che il Vinci stesso ricorda in una nota del Codice Atlantico: folio 207 r°. Per analoghe leggende si veda Prideaux, Life of Mahomet. Pag. 82 e seg.; A. D’Ancona, La leggenda di Maometto in Occidente. Giorn. Stor. d. Letteratura Italiana. Torino, 1897. Vol. XIII, pag. 238.

3 Si veda: Fiore di virtù che tratta tutti i vitti humani, et come si deve acquistare la virtù. Venezia, 1474. Cap. I, pag. 3-4, libro [p. 398 modifica] ricordato da Leonardo nel Codice Atlantico: folio 207 r°, e che è la fonte capitale di tutto il Bestiario del Vinci. Intorno a quest’ultimo si veda: A. Springer, Ueber den Physiologus des Leonardo da Vinci, in Berichte über die Verhandlung der k. sächs. Gesell. d. Wissen. za Leipzig. Philolog. -hist. Classe. Leipzig, 1884. Fasc. 3-4; e Goldstaub und Wendriner, Ein tosco — venezianischer Bestiarius. Halle, 1892. Pag. 240-254: Anhang zu Kap. VI, Exkurs iiber den Bestiarins des Leonardo da Vinci, che riavvicina al testo del manoscritto H passi di Solino, di Alberto Magno, di Ugo da San Vittore, di Vincenzo di Beauvais, del Neckam.

4 Fior di virtù, Roma, 1740. Cap. III, pag. 22-23: Del vizio dell’invidia appropriato al nibbio.

5 Ivi, cap. IV, pag. 26: Dell’allegrezza appropriata al gallo.

6 Ivi, cap. V, pag. 29: Del vizio della tristizia appropriato al corbo.

7 Ivi, cap. VII, pag. 34: Della virtù della pace appropriata al castoro.

8 Ivi, cap. VIII, pag. 37-38: Del vizio dell’ira appropriato all’orso.

9 Ivi, cap. IX, pag. 43: Della virtù della misericordia, ed è appropriata a’ figliuoli dell uccello ipega.

10 Ivi, cap. XII, pag. 58: Del vizio dell’avarizia appropriato alla botta. [p. 399 modifica]

11 Donde Leonardo abbia tratta questa allegoria non mi è stato dato di determinare.

12 Fior di virtù, cap. X, pag.47: Del vizio della crudeltà appropriato al basilisco.

13 Ivi, cap. XI, pag. 50: Della virtù della liberalità appropriata all’aquila.

14 Ivi, cap. XIII, pag. 62-63: Della correzione appropriata al lupo.

15 Ivi, cap. XIV, pag. 66: Della lusinga appropriata alla sirena.

16 Ivi, cap. XV, pag. 69-70: Della prudenza appropriata alla formica.

17 Ivi, cap. XVI, pag. 76-77: Della pazzia appropriata al bue salvatico.

18 Ivi, cap. XVII, pag. 79-80: Della giustizia appropriata al re delle api.

19 Ivi, cap. XXI, pag. 98-99: Della verità appropriata alla pernice.

20 Ivi, cap. XIX, pag. 91: Della lialtà appropriata alla grue.

21 Ivi, cap. XX, pag. 95: Della falsità appropriata alla volpe.

22 Ivi, cap. XXII, pag. 102: Della bugia appropriata alla topinara.

23 Ivi, cap. XXIV, pag. 109: Del timore appropriato alla lepre.

24 Ivi, cap. XXV, pag. 111: Della magnanimità appropriata al girifalco. [p. 400 modifica] 25 Ivi, cap. XXVI, pag. 112-113: Della vanagloria appropriata allo pavone.

