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Le profezie e le facezie - Le facezie

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Le profezie e le facezie - Le profezie delle cose filosofiche Note

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LE FACEZIE.


I. — di un frate ad un mercante.

Usano i frati minori, a certi tempi, alcune loro quaresime, nelle quali essi non mangiano carne ne’ lor conventi; ma in viaggio, perchè essi vivono di limosine, hanno licenzia di mangiare ciò che è posto loro innanzi. Onde, abbattendosi, in detti viaggi, una coppia d’essi frati a un’osteria, in compagnia d’un certo mercantuolo, il quale, essendo a una medesima mensa, alla quale non fu portato, per la povertà dell’osteria, altro che un pollastro cotto; onde esso mercantuolo, vedendo questo essere poco per lui, si volse a essi frati, e disse: — se io ho ben di ricordo, voi non mangiate in tali dì ne’ vostri conventi d’alcuna maniera di carne. — Alle quali parole i frati furono costretti, per la lor regola, sanza altre cavillazioni, a dire ciò essere la verità: onde il mercan[p. 388 modifica]tuolo ebbe il suo desiderio; e così si mangiò essa pollastra; e i frati feciono il meglio poterono.

Ora, dopo tale desinare, questi commensali si partirono tutti e tre di compagnia; e dopo alquanto di viaggio, trovato un fiume di bona larghezza e profondità, essendo tutti e tre a piedi, — i frati per povertà e l’altro per avarizia, — fu necessario, per l’uso della compagnia, che uno de’ frati, essendo discalzi, passasse sopra i sua omeri esso mercantuolo: onde datoli il frate a serbo i zoccoli, si caricò di tale omo.

Onde accadde che, trovandosi esso frate in mezzo del fiume, esso ancora si ricordò de la sua regola; e fermatosi, a uso di San Cristofano, alzò la testa inverso quello che l’aggravava, e disse: — dimmi un poco, hai tu nissun dinari addosso? — Ben ssi, rispose questo, come credete voi che mia pari mercatante andasse altrementi attorno? — Ohime! disse il frate, la nostra regola vieta, che noi non possiamo portare danari addosso; — e sùbito lo gettò nell’acqua. La qual cosa conosciuta dal mercatante, facetamente la già fatta ingiuria essere vendicata, con piacente riso, pacificamente, mezzo arrossito per vergogna la vendetta sopportò. [p. 389 modifica]

II. — di un pittore ad un prete.

Andando un prete per la sua parrocchia il sabato santo, dando, com’è usanza, l’acqua benedetta per le case, capitò nella stanza d’un pittore, dove spargendo essa acqua sopra alcuna sua pittura, esso pittore, voltosi indirieto, alquanto scrucciato, disse, perchè facesse tale spargimento sopra le sue pitture. Allora il prete disse essere così, usanza, e ch’era suo debito il fare così, o che faceva bene, e chi fa bene debbe aspettare bene e meglio, che così prometter Dio, e che d’ogni bene, che si faceva in terra, se n’avrebbe di sopra per ogni un cento.

Allora il pittore, aspettato ch’elli uscisse fori, se li fece di sopra alla finestra, e gittò un gran secchione d’acqua addosso a esso prete, dicendo: — ecco che di sopra ti viene per ogni un cento, come tu dicesti che accatterebbe del bene, che mi facevi colla tua acqua santa, colla quale m’hai guasto mezzo le mie pitture. —

III. — motto di un artigiano ad un signore.

Uno artigiano, andando spesso a visitare uno signore, sanza altro proposito diman[p. 390 modifica]dare al quale,1 il signore domandò quello, che andava facendo. Questo disse, che veniva lì per avere de’ piaceri, che lui aver non potea; perocchè volentieri vedeva omini più potenti di lui, come fanno i popolani, ma che ’l signore non potea vedere, se non omini di men possa di lui: per questo i signori mancano d’esso piacere.

IV. — bella risposta ad un pitagoreo.

Uno, volendo provare colla autorità di Pitagora, come altre volte lui era stato al mondo, e uno non li lasciava finire il suo ragionamento; allor costui disse a questo tale: — e per tale segnale, che io altre volte ci fussi stato, io mi ricordo che tu eri mulinaro. — Allora costui, sentendosi mordere colle parole, gli confermò essere vero, che per questo contrassegno lui si ricordava che questo tale era stato l’asino, che gli portava la farina.

V. — risposta di un pittore.

Fu dimandato un pittore perchè, facendo lui di figure sì belle che eran cose morte, per che causa esso avesse fatti i figlioli sì [p. 391 modifica]brutti. Allora il pittore rispose, che le pitture le fece di dì e i figlioli di notte.