26 Ivi, cap. XXVII, pag. 115-116: Della constanzia appropriata alla fenice.

27 Ivi, cap. XXVIII, pag. 117-118: Della incostanzia appropriata alla rondine.

28 Ivi, cap. XXIX, pag. 120-121: Della temperanza appropriata al cammello.

29 Ivi, cap. XXX, pag. 125: Della intemperanza appropriata al liocorno.

30 Ivi, cap. XXXI, pag. 128: Della umiltà appropriata allo agnello.

31 Ivi, cap. XXXII, pag. 133: Della superbia appropriata al falcone.

32 Ivi, cap. XXXIII, pag. 137: Dell’astinenza appropriata all’asino salvatico.

33 Ivi, cap. XXXIV, pag. 139: Della gola appropriata all’avvoltoio.

34 Ivi, cap. XXXV, pag. 141: Della castità appropriata alla tortora.

35 Ivi, cap. XXXVI, pag. 146: Della lussuria appropriata al pipistrello.

36 Ivi, cap. XXXVII, pag. 152-153: Della moderanza appropriata all’ermellino.

37 Si veda: Cecco Asculano, Lacerba. Venezia, 1492. Lib. III, cap. III, folio 32 r° e v°: Aquila.

38 Ivi, lib. III, cap. IV, folio 33 r°: De la natura de lumerpa. [p. 401 modifica]

39 Ivi, lib. III, cap. V, folio 33 r°: De la natura de plicano.

40 Ivi, lib. III, cap. VI, folio 33 v°: De quatro animali che vivono de quattro elementi et primo de salamandra.

41 Ivi, lib. III, cap. VII, folio 33 v°: De gameleone.

42 Ivi, lib. III, cap. VII: Alepo.

43 Ivi, lib. III, cap. VIII: De la natura del struzo.

44 Ivi,lib.III,cap. X, folio 34 v°: De la natura del cygno.

45 Ivi, lib. III, cap. XI, folio 35 r°: De la natura de la cicogna.

46 Ivi, lib. III, cap. XII, folio 35 r«e v°: De la natura de la cichada.

47 Ivi, lib. III, cap. XXX, folio 40 v°: De la natura del basalisco.

48 Ivi, lib. III, cap. XXXI, folio 40 v° e 41 r°: Del aspido. — Ivi, lib. III, cap. XXXII, folio 41 r°: Del dracone.

49 Ivi, lib. III, cap. XXXIII, folio 41 v°: De la vipera.

50 Ivi, lib. III, cap. XXXIV, folio 41 v° e 42 r°: Del scorpione.

51 Ivi, lib. III, cap. XXXV, folio 42 r°: Del crocodilo.

52 Ivi, lib. III, cap. XXXVI, folio 42 v°: Del botto. [p. 402 modifica]

53 Questa allegoria sembra originale di Leonardo.

54 Questa allegoria sembra originale di Leonardo.

55 Si veda la Historia naturale di Caio Plinio Secondo tradocta di lingua latina in fiorentina per Cristoforo Landino. Venezia, 1476. Lib. VIII, cap. XVII e seg., opera che Leonardo ricorda, con la parola Plinio, nel Codice Atlantico: folio 207 r°; e nel Codice Trivulziano: folio 3 r°.

56 Si veda C. Plinii Secundi Naturalis Ristoria (ed.Detlefsen), vol. I, Berlino, 1866: e per le discussioni, che si sono levate a proposito della diretta derivazione di questi passi da Plinio, si veda Goldstaub und Wendriner, Ein tosco-venezianischer Bestiarius, pag. 245-247.

57 In Plinio non mi fu dato di riscontrare il testo di questo simbolo.

58 C. Plinii Nat. hist., lib. VIII, cap. I, pag. 47; cap. IV, pag. 48; cap. V, pag. 49; cap. XII, pag. 53.

59 Ivi, lib. VIII, cap. XII, pag. 53-54.

60 Ivi, lib. VIII, cap. XIV, pag. 54 (36-37).

61 Ivi, lib. VIII, cap. XIII, pag. 54 (37-38).

62 Ivi, lib. VIII, cap. XV, pag. 54 (38-40).

63 Ivi, lib. VIII, cap. XV, pag. 54-55 (40-41).

64 Non mi è stato dato di precisare con esattezza la fonte di questo simbolo. [p. 403 modifica]

65 cfr. C. Plinii Nat. hist., lib. X, cap, LXXIII, pag. 1.