VI. — un amico ad un maldicente.

Uno lasciò lo usare con uno suo amico, perchè quello spesso li diceva male delli amici sua. Il quale, lasciato l’amico, un dì, dolendosi collo amico, e dopo il molto dolersi, lo pregò che li dicesse quale fusse la cagione, che lo avesse fatto dimenticare tanta amicizia. Al quale esso rispose: — io non voglio più usare con teco per ch’io ti voglio bene, e non voglio che, dicendo tu male ad altri di me tuo amico, che altri abbiano come me a fare trista impressione di te, dicendo tu a quelli male di me tuo amico; onde non usando noi più insieme parrà che noi siamo fatti nimici, e per il dire tu male di me, com’è tua usanza, non sarai tanto da essere biasimato, come se noi usassimo insieme. —

VII. — detto di un infermo.

Sendo uno infermo in articulo di morte, esso sentì battere la porta, e domandato uno de’ sua servi chi era, che batteva l’uscio, [p. 392 modifica] esso servo rispose esser una, che si chiamava madonna Bona. Allora l’infermo alzate le braccia ringraziò Dio con alta voce; poi disse ai servi che lasciassero venire presto questa, acciocchè potesse vedere una donna bona innanzi che esso morisse, imperocchè in sua vita mai ne vide nessuna.

VIII. — detto di un dormiglione.

Fu detto a uno che si levasse dal letto, perchè già era levato il sole, e lui rispose: — se io avessi a fare tanto viaggio e faccende quanto lui, ancora io sarei già levato, e però, avendo a fare sì poco cammino, ancora non mi voglio levare. —

IX. — arguzia.

Uno vedendo una femmina parata a tener tavola in giostra, guardò il tavolaccio, e gridò vedendo la sua lancia: — ohimè! questo è troppo picciol lavorante a sì gran bottega! —

X. — risposta ad un motto.

Uno vede una grande spada allato a un altro, e dice: — o poverello! ell’è gran [p. 393 modifica]tempo ch’io t’ho veduto legato a questa arme: perchè non ti disleghi, avendo le mani disciolte e possiedi libertà? — Al quale costui rispose: — questa è cosa non tua, anzi è vecchia. — Questi, sentendosi mordere, rispose: — io ti conosco sapere sì poche cose in questo mondo, ch’io credevo che ogni divulgata cosa a te fussi per nova. —

XI. — facezia ad un vantatore.

Uno disputando, e vantandosi di saper fare molti vari e belli giochi, un altro de’ circostanti disse: — io so fare uno gioco, il quale farà trarre le brache a chi a me parrà. — Il primo vantatore, trovandosi sanza brache: — che no, disse, che a me non le farai trarre! E vadane un paro di calze. — Il proponitore d’esso gioco, accettato lo ’nvito, improntò2 più para di brache, e trassele nel volto al mettitore delle calze, e vinse il pegno.

XII. — risposta ad un motto.

Uno disse a un suo conoscente: — tu hai tutti li occhi trasmutati in istrane colore. — Quello li rispose intervenirli spesso: — ma [p. 394 modifica]tu non ci hai posto cura. — E quando ti addivien questo? — Bispose l’altro: — ogni volta ch’e’ mia occhi veggono il tuo viso strano, per la violenza ricevuta da sì gran dispiacere, s’impallidiscono, e mutano in istrano colore. —

XIII. — la stessa.

Uno disse a un altro:— tu hai tutti li occhi mutati in istran colore. —

Quello li rispose: — egli è perchè i mia occhi veggono il tuo viso strano. —

XIV. — motto.

Uno disse, che in suo paese nasceva le più strane cose del mondo. L’altro rispose: — tu che vi se’ nato, confermi ciò esser vero, per la stranezza della tua brutta presenza. —

XV. — facezia di un prete.

Una lavava i panni, e pel freddo avea i piedi molto rossi; e passandole appresso uno prete, domando, con ammirazione, donde tale rossezza derivassi; al quale la femmina subito rispose che tale effetto accadeva, perchè ella avea sotto il foco. Allora il prete mise mano a quello membro, che lo fece [p. 395 modifica]essere più prete che monaca, e, a quella accostandosi, con dolce e sommessiva voce, pregò quella che ’n cortesia li dovessi un poco accendere quella candela.

XVI. — facezia.

Uno, andando a Modana, ebbe a pagare 5 soldi di Lira di gabella della sua persona.

Alla qual cosa cominciato a fare gran romore e ammirazione, attrasse a sè molti circustanti; i quali domandando donde veniva tanta maraviglia, ai quali Maso rispose: — oh! non mi debbo io maravigliare? conciossia che tutto un omo non paghi altro che 5 soldi di Lira, e a Firenze io, solo a metter dentro il c..., ebbi a pagare 10 ducati d’oro, e qui metto il c...., i c.... e tutto il resto per sì piccol dazio. Dio salvi e mantenga tal città, e chi la governa!—

XVII. — biotto arguto.

Due camminando di notte per dubbiosa via, quello dinanzi fece grande strepito col culo; e disse l’altro compagno: — or veggo io ch’i’ son da te amato. — Come? disse l’altro. — Quel rispose: — tu mi porgi la coreggia, perch’io non caggia, nè mi perda da te.— [p. 396 modifica]

XVIII. — motto detto da un giovane a un vecchio.

Dispregiando un vecchio pubblicamente un giovane, mostrando audacemente non temer quello, onde il giovane li rispose che la sua lunga età li faceva migliore scudo che la lingua o la forza.

XIX. — facezia.

Perchè li Ungheri tengon la croce doppia.


Note

  1. senza che nulla gli occorresse da chiedergli.
  2. si procacciò