66 Ivi, lib. VIII, cap. XXVII, pag. 65.

67 Ivi, lib. VIII, cap. XV, pag. 55 (41-42).

68 Ivi, lib. VIII, cap. XVI, pag. 55.

69 Ivi, lib. VIII, cap. XVI, pag. 57 (52-53).

70 Ivi, lib. VIII, cap. XVII, pag. 59.

71 Ivi, lib. VIII, cap. XVIII, pag. 59-60 (67-69).

72 Ivi, lib. VIII, cap. XVIII, pag. 59 (66-67). Si noti nel brano di Leonardo la confusione fra le parole tigre e pantera.

73 Ivi, lib. VIII, cap. XXI, pag. 61 (77-78).

74 Ivi, lib. VIII, cap. XXI, pag. 61-62 (78-79).

75 Ivi, lib. VIII, cap. XXI, pag. 62 (79-80).

76 Ivi, lib. VIII, cap. XXIII, pag. 63 (85-86).

77 Ivi, lib. VIII, cap. XXIII, pag. 63 (85-86).

78 Ivi, lib. VIII, cap. XXIII, pag. 63 (85-85).

79 Ivi, lib. VIII, cap. XXXIII, pag. 63 (86-88).

80 Ivi, lib. VIII, cap. XXIV, pag. 63.

81 Ivi, lib. VIII, cap. XXV, pag. 63-64.

82 Ivi, lib. VIII, cap. XXV, pag. 64.

83 Ivi, lib. VIII, cap. XXV, pag. 64-65.

84 Ivi, lib. VIII, cap. XXVII, pag. 65. [p. 404 modifica]

85 Ivi, lib. VIII, cap. XXVII, pag. 65.

86 Ivi, lib. VIII, cap. XXVII, pag. 65 (97-98).

87 Ivi, lib. VIII, cap. XXVII, pag. 65.

88 Ivi, lib. VIII, cap. XXVII, pag. 65.

89 Ivi, lib. VIII, cap. XXVII, pag. 65 (98-99).

90 Ivi, lib. VIII, cap. XXVII, pag. 65 (99-100).

91 Ivi, lib. VIII, cap. XXVII, pag. 65-66 (100-101).

92 Ivi, lib. VIII, cap. XXVII, pag. 66.

93 Ivi, lib. VIII, cap. XXVII, pag. 66 (101-102).

94 La profonda osservazione, contenuta in questo passo, è stata suggerita a Leonardo dalle contraddizioni e incertezze, in cui s’era avvolta la meccanica presso gli antichi. La leva archimedea non essendo una verga solida, ma una linea geometrica, poteva fornire agli investigatori soltanto dei risultati matematici e astratti; più tardi gli antichi, incautamente, fusero e confusero i dati della aritmetica coi dati della esperienza, rendendo così più acuto quel contrasto fra l’ideale e il reale, che la scienza greco-romana non riuscì a comporre. Il Vinci, intuendo nettamente una scienza interprete e legislatrice della natura, afferma qui il proposito di voler correggere, con [p. 405 modifica] critica investigazione, le cifre discordanti, offerte dagli antichi testi. — Si veda sulle caratteristiche dell’antica e della nuova scienza: Höffding, Geschichte der neueren Philosophie. Leipzig, 1895. Vol. I, pag. 84; 176-227. E su Leonardo: Dühring, Kritische Geschichte der allgemeinen Prinzipien der Mechanik. Leipzig, 1877. Pag. 12 e seg.

95 Questo passo, o più esattamente il seguente, che vi è contenuto, è attinto al Valturio, De re militari libri XII ad Sigismundum Pandulfum Malatestam..... edente Paulo Ramusio. Verona, 1483. Pag. 12; opera da Leonardo ricordata nel Codice Atlantico: folio 207 r°, con la indicazione: De re militari. Non hanno quindi nessuna ragione le ricerche iniziate dal Müller Strubing in Richter, The literary works of Leonardo da Vinci. London, 1883. Vol. I, pag. 16.

96 Si veda ancora: Valturio, De re militari. Pag. 12, donde questo frammento è stato tradotto parola a parola.

97 Il passo qui riferito precede le splendide pagine di Leonardo contro l’ipotesi filolaico-platonica, che assegnava rispettivamente la figura di ciascuno dei cinque poliedri regolari (figurae mundanae) agli elementi della terra, acqua, aria, fuoco e universo. — Sul valore matematico di questo concetto, si veda lo Chasles, Aperçu historique sur l'origine et sur le développement des méthodes en geometrie, Paris, 1875, pag. 512-515; e sui passi del Vinci ad esso [p. 406 modifica]relativi i miei Studi sulla filosofia naturale di Leonardo da Vinci. Modena, 1898, pag. 88-89. Peir le fonti cfr. Luca Pacioli, Divina proporzione. Venezia, 1509. Pag. lv.

98 Leonardo, nelle sue ricerche lente e faticose sulla caduta dei gravi, non &giunse alla determinazione di quella legge degli spazi proporzionali ai quadrati dei tempi, che rese immortale Galileo Galilei. Il principio qui espresso è che il peso cadente è soggetto ad una forza di accelerazione costante, la quale fa si che l’aumento della distanza fra i gravi discendenti è equale e proporzionale ai tempi della caduta. Intorno alle investigazioni di Leonardo sulla discesa dei gravi si veda il Venturi, Essai sur les ouvrages phisico-mathématiques de Léonard de Vinci. Paris, 1797, pag. l6; e le acute pagine del Caverni, Storia del metodo sperimentale in Italia. Firenze, 1895. vol. IV, pag. 69-80.

99 Tale concetto intorno ai moti equabili, tratto dalla meccanica aristotelica (Quaestiones mechanicae. Opera. Venezia, l560. Vol. XI cap. II), è affermato vero dal Vinci nei limiti naturali: «Se una potenza moverà un corpo in alquanto tempo un alquanto spazio, la medesima potenza moverà la metà di quel corpo nel medesimo tempo due volte quello spazio, ovvero la medesima virtù moverà la metà di quel corpo per tutto quello spazio nella metà di quel tempo» Manoscritto F, folio 26 v°. - Ciò che [p. 407 modifica]Leonardo combatte nel frammento LXII è l’arbitraria estensione della legge al di là di ogni esperienza e di ogni possibilità di natura, è la tendenza ingenita in certe menti irrequiete di dar forma metafisica alle leggi fisiche, di applicare la vuota astrattezza del termine in infinito alla natura manifestantesi nello spazio e nel tempo finito.

100 Il frammento è stato compiutamente frainteso dal Ravaisson, per la sostituzione della parola frate alla parola fructo, che si trova realmente nel manoscritto. (Les manuscrits de Léonard de Vinci. Manuscrits F et I de la bibliothèque de l’Institut. Paris, 1889. F, folio 72 v°.)

101 Leonardo ha tradotto questo passo parola a parola dalla Prospettiva di Giovanni Pecckham (✠ 1292). Si veda in fatti: Prospectiva communis domini Johanni Archiepischopi Cantuariensis fratris ordinum minorum. Milano, s. d., folio a, 2.

102 Secondo le dottrine aristoteliche, era concesso alla mente umana di conoscere la natura dei quattro elementi terra, acqua, aria e fuoco, risultanti dalla varia mescolanza del grave col leggero, dell’umido col secco, principi ultimi componenti la molteplice varietà delle cose. Si veda Aristotile, De coelo. Lib. IV, cap. 4. — Leonardo nega qui la possibilità di conoscere la natura degli elementi, che compongono la realtà esterna; come altrove (Codice Atlantico, folio 79 r°, pag. 187) aveva negato, a somiglianza del [p. 408 modifica] suo contemporaneo Niccolò Cusano, la possibilità di giungere alla conoscenza di elementi primitivi in generale. Cfr. Lasswitz, Geschichte der Atomistik vom Mittelalter bis Newton. Hamburg und Leipzig, 1890. I, pag. 278.

103 Son qui profondamente intravveduti gli effetti di quella coesione intermolecolare, che fa che la gocciola d’acqua assume forma sferica intorno al centro della propria figura; e gli effetti di quella più vasta attrazione, che tiene raccolto l’elemento liquido intorno al centro della Terra.

104 Leonardo ricorda nel Codice Atlantico, folio 207 r°, con la parola Justino: Il libro di Justino, posto diligentemente in materna lingua da Girolamo Sguarzafico. Venezia, 1477; libro che gli ispirava questo memorabile frammento. Si veda G. d’Adda, Leonardo da Vinci e la sua libreria. Milano, 1872; e The literary works of Leonardo da Vinci. Londra, 1888. I, pag. 419 e seg.
Pag. 108. Piero di Braccio Martelli, ricordato altrove dal Vinci (codice del British Museum: folio 202 v°. Cfr. Richter, The literary works, vol. II, n. 1420), non solo fu cittadino di grande integrità, ma matematico insigne, singolare ragione perchè fosse caro a Leonardo. Sul principio del secolo XVI, benchè infermo di corpo, se dobbiamo credere al Poccianti, egli compose: Libri quattuor in Mathematicas disciplinas, Epistolae plures et elegantes, Epigrammata non panuca [p. 409 modifica]et acutissima; opere, che, smarrite durante il sacco di Roma (1527), ci hanno forse tolto un nuovo esempio di quella efficacia, che Leonardo da Vinci ebbe su alcuni matematici del tempo suo.

105 La legge affermata qui da Leonardo è quella stessa che il Galilei dichiarava nei Dialoghi delle scienze nuove (Opere, ed. Alberi. Vol. XIII, pag.177): scendendo un corpo in vari modi, deviato per obbliquità di rimbalzi, giunge al medesimo punto ch’egli avrebbe toccato, se vi fosse pervenuto senza altro impedimento: «Ogni movimento fatto dalla forza, scrive col suo stile limpido e conciso il Vinci, conviene che faccia tal corso, quanto e la proporzione della cosa mossa con quella che muove; e, se ella troverà resistente opposizione, finirà la lunghezza del suo debito viaggio per circolar moto o per altri vari risaltamenti e balzi, i quali, computato il tempo e il viaggio, fia come se ’l corso fosse stato sanz’alcuna contraddizione.» Manoscritto A, folio 60 v°.

106 Leonardo accetta in questo frammento il principio che la visione si compia nell’interno dell’occhio, in un punto indivisibile o matematico. (Cfr. Vitellone, Optica edente Fred. Rixnero. Norimberga, 1535, libro ricordato da Leonardo nel Codice Atlantico, folio 243 r° e folio 222 r°.) Fu più tardi, nel progresso delle sue ottiche investigazioni, che egli giunse alla razionale convinzione dell’esistenza di una superficie [p. 410 modifica] sensibile alla luce e ai colori, cioè a quella che oggi si chiama la retina. Grandiosa conclusione, alla quale è portato da una serie di scoperte non meno grandiose, raccolte nel manoscritto D, e disperse nei manoscritti F, K, E.

107 La fonte per le notizie sulle idee di Pitagora intorno all’armonia delle sfere si deve ritenere, in ultima analisi, il De Coelo d’Aristotele (lib. II, cap. IX); tuttavia il Vinci procede indipendentemente dalle argomentazioni peripatetiche. Secondo la filosofia pitagorea, ogni corpo, mosso rapidamente, genera un suono; i corpi celesti, nel loro eterno movimento, producono anch’essi una serie di suoni, la di cui altezza varia secondo la velocità e la velocità secondo la distanza. Gli intervalli degli astri corrispondono, secondo i pitagorei, agli intervalli dei suoni nell’ottava. — Si veda Zeller, Geschichte der Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung. Tubinga, 1869. Voi. I, pag. 398 e 399.

108 Leonardo si riferisce alla Spera di Goro Dati [Firenze, 1478] e agli Hymni et epigrammata di Michele Tarcaniota (Marullo) [Firenze, 1497]. Nella prima di queste due opere, le strofe, che vanno dalla 16a alla 22a, sono dedicate alle lodi del sole:

Chiaro splendore e fiamma rilucente,
Sopra tutt’altre creatura bella, ec.

e non è difficile rinvenirvi idee ed espressioni simili a quelle usate dal Vinci. [p. 411 modifica] Negli Hymni et epigrammata del Marullo, il secondo dei Libri hymnorum naturalium si apre coll’inno al sole:

Quis novus hic animis furor incidit, nude repente
Mens fremit horrentique sonant precordio, mota? ec

Le notizie, che seguono nei frammenti L, LI, LII, intorno alle idee di Epicuro sono tratte, più che da Lucrezio, che Leonardo nomina una sola volta di seconda mano, dal El libro de la vita de philosophi e delle loro elegantissime sententie extracte da Diogene Lahertio e da altri antiquissimi auctori. Venezia, 1480, lib. X (ed. Lipsia, 1833, vol. II, pag. 223).

109 Il tentativo d’incanalare l’Arno per bonificare tutto il piano d’Empoli e dintorni, già suggerito da Luca Fancelli (si veda G. Uzielli, La vita e i tempi di Paolo dal Pozzo Toscanelli. Roma, 1890, pag. 520), conduce il Vinci, dal campo strettamente pratico, ai più alti problemi di idraulica e di geologia. Il Sasso della Gonfolina, che si trova fra Sigila e Montelupo, formava in antico un altissimo argine, separatore di due vasti laghi, l’uno coperto dalle acque salse, l’altro dalle acque dolci (si veda il frammento LXXXI). Secondo Giovanni Villani (᛭ 1348), lontano ancora da ogni idea di dinamica terrestre, la mano provvida dell’uomo avrebbe spezzata questa diga, onde lasciare libero il transito al fiume (Cfr. Croniche di Giovanni, Matteo e Filippo Villani. Trieste, 1861); Leonardo vede nell’opera lenta dell’acqua la causa del benefico effetto. Alte e feconde [p. 412 modifica] sono le conclusioni che il Vinci seppe trarre da questo e da simili fatti, ma le puerili credenze del tempo (cfr. Francesco Patrizzi, De antiquorum rethorica. Venezia, 1562) erano radicate così profondamente nell’anima dei ricercatori, che, perfino due secoli dopo, Antonio Vallisnieri (Opere fisico-mediche. Venezia, 1733, vol. II), riguardato come il padre della moderna scienza geologica, ne sa assai meno di lui intorno all’esistenza delle conchiglie fossili e intorno alla meccanica delle trasformazioni terrestri.

110 II problema della fine della vita nel mondo preoccupa, come può scorgersi dai frammenti LXXXVII e LXXXVIII, Leonardo da Vinci; ma ciò che è degno di considerazione è che egli, senza ricorrere ad una volontà extramondana, riguarda il finale dissolvimento degli esseri come una naturale conseguenza del successivo operare delle forze fisiche. Due opposte conclusioni si potevano trarre dal trasformarsi lento e continuo della superficie terrestre: nel corso dei secoli le acque si troveranno rinserrate nel fondo di voragini senza fine, per il lavorio dei fiumi che approfondiscono il proprio letto; nel corso dei secoli l’acqua circonderà in ogni sua parte la terra, per l’abbassarsi dei monti, in causa del dispogliamento del terreno, dovuto all’acqua. La prima ipotesi è toccata e combattuta da Aristotele nei Libri metheorologici, lib. II, cap. I, § 1. Cfr. lib. II, cap. I, § 1-17; entrambe sono espresse qui dal Vinci.</section end="110" /> [p. 413 modifica]

111 Secondo Anassagora, ogni cosa nel mondo è composta da una somma di componenti della stessa natura dell’intero, chiamati da lui stesso σπέρματα (Fr. 1, 3, 6 [4]): questi principi ultimi si trovano sparsi da per tutto, sempre eguali a se stessi, ed entrano nella composizione di ogni essere inorganico e organico. Si veda Zeller, Gesch. der Philosophie der Griechen. I, pag. 875-885. Le medesime espressioni del frammento di Leonardo si trovano nel De umbris idearum, Berlino, 1868, pag. 28, del Bruno, e risalgono probabilmente a Lucrezio, De rerum natura, lib. I, v. 830 e segg.

112 Si veda: Roberto Valturio, De re militari . Parigi, 1534. Pag. 4, donde è tratto il frammento.

113 Le notizie su queste costumanze dei selvaggi sono state tratte dal Mandavilla, Tractato de le più maravigliose cosse e più notabili che si trovano in le parti del mondo. Milano, 1480, folio 1 4 r°: «e se sono grassi di subito li mangiano, e se sono magri li fano ingrassare.» L’opera del Platina qui citata è il De la honesta voluptate et valetudine et de li obsonij. Venezia, 1487, ricordata nel Codice Atlantico con le parole: De onesta voluptà, folio 207 r°.

114 II codice, nel quale si trova questo frammento, contiene, quasi esclusivamente, note intorno al trattato Di luce ed ombra. Il cavallo, di cui qui si parla, è il modello per la statua equestre a Francesco Sforza. [p. 414 modifica] Jaconio Andrea, nella casa del quale Leonardo si reca a cena con il discepolo suo Giacomo, è Andrea da Ferrara, profondo conoscitore di Vitruvio e architetto di alto grido, che morì, ucciso per ordine del generale Trivulzio, nel 15 maggio 1500 (Cfr. G. Uzielli, Ricerche intorno a Leonardo da Vinci. Torino, 1896. Voi. I, pag. 377-382). Marco e Marco d’Oggionno, pittore e discepolo del Vinci. Galeazzo Sanseverino, in casa del quale Leonardo dirige quella giostra, che rimase poi sempre famosa in Milano (26 gennaio 1491), è il capitano al quale Lodovico il Moro affiderà il proprio esercito nel funesto 1499, e profondo conoscitore dell’arte militare. Agostino da Pavia è ricordato, insieme con Leonardo da Vinci, nella lettera che Bartolomeo Calco, segretario dello Sforza, dirige al Referendario di Pavia, in occasione del matrimonio di Lodovico con Beatrice d’Este e d’Anna, sorella del duca Galeazzo, con Alfonso d’Este, per richiedere il ritorno degli artisti che si trovavano in quella città (8 dicembre 1490: ..... Angustino et Magistro Leonardo ..... cfr. Beltrami, Il Castello di Milano. Milano, 1895. Pag. 188). Finalmente Gian Antonio è l’artista Gian Antonio Boltraffio, altro dei discepoli di Leonardo in Milano. L’intero frammento è, quasi senza dubbio, un memoriale per il risarcimento de’ danni e delle spese.

115 II frammento è di grande importanza per la biografia di Leonardo e particolarmente per gli anni, che vanno dal 1513 [p. 415 modifica] al 1515. Maestro Giovanni degli Specchi e gli altri, ricordati qui vagamente, sono lavoranti o meccanici tedeschi, della cui opera il Vinci si serviva per attuare i suoi molteplici disegni di strumenti, come per esempio il memorabile tornio ovale (si veda: Codice Atlantico., folio 121 r°: fa fare il tornio ovale al Tedesco).

Pag. 228. Non si può negare, come fa incautamente il Richter (The literary Works of Leonardo da Vinci. Vol. II, pag. 413), la possibilità di una simile costumanza presso gli abitanti delle Indie, data la scarsa conoscenza che possediamo delle pratiche superstiziose popolari, soggiacenti ai principi più alti delle religioni asiatiche. Ma è più probabile, e nello stesso tempo più naturale, che il Vinci si riferisca, con le parole: come ancora in alcuna regione dell’India, notizie che cominciavano a diffondersi sul principio del secolo XVI in Europa intorno agli usi dei popoli americani: e allora le sue parole trovano più di una luminosa conferma nelle pagine del Frazer, The golden bough — a study in comparative religion. Londra, 1890, vol. Il, pag. 79-81; e in quelle dell’Acosta, Natural and moral history of thè Indies. Londra, 1880, vol. II, pag. 356-360.

116 Il nome di Momboso è adoperato per indicare il gruppo del Monte Rosa da Flavio Biondo, Roma ristaurata ed Italia illustrata, trad. Venezia, 1542, pag. 165; e da Leandro Alberti, Descrittione di tutta [p. 416 modifica] Italia. Venezia, 1588, pag.,435. «I quattro fiumi che rigan per quattro aspetti contrari tutta l’Europa,» sono «il Rodano a mezzodì e ’l Reno a tramontana, il Danubio over Danoja a greco e ’l Po a levante.» (Mss . di Leicester, c. 10 r°; Richter, The literary works. Vol. II, pag. 247. L’osservazione intorno alla caduta della grandine o «grésil,» quella, ancor più importante ed in contrasto con le idee del tempo, della maggiore tenebrosità del cielo sereno a grandi altezze, confermata più di tre secoli dopo dal De Saussure per le Alpi, e dall’Humboldt per le Cordigliere (Kaemtz, Cours de météorologie. Parigi, 1858, vol. V, pag. 315), portano a ritenere che Leonardo da Vinci è salito oltre i 3000 metri.

117 Le descrizioni di Leonardo ritraggono per lo più fenomeni realmente osservati. A proposito del passo: «onde del mare di Piombino, tutte d’acqua schiumosa»; si ricordi il disegno di un’onda coperta di schiuma, che si trova nel manoscritto L e la nota che lo accompagna: «fatta al mare di Piombino» (anno 1502). Leonardo da Vinci, Les manuscrits G, L, M, de la bibliothèque de l’Institut. Parigi, 1890, vol. V, folio 6 v°.

118 La questione del viaggio di Leonardo in Oriente, aperta dal Richter nella Zeitscrift für bildende Kunst. Vienna, 1881, vol. XVI, e esaminata a fondo dal Douglas Freshfield nei Proceedings of the Royal [p. 417 modifica]Geographical Society. Londra, 1884 Vol. VI, pag. 323 e segg.; può dirsi, non che risoluta, neppure proposta nei suoi veri termini. Se da una parte la Divisione del Libro suggerisce l’idea di una narrazione fantastica, sia pure condotta con tutta la maggiore precisione storica e geografica propria del genio di Leonardo; resta sempre a spiegarsi l’origine di certe notizie; la ragione di certi schizzi, grossolani e accurati nello stesso tempo, che riproducono uomini e cose asiatiche; il senso di certe espressioni più vaghe su personaggi e costumi orientali, che spuntano inaspettatamente nei manoscritti, come rimembranze di cose vedute, poste ad esempio di principi prospettici o idraulici. La stessa notizia dello splendore notturno del Tauro, può dirsi, piuttosto che una riproduzione dai Libri meteorologici di Aristotele, una rettifica del testo aristotelico, fatta con argomenti tratti dalla diretta conoscenza dei luoghi.

119 Se si confronta questa specie di abbozzo del Cenacolo con l’opera finita, si ritroveranno facilmente alcuni degli elementi della prima, seconda e terza figura descritte nella prima figura, alla destra di Cristo (Giovanni); nella prima (Giacomo maggiore) e nella quarta (Matteo), alla sua sinistra. L’artifizio del coltello; il gruppo dell’uomo che parla e di quello che ascolta; l’episodio della tazza rovesciata si ritrovano nell’atteggiamento della terza figura a destra del Salvatore (Pietro), in quello delle due ultime [p. 418 modifica] figure a sinistra (Taddeo e Simone), in quello di Giuda. L’uomo che posa le mani sulla tavola e guarda è colla maggiore evidenza l’apostolo Bartolomeo della pittura. La penultima figura a sinistra (Giacomo minore) conserva qualche caratteristica delle ultime linee del frammento.

120 Quale sia la fonte di questa e della seguente lettera mi è stato impossibile determinare, sebbene quanche punto richiami certe espressioni del Morgante maggiore di Luigi Pulci. Venezia 1488. Ancora più difficile sarebbe precisare lo scope del contenuto di questa narrazione.